Per integrare il delitto è richiesto che il datore di lavoro, nell'arco dell'anno, ometta di eseguire i versamenti che, indipendentemente dal riferimento ad una o più mensilità, superino la soglia di 10 mila euro.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava le richieste di N. G. L. di revoca parziale della sentenza di condanna del Tribunale di Bari dell'l/12/2000, limitatamente al reato di omesso versamento di cui all'art. 2 legge n. 67 del 2014, per intervenuta abrogazione del reato nonché di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di anni due di reclusione di cui alla sentenza del Tribunale di Brindisi del 4/4/2018, irrevocabile il 22/7/2018.
Il Tribunale osservava che la prima condanna riguardava un unico reato commesso dal 1993 al 1995, senza che fosse riconosciuta una continuazione tra le violazioni commesse nei tre anni, cosicché non era possibile una revoca parziale da parte del giudice dell'esecuzione relativamente all'anno 1993; in ogni caso, la documentazione prodotta dalla difesa non era sufficiente.
Con riferimento alla seconda richiesta, il Tribunale osservava che la concessione del beneficio della sospensione condizionale era impedita dalla precedente sentenza del Tribunale di Bari; alla stessa avrebbe dovuto, comunque, provvedere il Giudice dell'esecuzione che aveva revocato le condanne riportate per reati depenalizzati. Inoltre, la presenza di plurime condanne impediva comunque un giudizio prognostico favorevole ai sensi dell'art. 164, comma 1, cod. pen., benché si trattasse di reati depenalizzati.
2. Ricorre per cassazione il difensore di N. G. L., deducendo, in un primo motivo, violazione degli artt. 673 cod. proc. pen., 2, comma 2, cod. pen. e 665, comma 5, cod. proc. pen. in relazione alla mancata declaratoria di abolitio criminis del reato giudicato e alla mancata parziale revoca della sentenza di condanna, nonché vizio di motivazione.
Il reato di omesso versamento di contributi previdenziali di cui all'art. 2 d.l. 463 del 1983, oggetto della sentenza del Tribunale di Bari del 1/12/2000, è stato depenalizzato per gli omessi versamenti inferiori ad una determinata soglia, che non era stata raggiunta nell'anno 1993. L'ordinanza non aveva preso atto di tale depenalizzazione e aveva rigettato la domanda di revoca parziale sulla base di un dubbio costituito dalla considerazione del reato come unico per i tre anni. Un doveroso approfondimento avrebbe dimostrato il mancato superamento della soglia. La giurisprudenza di legittimità ammette espressamente la revoca parziale di una sentenza di condanna; né, per il riconoscimento della continuazione, è necessaria una contestazione formale della stessa. A seguito della riforma del 2016, il reato si consuma anno per anno: il giudice avrebbe dovuto, quindi, revocare parzialmente la sentenza di condanna; inoltre, l'ordinanza non chiariva perché la documentazione prodotta dalla difesa non fosse sufficiente né il Giudice aveva ritenuto di esercitare i poteri istruttori ai sensi dell'art 666, comma 5, cod. proc. pen.
In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto della domanda di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
L'ordinanza lasciava intendere che la richiesta fosse inammissibile, ma pronunciava, poi, sul merito della stessa, formulando il giudizio prognostico di cui all'art. 164 cod. pen. Si trattava di motivazione contraddittoria.
In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 163 e 164 cod. pen. con riferimento ai limiti obiettivi per la concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena.
L'ordinanza non teneva conto che la pena inflitta dal Tribunale di Bari era già stata interamente espiata e, quindi, non poteva essere cumulata alla pena irrogata con la sentenza del Tribunale di Brindisi; inoltre, le precedenti condanne non sono ostative alla concedibilità del beneficio se sia intervenuta depenalizzazione.
Inoltre, la sospensione non era preclusa perché il beneficio non era stato concesso con la prima sentenza.
Inoltre, il Tribunale di Brindisi non poteva tenere conto delle condanne riportate per reati depenalizzati.
In un quarto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 133 cod. pen. e vizio di motivazione con riferimento al giudizio prognostico negativo espresso dal Tribunale.
