Se i reati commessi con un'unica azione od omissione o in esecuzione di un unico disegno criminoso sono stati contestati in due distinti procedimenti, è irragionevole che l'imputato non possa chiedere la messa alla prova nel secondo poiché gli era già stata concessa nel primo.
Corte costituzionale, sentenza (ud. 23 giugno 2022) 12 luglio 2022, n. 174
Svolgimento del processo
1.– Con ordinanza del 16 giugno 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta, non prevede che l’imputato ne possa usufruire per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
1.1.– Riferisce il rimettente che D. A. e D. D.V. – imputati del reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per aver effettuato, tra il 20 settembre e il 21 dicembre 2018, undici cessioni di cocaina in quantità variabile tra 0,5 e 1,7 grammi – nel corso dell’udienza preliminare hanno chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen.
Gli imputati hanno già beneficiato della messa alla prova in altro procedimento penale relativo a un episodio di spaccio, coevo a quelli contestati nel giudizio a quo e ad essi avvinto dalla continuazione (art. 81, secondo comma, cod. pen.), trattandosi di fatti tutti commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Tale procedimento, sospeso con ordinanza del 7 gennaio 2019, si è concluso con declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.
Osserva il rimettente che la richiesta avanzata dagli imputati non può allo stato essere accolta, in quanto l’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. prevede che la messa alla prova non può essere concessa per più di una volta. Di qui la rilevanza della questione.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva quanto segue.
1.2.1.– Ricostruite anzitutto la genesi storica e la ratio della sospensione del procedimento con messa alla prova – istituto che sarebbe connotato da «una necessaria componente afflittiva (che ne salvaguarda la funzione punitiva e intimidatrice)» e volto a «soddisfare nel contempo istanze specialpreventive e risocializzatrici, mediante l’incentivazione dei comportamenti riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato» – il rimettente osserva che la limitazione posta dall’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. non era contenuta nel disegno all’origine della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), che ha introdotto nell’ordinamento la facoltà, per l’imputato maggiorenne, di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Prima degli emendamenti apportati al disegno di legge in Senato, era infatti prevista la possibilità di fruire per due volte della messa alla prova, salvo quando il successivo procedimento riguardasse reati della stessa indole dei precedenti.
1.2.2.– Il limite della concedibilità per una sola volta non è inoltre previsto in relazione alla sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato minorenne, di cui agli artt. 28 e 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).
Con riferimento al tale istituto, la giurisprudenza avrebbe in effetti riconosciuto che, in caso di continuazione tra reati giudicati e giudicandi, è possibile concedere il beneficio anche in relazione a questi ultimi, purché il giudice accerti la sussistenza del vincolo della continuazione e di elementi idonei a svolgere una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore, al fine di redigere un progetto idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di rieducazione e reinserimento nella vita sociale (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 luglio 2014, n. 40312 e sezione seconda penale, sentenza 8 novembre 2012, n. 46366).
1.2.3.– Quanto alla messa alla prova per l’imputato maggiorenne, la limitazione prevista dalla disposizione censurata, secondo il giudice rimettente, «non esclude, in linea di principio, che in caso di simultaneus processus avent[e] ad oggetto più fatti di reato, il Giudice possa riconoscere il vincolo della continuazione e giungere (con adeguata motivazione) ad un giudizio di meritevolezza del programma di trattamento redatto dall’UEPE [Ufficio per l’esecuzione penale esterna] anche attraverso l’esercizio dei poteri (integrativi e/o aggiuntivi) in tema di condotte riparatorie a favore della persona offesa e di commisurazione dei tempi e modi di espletamento del lavoro di pubblica utilità».
Ove, invece, «per scelta processuale del PM nella fase delle indagini preliminari o per diversa tempistica processuale», i reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso vengano contestati in diversi procedimenti, e uno di questi si concluda con l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ciò «consuma definitivamente l’unica possibilità» dell’imputato di fruire del beneficio. E invero, la richiesta di messa alla prova successivamente avanzata in altro procedimento – pur relativo a un reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. – sarebbe destinata a una declaratoria di inammissibilità, giusta il disposto dell’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen.
1.2.4.– Sotto quest’ultimo profilo, si coglierebbe «in maniera apprezzabile l’irrazionalità del sistema conseguente alla applicazione della norma censurata: la messa alla prova, per poter essere richiesta nell’unica volta esperibile, deve riguardare solo fatti giudicati in uno stesso procedimento», mentre «[i]n caso di parcellizzazione dei procedimenti – e di esistenza di ipotesi di connessione ex art. 12, comma 1, lett. b) c.p.p. –, la disciplina in vigore non consente di ‘agganciare’ alla precedente estinzione del reato fatti per cui si sarebbe potuta compiere una prognosi favorevole di astensione futura dai reati e positivo reinserimento sociale, con riconoscimento del vincolo della continuazione e valutazione finale di esito positivo della messa alla prova».
