Lo stato di necessità invocato dall'imputato postula l'immanenza di un pericolo grave alla persona che non può essere scongiurato se non commettendo il reato, ma ciò va provato.
La Corte d'Appello di Lecce confermava la sentenza emessa dal Giudice di prime cure con la quale l'imputato era stato condannato per il reato di peculato, commesso nelle vesti di esercente una ricevitoria del lotto appropriandosi delle somme provento delle giocate raccolte.
Contro tale pronuncia, nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado con la quale V.C. era stato condannato per il reato di peculato, commesso appropriandosi, nella qualità di esercente una ricevitoria del lotto, delle somme di denaro provento delle giocate raccolte, omettendo di versarle all'Amministrazione dei Monopoli di Stato.
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto un unico motivo di ricorso, con il quale si deduce l'erroneo mancato riconoscimento della scriminante di cui all'art. 54 cod. pen.
Si assume che l'indebita appropriazione delle somme provento del gioco del lotto è conseguita alla necessità per l'imputato di far fronte alle gravi e reiterate condotte estorsive poste in essere ai suoi danni da appartenenti alla criminalità organizzata.
Tale elemento non sarebbe stato adeguatamente valutato dalla Corte di appello, sul presupposto che l'imputato aveva prodotto esclusivamente un avviso di conclusione delle indagini a carico dei presunti estortori. Il ricorrente censura tale decisione, sottolineando come l'avviso prodotto fin dal primo grado dava atto della pendenza del procedimento nel quale figura quale persona offesa e vengono anche indicate le gravi modalità estorsive poste in essere ai suoi danni.
3. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d. l. n. 137 del 2020 e art.7 d.l. 23 luglio 2021, n.105.
L'imputato ha inviato personalmente documentazione a sostegno del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
Deve preliminarmente darsi atto dell'inammissibilità della produzione documentale inviata dalla parte personalmente, posto che nel giudizio di legittimità è solo il difensore abilitato che può depositare atti nell'interesse dell'assistito.
2. Il ricorrente ha fondato l'unico motivo proposto essenzialmente sul profilo concernente la presunta carenza di prova circa i presupposti dell'invocato stato di necessità. A tal fine, infatti, è stato integralmente riprodotto nel ricorso l'avviso di conclusioni delle indagini relativo al procedimento in cui C. risulta persona offesa di gravi fatti estorsivi.
La motivazione resa sul punto dalla Corte di appello non è del tutto corretta, nella misura in cui dà atto della produzione in primo grado dell'avviso di conclusione delle indagini, per poi rilevare che non risulterebbe allegata la denuncia sporta dal ricorrente. Invero, il giudice d'appello evidenzia una carenza di per sé non dirimente, posto che sulla base della documentazione prodotta risulta quanto meno la pendenza del procedimento penale relativo alle estorsioni che, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbero ingenerato la necessità di procurarsi denaro.
Tuttavia, il motivo di ricorso non tiene conto del fatto che la Corte di appello ha ritenuto l'inconfigurabilità della scriminante di cui all'art. 54 cod. pen. sulla base di una motivazione più ampia, fondata anche sul fatto che l'imputato non ha assolto all'onere di dimostrare tutti i presupposti legittimanti l'applicazione della scriminante.
2.2. Ritiene la Corte che, a prescindere dai non dirimenti profili fattuali, l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 54 cod. pen. deve essere esclusa in punto di diritto.
Per consolidata giurisprudenza, l'imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l'operatività dell'esimente (Sez.1, n.12619 del 24/01/2019, Chidowke, Rv. 276173).
Applicando tale principio al caso di specie, risulta agevole osservare come il ricorrente, pur essendo stato vittima di estorsione, non ha in alcun modo allegato che l'unica modalità per sottrarsi al pericolo derivante da tale reato consistesse nel commettere il reato di peculato.
Invero, il ricorso al reato per far fronte allo stato di necessità si giustifica solo ove non vi siano alternative concretamente percorribili, ipotesi che non ricorre nel caso di specie.
In definitiva, lo stato di necessità può essere invocato solo ove l'unica alternativa rispetto al pericolo di un danno grave alla persona sia costituito dalla commissione del reato che, pertanto, deve essere una vera e propria scelta non evitabile. Nel caso di specie non emerge in alcun modo l'inevitabilità del ricorso al peculato che, pertanto, deve ritenersi come un non consentito tentativo della vittima del reato di estorsione di far fronte alle richieste di denaro, evitando di rivolgersi tempestivamente alla pubblica autorità.
Tale conclusione trova conferma in una risalente pronuncia, resa proprio con riferimento al peculato, il cui principio va integralmente recepito, con la quale si è affermato che lo stato di necessita, di cui all'art.54 cod. pen., postula l'immanenza di un pericolo grave alla persona non scongiurabile altrimenti che con l'atto penalmente illecito; deve, pertanto, escludersene l'applicabilità se agli eventuali pericoli alla persona connessi alla mancanza di mezzi economici sia possibile ovviare, nella sociale convivenza, seppure con inevitabili difficoltà e angustie, senza ricorrere al reato. (Fattispecie in cui si è ritenuto l'imputato, che si era appropriato di una somma appartenente alla pubblica amministrazione, non poteva invocare l'esimente di aver agito in stato di necessita, assumendo di avere commesso il fatto per provvedere a urgenti bisogni derivanti da malattie gravi dei propri familiari, perchè avrebbe potuto rivolgersi agli enti di assistenza e perchè non si trattava di un caso peculiare che richiedesse l'impiego immediato ed indilazionabile di onerose provvidenze) (così, Sez. 3, n. 136 del 24/01/1966, Covato, Rv. 100667).
3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.