Vige infatti il principio tempus regit actum, per cui gli elementi sopravvenuti da tenere in considerazione possono avere ad oggetto circostanze posteriori all'istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno ma anteriori all'adozione del provvedimento sulla stessa.
La vicenda riguarda il rinnovo di un permesso di soggiorno per motivi commerciali/di lavoro autonomo.
Nello specifico, la richiesta dell'interessato era stata rigettata dal Questore di Palermo e, a seguito di impugnazione, il TAR aveva accolto l'istanza cautelare ai soli fini del riesame. In seguito, il Questore confermava il rigetto della domanda, dunque l'interessato appella la sentenza dinanzi al CGA Sicilia, lamentando, tra le altre cose, il fatto che il TAR non avesse preso in considerazione che dopo la richiesta di permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, egli si era assicurato un'occupazione lavorativa idonea a garantirgli i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, dunque la nuova attività lavorativa, anche se sopravvenuta, doveva essere considerata ai sensi dell'
Con la sentenza n. 814 dell'11 luglio 2022, il CGA Sicilia dichiara l'appello infondato.
Il CGA ribadisce in tal senso che l'onere dell'Amministrazione di considerare i nuovi e sopraggiunti elementi a favore dello straniero si riferisce a quelli esistenti al momento in cui è stata esercitata la potestà amministrativa, non avendo alcuna rilevanza gli atti sopravvenuti. Il giudizio sulla legittimità del provvedimento si conduce infatti con riguardo al momento in cui l'atto viene adottato, in vista del principio tempus regit actum.
L'art. 5 citato dal ricorrente, spiega il CGA, impone alla P.A. di tenere conto dei nuovi sopraggiunti elementi favorevoli allo straniero con riferimento a quelli in essere e formalmente rappresentati ovvero comunque da essa stessa conosciuti al momento dell'adozione del provvedimento, anche se sono successivi alla presentazione della richiesta. Dunque, gli elementi sopravvenuti possono avere ad oggetto solo circostanze che sono sì posteriori all'istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, ma anteriori all'adozione del provvedimento sulla stessa.
Come evidenzia il CGA, l'interessato avrebbe dovuto chiedere un nuovo provvedimento alla P.A., soluzione che gli avrebbe consentito una risposta più celere e un risparmio di costi.
La sopravvenienza, infatti, è venuta in essere dopo l'adozione del provvedimento assunto in ottemperanza dell'ordinanza di riesame pronunciata dal TAR, dunque non poteva che essere valutata mediante l'adozione di una nuova ordinanza propulsiva allo scopo di rimettere in termini l'Amministrazione per considerare la sopravvenienza.
Di conseguenza, il motivo di ricorso non può essere accolto. Segue il rigetto dell'appello.
CGA Sicilia, sez. Giurisdizionale, sentenza (ud. 16 giugno 2022) 11 luglio 2022, n. 814
Svolgimento del processo
1. La controversia riguarda il rinnovo del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi commerciali/lavoro autonomo del signor B.A..
2. Con atto decreto 9 ottobre 2017 il Questore di Palermo ha rigettato l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi commerciali/lavoro autonomo.
3. Il signor B.A. ha impugnato detto atto davanti al Tar Sicilia – Palermo.
4. In seguito all’ ordinanza n. 628 del 9 luglio 2018, con la quale il Tar ha accolto la domanda cautelare ai soli fini del riesame del provvedimento impugnato, la Questura di Palermo, con provvedimento 22 agosto 2019, ha confermato il rigetto dell’istanza.
5. Con motivi aggiunti è stato gravato detto provvedimento.
6. Il Tar, con sentenza 9 novembre 2020 n. 2323, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo e respinto i motivi aggiunti.
7. Il signor B.A. ha appellato la sentenza davanti a questo CGARS con ricorso n. 1096 del 2020.
8. Nel corso del giudizio di appello si sono costituiti la Questura di Palermo e il Ministero dell’interno.
9. All’udienza del 16 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
10. L’appello è infondato.
11. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, con il quale è stato impugnato il decreto 9 ottobre 2017, di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi commerciali/lavoro autonomo in quanto con provvedimento 22 agosto 2019, impugnato con motivi aggiunti, l’Amministrazione ha nuovamente denegato il permesso (in ottemperanza all’ordinanza di riesame adottata dal Tar).