1.2.5.– La disposizione censurata determinerebbe dunque un’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato sottoposto a simultaneus processus in relazione a reati connessi ex art. 12, lettera b), cod. proc. pen. – il quale potrebbe fruire della sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti i reati contestatigli – e l’imputato che affronta giudizi distinti (ancorché connessi), che invece avrebbe diritto a richiedere il beneficio solo la prima (e unica) volta.
Tale disparità sarebbe palese, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (è citata Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 novembre 2008-23 gennaio 2009, n. 3286), secondo cui il reato continuato «va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa solo esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo, così rispondendo alla ratio di favor rei dell’istituto in oggetto»; giurisprudenza in base alla quale i reati avvinti dalla continuazione sarebbero da considerare come un’unità fittizia, ad esempio, ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Stante il parallelismo – evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 91 del 2018 – tra quest’ultimo istituto e la messa alla prova, tra gli effetti favorevoli che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati comporta «non [potrebbe] non annoverarsi quello derivante dall’esito positivo della messa alla prova, ovviamente previa valutazione positiva in ordine al riconoscimento del medesimo disegno criminoso e alla meritevolezza per [l]’accesso al beneficio».
1.2.6.– Non sarebbero d’altra parte ostative all’accoglimento della questione le conclusioni raggiunte nella sentenza n. 52 del 1995 di questa Corte, ove si è escluso che ledesse gli artt. 3 e 24 Cost. l’impossibilità di un simultaneus processus innanzi al tribunale per i minorenni, in conseguenza della non operatività della connessione, anche nei casi di reato continuato, tra procedimenti per i reati commessi rispettivamente quando l’imputato era minorenne e quando aveva raggiunto la maggiore età. Nel caso oggi in esame, infatti, «il sistema di riferimento processuale e sostanziale è il medesimo».
1.2.7.– Alla luce del suo tenore letterale, la disposizione censurata non si presterebbe poi a un’interpretazione costituzionalmente orientata, data l’impossibilità di considerare la seconda richiesta di messa alla prova «non come ulteriore e nuova richiesta ma come prosecuzione oppure integrazione di quella già avanzata in altro procedimento». Occorrerebbe altresì considerare che «la vicenda relativa al percorso della messa alla prova si conclude con una pronuncia di estinzione del reato che impedisce di ‘riprendere’ o ‘rivalutare’ quel percorso e le condizioni di accesso al beneficio, perché il reato è estinto e la sentenza del Giudice ha definitivamente prodotto un effetto sostanziale non più revocabile».
1.2.8.– Si sarebbe dunque «in presenza di una situazione di contrarietà interna del sistema delineato dall’istituto della messa alla prova sotto il profilo della irriducibilità della regola contenuta nel quarto comma dell’art. 168 bis c. p. al rispetto dei principi ispiratori della norma», che determinerebbe un vulnus all’art. 3 Cost.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata.
2.1.– L’interveniente eccepisce anzitutto il difetto di motivazione sulla rilevanza: l’ordinanza sarebbe «totalmente silente» circa la sussistenza, nel caso di specie, sia dei presupposti per il riconoscimento del vincolo della continuazione, sia di elementi idonei a sostenere la valutazione di positiva evoluzione della personalità degli imputati – ai fini della redazione di un programma di trattamento idoneo a consentire il reinserimento nella vita sociale – e la prognosi di astensione dalla futura commissione di ulteriori reati.
2.2.– Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, sarebbe inoltre possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata: secondo un’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, il reato continuato andrebbe considerato unitariamente ai fini dell’applicazione della sospensione condizionale della pena ex art. 168 cod. pen.; e tale principio ben potrebbe essere applicato anche all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova.
A tale interpretazione non osterebbe neppure l’irreversibilità della dichiarazione di estinzione del reato conseguente all’esito positivo della massa alla prova. E invero, il medesimo effetto estintivo caratterizzerebbe anche la sospensione del procedimento con messa alla prova nel processo minorile, al quale – secondo le sentenze n. 46366 del 2012 e n. 40312 del 2014 della Corte di cassazione – è possibile accedere anche ove l’imputato abbia già fruito di tale beneficio per reati avvinti dal vincolo della continuazione con quelli sottoposti a un giudizio successivo.
