A tale fine, è necessario dimostrare l'imminente pericolo di vita del passeggero e l'impossibilità di provvedere diversamente alla salvezza di quest'ultimo. Nel caso di specie, l'intervento di un'ambulanza avrebbe, da un lato, impedito la violazione della legge da parte del ricorrente e, dall'altro, offerto una risposta più immediata qualora lo stato di salute del passeggero fosse stato particolarmente grave.
La Polizia stradale applicava all'attuale ricorrente la sanzione prevista dall'art. 218 Cds per essere stato colto nell'atto di circolare alla guida di un'auto nonostante la sospensione della propria patente. Il ricorrente invocava lo stato di necessità come esimente dell'illecito, sostenendo di essersi messo alla guida per...
Svolgimento del processo
Con verbale di Polizia Stradale n. (omissis) elevato il 25 ottobre 2011 veniva applicata ad A.V. la sanzione prevista dall’art. 218 del Codice della strada per essere stato colto nell’atto di circolare alla guida di un autoveicolo, nonostante la sospensione della propria patente di guida, per effetto del provvedimento della Prefettura di Pordenone del 7 ottobre 2011.
Il provvedimento era oggetto di opposizione dell’A. (nonché dalla G. s.r.l., proprietaria della vettura guidata dal sanzionato) innanzi al Giudice di Pace di Spilimbergo a mezzo di ricorso ex art. 204-bis del Codice della strada ed ex art. 22 L. 689/1981. I ricorrenti domandavano l’annullamento del provvedimento impugnato invocando la sussistenza dello stato di necessità come esimente dell’illecito. Si costituiva la Prefettura di Pordenone – UTG, la quale eccepiva nel merito l’inammissibilità e l’improponibilità del ricorso assieme all’infondatezza nel merito dello stesso.
Il Giudice di Pace rigettava nel merito la domanda con sentenza n. (omissis), senza pronunziarsi sulle eccezioni di rito sollevate dall’Amministrazione.
La decisione veniva gravata dall’A., il quale proponeva appello innanzi al Tribunale di Pordenone.
Questi, con la sentenza n. (omissis), rigettava l’impugnazione rilevando la tardività dell’originario ricorso, in quanto era stato proposto avverso il verbale di contestazione di una violazione per la quale il codice non avrebbe ammesso il pagamento in misura ridotta: al contrario, il ricorrente avrebbe dovuto attendere l’emissione dell’ordinanza ingiunzione conseguente alla contestazione degli addebiti.
La sentenza era fatta oggetto di ricorso per Cassazione ed era cassata con ordinanza n. (omissis), che rilevava la violazione – da parte dell’impugnata pronuncia – degli artt. 416, 436 e 346 del codice di procedura civile, giacché il Tribunale aveva statuito sull’originaria eccezione di inammissibilità del ricorso che era stata espressamente disattesa dal giudice di primo grado, senza che la relativa statuizione fosse stata specificamente impugnata.
Riassunto il giudizio, l’A. denunziava nuovamente il mancato riconoscimento – da parte del Giudice di Pace – dell’esimente dello stato di necessità.
Con sentenza n. (omissis) il Tribunale di Pordenone statuiva nuovamente sull’appello dell’A., rigettandolo siccome infondato.
Avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone l’opponente proponeva ricorso per Cassazione.
L’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Pordenone rimaneva intimato, non svolgendo difese in questa fase del giudizio.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso A.V. denuncia la violazione e falsa applicazione, a norma dell’art. 360, 1° co., n. 3, del codice di procedura civile, degli artt. 54 del codice penale e 4 della Legge 689/1981.
A detta del ricorrente il tribunale avrebbe errato nell’escludere lo stato di necessità alla luce dello svolgimento della vicenda sanzionatoria.
Nel dettaglio il ricorrente sostiene l’illegittimità della sanzione irrogatagli giacché la guida di un veicolo senza patente, o meglio con patente sospesa, sarebbe stata imposta dalla necessità di condurre l’originaria conducente della vettura presso un presidio medico (segnatamente, il medico di base) giacché aveva accusato i sintomi di un grave malessere, apparentemente tale da porla in pericolo di vita, sebbene successivamente dimostratosi un semplice attacco d’ansia.
