La Corte chiarisce se, in caso di decesso del mutuatario, spetta alla compagnia di assicurazione pagare alla banca l'importo del mutuo residuo.
A fronte di un contratto di mutuo ipotecario, il mutuatario stipulava con l'istituto di credito due contratti di assicurazione, tra cui uno sulla vita. Quest'ultimo prevedeva che, in caso di morte del mutuatario, l'assicuratore avrebbe versato alla banca un indennizzo d'importo pari dal debito residuo, e la...
Svolgimento del processo
1. Nel 2013 F.T. convenne dinanzi al Tribunale di Padova le società A. s.p.a. e U.B. s.p.a., esponendo che:
-) il proprio fratello E.T. il 6 agosto 2007 aveva stipulato un contratto di mutuo ipotecario con la società U.B. s.p.a.;
-) contestualmente alla stipula del mutuo l'istituto di credito "aveva imposto al mutuatario" (così il controricorso, p. 2), la stipula di due contratti di assicurazione;
-) uno di questi contratti costituiva un'assicurazione sulla vita e prevedeva che, in caso di morte del mutuatario, l'assicuratore avrebbe versato alla banca un indennizzo d'importo pari al debito residuo, e la banca avrebbe impiegato tale indennizzo per estinguere il mutuo; se poi, per qualsivoglia ragione, l'indennizzo avesse ecceduto il debito residuo, era previsto che la banca versasse agli eredi del mutuatario il surplus;
-) il proprio fratello era deceduto il 28 maggio 2012, ma la società assicuratrice aveva rifiutato il pagamento dell'indennizzo, eccependo stragiudizialmente che E.T. al momento della stipula del contratto aveva reso dichiarazioni non veritiere sulle proprie condizioni di salute: aveva, in particolare, taciuto di soffrire di ipertensione sin dal 2003 e di seguire un trattamento farmacologico;
-) le clausole contenute nel contratto di assicurazione, concernenti le dichiarazioni del mutuatario sul proprio stato di salute, dovevano ritenersi nulle.
Premessi questi fatti, l'attrice dedusse in punto di diritto che il proprio fratello E.T. doveva qualificarsi "contraente" del contratto di assicurazione; che tale contratto andava qualificato come "contratto per conto altrui" ex art. 1891 c.c.; che esso copriva un duplice interesse: quello della banca al rimborso immediato del capitale residuo, nel caso di morte del mutuatario; e quello degli eredi di quest'ultimo ad ottenere l'estinzione dell'obbligo di rimborso.
Concluse pertanto chiedendo la condanna della A. al versamento in favore della banca dell'indennizzo contrattualmente dovuto, pari al residuo debito derivante dal contratto di mutuo, ed al pagamento in favore dell'attrice dell'eventuale eccedenza.
2. La società assicuratrice si costituì eccependo:
-) che F.T. era priva di "legittimazione attiva" (rectius, di titolarità del credito), in quanto il contratto di assicurazione attribuiva il diritto al pagamento dell'indennizzo alla banca mutuante;
-) che l'indennizzo comunque non era dovuto ai sensi dell'art. 1892 c.c., in quanto E.T., al momento della stipula, aveva falsamente dichiarato di essere in buono stato di salute e di non essere sottoposto a trattamenti medici.
3. All'udienza del 5.12.2013 l'attrice chiese al giudice di ordinare la chiamata in causa, "ex art. 107 c.p.c. ", di altri due soggetti: la U.M. s.r.l., indicata quale cessionaria del contratto di mutuo; e la U. s.p.a., indicata quale soggetto cui il nuovo creditore (U.M. s.r.l.) aveva affidato la "gestione" del contratto di mutuo.
Con ordinanza 9.12.2013 il Giudice accolse tale istanza.
Nell'atto di chiamata in causa l'attrice modificò la domanda originaria, chiedendo che la A. fosse condannata a pagare l'indennizzo assicurativo alla U.M. s.r.l..
4. Si costituì la sola U. s.p.a., dichiarando di costituirsi quale "gestore di U.M. s.r.l., cessionaria del mutuo originariamente concesso da U.B. s.p.a." (così il controricorso di U. s.p.a., p. 2, nota 1), e chiedendo accertarsi, nel caso di validità ed efficacia del contratto di assicurazione, il diritto della banca al pagamento dell'indennizzo.