Ciò in quanto il provvedimento di rigetto emesso dalla Questura di Palermo a seguito dell’ordinanza cautelare del Tar non costituisce un nuovo provvedimento, recando piuttosto la conferma del precedente.
La doglianza è finalizzata a censurare la condotta dell’Amministrazione che non avrebbe inserito nel provvedimento del 2019 l’avvertimento circa il termine e l’Autorità davanti alla quale impugnarlo, così ledendo il diritto di difesa dell’appellante.
11.1. Il motivo non può essere accolto.
Innanzitutto il diniego del 2019 è stato adottato a seguito del riesame delle risultanze probatorie e valutando un elemento sopravvenuto (il rapporto di lavoro avviato il 13 novembre 2017), con la conseguenza che il medesimo non può essere considerato meramente confermativo del precedente in quanto contiene una nuova determinazione dell’Amministrazione.
Peraltro, in disparte il fatto che la mancanza dell’avvertimento circa i tempi e l’autorità davanti alla quale impugnare il provvedimento costituisce una mera irregolarità, nel caso di specie detto provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti nell’ambito del presente giudizio.
12. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha considerato che, a seguito dell’istanza di permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, il medesimo si sarebbe assicurato un’occupazione lavorativa idonea a garantirgli quei requisiti richiesti dalla legge per ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato e che la nuova attività lavorativa, benché sopravvenuta, dovesse essere considerata ai sensi dell’art. 5 comma 5 del d. lgs. n. 286 del 1998.
12.1. La vicenda sottesa alla presente controversia è connotata in fatto dai seguenti avvenimenti.
Con atto decreto 9 ottobre 2017 il Questore di Palermo ha rigettato l’istanza volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi commerciali/lavoro autonomo. Il rigetto è stato motivato in considerazione della ritenuta inattendibilità del reddito dichiarato dallo straniero, il quale non aveva risposto all’invito, rivoltogli dall’amministrazione procedente, a produrre copia della documentazione contabile atta a comprovare la veridicità dei dati indicati nel Modello Unico – Persone Fisiche 2016.
In seguito all’ ordinanza n. 628 del 9 luglio 2018, con la quale il Tar ha accolto la domanda cautelare ai soli fini del riesame del provvedimento impugnato, la Questura di Palermo, con provvedimento 22 agosto 2019 n. 12/2019, ha confermato il rigetto dell’istanza. E ciò in quanto, in esito agli accertamenti telematici effettuati, è risultato che il rapporto di lavoro instaurato in data 13 novembre 2017 era cessato già in data 1 febbraio 2018.
La circostanza che successivamente a detto provvedimento sia sopravvenuta la stipula di un contratto di lavoro subordinato in data 26 settembre 2019 non è rilevante nel caso di specie.
12.2. La sopravvenienza di un rapporto di lavoro, in data successiva all’adozione (ed anche alla notificazione) del provvedimento di rigetto, non può costituire un vizio del diniego reso dalla Questura.
L’onere dell'Amministrazione di prendere in considerazione i nuovi e sopraggiunti elementi favorevoli allo straniero, invero, non può che riferirsi a quelli in essere al momento in cui è stata esercitata la potestà amministrativa, nessuna rilevanza potendo rivestire atti sopravvenuti: il giudizio circa la legittimità del provvedimento impugnato va condotta infatti con riferimento al momento dell’adozione dell’atto medesimo, in ossequio al principio tempus regit actum.
“Secondo il consolidato indirizzo della Sezione, il citato art. 5, comma 5, nell’imporre alla P.A. di prendere in considerazione i “nuovi sopraggiunti elementi” favorevoli allo straniero, si riferisce a quelli esistenti e formalmente rappresentati o comunque conosciuti dalla stessa P.A. al momento dell’adozione del provvedimento, anche se successivamente alla presentazione dell’istanza… In altre parole, la giurisprudenza di questa Sezione, in base al principio del tempus regit actum, ritiene che gli elementi sopravvenuti, cui avere riguardo ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 5, cit., possano avere ad oggetto circostanze posteriori all’istanza di rilascio/rinnovo (o di conversione) del titolo di soggiorno, ma anteriori all’adozione del provvedimento su di essa (nello stesso senso cfr. C.d.S., Sez. II, 6 febbraio 2020, n. 940)” (Consiglio di Stato, sentenza n. 279 dell'8 gennaio 2021).
