Respinto il ricorso proposto dal Fisco che lamentava il mancato riconoscimento del requisito dell'autonoma organizzazione ai fini IRAP con riguardo all'attività di medico svolta dal contribuente presso una società.
Il contribuente si rivolgeva alla CTP per proporre ricorso contro il silenzio rifiuto dell'Amministrazione finanziaria in relazione alla sua richiesta di rimborso IRAP, sostenendo che egli non disponesse di un'autonoma organizzazione.
La CTP respingeva il ricorso ma, a seguito di gravame, la CTR accoglieva l'appello del professionista affermando che...
Svolgimento del processo
Rilevato che:
la parte contribuente proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto dell'amministrazione finanziaria sull'istanza di rimborso IRAP negli anni d'imposta 2005/2007 sostenendo di non disporre di una autonoma organizzazione;
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l'appello affermando che dall'esame degli atti emerge come l'attività della società C.M. (di cui la parte contribuente era socio al 33% nonché legale rappresentante) e quella del contribuente siano differenti in quanto mentre il contribuente svolge attività di medico del lavoro e in tale sua qualità si reca nei luoghi di lavoro ad effettuare le visite senza usufruire delle strutture del suddetto Centro mentre il C.M. svolge attività di prevenzione, informazione, formazione degli addetti responsabili delle singole aziende e, in quanto poliambulatorio autorizzato, esami di laboratorio e diagnostica, cosicché appare corretto l'assunto che la corresponsione di compensi da parte della società C.M. al dott. G. depone per l'assenza di autonoma organizzazione giacché, se il contribuente si avvalesse delle strutture della società per l'esercizio della professione medica, dovrebbe egli corrispondere somme e non riceverle in pagamento; quanto all'ausilio del collaboratore, costui, medico oculista, svolge attività del tutto secondaria e saltuaria, con modesti compensi ricevuti dal contribuente.
L'Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo di impugnazione, mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.
Motivi della decisione
Con il motivo d'impugnazione l'Agenzia delle entrate, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997 nonché 2697 cod. civ. per avere erroneamente riconosciuto inesistente il requisito dell'autonoma organizzazione con riferimento all'attività medica esercitata dal contribuente e per non aver gravato la parte contribuente dell'onere dell'assenza della autonoma organizzazione.
Il motivo di impugnazione è infondato.
Secondo questa Corte, infatti:
in tema di IRAP, non ricorre il necessario presupposto della autonoma organizzazione ove il contribuente, medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, abbia nella propria disponibilità due studi professionali per lo svolgimento dell'attività, atteso che questi ultimi non costituiscono indice rappresentativo di un'autonoma organizzazione, ma solo uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell'attività professionale (Cass. n. 3099 del 2021);
in tema di IRAP, il presupposto impositivo dell'autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l"'id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive (Cass. 24516 del 2020; Cass. S.U. n. 9451 del 2016);
in tema di IRAP, a norma del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, requisito che ricorre e la cui assenza deve essere provata dall'interessato - quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e, dunque, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, ovvero impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l"'id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, o, comunque, si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in applicazione di tale principio, la Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva accolto l'istanza di rimborso proposta da un commercialista, sul rilievo che tale attività era stata svolta senza ausilio di dipendenti e con spese non significative per il possesso di beni strumentali, non ricorrendo quindi il requisito dell'autonoma organizzazione: Cass. n. 25311 del 2014; Cass. n. 28329 del 2021).
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale si è attenuta ai suddetti principi laddove - affermando che dagli esami degli atti emerge come l'attività della società C.M. (di cui la parte contribuente era socio al 33% nonché legale rappresentante) e quella del contribuente siano differenti in quanto mentre il contribuente svolge attività di medico del lavoro e in tale sua qualità si reca nei luoghi di lavoro ad effettuare le visite senza usufruire delle strutture del suddetto Centro mentre il C.M. svolge attività di prevenzione, informazione, formazione degli addetti responsabili delle singole aziende e, in quanto poliambulatorio autorizzato, esami di laboratorio e diagnostica, cosicché appare corretto l'assunto che la corresponsione di compensi da parte della società C.M. al dott. G. depone per l'assenza di autonoma organizzazione giacché, se il contribuente si avvalesse delle strutture della società per l'esercizio della professione medica, dovrebbe egli corrispondere somme e non riceverle in pagamento; quanto all'ausilio del collaboratore, costui, medico oculista, svolge attività del tutto secondaria e saltuaria, con modesti compensi ricevuti dal contribuente ha correttamente e ragionevolmente ritenuto per un verso che la disponibilità di uno studio professionale (la circostanza di recarsi presso il C.M.) per lo svolgimento dell'attività non costituisse indice di una autonoma organizzazione perché tale studio è riferibile a un soggetto terzo e da quest'ultimo organizzato, per un altro verso ha riconosciuto che il contribuente non fosse, sotto qualsiasi forma, il responsabile di una organizzazione e fosse invece inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità (secondo un ragionamento immune da vizi logici e come tale insindacabile in sede di legittimità, ragionamento fondato sulla circostanza che il medico contribuisse ad una altrui organizzazione dalla quale riceveva una retribuzione per il suo lavoro, mentre se avesse disposto di una autonoma organizzazione avrebbe dovuto conseguentemente essere lui a retribuire i fattori della produzione) e per un altro verso ancora che il contribuente non impiegasse beni strumentali eccedenti, secondo l"'id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, avvalendosi in modo occasionale di un medico oculista, evidentemente indispensabile per la sua attività di medico del lavoro e nei cui confronti il rapporto che si è costituito è, altrettanto evidentemente, di collaborazione paritaria tecnico professionale e non certo impostato nel senso che l'oculista riceva ordini o direttive o sia comunque inserito in una organizzazione creata dal contribuente.
Pertanto, nel caso di specie, la sentenza ha sufficientemente e ragionevolmente motivato in relazione alla circostanza che il medico non disponesse di una autonoma organizzazione, presupposto dell'IRAP.
Ne consegue che il motivo di impugnazione è infondato e il ricorso va conseguentemente rigettato; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 4.100, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.