5. Con sentenza 25 settembre 2017 n. 2222 il Tribunale di Padova rigettò la domanda.
Il Tribunale ritenne che:
-) il contratto di assicurazione oggetto del contendere non dovesse qualificarsi come "assicurazione per conto altrui ex art. 1891 c.c.", ma piuttosto come "assicurazione sulla vita";
-) tale assicurazione era stata stipulata tra la banca e la A. sulla vita di E. T. a beneficio dell'istituto di credito, ai sensi dell'art. 1919, primo comma, c.c.;
-) nessuna clausola contrattuale attribuiva agli eredi di E. T. diritti nei confronti della A..
La sentenza fu appellata da F.T..
6. Con sentenza 30 gennaio 2020 n. 290 la Corte d'appello di Venezia ha accolto il gravame, e condannato la A. a versare alla U. s.p.a. "la somma dovuta ai sensi della polizza assicurativa" (importo non quantificato dalla Corte d'appello).
La Corte d'appello ha motivato la propria decisione innanzitutto rilevando le seguenti circostanze di fatto:
-) la banca mutuante era espressamente qualificata dal contratto di assicurazione come "contraente della polizza che stipula il contratto per conto degli assicurati";
-) il soggetto assicurato era definito nella polizza come "il soggetto fisico al quale il contraente ha erogato il mutuo";
-) il contratto prevedeva che il beneficiario dell'indennizzo fosse il contraente (e dunque la banca), alla quale era addossato l'obbligo di "utilizzare l'indennizzo ricevuto dalla società per ridurre il debito residuo del mutuo e, qualora l'importo sia superiore, restituire l'eccedenza agli aventi diritto";
-) il mutuatario, aderendo a tale contratto, aveva conferito mandato irrevocabile alla banca, ai sensi dell'articolo 1723, comma secondo, c.c., ad incassare ogni indennizzo dovuto dalla società assicuratrice.
Sulla base di questi elementi di fatto la Corte d'appello ha ricostruito la fattispecie sottoposta al suo esame ravvisandovi non uno, ma due distinti contratti di assicurazione.
Il primo contratto di assicurazione, ad avviso della Corte veneta, fu stipulato dalla banca nel proprio interesse, ed ebbe la forma di una "polizza collettiva" per "assicurare tutti i soggetti a cui ha erogato un mutuo".
Questo contratto è stato qualificato dalla Corte d'appello come "assicurazione per conto altrui" ex art. 1891 c.c..
Il secondo contratto di assicurazione, ad avviso della Corte veneta, è invece scaturito dall'adesione del singolo mutuatario alla "polizza collettiva" stipulata tra la banca e l'assicuratore.
Per effetto di questa adesione, secondo la sentenza qui impugnata si costituì un nuovo rapporto giuridico, in cui E.T. divenne "l'assicurato e il titolare del diritto all'erogazione dell'indennizzo ai sensi dell'art. 1891 c.c..".
Solo questa costruzione, ha precisato la Corte d'appello, rendeva sensata e giustificata la previsione contrattuale del conferimento, da parte del mutuatario a favore della banca, di un mandato irrevocabile ad incassare l'indennizzo: infatti la banca, in quanto contraente del contratto, non aveva titolo per pretendere il suddetto pagamento.
7. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla A. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.
Hanno resistito con controricorso U. e F.T., con distinti controricorsi illustrati anch'essi da memoria.
Motivi della decisione
1. Necessità di un lessico condiviso.
Prima di esaminare nel merito il ricorso questa Corte ritiene doveroso (in ossequio all'insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui il rigore linguistico è premessa indefettibile nella ricostruzione degli istituti: Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015) anticipare in quale senso saranno impiegate nella presente sentenza le espressioni "contraente", "assicurato" e "beneficiario".
Tali espressioni infatti, non di rado usate nella prassi in modo polisemico, confondono lo studio dei fenomeni assicurativi e, con esso, il dialogo tra gli interpreti.
Per "contraente" questa Corte intenderà dunque colui il quale manifesta il consenso alla stipula del contratto di assicurazione.
Per "assicurato" questa Corte intenderà il titolare dell'interesse esposto al rischio, ai sensi dell'art. 1904 c.c.. Va da sé che, così definito il concetto di "assicurato", esso non è concepibile nell'assicurazione sulla vita, nella quale l'interesse non è elemento essenziale.
Per "beneficiario" questa Corte intenderà il creditore del diritto all'indennizzo. Così definita la nozione di "beneficiario", ne segue che:
-) nell'assicurazione contro i danni per conto proprio il beneficiario coincide necessariamente col contraente, e questi con l'assicurato;
-) nell'assicurazione contro i danni per conto altrui il beneficiario coincide necessariamente con l'assicurato, ma non col contraente;
-) nell'assicurazione contro i danni per conto di chi spetta il beneficiario potrà coincidere tanto col contraente, quanto con l'assicurato, a seconda di chi tra essi risulterà titolare dell'interesse al momento del sinistro;
-) nell'assicurazione sulla vita il beneficiario sarà quegli designato nel contratto: e potrà coincidere col contraente, col portatore di rischio (ovviamente nella sola ipotesi di assicurazione per il caso di vita) o con un terzo.