Il ricorrente, poste tali premesse, sostiene che ricorrono, nel caso di specie, gli estremi per riconoscere la sussistenza dello stato di necessità putativo, in forza del combinato disposto degli articoli 3, 2° co., e 4 della L. 689/1981. L’errore sul fatto (lo scambiare l’attacco d’ansia per un’affezione ben più grave) avrebbe determinato la necessità di violare le disposizioni del codice della strada per trarre in salvo la conducente, accompagnandola dal medico di base.
2. Il motivo di ricorso è privo di pregio e deve essere respinto. In via generale, può rammentarsi come «in tema di sanzioni amministrative, l'esimente dello stato di necessità di cui all'art. 4 l. n. 689 del 1981, in applicazione degli artt. 54 e 59 c.p., presuppone la sussistenza di un'effettiva situazione di pericolo imminente di un grave danno alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l'erronea convinzione, provocata da concrete circostanze oggettive, di trovarsi in tale situazione (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha negato la sussistenza dello stato di necessità invocato sulla base del mero convincimento soggettivo da parte del trasgressore che la madre versasse in condizioni di pericolo) (così Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 16155 del 17/06/2019)».
Dunque, il contravventore che invochi la sussistenza di cause di giustificazione dell’illecito addebitatogli è tenuto – alternativamente – a provare l’esistenza delle stesse, ovvero di essere stato indotto in errore sulla sussistenza della esimente in forza di circostanze oggettive, non essendo sufficiente il mero convincimento dell’esistenza dei suoi presupposti.
Rileva il Collegio come sia del tutto condivisibile il richiamo effettuato da parte ricorrente al principio secondo cui – anche nei giudizi sulle sanzioni amministrative – in mancanza di più precisa disposizione si debba fare riferimento alle categorie penalistiche. Si veda sul punto, a titolo di esempio, quanto affermato da Cass., n. 5877/2005: «in tema di sanzioni amministrative, ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità, previste dall'art. 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, occorre, in mancanza di ulteriori precisazioni, fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale. La responsabilità dell'autore dell'illecito è altresì esclusa in caso di erronea supposizione della sussistenza degli elementi concretizzanti una causa di esclusione della responsabilità, in quanto l'art. 3 della citata legge n. 689 del 1981 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche l'erroneo convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione; in tale ipotesi, peraltro, l'onere della prova dell'erroneo convincimento grava su chi lo invoca».
Tuttavia, proprio alla luce di tale richiamo, deve affermarsi che il ricorrente era onerato – come peraltro evincibile anche dai precedenti richiamati dalla difesa dello stesso A. – di dar prova della sussistenza dell’erroneo convincimento dell’esistenza di circostanze che potessero integrare gli estremi di una causa di giustificazione.
Con particolare riferimento allo stato di necessità, occorre quindi dimostrare che la condotta fosse necessitata dall’imminente (ancorché supposto per errore di fatto) pericolo per la vita o l’integrità fisica della persona oggetto del salvataggio: ove tale prova non venga raggiunta, secondo l’apprezzamento di merito del giudice, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, non potrà essere riconosciuta l’esimente.
Peraltro, con specifico riferimento al tema delle violazioni del codice della strada asseritamente commesse in stato di necessità, deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale si trae la conclusione della incensurabilità della decisione gravata.
Infatti, è stato precisato che «In tema di opposizione a sanzione amministrativa irrogata a seguito di violazione dell'art. 142, comma 9, cod. strada, non vale ad escludere la responsabilità del conducente l'invocato stato di necessità dovuto all'esigenza di rispettare i tempi di una consultazione medica conseguente ad un malore lamentato da un passeggero, qualora l'opponente non abbia provato - essendone onerato per effetto dell'applicazione delle regole penalistiche sullo stato di necessità, alle quali occorre fare riferimento anche ai fini previsti dall'art. 4 della legge n. 689 del 1981 - l'imminente pericolo di vita del passeggero medesimo e l'impossibilità di provvedere diversamente alla salvezza di quest'ultimo» (Cass. n. 14286/2010).
