Si può ricorrere al procedimento di correzione quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione.
Svolgimento del processo
La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25673/2021, relativa al ricorso RG 3789/2020, pubblicata in data 22/09/2021 - con riferimento al ricorso per cassazione proposto da F. Project SRL in liquidazione nei confronti del Fallimento F. Project SRL in liquidazione, nonché nei confronti di D. E., R. C., B. M., B. G., P. S., M. C., C. L., A. F., avente ad oggetto l'impugnazione della sentenza n. 158/2019 della Corte di appello di Napoli, depositata il 17/12/2019 - emetteva il seguente dispositivo: «Dichiara inammissibile il ricorso; - Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30 maggio 2002, n.115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.»
Per mero errore materiale dopo l'epigrafe dell’ordinanza è stato allegato il file della motivazione relativa al ricorso RG 3129/2020, deciso da questa Corte in data 04/05/2021 con ordinanza n. 25671/2021, come si evince dalla stessa ordinanza, al posto del file relativo alla motivazione del ricorso RG n. 3789/2020.
La società F. Project in liquidazione ha presentato istanza di correzione dell’errore materiale.
Disposto il rinvio a nuovo ruolo per la riconvocazione del Collegio nella composizione che aveva trattato il ricorso originario all’adunanza del 04/05/2021, il ricorso per correzione dell’errore materiale è pervenuto all’odierna adunanza. Il fallimento ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1.- Questa Corte ha recentemente affrontato il tema della correzione dell'errore materiale e dei confini in cui contenerlo, avuto riguardo alla emissione di provvedimenti predisposti in maniera informatica. Ha statuito che «Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile "ictu oculi", ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Può inoltre farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti: in tal caso, infatti, l'estensione della correzione non integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta.» (Cass. n. 4319/2019; conf. Cass. n. 16222/2020; Cass. n. 16087/2021), così superando un precedente diverso orientamento (cfr., di contro, Cass. n. 2815/2016; Cass. n. 12035/2011).
Può, invero, farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione – come nel caso in esame - facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, la parte motiva dell'ordinanza ("ritenuto che...considerato che") afferente ad una diversa controversia concernente un procedimento registrato con altro numero e deciso nella stessa camera di consiglio.
2. - Che trattasi, nel caso in esame, all'evidenza di un mero errore materiale nello scambio dei files informatici risulta: i) dal fatto che la parte motiva ("ritenuto che...considerato che") afferisce ad una diversa controversia, concernente un procedimento registrato con altro numero, deciso nella stessa camera di consiglio del 04/05/2021 e pubblicato nei confronti delle parti effettive del relativo procedimento con ordinanza n. 25671/2021, sempre in data 22.09.2021; ii) dalla diversità del provvedimento impugnato, correttamente individuato, nell'epigrafe dell’ordinanza, nella sentenza n. 158/2019 della Corte di appello di Napoli, depositata il 17/12/2019, mentre nel file erroneamente allegato viene individuato nel decreto del Tribunale di Monza; iii) dalla diversità dei soggetti: F. Project SRL in liquidazione contro Fallimento F. Projecr SRL in liquidazione, D. E., R. C., B. M., B. G., P. S., M. C., C. L., A. F. indicati nell'epigrafe corretta dell’ordinanza da emendare, Comune di Venezia contro Fallimento G. Hotel SRL in liquidazione, desumibili dal file erroneamente inserito. Trattasi, quindi, di un errore di collazione rilevabile ictu oculi già con il semplice raffronto dell'intero contenuto del provvedimento afferente ad una controversia che si è effettivamente svolta e conclusa con differenti parti e concernente un procedimento registrato con altro numero.
Non si tratta, dunque, di motivazione e dispositivo diversi rispetto a quelli redatti dal relatore e condivisi dal Presidente, a seguito della decisione dell’adunanza collegiale svoltasi il 04/05/2021, nella medesima composizione di quella convocata per l’odierna adunanza per l’esame del presente ricorso, ma dell'errore nella stampa del relativo file che può essere emendata con la procedura di correzione di errore materiale sostituendo il file erroneamente inserito con quello corretto, senza alcuna variazione.
Osserva la Corte che è l’ errore nell'espressione e non nel pensiero, dovuto a disattenzione o svista, che può dare ingresso al procedimento di correzione, sicchè - anche secondo la migliore dottrina - esulano dal campo di applicazione di questo procedimento i vizi che attengono alla formazione della volontà e al processo di manifestazione della stessa, rimanendo spazio solo per quanto è involontario o si riferisce ad elementi che sono sottratti a qualunque forma di valutazione come nel caso di semplice di semplice sostituzione di files, conseguente ad errore, senza alcuna modifica degli stessi - come attestabile ed attestato, nel caso di specie, dal Presidente del Collegio e dal relatore- senza alcuna incidenza sul relativo contenuto di quello effettivo che sostituisce integralmente quello erroneamente inserito dopo l'epigrafe della sentenza.