Il Tribunale non aveva espresso una valutazione complessiva della personalità del reo: l'ordinanza non faceva riferimento alla gravità del reato e la valutazione in punto di capacità a delinquere dell'interessato era generica, non attuale e non svolta in concreto; non si chiariva, inoltre, perché l'avvenuto risarcimento del danno non fosse ritenuto rilevante. Il Giudice della cognizione aveva rigettato la richiesta di concessione della sospensione condizionale esclusivamente sulla base dei precedenti penali dell'imputato, già da tempo depenalizzati, mentre non sussistevano altri elementi negativi. Al contrario, il giudice dell'esecuzione obliterava tutti gli elementi positivi e usava clausole di stile per sostenere il giudizio prognostico sfavorevole.
In un quinto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 164, comma 1, cod. pen. e 133 cod. pen. nonché dell'art. 648 cod. proc. pen.
Mentre il Giudice della cognizione aveva fatto riferimento, per negare il beneficio, esclusivamente alla presenza di precedenti penali, quello dell'esecuzione era ricorso ad elementi non dedotti nel giudizio di cognizione al fine di esprimere un giudizio prognostico negativo.
3. Nella requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, Fulvio Baldi, conclude per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
L'art. 3, comma sesto, D.Lgs. n. 8 del 2016, nell'escludere la penale rilevanza dell'omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ove non eccedenti i diecimila euro annui, ha dato luogo ad una abolitio criminis solo parziale dell'art. 2, comma 1-bis, D.L. n. 463 del 1983 (conv. in I. n. 638 del 1983), sussistendo piena continuità normativa con la precedente incriminazione, allorquando sia superata la soglia di punibilità (Sez. 3, n. 14475 del 07/12/2016, 2017, Mauro, Rv. 269329).
La legge di depenalizzazione ha rimodulato, pur nella continuità del tipo di illecito, gli elementi che costituiscono il fatto tipico del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel senso che è tuttora richiesto, per la realizzazione del reato, un comportamento omissivo che deve necessariamente tradursi nel mancato versamento delle somme, oggetto delle ritenute assistenziali e previdenziali sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti, con la sola differenza che, mentre in precedenza la condotta omissiva era strutturata su base mensile senza soglia di punibilità, è stata ora strutturata su base annuale, cosicché, mentre il reato era, secondo la previgente struttura dell'illecito penale, integrato dal mancato versamento mensile delle ritenute operate, indipendentemente dall'entità dell'importo non versato, la fattispecie deve ritenersi ora realizzata solo quando, nell'arco dell'anno, il datore di lavoro ometta di eseguire i versamenti che, indipendentemente dal riferimento ad una o più mensilità, superino la soglia di 10.000,00 euro.
La riforma, in definitiva, ha ristretto l'area del penalmente rilevante rispetto alla precedente incriminazione, implicitamente dando vita a due sottofattispecie: una che, assicurando la continuità normativa, conserva natura penale, dovendo essere integrata la soglia di punibilità che rappresenta un elemento costitutivo del reato, e l'altra divenuta penalmente irrilevante quantunque trasformata in illecito amministrativo.
Di conseguenza, l'importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi, che sono quelle incluse nel periodo 16 gennaio - 16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell'anno precedente e nel novembre dell'anno in corso (Sez. U, n. 10424 del 18/01/2018, Del Fabro, Rv. 272163).
L'ordinanza impugnata non tiene conto di questo effetto della riforma del 2016: nell'osservare che la sentenza di condanna considerava gli omessi versamenti come un unico reato, in realtà non tiene conto che il reato, sulla base della normativa previgente, veniva commesso ogni mese, cosicché la continuazione tra i singoli reati era implicitamente contestata nel menzionare un periodo di tre anni di omessi versamenti. La sopravvenienza della riforma del 2016 impone di "accorpare" le omissioni operate non più per mese, ma per anno, al fine di valutare se, nell'arco di un anno, fosse stata o meno superata la soglia di euro 10.000.
Essendo pacifico che, nell'anno 1993, tale soglia non fosse stata superata, il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto prendere atto della sopravvenuta depenalizzazione e revocare parzialmente, ex art. 673 cod. proc. pen., la relativa condanna, rideterminando la pena per i reati commessi nei due anni successivi.
