Irrilevante l'incompatibilità ambientale del lavoratore per effetto del procedimento penale a cui era sottoposto. Per la Cassazione, anche nel pubblico impiego è necessario il nulla osta ai fini del trasferimento a un'altra sede.
La Corte d'Appello di Cagliari respingeva l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l'illegittimità del trasferimento di un funzionario dell'agenzia fisale, componente della RSU. Secondo il Giudice del gravame, il sindacalista non può essere trasferito a un'altra sede...
Svolgimento del processo
1.la Corte territoriale di Cagliari ha respinto l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, già Agenzia delle Dogane, avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento del ricorso del Sig. N.C., aveva dichiarato l'illegittimità del suo trasferimento, in data 27.3.2013, all'Ufficio delle Dogane di Cagliari; di conseguenza, l'aveva riassegnato alia sede di Olbia, originaria sede di servizio;
2. la Corte d'appello ha premesso che il C., dipendente inquadrato nella III Area funzionale, livello retributivo F1, era componente della RSU dell'Ufficio Dogane di (omissis), da cui dipendeva la Sezione di (omissis), sicché il trasferimento in altra sede avrebbe dovuto essere disposto in osservanza delle prescrizioni di cui all'art. 22 I. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), applicabile al settore pubblico in virtù dell'estensione operata dall'art. 23 legge 29.3.1983, n. 93 e dall'art. 18 comma 4 del CCNQ del 7.8.1998 secondo cui «Il trasferimento in una unità operativa in sede diversa da quella di assegnazione dei dirigenti sindacali indicati nell'art. 1O, può essere disposto solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni sindacali di appartenenza e della R.5. U. ove il dirigente ne sia componente»;
3. il combinato disposto di tali disposizioni avrebbe imposto, per la validità del trasferimento, il previo «nulla osta» dell'associazione sindacale di appartenenza, senza che fosse utile scrutinare «i motivi posti a giustificazione del provvedimento di trasferimento», non potendo le addotte ragioni di incompatibilità ambientale del lavoratore, per effetto del procedimento penale cui era sottoposto, condizionare l'applicazione della disciplina dettata a salvaguardia del prioritario interesse all'espletamento dell'attività sindacale;
4. la Corte territoriale ha precisato, ad ogni buon conto, che l'asserita incompatibilità ambientale avrebbe dovuto realizzarsi in concreto, non bastando la generica prospettazione che il lavoratore dovesse continuare a svolgere la propria attività a contatto con personale della Guardia di finanza che aveva svolto le indagini su di lui;
5. ha infine osservato che il lavoratore era legittimato ad agire direttamente per far valere l'illegittimità del trasferimento in parallelo all'O.S. di appartenenza;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sulla base di unico motivo, al quale ha opposto difese, con controricorso, il C.;
Motivi della decisione
1. il ricorso denuncia, con unico motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, comma primo n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 22 legge n. 300 del 1970 e dell'art. 2103 cod. civ.; la ricorrente sostiene, in sintesi, che l'onere di richiedere il «nulla osta» all'O.S. d'appartenenza non sussisterebbe laddove il trasferimento sia originato da fatti «che abbiano determinato in capo all'interessato l'avvio di un procedimento penale» e comunque da «eventi patologici» che nulla avrebbero a che vedere con le relazioni sindacali, la cui «tenuta» l'art. 22 I. n. 300, cit., mira a preservare; aggiunge ancora che, seguendo il ragionamento della Corte territoriale, anche il primo provvedimento di trasferimento del 7.3.2013, quantunque necessitato per effetto dell'ordinanza, resa dal GIP di Tempio Pausania, di interdizione ex art. 289 c.p.p. dalle attività connesse all'ufficio di Olbia, sarebbe stato in astratto censurabile, mentre in realtà solo il provvedimento successivo, del 27.3.2013, intervenuto allorché era già cessata la misura cautelare, era stato impugnato dal C.;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1 il mezzo di gravame, per come è formulato il profilo di censura, presenta pregiudiziali connotati di inammissibilità perché privo di sufficienti caratteri di specificità e completezza nonché di concreta riferibilità alla decisione impugnata, in quanto, a causa della vaghezza dell'argomentare frutto dell'assemblaggio di proposizioni generiche, non si è in grado di comprendere né di cosa esattamente la ricorrente si dolga, né quali disposizioni di legge si assumano violate, né sulla base di quale errata interpretazione sia censurata la decisione. E, invero, del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione debbono