3. - Va, conseguentemente, disposta la correzione dell’ordinanza con l'inserimento, dopo l'epigrafe dell’ordinanza, del file originario in luogo di quello erroneamente inserito, il cui contenuto viene di seguito trascritto:
«RITENUTO CHE:
La società F. PROJECT SRL in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, in epigrafe indicata, che ha confermato il fallimento della medesima società dichiarato dal Tribunale di Avellino in data 26/6/2019. La Curatela fallimentare ha replicato con controricorso.
La Corte distrettuale, nel respingere il reclamo, per quanto interessa, ha confermato la valutazione compiuta in primo grado, secondo la quale, nonostante l’attivo iscritto al bilancio della società in liquidazione fosse ben superiore alle passività (euro 2.874.176=), per un verso l’attivo risultava costituito quasi esclusivamente da rimanenze, appostate in bilancio per euro 3.171.000=, e crediti appostati per euro 1.399.694=, i cui valori non apparivano fondati su elementi di riscontro circa la loro effettiva consistenza e stima, e per l’altro ricorrevano elementi tipicamente presuntivi di carenza di liquidità, come i pignoramenti con esito negativo posti in essere dai lavoratori, la presumibile difficile realizzazione dei crediti, posto che nel bilancio 2017 risultavano esigibili crediti per euro 2.880.742=, mentre i ricavi nell’anno successivo ammontavano ad euro 558.562=, cioè ad un sesto dell’astrattamente realizzabile.
In particolare la Corte di appello ha affermato che le poste iscritte in bilancio non costituivano prova assoluta della veridicità dei dati in relazione ad elementi che necessitavano del prudente apprezzamento e cioè, i crediti, circa il loro presumibile realizzo, e le rimanenze, in relazione alla stima del valore di mercato, da commisurarsi alla loro appetibilità e facilità liquidatoria; ha soggiunto che in merito alla rimanenze era stato offerto al tribunale «un elenco molto generico ed informe, contenente il numero dei beni, privi di una qualsiasi descrizione e stimato ad un valore di cd. “prezzo medio” che appare ontologicamente approssimativo» ed ha concluso che ciò era inverosimile, alla luce della importante portata del valore delle rimanenze, che da solo avrebbe consentito di spostare in negativo l’equilibrio tra attivo e passivo. Sul punto ha anche osservato che lo stesso liquidatore, sottoscrittore della bozza di inventario di cui sopra, recante la data del 18/6/2019, appena un mese dopo, e cioè il 24/7/2019, aveva riferito ai curatori in sede di interrogatorio che “si riservava di riferire, dopo aver parlato con i consulenti, in ordine ad eventuali rimanenze” avvalorando ancor di più i dubbi circa l’esistenza e la consistenza di dette rimanenze.
La società ricorrente ed il Fallimento hanno depositato memorie. É stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all'art.
380-bis cod.proc.civ., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
CONSIDERATO CHE:
1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.5 della legge fallimentare, richiamato in combinato disposto l’art.2697 cod.civ., e degli artt. 112 e 116 cod.proc.civ.
La ricorrente sostiene che il fallimento sarebbe stato dichiarato ritenendo immotivatamente non attendibili i dati contabili, laddove i bilanci di esercizio depositati erano caratterizzati da equilibrio finanziario e contabile ed assumevano valore probatorio. Lamenta inoltre che non era stata valutata l’esistenza reale o meno delle rimanenze di magazzino.
Lamenta ancora la violazione dell’onere della prova perché il giudice - a suo dire - doveva assumere iniziative, compresa eventuale CTU, per accertare sul piano contabile la ricorrenza dei presupposti di decozione in merito all’effettivo ammontare delle poste attive e passive.
Contesta che l’esito negativo delle azioni esecutive presso terzi possa considerarsi decisivo per dedurre la sintomaticità dello stato di illiquidità perché i tentativi vennero eseguiti presso la sede legale, in Avellino, e non presso la sede operativa in Forlì e sul punto introduce una denuncia per omesso esame di un fatto decisivo ex art.360, primo comma, n.5, cod.proc.civ., senza tuttavia illustrare con la dovuta specificità quando ed in che termini i fatti anzidetti vennero sottoposti ai giudici di merito, con palesi ricadute in termini di inammissibilità. Insiste sul fatto che le passività non superavano la somma di euro 300.000,00= e che la società godeva di ottima salute finanziaria e poteva contare su una liquidità di pronto e facile realizzo.
2. Osserva la Corte che il motivo di ricorso è in parte inammissibile - poichè, sotto spoglie di una critica in iure, si risolve in un tentativo di sovvertimento del giudizio di fatto in ordine agli elementi che la Corte d'appello ha correttamente ritenuto sintomatici dell'insolvenza della società. Giuridicamente è altresì, comunque, infondato.
