È onere del giudice verificare se la specifica vicenda di violenze e maltrattamenti familiari narrata dal richiedente possa configurare un'ipotesi di vulnerabilità per la concessione della protezione umanitaria.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Venezia ha confermato il rigetto della domanda di protezione, internazionale, sussidiaria e umanitaria presentata da O. O., cittadino della Nigeria, il quale, secondo quanto si evince dal provvedimento impugnato, nel ricostruire la propria vicenda personale, aveva fatto riferimento a problemi con la famiglia di adozione insorti allorché, a seguito di un incontro con una giovane del posto, aveva iniziato un percorso di conversione cristiana abbandonando la religione musulmana nella quale fino ad allora era stato allevato; i genitori adottivi lo avevano minacciato di morte e la madre aveva anche tentato di avvelenarlo; per questa ragione si era allontanato dalla famiglia di origine e si era recato presso la ragazza cristiana che viveva assieme al fratello il quale gli aveva proposto di seguirlo in Libia; qui giunto l'O. era stato malmenato e torturato e tanto gli aveva determinato seri problemi da un punto di vista psicologico, problemi che erano stati certificati quando era giunto in Italia, e per i quali seguiva una terapia;
2. la Corte di merito, premesso che l'appello aveva ad oggetto il solo mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) d. lgs. n. 251/2007 e della protezione umanitaria ha osservato, quanto alla prima, che le fonti consultate escludevano la esistenza di conflitto armato interno o comunque di una situazione di violenza generalizzata nell'Edo State, regione di provenienza del richiedente asilo, e quanto alla protezione umanitaria, che la lite con i genitori aveva carattere privato e che per valutare la condizione di vulnerabilità non si poteva prescindere dalla credibilità del racconto; nello specifico non vi era prova che l'interessato non potesse godere nel paese di provenienza dei diritti inviolabili, non essendosi rivolto alle forze dell'ordine; in merito al trauma depressivo ha ritenuto che la documentazione prodotta non attestasse la necessità di un percorso terapeutico e cure farmacologiche indifferibili e neppure un quadro di particolare fragilità, ulteriormente evidenziando che non era stato dedotto e provato la insussistenza in Nigeria di strutture inadeguate a curare il disturbo del richiedente;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O. O. sulla base di quattro motivi; il Ministero dell'Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 370 primo comma ultimo alinea cod. proc. civ., cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 ci.I. n. 13/2017 conv., con modificazioni dalla I. n. 46/2017, contenente disposizioni urgente per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, in relazione alla composizione dell'organo giudicante, censurando l'applicazione di giudici non specializzati alla trattazione delle controversie in materia di Protezione internazionale, quale conseguenza del progetto per la definizione del contenzioso in materia di impugnazione adottato dal Presidente della Corte di appello di Venezia;
2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. per motivazione apparente /inesistente in relazione agli artt. 32, comma 3, d. lgs. n. 25/2008, all'art. 5, comma 6, d. lgs. n. 286 /1998, agli artt. 11 e 29 d. P.R . n. 394/1999 e all'art. 8 comma
3 bis d. lgs n. 25/2008; censura in particolare la mancata valorizzazione, nell'ottica della protezione umanitaria, del percorso di integrazione operato dal richiedente e denunzia apparenza di motivazione;
3. con il terzo motivo deduce violazione e /o falsa applicazione dell'art. 14 lett. c) d. lgs n. 251/2007 denunziando che l'accertamento alla base della decisione era stato fondato su fonti prive di specificità e attualità rispetto al contesto di vita del ricorrente;
4. con il quarto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, censurando il rigetto della domanda di protezione umanitaria e sussidiaria in tutte le sue articolazioni;
5. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non prospetta alcuna violazione del principio del giudice naturale (cfr. Cass. n. 34709 del 2021); in particolare è stato affermato (Cass. n. 26419 del 2020; Cass. n. 26831 del 2014) che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l'interesse alla astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; ne consegue che è inammissibile l'impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito; tale impostazione, del resto, è quella adottata anche dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Provvedimento del 23.5.2021 Sezione IV - Caso IANCU contro Romania) che ha escluso la violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, relativamente alla fattispecie di una sentenza formata dalla presidente dell'organo giudiziario a nome della presidente del collegio che era andata in pensione, proprio per la mancanza di conseguenze concrete sull'esito della causa; nel caso de quo, il ricorrente si è limitato a denunciare il fatto che nel Collegio giudicante vi fosse un giudice di Tribunale applicato in Corte di appello per la definizione del contenzioso in materia di immigrazione, in virtù di un provvedimento del Presidente della Corte di appello di Venezia poi non approvato dal CSM, senza però specificare, in concreto, quale pregiudizio abbia subito nel suo diritto di difesa e di fare valere le proprie pretese; la contestazione relativa alle modalità con cui l'applicazione è stata disposta non consente, poi, dì ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato; invero, posto che l'art. 156 c.p.c. prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d'appello si avvale del potere di disporre l'applicazione al suo ufficio dei magistrati del distretto (in termini, da ultimo: Cass. n. 33676 del 2021);
6. gli ulteriori motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati nei termini di cui in prosieguo;
6.1. preliminarmente deve osservarsi che le questioni che investono il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell'art. 14, lett. a) e b) d.lgs. n. 251/2007 risultano precluse avendo la Corte di merito dato atto che i motivi di impugnazione al provvedimento di primo grado concernevano solo il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett.