essere, oltre che specifici e completi, strettamente riferibili alla decisione impugnata, ciò che comporta l'esatta individuazione del capo di pronunzia che si intende censurare e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. n. 20652 del 2009; Cass. n. 15952 dei 2007; Cass. n. 13259 del 2007; Cass. n. 5637 del 2006; Cass. n. 2312 del 2003). In particolare si è precisato che il vizio di violazione e falsa applicazione di legge di cui all'art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità a mente dell'art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l'indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità; diversamente, si impedisce alla Corte regolatrice di adempiere il proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (in termini, da ultimo, Cass. n. 16760 del 2015; conformi: Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 1063 del 2005; Cass. n. 8106 del 2006);
2.2 nella specie, al cospetto dell'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l'Agenzia delle Dogane ha violato l'art. 22 I. n. 300/1970 nella parte in cui prevede che «il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali [... ] può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza», parte ricorrente non censura specificamente l'applicabilità di detta disposizione alla fattispecie concreta, limitandosi a sostenere che, per non venir meno «a quello che è lo spirito e la volontà del legislatore», occorrerebbe limitarne la portata applicativa laddove «vi siano fatti che abbiano determinato in capo all'interessato l'avvio di un procedimento penale». Con ciò mostrando di non cogliere però l'effettiva ratio decidendi, che si fonda sul richiamo alle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro puntualmente regolate nella I. n. 300/1970, la cui applicabilità anche al pubblico impiego si evince dal combinato disposto degli artt. 42 comma 6 e 51 comma 2 d. lgs. n. 165/01 e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (Cass. 12.7.2016, n. 14196);
2.3 e difatti, in mancanza del previsto «nulla osta», non vale scrutinare l'esistenza di situazioni di incompatibilità ambientale atte a sorreggere, ex art. 2103 cod. civ., il trasferimento che, se disposto nei confronti di dirigente sindacale senza l'osservanza delle formalità prescritte - fatto acclarato nella sentenza impugnata e non revocato in dubbio dalla difesa della ricorrente - resterebbe nondimeno inficiato da una presunzione di anti-sindacalità;
2.4 non fondati sono, poi, gli ulteriori «dubbi in ordine alla legittimazione del lavoratore a far valere pretese che sembrano riconducibili alla sola O.S. coinvolta». Anche in questo caso la ricorrente non si confronta con la decisione, che richiama espressamente l'orientamento di questa Corte secondo cui «lo stesso dirigente della rappresentanza sindacale aziendale [ ...] è legittimato a proporre diretta ed autonoma azione volta a far valere l'illegittimità del trasferimento per mancata richiesta del nulla osta sindacale prescritto dall'art. 22 dello Statuto dei lavoratori» (Cass. 19.11.1997, n. 11521);
2.5 l'ulteriore tesi del ricorrente in ordine all'inapplicabilità dell'onere di richiedere il previo «nulla osta» per i trasferimenti occasionati da ragioni di incompatibilità ambientale, viepiù se legate a indagini penali nei confronti del dipendente interessato, mira a delineare, senza il supporto di pertinenti elementi logico-argomentativi, un immotivato restringimento della portata applicativa dell'art. 22, cit., contrastante con la ratio della disposizione «diretta ad evitare pregiudizi all'attività sindacale nel luogo di lavoro in cui è chiamato ad operare il componente della r.s.u. interessato al trasferimento» (Cass. 29.12.2011, n. 29633), donde, per tal guisa, l'inidoneità della censura a integrare i presupposti di specificità imposti dall'art. 366 n. 4 c.p.c.;
2.6 le residuali argomentazioni sviluppate dalla ricorrente sul «primo provvedimento di trasferimento del 7. 3.2013», non impugnato e (in tesi) necessitato per effetto dell'ordinanza, resa dal GIP di Tempio Pausania, di interdizione ex art. 289 c.p.p. dalle attività connesse all'ufficio di Olbia, non sono (a ben vedere) utilmente scrutinabili: al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del documento era onere della parte trascriverne il contenuto, dato che solo mediante tale specificazione la Corte di cassazione, cui è precluso (come noto) l'esame diretto degli atti di causa, avrebbe potuto delibare sulla decisività della risultanza (Cass. 4.3.2014 n. 4980);
3. in via conclusiva, il ricorso deve ritenersi nel complesso infondato e, pertanto, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dall'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 200,00 per esborsi, 15 % di spese forfettarie e accessori legali.