Per "portatore di rischio", infine, questa Corte intenderà il soggetto alla cui morte od alla cui sopravvivenza il contratto di assicurazione sulla vita ha subordinato l'obbligazione dell'assicuratore.
Così definita la nozione di "portatore di rischio", ne segue che essa è sempre presente nell'assicurazione sulla vita, e può coincidere col contraente, col beneficiario o con un terzo; non è, invece, concepibile nell'assicurazione contro i danni.
2. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo (intitolato "violazione-falsa applicazione delle norme di diritto", senza ulteriori precisazioni) la società ricorrente deduce che nelle condizioni generali del contratto stipulato fra la Banca e l'assicuratore, cui il mutuatario aveva aderito, era chiaramente indicato che:
a) la banca assumeva la qualifica di "contraente";
b) in caso di morte del mutuatario (definito dal contratto "assicurato"), l'assicuratore assumeva l'obbligo di versare l'indennizzo al "contraente", e dunque alla banca, non già agli eredi del mutuatario.
2.1. Così ricostruito il contenuto del contratto, la società ricorrente censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che F.T. fosse legittimata a domandare la condanna dell'assicuratore a versare l'indennizzo alla U., ai sensi dell'art. 1891 c.c..
A tale statuizione la ricorrente muove varie censure che - scandite secondo l'ordine logico di cui all'art. 276, comma secondo, c.p.c. - sono così riassumibili:
-) la Corte d'appello ha violato l'art. 1919 c.c. là dove ha qualificato il contratto oggetto del contendere come "assicurazione per conto altrui ex art. 1891 c.c."; in realtà quel contratto si sarebbe dovuto qualificare come "assicurazione sulla vita altrui ex art. 1919 c.c.", rispetto alla quale la banca aveva la veste di contraente e beneficiaria, e il mutuatario quella di portatore di rischio (p. 9 del ricorso);
-) la Corte d'appello ha inoltre violato l'art. 1919 c.c. sotto un secondo profilo, là dove ha trascurato di considerare che "il portatore di interesse" al pagamento dell'indennizzo era la banca, e non il mutuatario: questi, infatti, morendo "non ha interesse che la banca recuperi le rate residue del mutuo" (p. 12, penultimo capoverso);
-) la Corte d'appello ha violato l'art. 1362 c.c. là dove ha ritenuto che il mutuatario (e, per lui, i suoi eredi) fossero legittimati a pretendere che l'indennizzo assicurativo dovesse essere versato alla banca: il contratto, infatti, prevedeva espressamente che "le prestazioni assicurate spettano al contraente", e cioè la banca (p. 12, secondo capoverso).
2.2. Dopo avere esposto il modo in cui, a suo avviso, si sarebbe dovuto qualificare ed interpretare il contratto, la A. censura il principale fa argomento col quale la Corte d'appello ha giustificato la decisione di ritenere che l'erede del mutuatario fosse legittimata a domandare la condanna dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo nelle mani della banca: e cioè la previsione contrattuale in virtù della quale il mutuatario conferiva alla banca "mandato irrevocabile" ad incassare l'indennizzo assicurativo.
Mentre ad avviso della Corte d'appello tale previsione impediva di ritenere che l'indennizzo spettasse (solo) alla banca, la A. osserva in senso contrario che la suddetta previsione sarebbe in sostanza irrilevante, dal momento che il mutuatario mai avrebbe potuto conferire alla banca alcun mandato all'incasso: non prima della propria morte, perché non ancora creditore; né post mortem, perché non più in vita.
2.3. Prima di esaminare nel merito questa articolata censura, è doveroso premettere che la Corte d'appello di Venezia si è trovata dinanzi a patti contrattuali che costituivano oggettivamente un perfetto esempio di come non si dovrebbe scrivere un contratto di assicurazione ( ed anzi qualsiasi contratto): tante e tali erano le contraddizioni, le ambiguità e le aporie giuridiche in esso presenti, con buona pace dell'art. 166, comma primo, cod. ass., il quale - già in vigore da un anno e mezzo all'epoca della stipula del mutuo - proclama solennemente che "il contratto va redatto in modo chiaro ed esauriente".