Orbene, nel caso di specie il giudice di merito ha escluso che fosse stata offerta siffatta prova, non avendo riscontrato dalle risultanze istruttorie elementi che dimostrassero che il malore accusato dalla conducente fosse grave, o quantomeno non lieve. A tal fine, proprio partendo dala stessa certificazione del malore effettuata dal medico curante della conducente, è stato ritenuto che l’alterazione del ritmo cardiaco che aveva colpito la stessa non avesse i requisiti per riconoscere la ricorrenza dello stato di necessità, non ricorrendo un imminente pericolo di danno grave, ma al più potendo giustificare l’impossibilità della medesima di poter continuare la guida del veicolo, senza però che si imponesse la conduzione da parte del ricorrente.
Né risulta allegata, oltre a quella rilasciata dal medico curante, altra ulteriore documentazione idonea a comprovare la gravità del pericolo ingenerato dal malore sofferto dalla conducente.
In tal senso è stata altresì sottolineata, a conforto dell’assenza dei requisiti idonei a fondare l’invocazione dello stato di necessità ancorché putativo, la circostanza che la P., conducente dell’auto prima dell’A., subito dopo l’intervento della polizia stradale, si sarebbe rimessa alla guida, e senza che fosse stato invocato l’intervento di veicoli di soccorso.
Convincente è altresì la valutazione relativa all’inevitabilità della condotta suppostamente salvifica: il Tribunale ha infatti con coerenza e logicità individuato le condotte alternative a quella tenuta dal ricorrente che, quanto meno a parità di efficacia, avrebbero assicurato di porre rimedio alla condizione ingenerata dal malore della conducente, e che non avrebbero imposto la violazione della legge, essendosi appunto evidenziato come si sarebbe potuto far ricorso all’intervento di un’ambulanza non senza rilevare che, se effettivamente lo stato di salute della P. fosse stato particolarmente grave, di certo si sarebbe imposto l’accompagnamento ad un pronto soccorso ospedaliero e non anche presso lo studio del medico curante, essendo la prima struttura maggiormente attrezzata per offrire una immediata risposta a situazioni connotate da maggior pericolosità.
Parimenti incensurabile è la motivazione sull’insussistenza dello stato di necessità putativo.
Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità, previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, occorre, in mancanza di ulteriori precisazioni, fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale e segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità, all'art. 54 cod. pen. (Cass., n. 5710 del 1985; Cass., n. 3961 del 1989; Cass., n. 5866 del 1993, e di recente, Cass., n. 5877 del 2004); si è altresì ritenuto che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la supposizione erronea degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, e cioè di una situazione concreta che, ove esistesse realmente, integrerebbe il modello legale dello stato di necessità, in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 2, esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione, il cui onere probatorio, tuttavia, grava su colui che invochi l'errore (Cass., n. 5710 del 1985, cit.; Cass., n. 5866 del 1993, cit.; Cass., n. 4710 del 1999).
In ossequio al principio per cui «in tema di sanzioni amministrative, la responsabilità dell'autore dell'illecito può essere esclusa anche in caso di erronea supposizione della sussistenza degli elementi concretizzanti una causa di esclusione della responsabilità, in quanto l'art. 3 della legge n. 689 del 1981 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche l'erroneo convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione. Qualora, però, l'interessato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente reale o putativa deve provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio» (Cass. n. 15195/2008), il Tribunale ha però ritenuto indimostrata la sussistenza di segni apparenti di pericolo grave per il conducente della vettura e ha coerentemente argomentato sul punto, contrastando con puntualità le ragioni addotte dall’A. (per l’inammissibilità del ricorso volto a contestare l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sulla ricorrenza dello stato di necessità putativo, si veda da ultimo Cass. n. 24679/2021).
Bisogna inoltre ricordare che qualora venga invocato uno stato di necessità di carattere medico – sanitario la situazione di pericolo deve avere un carattere di indilazionabilità e cogenza tale da non lasciare all'agente alternativa diversa dalla violazione della legge; ciò perché la moderna organizzazione sociale, venendo incontro, con i mezzi più disparati a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, per il non soddisfacimento dei predetti bisogni, ha modo di evitare il possibile, irreparabile danno alla persona (Cass., n. 4818 del 1986).
Ebbene, come già visto in precedenza, il giudice ha debitamente giustificato la propria decisione sul punto, evidenziando come dalla ricostruzione dello svolgimento della vicenda dedotta in giudizio non sia affatto emersa alcuna cogente situazione di pericolo, tale da giustificare la violazione delle norme della circolazione stradale.
3. Il ricorso è pertanto rigettato, nulla dovendosi disporre quanto alle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
4. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.