3.– In prossimità della camera di consiglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa.
3.1.– In punto di ammissibilità, l’interveniente insiste sulla mancata indicazione, da parte del rimettente, degli elementi di prova da cui risulterebbe la medesimezza del disegno criminoso nell’esecuzione dei reati, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di legittimità (è citata Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 novembre 2021, n. 5447), nonché sulla carente motivazione circa la sussistenza degli ulteriori presupposti per la concedibilità del beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova (sussistenza e idoneità del programma di trattamento, prognosi sulla futura astensione dell’imputato dalla commissione di nuovi reati).
3.2.– La questione sarebbe in ogni caso non fondata, attesa la possibilità di interpretazione conforme della disposizione censurata, corroborata dagli approdi giurisprudenziali in tema di sospensione condizionale della pena per reati avvinti dalla continuazione (è citata Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 ottobre 2015, n. 3775). La giurisprudenza di merito avrebbe del resto già affermato che la messa alla prova in relazione a più reati in continuazione sarebbe da considerare come concessa una sola volta (è richiamata un’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione terza penale, del 28 aprile 2015).
Alla possibilità di interpretazione costituzionalmente orientata non osterebbe neppure l’irreversibilità della dichiarazione di estinzione del reato, stante la già richiamata analogia rispetto al corrispondente istituto per i minorenni.
Motivi della decisione
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bologna ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta, non prevede che l’imputato ne possa usufruire per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
2.– Le eccezioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato non sono fondate.
2.1.– Va disattesa, anzitutto, l’eccezione di difetto di motivazione sulla rilevanza della questione.
2.1.1.– Il rimettente chiarisce di dover decidere sulla richiesta, formulata dalla difesa degli imputati, di sospensione del procedimento con messa alla prova. Dal momento che gli interessati hanno già fruito del beneficio in una occasione anteriore, il giudice a quo osserva che l’accoglimento della richiesta è allo stato impedito dal tenore letterale del censurato art. 168-bis, quarto comma, cod. pen., che vieta di concedere più di una volta la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il rimettente aggiunge, peraltro, che il difensore degli imputati ha sottolineato, da un lato, che i fatti per i quali gli stessi sono ora rinviati a giudizio sarebbero stati commessi in epoca coeva al reato relativamente al quale sono già stati ammessi, con esito positivo, alla sospensione del procedimento con messa alla prova; e, dall’altro, che i reati per i quali ora è processo appaiono avvinti da un medesimo disegno criminoso rispetto a quello ormai estinto in esito alla esperita messa alla prova.
Conseguentemente, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 168-bis, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui esclude che possa egualmente essere ammesso al beneficio l’imputato che ne abbia fruito nell’ambito di un procedimento relativo ad un reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale: disposizione, quest’ultima, la quale prevede che due procedimenti sono connessi laddove una persona sia imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero, appunto, con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso.
2.1.2.– Tanto basta ai fini della motivazione sulla rilevanza della questione, così come formulata dal rimettente.
L’accoglimento della questione avrebbe infatti, nella prospettiva del giudice a quo, l’effetto di rimuovere la preclusione oggi opposta a una possibile seconda concessione del beneficio previsto dalla disposizione censurata, consentendogli così di valutare nel merito se effettivamente i nuovi reati contestati siano espressivi di un medesimo disegno criminoso rispetto a quello estinto, e se sussistano gli ulteriori presupposti delineati dagli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis e 464-quater cod. proc. pen. per l’accesso all’istituto in questione.
La prospettazione dei difensori degli imputati non appare, del resto, prima facie implausibile, in ragione della omogeneità dei reati per cui si procede nel giudizio a quo (tutti consistenti in cessioni di modeste quantità di sostanze stupefacenti, riconducibili alla previsione normativa di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e della loro contiguità temporale rispetto a quello già estinto per effetto della precedente messa alla prova.
Né, ai fini della motivazione sulla rilevanza della questione, sarebbe stato necessario per il giudice rimettente diffondersi sulla sussistenza dei requisiti del beneficio in capo a entrambi gli imputati, posto che tale valutazione è logicamente successiva alla rimozione della preclusione stabilita dalla disposizione censurata, che allo stato vieta in modo assoluto – secondo la lettura del rimettente – la concessione del beneficio a chi ne abbia già fruito (in senso analogo, sentenza n. 253 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).
2.2.– Nemmeno è fondata l’eccezione di omessa sperimentazione di una interpretazione conforme da parte del rimettente.
