La volontà contraria dell'interessato, persona lucida, all'attivazione dell'amministrazione di sostegno deve essere tenuta in considerazione dal giudice, il quale è chiamato ad assumere una decisione equilibrata privilegiando il rispetto dell'autodeterminazione del soggetto.
Il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Parma disponeva l'amministratore di sostegno in favore dell'odierna ricorrente su ricorso della sorella, nonostante non fosse stata esperita alcuna CTU per via di un esplicito rifiuto dell'interessata. Quest'ultima proponeva reclamo presso la Corte d'Appello, in quanto il decreto era stato assunto solo sulla base di ipotesi e diagnosi...
Svolgimento del processo
Il Giudice Tutelare del Tribunale di Parma ha disposto l'amministrazione di sostegno in favore della sig.ra A.C.N. nel 2019, su ricorso della sorella N.A.. Nonostante la beneficiata si era rifiutata di sottoporsi a CTU, il Tribunale aveva acquisito prove su:
a) una palese inadeguatezza della beneficiaria ad occuparsi dei propri interessi, e di riflesso anche di quelli della sorella ricorrente, chiamata a rispondere di qualsiasi vicenda di natura fiscale o tributaria, afferente al patrimonio ereditato tutt'ora indiviso, della gestione ordinaria e straordinaria dei beni ereditati;
b) l'inerzia e la trascuratezza con cui la sig.ra N. aveva gestito l'immobile ereditato, non provvedendo alla manutenzione ordinaria e a quella straordinaria necessaria, non pagando le utenze ancora intestate al de cuius N.N.;
c) era emerso il quadro di una persona che, seppur non affetta da una patologia nosograficamente accertata, manifesta comportamenti che fanno esistere il "fondato sospetto" di una «alterazione dello stato psichico formulato sia pur in via presuntiva ma basato, in scienza e coscienza, su evidenti segni clinici di disturbo NDD, che risulta invalidante al momento attuale, in grado di provocare un progressivo danno biologico di natura psichica nel tempo irreversibile e fonte di crescenti problemi sociali economici e penali». La diagnosi era stata avvalorata dalla relazione della dott.ssa S.A. del Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell'AUSL di Parma che aveva concluso affermando che la beneficiaria era in grado di autodeterminarsi relativamente agli atti della vita quotidiana, anche afferenti alla sfera professionale di docente ed artista, ma si presentava manifestamente inadeguata sotto il profilo gestionale del patrimonio.
La sig.ra A.C.N. ha proposto reclamo per il provvedimento presso la Corte d'Appello di Bologna. A suo dire, il G.T. del Tribunale di Parma, oltre ad aver disatteso principi di procedura civile, avrebbe assunto il decreto basandosi soltanto ed esclusivamente su ipotesi e presunte diagnosi formulate senza che i professionisti abbiano mai visitato la ricorrente. Il G. T. avrebbe violato il contraddittorio, posto che a pag. 2 del decreto si fa riferimento ad una istanza, depositata dalla ricorrente in data 09.11.2018, volta a richiedere una procedura di Accertamento Sanitario Obbligatorio, e ad una relazione della dott.ssa A. dell'ASL di Parma, sulla quale alla resistente è stato precluso di esercitare il diritto di difesa, non avendo essa potuto prendere visione del documento.
Il G.T. avrebbe raccolto i dati necessari per procedere alla verifica dell'esistenza dei presupposti per l'apertura e nomina di A.S. dalle affermazioni della sorella della ricorrente e dalle risultanze di una consulenza, trascurando gli elementi probatori da cui desumere la piena capacità di A.C.N.. Nell’appello si costituiva A.N. contestando i motivi di appello ed evidenziando ulteriori fatti di presunto irragionevole comportamento nella gestione dei beni ereditari ancora indivisi.
La Corte di Appello confermava la misura adottata dal Giudice tutelare sulla base della relazione del CTU che, pur non avendo potuto visitare la ricorrente per il suo rifiuto, aveva concluso la sua consulenza evidenziando la presenza di alcune circostanze che potrebbero suggerire un disturbo evitante della personalità. Accertamento confermato anche dall’analisi della documentazione da parte del dott. G., specialista in psichiatria, con il confronto con la dott. A. Dirigente medico psichiatra presso il Dipartimento Assistenza integrata-Salute Mentale. Elementi istruttori che non erano stati efficacemente contestati.
Motivi della decisione
La ricorrente deduce:
1. Violazione dell’art. 404 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La ricorrente evidenzia che la Corte non avrebbe tenuto conto del carattere eccezionale della disposizione dell’art. 404 c.c. e della finalità della previsione normativa tesa a proteggere la persona in uno stato di difficoltà fisica o psichica. Tale situazione, potrebbe essere risolta anche verificando la possibilità di reperire nella cerchia familiare il supporto eventualmente necessario. Ha evidenziato anche che la misura disposta non può risolvere una controversia tra eredi o, comunque, di natura endofamiliare. La Corte avrebbe preso in esame esclusivamente la documentazione medica esibita dalla sorella senza dare adeguata motivazione sulla scelta di non considerare la documentazione medica della ricorrente. La stessa CTU ed anche la CTP e la dott. A. avrebbero espresso soltanto un’ipotesi di possibile presenza di un disturbo ricavata da esami indiretti. Le circostanze sarebbero state tutte efficacemente contestate dalla ricorrente, diversamente da quanto sostenuto nel dispositivo oggi impugnato.
