L'intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti può influire sulla capacità di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili come vera e propria malattia.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 29 maggio 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva dichiarato M. M. colpevole dei reati di maltrattamenti (dal 2009 all'11 maggio 2019) e di lesioni aggravate nei confronti della moglie C. C., uniti dal vincolo della continuazione, e lo aveva condannato, con le attenuanti generiche e la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione.
Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Roma confermava il giudizio di colpevolezza dell'imputato e la pena irrogata. La Corte ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice circa la consistenza in fatto dei reati contestati e riteneva non fondati i rilievi difensivi in ordine all'assorbimento del reato di lesioni in quello di maltrattamenti; parimenti respingeva le censure relative al richiesto riconoscimento dell'attenuante del fatto commesso in stato di cronica intossicazione da alcol e della natura colposa delle lesioni.
La narrazione delle vicende da parte di C. C. - che aveva descritto plurimi e frequenti episodi di violenza fisica e verbale, percosse, insulti e minacce, subiti da M. e omogeneamente distribuiti fin dall'anno 2009, fino all'ultimo episodio occorso in data 11 magqio 2019 - veniva ritenuta dai giudici del merito lineare, intrinsecamente attendibile ed efficacemente riscontrata dalle certificazioni mediche, dalle convergenti dichiarazioni rese da S. M., figlia della coppia, e da quanto direttamente osservato dalla polizia giudiziaria nel corso dei diversi interventi svolti presso l'abitazione del nucleo familiare. Per contro, la Corte territoriale considerava prive di rilievo le deduzioni difensive relative all'assorbimento dei delitti di lesioni (capi b, c e d), escludendone la natura colposa. La Corte rilevava la inconfigurabilità dello stato di cronica intossicazione da alcol, in grado di incidere sulla imputabilità, non essendo emersa alcuna alterazione patologica permanente indotta dal consumo di alcol.
2. Il difensore di M. ha presentato ricorso per cassazione avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l'annullamento, denunziandone:
2.1. La violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati di maltrattamenti e lesioni. Quanto al delitto di cui all'art. 572 cod. pen., il ricorrente si duole della mancanza del requisito dell'abitualità delle condotte; del dolo, non essendovene prova; della erronea valutazione di attendibilità della persona offesa, neppure costituitasi parte civile. Con riguardo al reato di lesioni censura il mancato assorbimento in quello di maltrattamenti, dovendosi altresì escludere l'aggravante del nesso teleologico; sotto diverso profilo rappresenta che la Corte ha erroneamente considerato come volontarie condotte non sorrette dal dolo, bensì connotate da colpa, né sorrette da adeguato compendio probatorio;
2.2. Il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento dello stato di "cronica intossicazione" da alcol e alla conseguente negata diminuzione di pena; l'intero trattamento sanzionatorio è peraltro improntato a criteri di eccessiva severità, stante il comportamento processuale positivo fin dal giorno dell'arresto.
Si censura inoltre la denegata concessione dei benefici di legge, su cui le sentenze di merito non offrono motivazione alcuna.
In data 13 maggio 2022 il difensore ha depositato "memoria di discussione scritta" con cui ribadisce i rilievi svolti.
3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell'art. 23, commi 8 e 9, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, senza l'intervento delle parti.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso riguardante l'affermazione di responsabilità dell'imputato, pur diffuso e articolato in vari profili, talvolta intrecciati fra loro, è inammissibile.
Le doglianze relative all'insussistenza del reato di maltrattamenti sono inammissibili ai sensi dell'art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., in quanto proposte per la prima volta in sede di legittimità. L'imputato non aveva contestato in appello la mancanza di abitualità delle condotte maltrattanti, né la sussistenza dell'elemento soggettivo; del resto nella sentenza di primo grado si rappresenta che in relazione al reato di cui all'art. 572 cod. pen. la stessa Difesa dell'imputato aveva concluso "per l'affermazione della responsabilità penale, con pena contenuta nel minimo edittale".
2. Quanto alle censure relative alla sussistenza del reato di lesioni e al loro assorbimento nel delitto di maltrattamenti, le critiche dedotte dal ricorrente si palesano invero prive di specificità in quanto meramente riproduttive di rilievi già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti e non illogici a1·gomenti dai giudici dell'appello.
La valenza del contributo narrativo offerto dalla persona offesa è stata attentamente esaminata dal Tribunale e fatta propria dalla Corte territoriale, pervenendo a un giudizio -congruamente argomentato e perciò insindacabile- di piena attendibilità, indicando i convergenti riscontri di tipo dichiarativo e documentale (certificazioni mediche), evidenziando l'assenza di animosità e intenti ritorsivi e sottolineando la mancanza di serie fratture logiche nella concatenazione della ricostruzione fattuale.
In punto di diritto si osserva che i diudici del merito hanno fatto buon governo dei principi espressi da questa Corte laddove si è stabilito che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce anche gravi, ma non quelli di lesioni, danneggiamento ed estorsione, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati (Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012, dep. 2013, Di Blasi, Rv. 255780).
Sotto il diverso profilo di rilevanza della censura, si osserva che l'aggravante del nesso teleologico contestata per il reato di lesioni è stata comunque considerata dai giudici di merito subvalente rispetto alle attenuanti generiche.
3. Risulta manifestamente infondato anche il motivo di ricorso riguardante il trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento al mancato riconoscimento della "cronica intossicazione" da alcol e alla conseguente denegata diminuzione di pena.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti può influire sulla capacità di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilità di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 cod. pen. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico (Sez. 6, n. 47078 del 24/10/2013, R., Rv. 257333; Sez. 6, n. 25252 del 03/05/2018, B., Rv. 273389).
La sentenza impugnata ha correttamente applicato tali principi. Invero, sebbene l'accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da alcol o da sostanze stupefacenti spetti al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell'imputato, grava, tuttavia, su quest'ultimo l'onere di allegazione della documentazione attestante la sua tossicodipendenza cronica (Sez. 5, n. 12896 del 30/01/2020, Mauro, Rv. 279039). Nel caso di specie la difesa ha rappresentato la condizione generica di assuntore di sostanze alcoliche dell'imputato, insufficiente a escludere o a scemare la imputabilità, richiedendosi che l'intossicazione sia non solo cronica ma anche che abbia prodotto un'alterazione psichica permanente, ossia una psicopatologia stabilizzata non strettamente correlata all'assunzione di sostanze psicotrope, non costituendo il mero stato di tossicodipendenza o, di per sé, indizio di malattia mentale o di alterazione psichica (Sez. 6, n. 1775 del 16/12/2002, dep. 2003, Borrelli, Rv. 223349).
Con riguardo alle residue doglianze relative alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione dei benefici di legge, si osserva che esse si risolvono in una meré1 e del tutto generica enunciazione, senza alcun aggancio alla esaustiva motivazione della sentenza di primo grado secondo cui, nonostante la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, il lungo periodo di tempo (circa un decennio) nel quale le condotte maltrattanti sono state realizzate non consentivano di formulare un giudizio prognostico positivo tale da comportare la concessione dei richiesti benefici.
Il mancato confronto con le argomentazioni poste a base della decisione giustifica la mancata risposta della Corte ter1·itoriale su detti punti.
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, oltre al pagamento delle spese del procedimento, a versare a favore della Cassa delle ammende una somma che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente cii pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.