Il giudice a quo ha infatti motivatamente escluso di poter superare in via ermeneutica la preclusione censurata in relazione al caso in esame, ritenendo insuperabile il relativo dato testuale, che in effetti recita, senza contemplare alcuna espressa eccezione: «[l]a sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta». In tal modo, il rimettente ha assolto al proprio onere motivazionale sulla rilevanza della questione, attenendo invece al merito della stessa l’effettiva praticabilità o impraticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, idonea a superare il vulnus denunciato (ex multis, sentenza n. 172 del 2021).
3.– La questione è fondata.
3.1.– Cuore dell’articolata motivazione dell’unica censura svolta dal rimettente è la constatazione dell’irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato cui tutti i reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell’ambito di un unico procedimento, nel quale egli ha la possibilità di accedere al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, e l’imputato nei cui confronti l’azione penale venga inizialmente esercitata solo in relazione ad alcuni di tali reati, e che si veda contestare gli altri, per effetto di una scelta discrezionale del pubblico ministero o di altre evenienze processuali, nell’ambito di un diverso procedimento, dopo che egli abbia già avuto accesso alla messa alla prova. Questo secondo imputato si trova così nell’impossibilità di ottenere una seconda volta il beneficio, cui avrebbe invece potuto accedere ove tutti i reati gli fossero stati contestati in un unico procedimento.
3.2.– Preclusioni analoghe a quella oggi all’esame sono già state dichiarate costituzionalmente illegittime da sentenze risalenti di questa Corte.
3.2.1.– In un contesto normativo in cui la sospensione condizionale della pena poteva parimenti essere concessa una volta soltanto, la sentenza n. 86 del 1970 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 164, secondo comma, numero 1), e 168 cod. pen., nelle formulazioni all’epoca vigenti, nella parte in cui disponevano che il giudice non potesse esercitare il potere di concedere o negare il beneficio della sospensione condizionale, ovvero dovesse revocare di diritto il beneficio già concesso, quando il secondo reato fosse legato dal vincolo della continuazione a quello punito con pena sospesa.
Questa Corte aveva, allora, osservato che le norme censurate facevano «dipendere l’esistenza del nesso di continuità fra due reati da circostanze occasionali, e cioè a dire, dal fatto che la continuazione sia accertata in un solo tempo anziché in tempi successivi, circostanze che non possono elevarsi a fondamento di una diversa disciplina […]. La circostanza che il primo giudice non era a notizia che l’imputato aveva, in continuazione, ancora violato la legge penale, non può perciò impedire al secondo giudice di compiere gli apprezzamenti che avrebbe fatto il primo, e imporgli di sostituire, al suo libero convincimento, una presunzione legale di inopportunità della sospensione. Tale inopportunità non può spiegarsi nemmeno con il rilievo che l’imputato non rese noto al giudice di aver commesso i nuovi reati, perché, se così potesse ragionarsi, dalla norma si farebbe derivare una inconcepibile sanzione alla reticenza dell’imputato; al quale invece l’ordinamento garantisce piena libertà di comportamento processuale, al riparo dalla presunzione della sua non colpevolezza».
3.2.2.– Analoga sorte ha colpito, ad opera della sentenza n. 108 del 1973, l’art. 169 cod. pen., nella parte cui – prevedendo che il perdono giudiziale per i minori di diciotto anni possa essere concesso una sola volta – non consentiva di estendere il beneficio ad altri reati legati dal vincolo della continuazione a quello per il quale era stato accordato. In quella occasione, questa Corte richiamò gli argomenti già spesi nella sentenza n. 86 del 1970, rilevando la stretta similitudine tra le due questioni.
Nella sentenza n. 295 del 1986, invece, è stata ritenuta non fondata una questione mirante a estendere la possibilità di concedere una seconda volta il perdono giudiziale in relazione a reati commessi successivamente alla prima concessione, sul rilievo che tale situazione fosse essenzialmente diversa rispetto a quella esaminata dalle sentenze n. 86 del 1970 e n. 108 del 1973.
3.2.3.– Infine, con la sentenza n. 267 del 1987, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’allora vigente art. 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui escludeva la reiterabilità del provvedimento di concessione delle sanzioni sostitutive della libertà controllata e della pena pecuniaria, quando l’imputato dovesse rispondere di reati avvinti dalla continuazione a quelli per i quali egli avesse già fruito del beneficio.
Anche in questa occasione, furono richiamati i principi espressi dalla sentenza n. 86 del 1970, affermandosi che «il caso “riguardante più fatti legati da nesso di continuità con altri puniti con sentenza precedente non può essere trattato diversamente dal caso in cui la continuazione viene accertata con unica sentenza”, ad evitare che un nesso “sostanziale”, quale quello di continuità, venga fatto dipendere da circostanze meramente occasionali».