Da un lato, infatti, il contratto affermava che esso era stipulato dalla banca "per conto" dei mutuatari, così lasciando presumere una sostituzione gestoria della prima ai secondi, e nell'interesse di questi. Dall'altro lato, però, l'art. 7 delle condizioni generali attribuiva espressamente il diritto all'indennizzo "al contraente", e cioè la banca. Affermazioni, queste ultime, ovviamente incompatibili, dal momento che nella stipula "per conto" l'interesse protetto non è mai (o non è mai soltanto) quello di chi stipula.
Ancora: da un lato, il pagamento del premio era addossato al mutuatario (art. 8 delle condizioni generali, ove sibillinamente si proclama che il premio è pagato "per il tramite" della banca, e non "dalla banca"), così lasciando presumere che questi fosse anche contraente (ed infatti l'obbligo di pagamento del premio grava di norma sul contraente); dall'altro lato, però, il rimborso del premio nel caso di anticipata risoluzione del mutuo era previsto in favore della banca (art. 9 delle condizioni generali), cioè del soggetto che non l'aveva versato.
E poi: da un lato, il pagamento dell'indennizzo era previsto, come detto, a favore del contraente, e cioè la banca (art. 8); dall'altro, però, il contratto prevedeva il divieto per I' "assicurato" (e cioè il mutuatario, secondo le definizioni contrattuali) di cedere a terzi i "diritti derivanti dal contratto di assicurazione": previsione inconcepibile ove si assuma che il mutuatario fosse un mero portatore di rischio e non avesse diritti di sorta da vantare nei confronti dell'assicuratore.
2.4. A fronte di questo autentico cibrèo giuridico, la Corte d'appello ha ritenuto che:
1) la banca mutuante e la società assicuratrice stipularono un contratto di assicurazione sulla vita dei (futuri) mutuatari;
2) tale contratto prevedeva che il creditore del diritto all'indennizzo, nel caso di morte del mutuatario, fosse il contraente (così la sentenza d'appello, p. 14);
3) E. T., mutuatario, ha "aderito" a tale contratto;
4) per effetto di tale adesione E. T. "è divenuto l'assicurato e titolare del diritto all'indennizzo" (ibidem, p. 15), diritto trasferitosi mortis causa alla sorella ed erede, F.T..
Per l'effetto, la Corte d'appello ha condannato l'assicuratore a versare l'indennizzo nelle mani della banca.
2.5. La decisione della Corte d'appello è corretta nell'approdo, sebbene la motivazione del provvedimento impugnato debba essere in parte corretta ai sensi dell'art. 384, quarto comma, c.p.c..
La società ricorrente, come accennato, ascrive alla Corte d'appello in sostanza due errori:
a) avere "qualificato il contratto come assicurazione per conto altrui ex art. 1891 c.c., invece che come assicurazione sulla vita d'un terzo, ex art. 1919 c.c.";
b) avere trascurato la chiara lettera dei patti contrattuali, la quale prevedeva che "il beneficio delle prestazioni spetta al contraente", e "contraente" era per espressa definizione contrattuale la banca mutuante.
Per effetto di tali errori - questo il "cuore" della censura - la Corte d'appello non s'è avveduta che solo la banca mutuante poteva avere la veste di creditrice dell'indennizzo, e che di conseguenza F.T. nulla poteva pretendere dalla A..
2.6. La prima delle suesposte censure è infondata per due ragioni: sia perché la banca mutuante non ha stipulato alcun contratto di assicurazione con la A., ma solo un contratto normativo; sia perché la ricorrente muove dal presupposto erroneo secondo cui l'assicurazione per conto altrui, prevista dall'art. 1891 c.c., sarebbe concepibile solo nell'ambito dell'assicurazione danni, e sarebbe invece inconcepibile nell'ambito dell'assicurazione sulla vita.
2.6.1. In primo luogo è erroneo l'assunto da cui muove la società ricorrente: e cioè l'affermazione secondo cui la banca mutuante avrebbe stipulato con la A. un'assicurazione sulla vita dei propri clienti a favore proprio.
Nel caso di specie infatti, in base alle circostanze di fatto accertate dal giudice di merito, un solo contratto di assicurazione si deve ritenere stipulato: quello tra il mutuatario e la A..
Il contratto stipulato tra la banca mutuante e la A., invece, non era un contratto di assicurazione, ancorché definito dalle parti "assicurazione collettiva".
Sotto il nome di "assicurazioni collettive", infatti, la prassi accomuna pratiche commerciali molto diverse tra loro.