c) d. lgs. n. 251/2007 e della protezione umanitaria (sentenza, pag. 4) e che tale affermazione oltre a non essere specificamente contrastata dall'odierno ricorrente risulta confermata dalla esposizione in ricorso dello storico di lite ( ricorso per cassazione, pag. 3 e sg.);
6.2. tanto premesso in relazione alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) d. lgs n. 251/2007 si rileva che la ricostruzione della situazione della regione di provenienza e l'esclusione di una situazione di violenza generalizzata nell'Edo State è stata affidata dalla Corte di merito a fonti non attualizzate al momento della decisione posto che esse si riferiscono agli anni 2015/2018 laddove la decisione qui impugnata è stata adottata nel luglio 2019;
6.3. la sentenza non risulta pertanto conforme sul punto alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini del riconoscimento d.,_ della protezione sussidiaria, ai sensi dell'art.14 fcilgf lif1del 2007 è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiasi di indagine e di informazione di cui all'art.8 comma 3 del d.lgs. n. 25/2008, se la situazione di esposizione a pericolo per l'incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 39954/2021, Cass. n. 28990/2018, Cass n. 17075/2018, Cass. n. 17069/2018, Cass. n. 9427/2018; Cass. n. 4998/2015. Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal comma 3 dell'art.8 del d.lgs. n.25/2008 e quindi "... alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa;
7. in ordine alle censure che investono il mancato riconoscimento della protezione umanitaria è da premettere che il nucleo centrale del racconto del richiedente evoca una situazione di violenze e maltrattamenti, anche gravi, consumati in ambito familiare, legati all'adesione del richiedente ad un credo religioso diverso da quello della famiglia di origine. Tale racconto è stato ritenuto sostanzialmente credibile dalla Corte di merito che però lo ha valutato come riferito ad una lite a carattere privato, priva di riflessi quindi ai fini della protezione internazionale, ulteriormente evidenziando che l'interessato non aveva dimostrato neppure di essersi rivolto agli organi di giustizia o a un avvocato per denunziare il fatto.
7.1. la qualificazione in termini di mera lite privata della vicenda in
oggetto non appare giustificata alla luce dell'insegnamento di questa Corte, secondo il quale gli atti di violenza domestica, così come intesi dall'art. 3 della Convenzione di Istanbul dell' 11 maggio 2011, quali limitazioni al godimento dell’individuo del diritti fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c) D.Lgs. n. 251/2007, in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano e degradante”, qualora risulti che le autorità statali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse, essendo frutto di regole consuetudinarie locali (Cass.12333/2017). La Corte di merito ben avrebbe potuto, quindi, prendere in considerazione, come viceversa non avvenuto, la specifica vicenda di violenze familiari narrata dal richiedente potesse configurare un'ipotesi di ttlnera6llità per la concessione della - , protezione umanitaria, protezione " minore" rispetto a quella in astratto riconoscibile sulla base della richiamata giurisprudenza di legittimità; ciò anche nell'ottica della comparazione fra la eventuale situazione di integrazione raggiunta in Italia e la situazione nella quale si troverebbe proiettato in caso di rientro nel paese di origine; a riguardo occorre ulteriormente evidenziare la carenza del ragionamento decisorio del giudice di appello nel pretermettere al fine della verifica del grado di integrazione sociale e lavorativa, ogni riferimento allo svolgimento di attività lavorativa, attestata dalla documentazione prodotta dal ricorrente all'udienza del 1.7.1019, laddove la esistenza di contratti di lavoro si configura astrattamente idonea a costituire un importante indice di integrazione, come chiarito dal giudice di legittimità ( Cass. n. 22511/2021);
7.2. infine, con riferimento allo stato depressivo post. traumatico, pacificamente attestato dalla documentazione prodotta, costituisce errore di diritto l'affermazione della Corte di merito che pone a carico del richiedente asilo la necessità di deduzione prova dell'assenza in Nigeria di strutture adeguate per la cura del disturbo sofferto, in quanto si tratta di accertamento che doveva essere effettuato nell'esercizio dei poteri officiasi e quindi attraverso informazioni tratte da fonti pertinenti ed aggiornate circa il grado di sviluppo del sistema sanitario vigente e circa le effettive possibilità di accesso alle cure ( Cass. n. 13765/2020);
8. in base alle considerazioni che precedono, assorbita ogni altra censura, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione che provvederà sul regolamento delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.