A fronte di detto orientamento consolidato, fondato sull’irrilevanza delle sopravvenienze, di recente il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza avente una diversa impostazione (sez. III, 1 giugno 2022 n. 4467), in base alla quale, quando “il bene della vita da tutelare ha natura personale”, si impone la valutazione degli elementi sopravvenuti “nelle more tra l’istanza presentata, il suo esame da parte dell’amministrazione e il giudizio dinanzi al Giudice”, specie quando ci sono gli elementi per il riconoscimento di altro titolo di soggiorno. E ciò in quanto, “se è vero che questi non potevano incidere sull’atto, incidono sulla situazione giuridica dell’appellante e la loro mancata valutazione può comprometterla irrimediabilmente, arrecando un pregiudizio a diritti fondamentali della persona umana”.
Premesso che le vicende processuali e sostanziali della controversia ivi decisa sono differenti rispetto a quelle oggetto del presente giudizio, nei termini che si illustreranno di seguito, il Collegio ritiene di non poter aderire all’impostazione sottesa a detta pronuncia.
In base a detta impostazione, infatti, attraverso l’ordinanza propulsiva e il rilievo attribuito alle sopravvenienze successive all’adozione del provvedimento impugnato si dà vita a un’unica procedura nella quale si avvicendano intervalli procedimentali e intervalli processuali senza soluzione di continuità, in una prospettiva di tensione verso il raggiungimento del risultato, inteso come soddisfazione del diritto fondamentale del singolo a soggiornare sul territorio italiano. Peraltro, le sopravvenienze che incidono sulla situazione giuridica del privato e la cui “mancata valutazione può comprometterla irrimediabilmente” possono presentarsi, nel corso del giudizio, senza un limite temporale, purché prima della sentenza d’appello, così potendo potenzialmente essere la causa di plurime ordinanze di riesame che rimettano in termini il privato circa la presentazione di nuove sopravvenienze, così evitando il paventato pregiudizio a diritti fondamentali della persona umana ma allungando la durata del processo, oltre che le risorse amministrative impegnate per l’ottemperanza agli ordine del giudice.
A fronte di ciò si osserva che il procedimento amministrativo ad istanza di parte è connotato temporalmente da un inizio e una fine. L’intervallo che si viene a creare fra i due estremi è disciplinato dal legislatore in termini acceleratori, prevedendo un termine massimo di durata, la cui violazione, pur non determinando l’illegittimità dell’atto, non è indifferente per l’ordinamento (incidendo sulla responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile, sulla valutazione del dirigente e del funzionario e sulla responsabilità dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990), come si desume anche dalla disciplina delle fattispecie di silenzio significativo, volte ad assicurare, prima di ogni altra cosa, la formazione del titolo abilitante in concomitanza allo scadere del termine del procedimento.
Il termine acceleratorio è infatti posto prima di tutto nell’interesse del privato istante a vedere soddisfatta la propria pretesa sostanziale o almeno a conoscere la decisione amministrativa.
Nell’ambito di detto intervallo temporale l’Amministrazione, dominus dell’istruttoria, ha la facoltà, che si articola in modo e con regole diverse a seconda del tipo di procedimento, di chiedere al privato di integrare la domanda con ulteriore documentazione, così sopperendo a una mancanza dell’istanza inizialmente presentata e allungando i tempi della risposta amministrativa essendo giustificata dall’omissione del privato.
Nell’ambito di detto canone generale non si può escludere che la richiesta istruttoria dell’Amministrazione consenta al privato di integrare l’elemento mancante anche tenendo conto di sopravvenienze fino a quel momento intervenute, a meno che non si tratti di un procedimento che, in ragione della scarsità del bene della vita conteso, ponga il medesimo in competizione fra gli aspiranti, con la conseguenza che il termine di presentazione della domanda di partecipazione costituisce altresì il termine finale per l’integrazione del requisito, o che comunque la normativa qualifichi il termine di presentazione della domanda come termine perentorio.
Una volta conclusa l’istruttoria l’Amministrazione adotta il provvedimento sulla base delle risultanze dell’istruttoria dalla medesima compiuta. Né potrebbe darsi un’alternativa a detta regola, atteso che l’Amministrazione è tenuta a rispettare il termine di conclusione del procedimento e che non può considerare elementi che non siano stati acquisiti o, addirittura, che non si siano ancora verificati.
In tal prospettiva generale si colloca l’art. 5 comma 5 della legge n. 286 del 1998, in base al quale il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, “sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.