Talora con tale espressione si designa una pura e semplice assicurazione per conto altrui, stipulata dal contraente - che sostiene l'onere del premio - a favore di soggetti che abbiano determinati requisiti, ovvero che potranno averli in futuro: è l'ipotesi, ad esempio, dell'assicurazione contro gli infortuni in incertam personam, stipulata da un datore di lavoro a favore dei propri dipendenti e di quanti lo diverranno in futuro; oppure dell'assicurazione contro gli infortuni stipulata da una associazione a favore dei propri iscritti e di quanti lo diverranno in futuro.
In altri casi l'espressione "assicurazione collettiva" viene impiegata come metonimia, per designare ipotesi in cui il contraente non versa alcun premio all'assicuratore, ma si limita a concordare con questi le condizioni generali che saranno applicate a quanti in futuro vorranno beneficiare della copertura assicurativa, manifestando il consenso ed accollandosi il premio.
In queste ipotesi l'accordo tra il contraente e l'assicuratore non è una "assicurazione", perché di tale contratto mancano due elementi essenziali: il rischio e il premio.
Manca il primo, perché l'assicuratore non si accolla alcun rischio; manca il secondo perché il contraente non versa e non si obbliga a versare alcunché. Accordi di questo genere vanno qualificati come "contratti normativi", mentre "assicurazione" sarà solo il contratto stipulato "a valle", dal singolo aderente.
Ricorrendo questa ipotesi, dovrà qualificarsi "contraente" della polizza non chi ha stipulato il contratto normativo presupposto, ma il c.d. "aderente", perché è questi che manifesta il consenso alla copertura assicurativa e sostiene l'onere del premio.
Nel caso di specie la "convenzione" stipulata tra la banca mutuante e la A. non prevedeva alcun pagamento di premi a carico della banca, né alcuna immediata susceptio periculi da parte dell'assicuratore.
Si trattava, dunque, non d'una assicurazione "collettiva", ma d'un contratto normativo destinato a regolare le condizioni alle quali i clienti della banca, manifestando il proprio consenso rendevano operante la copertura assicurativa.
Né il consenso del mutuatario potrebbe essere qualificato come consenso alla stipula sulla propria vita, ex art. 1919, secondo comma, c.c..
Infatti, come meglio si dirà più oltre, il contratto di assicurazione di cui si discorre aveva lo scopo di soddisfare due interessi convergenti: quello della banca alla restituzione del mutuo, e quello del mutuatario (e, per lui, dei suoi eredi) alla liberazione dal debito restitutorio. Il mutuatario, dunque, era uno dei beneficiari della polizza: e il consenso del portatore di rischio previsto dall'art. 1919, comma secondo, c.c., non è necessario quando egli sia anche il beneficiario (o uno dei beneficiari) del contratto, giacché in questo caso non è concepibile la necessità di prevenire il votum captandae mortis.
La A. e la banca mutuante non hanno dunque stipulato alcuna assicurazione "per conto" dei clienti della seconda; hanno stipulato un contratto normativo destinato a disciplinare le polizze che i clienti avrebbero stipulato - essi sì - per conto sia proprio, sia della banca, ai sensi dell'art. 1891c.c..
Nei termini che precedono va dunque corretta la motivazione della sentenza impugnata, che è comunque inappuntabile nell'approdo di ritenere gli eredi del mutuatario legittimati a pretendere che la A. pagasse l'indennizzo alla banca mutuante.
2.6.2. In secondo luogo è comunque erroneo l'altro assunto che la A. pone a fondamento della prima censura del primo motivo di ricorso, e cioè l'affermazione secondo cui l'assicurazione sulla vita non può essere stipulata "per conto altrui", ai sensi dell'art. 1891 c.c., e di conseguenza erroneamente la Corte d'appello ha qualificato il mutuatario come persona "per conto" della quale banca e assicurazione avevano stipulato il contratto.
Questa Corte infatti da tempo ha già stabilito che l'art. 1891 c.c. da un lato, e gli artt. 1919-1920 c.c. dall'altro, non sono tra loro incompatibili.
La prima di tali norme stabilisce le modalità e gli effetti della stipulazione per conto altrui; le altre due adattano tali principi all'assicurazione sulla vita, imponendo il consenso del portatore di rischio (cautela volta a prevenire il votum captandae mortis) e le modalità di designazione del beneficiario.
Le due disposizioni, dunque, non si escludono a vicenda, né le previsioni di cui agli artt. 1919-1920 c.c. rendono superflue quelle di cui all'art. 1891 c.c.: il terzo comma di tale norma, infatti, là dove stabilisce che all'assicurato sono opponibili da parte dell'assicuratore le eccezioni fondate sul contratto, è previsione già ritenuta da questa Corte applicabile anche all'assicurazione sulla vita (per l'affermazione di questo, e degli altri principi appena riassunti, si vedano già Sez. 3, Sentenza n. 3707 del 15/02/2018; Sez. 1, Sentenza n. 5755 del 08/11/1979; Sez. 1, Sentenza n. 1883 del 13/05/1977; Sez. 3, Sentenza n. 1205 del 04/04/1975; Sez. 3, Sentenza n. 1846 del 26/06/1973).