La ricorrente evidenzia l’inidoneità dello strumento prescelto rispetto ai fini effettivamente perseguiti che sarebbero la tutela del patrimonio ereditario non diviso, la necessità di recuperare il possesso di un bene in comproprietà etc. etc.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Indubbiamente l’amministrazione di sostegno è stato definito un rovesciamento di prospettiva. Non è più la tipizzazione della patologia del soggetto che porta alla declaratoria della sua incapacità, ma l’attenzione si sposta sull’esigenza di protezione della “persona”, che sia totalmente o parzialmente incapace di attendere agli impegni personali e patrimoniali. La tutela si deve realizzare con la minore limitazione possibile della capacità di agire delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, e mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente. E’ sicuramente vero che l’Amministrazione di sostegno non può essere un rimedio alternativo per la risoluzione di conflitti endofamiliari di natura patrimoniale, che possono essere risolti agendo secondo le specifiche azioni di tutela della proprietà. L'amministrazione di sostegno, introdotta dall’art.3 l. n. 6/2004, ha innovato il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, e persegue la finalità di offrire, a chi si trovi nell’ impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass n.12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che – a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione - sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.
Invero, come è stato già affermato da questa Corte, la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell'amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all'apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell'interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l'interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006, n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020).
D’altro canto con legge 3 marzo 2009, n. 18, entrata in vigore il successivo 15 marzo 2009, l'Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità (adottata il 13 dicembre 2006) e questa Corte ha confermato la valutazione di compatibilità tra la disciplina normativa dell'amministrazione di sostegno e la Convenzione anzidetta (Cass. n. 18320/2012). L’art. 1, della Convenzione ha l’obiettivo di promuovere, proteggere ed assicurare alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel rispetto della dignità umana e riguarda non soltanto le persone cd. inferme di mente, ma tutte quelle che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine "che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri". Si tratta di una disciplina che supera la logica della protezione tipicamente patrimoniale della persona, a favore di un modello sociale fondato sui diritti umani, che si pone in linea di evidente novità rispetto agli odierni ordinamenti giuridici. Il focus di questa disciplina diviene la disabilità, come condizione complessiva della persona, che non può limitare né deve incidere sulla sua capacità di agire e che, all’art.12, prescrive a tutti gli Stati l'obbligo di riconoscere che le persone con disabilità godono della piena capacità in tutti gli aspetti della vita attraverso misure idonee per assicurare e garantire che questi soggetti godano della piena capacità legale (Cass., n.3462/2022).
In questa prospettiva, il contenuto della Convenzione assurge a canone ermeneutico cui deve confrontarsi il Giudice di merito nell’assumere la sua decisione sulla richiesta procedura quando è chiamato a valutare sia il tipo ed il grado di disabilità dell’amministrando sia la sua audizione «compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa» (art.407, comma 3, c.c.), al fine di individuare un provvedimento congruo e commisurato alle concrete esigenze dell’amministrando. Va, tuttavia, rimarcato che la volontà contraria all'attivazione della misura dell'amministrazione di sostegno, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in debito conto da parte del giudice, che deve garantire l'equilibrio della decisione, tenendo conto della necessità di privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione della persona interessata (Cass., n. 29981/2020).
Le caratteristiche proprie dell’amministrazione di sostegno impongono, quindi, in linea con le indicazioni rivenienti dall’art.12 della Convenzione delle Nazioni Unite, che l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica, circostanziata e focalizzata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario , sia rispetto alla incidenza della stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando la possibilità, in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi come, ad esempio avvalendosi, in tutto o in parte, di un sistema di deleghe o di una rete familiare.
1.3. Prima dell’adozione del provvedimento nei confronti della sig.ra N., che è stata già riconosciuta capace di svolgere autonomamente attività lavorativa e di curare gli aspetti di vita ordinaria va, quindi, indagato se l’ eventuale esigenza di protezione della persona, seppur in stato di fragilità, può essere assicurata da una rete familiare, ed in particolare dalla potenzialità di una funzione vicariante del marito che ha specifica capacità professionale, all'uopo organizzata e funzionale che la possa costantemente supportare negli aspetti più complessi della gestione del suo patrimonio, anche attraverso un sistema di specifiche deleghe, di volta in volta opportune, senza ricorrere all’amministrazione di sostegno.
La decisione impugnata non risulta essere adottata nel solco dei principi anzidetti, perché alcuna indagine è stata svolta sulla potenzialità di una funzione vicariante del marito o della predisposizione di un sistema di deleghe che possa supportare la ricorrente negli aspetti più complessi della gestione non ordinaria del suo patrimonio e va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, perché valuti il merito in considerazione dei criteri espressi.
2. Con il secondo motivo chiede la riforma delle spese processuali del giudizio di appello. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo mezzo d’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, perché liquidi anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.lgs. 196/2003.