Con l'ordinanza in commento, la Corte ricorda a quali condizioni l'indebito pensionistico può definirsi ripetibile ed entro quale termine l'INPS può procedere al suo recupero.
L'INPS presentava domanda volta ad ottenere la restituzione di una somma ritenuta indebitamente erogata a titolo di pensione di reversibilità per affermato superamento dei limiti di reddito. I Giudici di merito rigettava tale istanza sul rilievo che sarebbe spettato al medesimo fornire la prova di tali circostanze,...
Svolgimento del processo
Con sentenza n. (omissis); la Corte d'appello di Palermo ha rigettato l'impugnazione proposta dall'INPS nei confronti di V.S., avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda della medesima S., tesa al riconoscimento della illegittimità della pretesa dell'INPS di ottenere la restituzione della somma di euro 10.873,83, ritenuta indebitamente erogata a titolo di pensione di reversibilità per affermato superamento dei limiti di reddito nel periodo compreso tra il 1999 ed il 2003;
ad avviso della Corte territoriale, per quanto ora di interesse, andava ravvisato l'interesse ad agire in accertamento negativo da parte della pensionata, in presenza di oggettiva incertezza in ordine al rapporto giuridico in contestazione, ed anche se l'Istituto si era limitato a comunicare l'esistenza di un indebito; inoltre, pur nella consapevolezza dell'esistenza del principio giurisprudenziale secondo cui va posto a carico della pensionata in accertamento negativo l'onere di provare l'insussistenza dell'obbligo di restituzione dell'indebito, non poteva non tenersi conto della posizione sostanziale e del vantaggio che la parte ha interesse a trarre dalia dimostrazione dei fatti allegati; ciò, nella fattispecie in esame, si traduceva nella constatazione che l'INPS aveva dedotto una specifica ragione d'indebito, consistente nel superamento da parte della pensionata della soglia di reddito prevista quale conseguenza del maggior reddito da fabbricato accertato, e quindi sarebbe spettato all'Istituto fornire prova di tali circostanze; ciò non era avvenuto, con la conseguenza del venir meno della presunzione di dolo in capo alla pensionata e con esso dell'obbligo di restituire gli importi della pensione; avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'INPS con due motivi; resiste, con controricorso, V.S.;
Motivi della decisione
con il primo motivo di ricorso, l'INPS denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 3) c.p.c., la violazione dell'art. 2697 c.c. ed in particolare, evidenzia che la sentenza impugnata ha consapevolmente disatteso la consolidata giurisprudenza di legittimità espressa dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18046 del 2010, senza considerare che la parte non aveva soddisfatto l’onere di provare il proprio diritto neanche a fronte del fatto che !'Istituto aveva precisato e documentato nel corso del giudizio (memoria INPS di primo grado, pag. 3; doc. 6, atto d'appello INPS, pag. 5) quale fosse la causa dell'indebito, peraltro rilevata dalla dichiarazione dei redditi da fabbricato resa all'Agenzia delle Entrate, ma non all'INPS, dalla pensionata;
con il secondo motivo, l'Istituto deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 13 l. n. 412 del 1991 e dell’art. 52 l. n. 88/1989, in ragione del fatto che la pensionata non aveva correttamente dichiarato all'INPS i propri redditi e che la stessa sentenza aveva dato atto che la ricorrente in primo grado si era limitata a dedurre la <decadenza dell'Istituto a richiedere le somme in virtù del superamento del termine di cui all'art. 13, comma 2, I. n. 412 del 1990>; tali considerazioni dovevano, tuttavia, considerarsi errate alla luce della giurisprudenza di legittimità relativa all'interpretazione del citato art. 13, secondo la quale l'attivazione entro l'anno da parte dell'INPS postula che la parte abbia correttamente dichiarato i propri redditi all'Ente;
i motivi, da trattare congiuntamente in ragione della loro intima connessione, sono fondati e vanno accolti;
questa Corte di cassazione ha precisato che il tema della ripetizione dell'indebito pensionistico e dei profili inerenti all'elemento soggettivo e alla regolazione dell'onere probatorio sono già stati affrontati e risolti con decisioni condivise alle quali va data continuità (v., fra le altre, Cass. n. 18615 del 2021; Cass. nn. 28771 del 2018 e 31832 del 2019);