É dunque possibile stipulare un'assicurazione sulla vita di un terzo per conto altrui: è il caso, ad esempio, in cui taluno stipuli un'assicurazione sulla vita della figlia a beneficio del genero.
L'obiezione mossa da autorevole, ma isolata e remota dottrina a tale ricostruzione (secondo cui, poiché l'assicurazione sulla vita prescinde dal requisito dell'interesse, non sarebbe concepibile una stipula "per conto", e cioè nell'interesse altrui) trascura di considerare da un lato che l'art. 1891
c.c. è norma inserita nelle disposizioni sull'assicurazione in generale, e dunque applicabile anche all'assicurazione sulla vita; e dall'altro che l'interesse di cui all'art. 1904 c.c., presupposto di validità dell'assicurazione contro i danni, non è concetto necessariamente coincidente con la nozione di stipulazione "per conto", di cui all'art. 1891 c.c..
Al contrario, proprio la circostanza che il legislatore abbia usato, nell'art. 1891 c.c., l'espressione "assicurazione per conto altrui", invece che - ad esempio - l'espressione "assicurazione nell'interesse altrui", dimostra che la suddetta espressione va interpretata quale sinonimo di "stipulazione a vantaggio altrui", vantaggio che nell'assicurazione sulla vita prescinde dall'esistenza dell'interesse avverso all'avverarsi del rischio, richiesto dall'art. 1904 c.c..
La stipulazione "per conto" di cui all'art. 1891 c.c. è dunque concepibile sia nell'assicurazione danni, sia nell'assicurazione vita, con l'unica differenza che nel primo caso il terzo assicurato deve essere titolare di un interesse ex art. 1904 c.c., a pena di nullità del contratto; nel secondo caso è sufficiente che il terzo beneficiario acquisti, per effetto della stipula, una posizione di vantaggio, che può consistere anche soltanto nella liberazione da un debito, come per l'appunto avvenuto nel caso di specie.
2.6.3. In conclusione, anche un'assicurazione sulla vita di persona diversa dal contraente può essere stipulata "per conto", cioè a vantaggio di soggetti diversi tanto dal contraente, quanto dal portatore di rischio.
Questo è quanto avvenuto nel caso di specie, come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello.
Il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario (comunque lo si volesse qualificare: polizza stipulata dalla banca "per conto" del cliente; o polizza stipulata dal cliente nell'interesse della banca) era infatti preordinato a soddisfare non solo l'interesse della banca, ma due interessi convergenti: quello della banca a non perdere il proprio credito, e quello degli eredi del mutuatario a non accollarsi jure haereditario il debito del de cuius.
La sussistenza di questi due interessi convergenti è resa evidente da tre
circostanze:
a) il pagamento dell'indennizzo da parte dell'assicuratore nelle mani della banca mutuante - secondo quanto accertato dal giudice di merito - non poteva da questa essere impiegato quomodo libet o tesaurizzato, ma doveva essere destinato all'estinzione del debito residuo gravante sul mutuatario;
b) la banca di conseguenza non poteva cumulare l'indennizzo col credito residuo vantato verso il mutuatario;
c) l'assicuratore non aveva alcun diritto di surrogazione nei confronti degli eredi del mutuatario.
Né l'esistenza di interessi convergenti è incompatibile con l'assicurazione sulla vita. Infatti, se è vero che l'assicurazione sulla vita prescinde dal requisito dell'interesse dell'assicurato (art. 1904 c.c.) e non è soggetta al principio indennitario (con la conseguenza che - teoricamente - il creditore che stipuli una polizza sulla vita del proprio debitore può legittimamente pretendere l'indennizzo dall'assicuratore e l'adempimento dagli eredi del debitore), non è men vero che l'assicurazione sulla vita è strumento duttile, che proprio a causa della sua esenzione dal principio indennitario può essere indirettamente utilizzato per gli scopi più disparati: di previdenza, di risparmio, di liberalità o di garanzia, come per l'appunto avvenuto nel caso di specie.