2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena si fonda sull'insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui il giudice dell'esecuzione, qualora, in applicazione dell'art. 673 cod. proc. pen., pronunci per intervenuta abo!itio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, può, nell'ambito dei "provvedimenti conseguenti" alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall'art. 164, comma primo, cod. pen., sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti (Sez. U, n. 4687 del 20/12/2005, dep. 2006, Catanzaro, Rv. 232610).
La pronuncia, peraltro, presuppone che la revoca delle precedenti condanne abbia fatto venir meno la condizione ostativa alla concessione del beneficio: infatti il ricorrente, chiedendo la revoca parziale della precedente sentenza del Tribunale di Bari, di cui al paragrafo precedente, sostiene che tale revoca parziale - che, come già detto, erroneamente il giudice dell'esecuzione non ha disposto - faccia venire meno la condizione ostativa. Si deve ricordare che la condanna per il delitto di calunnia pronunciata nel 2018 aveva determinato la pena in anni due di reclusione: di conseguenza, qualunque precedente sentenza di condanna (salvo quanto si osserverà nel paragrafo successivo) impediva la concessione del beneficio.
A fronte della considerazione che la revoca richiesta è parziale - riguarda, infatti, soltanto gli omessi versamenti relativi all'anno 1993 - il ricorrente sostiene che la residua pena inflitta non potrebbe essere cumulata in quanto già interamente espiata nel 2007.
Si tratta di tesi infondata. L'intervenuta espiazione della precedente pena non sospesa non incide affatto sulla concedibilità del beneficio, atteso che l'art. 164, comma 2, cod. pen. considera ostativo alla concessione del beneficio il fatto di avere "riportato una precedente condanna". In forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 95 del 1976, la sospensione condizionale della pena può essere concessa a chi ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 cod. pen.
Di conseguenza, la revoca parziale della sentenza di condanna del Tribunale di Bari non permetterebbe la concessione del beneficio non concesso dal Tribunale di Brindisi del 2018.
3. In realtà, l'infondatezza della richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in relazione alla sentenza di condanna del Tribunale di Brindisi, come conseguenza della revoca (parziale) della sentenza del Tribunale di Bari, deriva da altra considerazione che pare sfuggita sia al giudice dell'esecuzione che al ricorrente.
La lettura del certificato penale dimostra che il Tribunale di Bari, con la sentenza di applicazione di pena del 1/12/2000, sostituì la pena di mesi due di reclusione con la multa di lire 4.500.000. Il 12/4/2017 risulta annotato l'avvenuto pagamento sia della pena principale, sia della sanzione sostitutiva.
Ai sensi dell'art. 57, secondo comma, legge 689 del 1981, la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva.
In forza dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., a seguito di sentenza di applicazione della pena, il reato è estinto se, nel termine di cinque anni, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. La norma così prosegue: "In questo caso si estingue ogni effetto penale e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena". Nel caso di specie, il termine quinquennale dalla data di irrevocabilità della sentenza di applicazione della pena era decorso senza che G. L. commettesse altri delitti o contravvenzioni.
Alla luce di questo quadro, risulta evidente che il Tribunale di Brindisi, nel giudicare nel 2018 G. L. per il delitto di calunnia, irrogando la pena di anni due di reclusione avrebbe potuto concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, poiché la precedente sentenza di applicazione di pena emessa dal Tribunale di Bari nel 2000 non era ostativa al beneficio, essendo stata applicata soltanto una pena pecuniaria.
Se, quindi, il beneficio non fu concesso, ciò fu conseguenza di una valutazione del giudice della cognizione, che non venne contestata con l'impugnazione della sentenza.
Tale valutazione non può, in definitiva, essere disattesa dal giudice dell'esecuzione in quanto frutto di una scelta discrezionale e niente affatto dipendente dall'esistenza del precedente penale.
I restanti motivi restano assorbiti.
In definitiva, l'ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente alla revoca parziale della sentenza del Tribunale di Bari del 1 dicembre 2000, irrevocabile il 18 gennaio 2001, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Brindisi, mentre il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla revoca parziale della sentenza del Tribunale di Bari del 1 dicembre 2000, irrevocabile il 18 gennaio 2001, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Brindisi.
Rigetta il ricorso nel resto.