in particolare, la L. n. 88 del 1989, art. 52, comma 2, stabilisce che le somme erogate indebitamente a titolo previdenziale non sono ripetibili, se non in presenza di dolo dell'interessato e la L n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, formulato come norma di interpretazione autentica, ma in realtà innovativa (Corte Cost. n. 3 del 1993), integra tale regola, stabilendo che la ripetibilità di cui all'art. 52, comma 2, riguarda le somme indebitamente corrisposte per "errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore" e che la ripetibilità sussiste non solo in caso dì comprovato dolo nella percezione, ma anche se l'errore sia dovuto ad "omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato" di fatti che egli fosse tenuto a comunicare, salvo risulti che l'ente fosse già a conoscenza di essi;
l'indebito pensionistico I.N.P.S., per essere ripetibile, deve pertanto derivare da errore non imputabile all'ente, oppure occorre che il percettore sia in dolo o abbia omesso la trasmissione di comunicazioni dovute rispetto a dati non noti all'I.N.P.S.;
la citata L. n. 412, art. 13, comma 2, dispone che l'I.N.P.S. "procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sui diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza";
si è affermato, al riguardo, che l'obbligo dell'I.N.P.S. di procedere annualmente alla verifica dei redditi dei pensionati, prevista dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, quale condizione per la ripetizione, entro l'anno successivo, dell'eventuale indebito previdenziale, sorge unicamente in presenza di dati reddituali certi, sicchè il termine annuale di recupero non decorre sino a che il titolare non abbia comunicato un dato reddituale completo (v. Cass. nn. 3802 e 15039 del 2019; Cass. n. 953 del 2012, ma v. anche Cass. n. 1228 dei 2011 e Cass. n. 18551 del 2017);
da ciò il corollario che la questione attinente alle modifiche reddituali di cui l'ente previdenziale venga autonomamente a conoscenza, in ragione della propria attività istituzionale o che siano ad esso regolarmente rese note da!!'interessato, non appartiene in sé all'ambito degli errori I.N.P.S. e quindi alla sfera della non ripetibilità, soggiacendo invece alla regola di ripetibilità, ma in un termine decadenziale stabilito appunto dal citato art. 13, comma 2;
ratio della disciplina è che tra la percezione di una prestazione connessa al reddito e la verifica in merito al mantenersi dei redditi al di sotto della soglia che condiziona l'an o il quantum della prestazione stessa si manifesta una "fisiologica sfasatura temporale" (Corte Cost. n. 166 del 1996), data dai tempi tecnici affinché i dati disponibili all'Istituto siano "immessi nei circuiti delle verifiche contabili" (così ancora Corte Cost. cit.);
su tali tempi tecnici si esercita la discrezionalità legislativa finalizzata a contemperare le esigenze di certezza del beneficiario, con le difficoltà insite nella complessità organizzative del sistema pensionistico;
tanto premesso e passando al tema specifico posto dal ricorso all'esame, è evidente che la lettura delle disposizioni di legge applicabili fatta propria dalla Corte territoriale non può essere condivisa;
come già affermato da questa Corte (v. Cass. n. 3802 del 2019), la norma non ha riguardo (solo) al momento della conoscibilità dei redditi maturati dal percettore di una data prestazione, ma ad un'attività di verifica, ovverosia di controllo organizzato sul rapporto tra prestazioni ed entrate, con riferimento alla moltitudine di persone che godono di diritti pensionistici dipendenti dai rispettivi redditi;
il dato letterale fa poi riferimento ad una verifica da effettuare annualmente, ovverosia per ciascun anno civile (come tale intendendosi il periodo dal 1 gennaio al 11 dicembre), e ad 1m r1nno successivo entro cui deve procedersi al recupero;
il significato dell'avverbio annualmente è plurimo e fondante dell'intera disciplina: non contiene un termine decadenziale, ma solo la fissazione del referente temporale (a quo) del successivo termine (entro l'anno successivo) il cui superamento è idoneo a estinguere il diritto;
pertanto, per un verso, la decadenza di cui all'art. 13, comma 2, riguarda il mancato rispetto del termine finale per l'attività di recupero e non il termine stabilito per le attività di verifica annuali, rispetto al quale la previsione ha la portata di una mera norma di azione della P.A., finalizzata a scandirne l'incedere accertativo;
per altro verso, sulla scia della giurisprudenza di legittimità secondo cui la verifica può aversi solo allorquando l'ente sia in possesso di dati reddituali certi (v., fra le tante, Cass. n. 953 del 2012), il senso della previsione è quello per cui il termine, nel suo complesso, ha decorrenza dall'anno in cui l'ente ha avuto conoscenza (o conoscibilità) dei dati da cui emerge il superamento dei limiti reddituali e quindi li ha anche potuti verificare;