Pare alla Corte, in definitiva, che delle due l'una:
-) se si qualifica la fattispecie come contratto di assicurazione stipulato dalla banca, tale contratto aveva lo scopo di recare vantaggio anche agli eredi di E.T., e di conseguenza costituiva un'assicurazione per conto di questi ultimi ex art. 1891 c.c., i quali erano perciò titolari del diritto di esigere dall'assicuratore che versasse l'indennizzo alla banca, ad estinzione del mutuo;
-) se si qualifica la fattispecie come contratto di assicurazione stipulato da E.T., anche in tal caso il contratto aveva lo scopo di recare vantaggio sia alla banca (che perciò ne era beneficiaria ex art. 1891 c.c.), sia al contraente e per lui ai suoi eredi: ed a fortiori in tal caso essi erano titolari del diritto di esigere dall'assicuratore che versasse l'indennizzo alla banca, ad estinzione del mutuo.
2.7. Parimenti infondata è la censura prospettata dalla A., secondo cui E. T. non poteva essere ritenuto beneficiario dell'indennizzo perché, fino a quando fosse stato in vita, nulla gli era dovuto; morendo, poi, nessun diritto avrebbe potuto più vantare.
Un simile argomentare, che sarebbe poco definire ardito, è stato già da tempo confutato da questa Corte, con motivazione ineccepibile cui il Collegio intende dare continuità, secondo cui "l'ovvio ma inconferente rilievo che il beneficiario, da morto, non avrebbe potuto fruire dell'indennizzo, non vuol dire che, da vivo, fosse semplice portatore del rischio: la titolarità del diritto a/l'indennizzo non viene certo a mancare, ma al contrario risulta confermata se, come fatale conseguenza della morte, il beneficio sarà acquistato da chi al beneficiario succede mortis causa" (Sez. 1, Sentenza n. 1883 del 13/05/1977).
2.8. Le censure sin qui esaminate vanno dunque rigettate in base ai seguenti princìpi di diritto:
"le disposizioni dettate dall'art. 1891 c.c. in tema di assicurazione per conto altrui non sono incompatibili con l'assicurazione sulla vita"; "l'assicurazione sulla vita per il caso di morte non impedisce di designare quale beneficiario lo stesso portatore di rischio: in tal caso l'indennizzo si devolverà mortis causa ai suoi eredi".
"Il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario il quale preveda che, in caso di morte di quest'ultimo, l'indennizzo sia dovuto alla banca mutuante, e nello stesso tempo che il versamento dell'indennizzo estingue il credito residuo della banca verso il mutuatario, senza diritto dell'assicurazione di surrogarsi alla banca, è un contratto il cui scopo è soddisfare due interessi convergenti: quello della banca al rimborso del mutuo, e quello del mutuatario (e dei suoi eredi) a non restare esposti all'azione esecutiva della banca. Ne consegue che gli eredi del mutuatario, in caso di inadempimento dell'assicuratore, sono legittimati a domandare la condanna dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo nelle mani della banca".
3. Col secondo motivo la società ricorrente prospetta il vizio di omessa pronuncia.
L'illustrazione della censura è così riassumibile:
-) in primo grado la A. aveva eccepito la decadenza del beneficiario dal diritto all'indennizzo, poiché al momento della adesione E.T. rese dichiarazioni false sulle proprie condizioni di salute;
-) tale questione era stata dichiarata assorbita dal Tribunale;
-) l'eccezione di decadenza venne riproposta in grado di appello, ma la Corte d'appello la dichiarò inammissibile sul presupposto che la vittima avrebbe dovuto proporre sul punto un appello incidentale;
-) tale valutazione della Corte d'appello fu erronea, perché la A. poteva limitarsi a riproporre l'eccezione di decadenza senza dover formulare un appello incidentale.
5.1. L'esame del motivo richiede due premesse.
5.2. La prima è che, nonostante l'intitolazione del motivo, la società ricorrente col motivo in esame non prospetta in realtà un vizio di omessa pronuncia, ma in sostanza lamenta una violazione dell'articolo 346 c.p.c.. Questo errore nell'inquadramento della censura, tuttavia, non la rende inammissibile.
Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel e.ci. "vizio di sussunzione" (e cioè erri nell'inquadrare l'errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall'art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l'errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
Nel caso di specie l'illustrazione contenuta nelle pp. 15-16 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d'appello, dell'art. 346 c.p.c., e dunque il motivo è ammissibile.
5.3. La seconda premessa è resa necessaria dal disordine concettuale che caratterizza le difese svolte dalla società A. tanto nei gradi di merito, quanto nel presente giudizio di legittimità.