3.3.– È sulla base dei medesimi principi che deve essere risolta la questione ora all’esame.
Come rilevato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112), di cui questa stessa Corte ha recentemente preso atto (sentenza n. 146 del 2022), la preclusione posta dall’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen., in questa sede censurata, non osta a che uno stesso imputato possa essere ammesso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova anche qualora gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento, sempre che i limiti edittali di ciascuno di essi siano compatibili con la concessione del beneficio. Ciò vale, evidentemente, anche nel caso specifico in cui tali reati siano avvinti dalla continuazione, essendo stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In una tale situazione, infatti, l’ordinamento considera unitariamente i reati ai fini sanzionatori, prevedendo l’inflizione di una sola pena che tenga conto del loro complessivo disvalore; sicché appare logico che, ove tutti i singoli reati siano compatibili, in ragione dei rispettivi limiti edittali, con il beneficio della messa alla prova, l’imputato possa essere ammesso ad un percorso unitario di risocializzazione e riparazione, nel quale si sostanzia il beneficio medesimo (ancora, sentenza n. 146 del 2022 e le altre pronunce ivi citate), e il cui esito positivo comporta l’estinzione dei reati contestati.
In ipotesi come quella verificatasi nel giudizio a quo, dunque, se tutti i reati commessi in continuazione fossero stati contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati ben avrebbero avuto la possibilità di chiedere e – sussistendone tutti i presupposti – di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati, il cui esito positivo avrebbe determinato l’estinzione dei reati medesimi.
Risulta, allora, irragionevole che quando, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati avvinti dalla continuazione vengano invece contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo. Ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore – possibilità che costituisce «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» dell’imputato di cui all’art. 24 Cost. (ex multis, sentenza n. 192 del 2020, nonché sentenze n. 19 e n. 14 del 2020, n. 131 del 2019) – dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire.
3.4.– Sotto un diverso ma connesso profilo, la preclusione censurata, applicata a ipotesi come quella all’esame, finisce per frustrare lo stesso intento legislativo di sanzionare in maniera unitaria il reato continuato, attraverso un aumento della pena prevista per il reato più grave, secondo la regola generale posta dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. – intento, si noti, che non è precluso nemmeno dall’intervento del giudicato, come dimostra l’art. 671 cod. proc. pen., che consente al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena complessiva per più reati giudicati separatamente con sentenze o decreti penali irrevocabili, tenendo conto appunto della continuazione tra gli stessi.
Se è vero, infatti, che la messa alla prova dell’imputato maggiorenne ha anche una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al reato per il quale si procede (sentenze n. 146 del 2022, n. 139 e n. 75 del 2020, n. 68 del 2019), l’impossibilità di ammettere alla messa alla prova chi abbia già avuto accesso al beneficio in relazione ad altro reato commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso si traduce nell’impossibilità di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati avvinti dalla continuazione, in contrasto con la logica del sistema del codice penale.
3.5.– Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, per l’altra ipotesi di connessione prevista dall’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., che si verifica nel caso del concorso formale disciplinato dall’art. 81, primo comma, cod. pen., e dunque allorché più reati sono commessi dalla stessa persona con una sola azione od omissione. Anche in questo caso, il legislatore prevede che il trattamento sanzionatorio sia commisurato unitariamente dal giudice, secondo le medesime regole che vigono per il reato continuato: il che normalmente accade nell’ambito di un unico processo. Sicché, nelle ipotesi in cui il pubblico ministero abbia invece proceduto per reati in concorso formale nell’ambito di procedimenti distinti – e sempre che il secondo procedimento non sia di per sé precluso dall’art. 649 cod. pen. (sul punto, sentenza n. 200 del 2016, punto 12 del Considerato in diritto) –, risulterebbe irragionevole negare all’imputato la possibilità di accedere nuovamente alla messa alla prova, nell’ambito di un procedimento che ha pur sempre ad oggetto la medesima condotta attiva od omissiva per la quale egli ha già fruito del beneficio.
3.6.– Da tutto ciò discende che la disposizione censurata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
In una simile ipotesi, spetterà al giudice, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato. In tale valutazione non potrà non tenersi conto – per un verso – della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, e – per altro verso – del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova. Nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, il giudice stabilirà la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., valorizzando opportunamente il percorso già compiuto, alla luce dell’esigenza – sottesa al sistema – di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.