d'altra parte, proseguendo nell'esegesi della norma, essa non afferma che il recupero debba intervenire entro un anno dalla verifica, ma entro l'anno successivo, ove l'aggiunta dell'aggettivo "successivo" risulterebbe pleonastica se il senso fosse quello di fare riferimento al termine di un anno calcolato dal momento di conoscibilità dei redditi;
pertanto, l'art. 13, comma 2, si interpreta nel senso che, nell'anno civile in cui si è avuta conoscibilità dei redditi, deve procedersi alla verifica e che entro l’anno civile successivo a quello destinato alla verifica deve procedersi, a pena di decadenza, al recupero;
nella specie, la condotta omissiva in riferimento alle comunicazioni reddituali dal 1999 al 2003, necessarie per definire annualmente la misura della pensione di reversibilità spettante a! coniuge superstite, ha reso non operativa la decorrenza del termine annuale di recupero;
va poi ricordato, in continuità con la consolidata giurisprudenza di legittimità in temo di indebito previdenziale, che il pensionato che chieda l'accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta ovvero l'esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli (v., fra le tante, Cass. n. 1228 del 2011; Cass. n. 2739 del 2016; Cass. n. 31832 del 2019);
risulta ormai consolidato il principio generale di settore secondo cui è equiparata al dolo l'inosservanza di obblighi di comunicazione, prescritti da specifiche norme di legge, di fatti e circostanze incidenti sul diritto o sulla misura della pensione che non siano conosciuti dall'ente competente (Cass. n. 1919 del 2018 ed altre conformi);
questa Corte ha anche aggiunto che tale equiparazione non si palesa prima facie suscettibile di censure d'incostituzionalità per irragionevole disparità di trattamento di situazioni ontologicamente differenti, atteso che il dolo ben può atteggiarsi quale dolo omissivo, cioè come volontà illuminata dalla consapevolezza del significato socialmente rilevante del mantenimento della situazione esistente (Cass. n. 1919 del 2018 cit. alla cui motivazione si rinvia);
si è anche precisato che nell'indebito previdenziale il dolo non opera nel momento di formazione della volontà negoziale, bensì nella fase esecutiva, riguardando un fatto causativo della cessazione dell'obbligazione di durata che non è noto all'ente debitore, dal quale ultimo, in ragione del numero rilevantissimo di rapporti di cui è titolare passivo, non si può ragionevolmente pretendere che si attivi per prendere conoscenza della situazione, personale e patrimoniale, dei creditori senza la collaborazione attiva dì ciascuno di essi (così Cass. nn. 21019 del 2007, 12097 del 2013 e 27096 del 2018);
sotto altro ma concorrente profilo, si è precisato che il dolo del pensionato, pur non potendo aprioristicamente considerarsi presunto sulla base del semplice silenzio, deve tuttavia ritenersi sussistente allorchè questi abbia disatteso l'obbligo legale di comunicare all'INPS determinate circostanze rilevanti ai fini della sussistenza e della misura del diritto a pensione (cfr., fra le tante, Cass. nn. 4849 del 1986, 11498 del 1996, cui ha dato seguito Cass. n. 1919 del 2018);
nella specie l'indebito si è verificato sulla pensione di reversibilità per la quale ia coniuge superstite, fin dal momento della domanda per ii trattamento pensionistico, avrebbe dovuto indicare la propria posizione reddituale dichiarando l'eventuale titolarità di redditi ulteriori; in presenza della dichiarazione iniziale di non possedere altri redditi e in assenza di successive comunicazioni annuali, il trattamento ai superstiti è stato erogato tenuto conto della posizione inziale, di non titolarità di altri redditi, al pari dei beneficiari del trattamento ai superstiti sprovvisti di altri redditi;
dunque, tali condotte si sarebbero dovute valutare in relazione alla necessità di appurare non solo l'esistenza del dolo originario dell'accipiens ed anche di quello omissivo, per l'omessa comunicazione annuale dei dati reddituali e l'omessa presentazione del modello REO, in riferimento al periodo in contestazione;
a fronte di tale quadro normativo, il giudice di merito, deve esaminare la condotta tenuta dalla parte nell'omettere la comunicazione dei redditi complessivamente percepiti e rilevanti agli effetti della determinazione della misura del trattamento ai superstiti, trattandosi di condotta rilevante per la ripetibilità delle somme corrispondenti alia maggior misura percentuale in tesi indebitamente percepita della pensione di reversibilità;
in definitiva, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d'appello di Palermo, in diversa composizione, affinché la fattispecie venga esaminata a!!a luce dei principi sopra esposti; al giudice del rinvio spetterà anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.