Sarà bene dunque ricordare che, dinanzi a reticenze dell'assicurato, l'assicuratore ha tre facoltà:
-) se la reticenza è scoperta prima del sinistro, l'assicuratore ha facoltà di chiedere l'annullamento del contratto entro tre mesi dalla scoperta;
-) se la reticenza è scoperta dopo il sinistro, l'assicuratore ha facoltà di rifiutare il pagamento dell'indennizzo, ferma restando la validità del contratto;
-) se, infine, le reticenze furono compiute senza dolo o colpa grave, l'assicuratore non può chiedere l'annullamento del contratto, ma solo recedere da esso entro tre mesi dalla scoperta della verità; se poi la reticenza sia scoperta dopo il sinistro, l'assicuratore ha diritto di ridurre l'indennizzo in misura proporzionale alla differenza fra il premio incassato ed il premio che avrebbe dovuto incassare.
Ciascuna di queste tre facoltà deve ovviamente formare oggetto di una eccezione, in quanto ciascuna di esse poggia su un differente fatto costitutivo. Chi chiede l'annullamento del contratto non potrebbe poi - a preclusioni maturate - di eccepire la non spettanza dell'indennizzo; né chi ha rifiutato l'indennizzo invocando la colpa grave dell'assicurato potrebbe poi domandare la riduzione dell'indennizzo, sul presupposto che la reticenza dell'assicurato fu commessa senza colpa grave.
5.4. Nel caso di specie, in primo grado la A., sia pure con sintassi inappropriata (invocò, infatti, il "concorso di colpa de/l'assicurato"), nella sostanza dedusse che E. T. al momento della stipula del contratto non fu sincero allorché dichiarò per iscritto di godere di buona salute.
Poi, con la prima memoria prevista dall'articolo 183 c.p.c., chiese "l'annullamento della polizza ex articolo 1892 c.c.".
Il Tribunale di Padova dichiarò inammissibile, perché nuova, la domanda di annullamento, ed assorbita l'eccezione di decadenza dell'assicurato dal diritto all'indennizzo per avere reso dichiarazioni reticenti, ex articolo 1892 c.c. (così la sentenza di primo grado, pagina 12, paragrafo 7).
In grado di appello la A. depositò una comparsa di costituzione e risposta nella quale, dopo una lunga esposizione delle ragioni teoriche per le quali l'assicuratore ha necessità di conoscere lo stato del rischio prima della stipula della polizza, concluse chiedendo:
a) "l'annullamento della polizza ex art. 1892 c.c.";
b) in subordine, la riduzione dell'indennizzo in misura pari alla proporzione tra il premio pagato, e quello che sarebbe stato dovuto se l'assicuratore avesse conosciuto il reale stato delle cose.
5.5. Di fronte a questa vicenda processuale, è agevole rilevare che:
a) la domanda di annullamento del contratto fu dichiarata inammissibile per tardività dal Tribunale: rispetto a tale domanda, dunque, la A. fu soccombente, ed avrebbe dovuto impugnare la relativa statuizione con appello incidentale eventualmente condizionato, come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello (così, ex multis, Sez. U - , Sentenza n. 7940 del 21/03/2019);
b) le eccezioni di decadenza dell'assicurato ex artt. 1892 o 1893 c.c., invece, non furono affatto esaminate dal Tribunale, perché ritenute assorbite, sicché correttamente la A. allega che esse potevano essere riproposte in grado di appello ai sensi dell'art. 346 c.p.c..
Trascura, tuttavia, la difesa della A. di considerare che la Corte d'appello ha rigettato il motivo di gravame con cui quelle eccezioni vennero reiterate definendolo generico, in quanto si limitava "ad enunciare i principi generali che governano la materia, senza specificare alcunché riguardo al caso in esame" (ed a conforto della valutazione espressa dalla Corte d'appello va soggiunto che, in effetti, l'atto d'appello risulta in parte qua pressoché integralmente ricopiato alla lettera da un articolo di dottrina apparso su una nota rivista di diritto assicurativo, e quindi del tutto avulso dalle specificità del caso concreto).
La Corte d'appello, in definitiva, ha respinto il gravame (sul punto della sussistenza d'una reticenza dell'assicurato) sulla base di due rationes decidendi: non solo per la mancata proposizione di un appello incidentale, ma anche a causa della sua genericità.
Questa seconda ratio decidendi, quale che ne fosse la fondatezza, non è
stata impugnata per cassazione, con la conseguenza che il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di decisività, dal momento che anche se
fosse accolto la seconda motivazione sottesa dalla sentenza d'appello, e non impugnata, sarebbe di per sé sufficiente a giustificare la pronuncia di inammissibilità dell'appello.
6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di cassazione: (-) rigetta il ricorso;
(-) condanna A. s.p.a. alla rifusione in favore di F.T. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna A. s.p.a. alla rifusione in favore di U. s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.