3. È opportuno rammentare che «Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l.fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.» (Cass. n. 25167 del 07/12/2016; Cass. n. 24660 del 05/11/2020) ed il Collegio del reclamo ha espressamente considerato che la società debitrice si trovava in stato di liquidazione e in questa prospettiva ne ha valutato la condizione di insolvenza, ritenendo che gli elementi attivi – ritenuti inattendibili con motivazione esauriente e giuridicamente corretta - non avrebbero consentito l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali; la critica in esame da un lato è volta a considerare elementi che in una simile prospettiva non assumevano alcuna importanza (quale l’ammontare degli inadempimenti conclamati o altri fatti esteriori atti a dimostrare l'incapacità della società di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni), dall'altro sostiene che la fallita godeva di “ottima salute finanziaria” e poteva contare su una liquidità di pronto e facile realizzo tale da consentirle di soddisfare in poco tempo le sue debenze (fol. 10 del ric.) e intende così contestare l'accertamento del rapporto fra attivo e passivo fallimentare compiuto dalla Corte di merito rispetto all'epoca in cui lo stesso era stato fatto e al risultato raggiunto; l'accertamento dello stato di insolvenza, tuttavia, doveva essere compiuto con riferimento alla situazione esistente alla data della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. n. 19790 del 5/10/2015); il risultato di questo accertamento rientra poi nel novero degli accertamenti di fatto di pertinenza della Corte di merito ed è censurabile in questa sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte (Cass. n. 7252 del 27/3/2014; Cass. n. 6978 dell’11/3/2019).
A ciò va aggiunto che - contrariamente a quanto sembra assumere la ricorrente – «Il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell'impresa soggetta a registrazione, fa prova, ai sensi dell'art. 2709 c.c., in ordine ai debiti della società medesima, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.» (Cass. n. 3190 del 18/02/2016; Cass. 6547 del 14/03/2013) perché l'art. 2709 cod. civ., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest'ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, ed il relativo apprezzamento sfugge al suindicato di legittimità, se sufficientemente motivato. Nel caso in esame, la Corte di appello, così come prima il Tribunale, ha proceduto all’articolato approfondimento istruttorio d’ufficio circa l’ammontare dell’attivo, sia considerando il grandemente ridotto realizzo dei crediti appostati nell’anno precedente, sia valutando l’elenco “generico ed informe” delle rimanenze prodotto dalla società, ritenuto inidoneo a dare contezza dell’effettivo corrispondenza della valorizzazione al prezzo di possibile realizzo della merce, sia acquisendo le dichiarazioni del liquidatore in merito, che lungi dal confortare la tesi della ricorrente, ebbero a confermare la aleatorietà della valutazione del magazzino, circostanze che la ricorrente trascura del tutto nel proporre la censura, dimostrando di non avere nemmeno colto la complessità dell’accertamento compiuto dalla Corte partenopea e la ratio decidendi, con evidenti ricadute sull’inammissibilità della doglianza, anche laddove lamenta del mancato espletamento di una CTU.
Va infine rammentato che nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento l’accertamento dello stato d'insolvenza sottende un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore, oggetto di una valutazione complessiva: quanto ai debiti, il computo non si limita alle risultanze dello stato passivo nel frattempo formato ma si estende a quelli emergenti dai bilanci e dalle scritture contabili o in altro modo riscontrati, anche se oggetto di contestazione, quando (e nella misura in cui) il giudice dell'opposizione ne riconosca incidentalmente la ragionevole certezza ed entità; quanto all'attivo, i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di mercato, ma anche in rapporto all'attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione - di regola - dell'operatività dell'impresa, salvo che l'eventuale fase della liquidazione in cui la stessa si trovi - come nel presente caso – renda compatibile anche il pronto realizzo dei beni strumentali e dell'avviamento (Cass. n. 23437/17): la Corte distrettuale si è attenuta a questi criteri e la censura va disattesa.
4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi dell’art.13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
- Dichiara inammissibile il ricorso;
- Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.000,00=, oltre euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;
- Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30 maggio 2002, n.115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il giorno 4 maggio 2021.
Il Presidente (Giacinto Bisogni)»
4. – In conclusione, va ordinata la correzione dell’errore materiale e va pertanto disposto che nella ordinanza n. 25673/2021, relativa al ricorso RG 3789/2020, pubblicata in data 22/09/2021, dopo l'epigrafe dell’ordinanza sia inserita, in sostituzione della originaria motivazione e dispositivo, la motivazione e il dispositivo corretti sopra riportati sub 3.-.
Va disposto, altresì, che la correzione sia annotata, a cura della Cancelleria, sull'originale della predetta ordinanza, riportando l'integrale contenuto della correzione.
P.Q.M.
La Corte dispone che nella ordinanza n. 25673/2021, relativa al ricorso RG 3789/2020, pubblicata in data 22/09/2021, dopo l'epigrafe dell’ordinanza sia inserita, in sostituzione della motivazione e dispositivo, la motivazione e il dispositivo corretti sopra riportati.
Va disposto, altresì, che la correzione sia annotata, a cura della Cancelleria, sull'originale della predetta ordinanza, riportando l'integrale contenuto della correzione.