Detta disposizione, evidentemente rivolta all’Amministrazione avente il potere di concedere, o meno, il permesso di soggiorno e il rinnovo, consente innanzitutto alla stessa di tenere in considerazione qualunque tipologia di sopravvenienza, intervenuta prima della determinazione conclusiva del procedimento, anche oltre il termine dell’istruttoria vera e propria e anche in mancanza di una specifica richiesta istruttoria sul punto dell’Amministrazione, e quindi proveniente da una mera iniziativa del privato. In secondo luogo l’art. 5 comma 5 della legge n. 186 del 1998 consente di superare irregolarità sanabili (ma non ancora sanate).
In tal senso il legislatore ha già considerato che il bene giuridico tutelato dalla disciplina recata dalla legge n. 286 del 1998 attiene a un diritto fondamentale della persona umana, provvedendo a rendere superabili irregolarità sanabili e ad ampliare la rilevanza delle sopravvenienze pur nel rispetto delle regole di svolgimento del procedimento.
Esaurito il potere di provvedere con l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, l’Amministrazione può rivalutare l’istruttoria compiuta in seguito all’adozione, da parte del giudice amministrativo, di un’ordinanza propulsiva di riesame.
Detta ordinanza, ponendosi al crocevia fra il principio di effettività della tutela e il divieto, per il giudice amministrativo, di pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati, è stata introdotta dalla giurisprudenza al fine di assicurare l’effetto tipico della decisione di merito in via meramente provvisoria (atteso che la decisione di merito potrebbe essere di segno contrario). Essa trovava una propria ragion d’essere, in un ordinamento privo della norma attualmente contenuta nell’art. 21-octies comma 2 della legge n. 241 del 1990, nel consentire una rivalutazione della situazione superando i vizi procedurali censurati, sì da verificare la spettanza del bene della vita anelato.
Proprio in ragione della funzione dell’ordinanza propulsiva, che si colloca all’interno del giudizio di legittimità di un provvedimento amministrativo, essa non può che avere come parametro di riferimento il medesimo canone sulla cui base viene scrutinata la legittimità dell’atto gravato. Sicché, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, l’Amministrazione, anche quando agisce in ottemperanza a un’ordinanza propulsiva, può tenere in considerazione i soli elementi introdotti nel procedimento prima dell’adozione del provvedimento impugnato.
Di quanto sopra tiene conto il giudice amministrativo nel decidere la controversia.
Fra procedimento amministrativo e processo amministrativo esiste infatti un’evidente differenza, che non consente di delinearli come un unicum privo di soluzione di continuità, anche in termini di risorse utilizzate.
Il primo è intestato a un soggetto che presenta nel proprio statuto la necessità di perseguire gli interessi pubblici affidatigli, è volto allo scrutinio della spettanza del bene della vita sulla base di un’istruttoria condotta d’ufficio e alla conseguente determinazione in ordine alla soddisfazione sostanziale della pretesa del privato.
Il secondo è svolto da un giudice terzo e imparziale, ha come oggetto di giudizio le modalità attraverso le quali l’Amministrazione ha esercitato il potere, si svolge nel rispetto del contraddittorio, del diritto di difesa e dell’onere della prova, con un’ampiezza di cognizione che esorbita dal solo provvedimento impugnato per abbracciare l’intero rapporto di diritto pubblico ma senza possibilità di attribuire direttamente il bene della vita, se non nei casi di attività vincolata, tale per cui il bene della vita risulta essere il diretto portato della legge.
Il giudice chiamato a valutare la legittimità del provvedimento impugnato non può, in particolare, che decidere la controversia valutando l’avvenuto rispetto dei suddetti canoni procedimentali. Sicché, in presenza di una sopravvenienza intervenuta dopo il termine di conclusione del procedimento, non può decretare l’illegittimità del provvedimento non essendo stata violata la legge che disciplina il medesimo: la legittimità di un atto amministrativo deve essere infatti esaminata in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (Corte cost., 28 ottobre 2021 n. 202).
Il sistema italiano, così come appena sopra delineato, risulta essere in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, atteso che garantisce una duplice occasione di scrutinio della pretesa del privato alla soddisfazione di un diritto fondamentale della persona.
In base alla giurisprudenza della Corte EDU, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali viene assicurata, anche nel caso di applicazione di sanzione penale secondo gli Engel criteria, allorquando il procedimento amministrativo o il processo, o tutti e due, assicurano il rispetto delle esigenze di equità e di imparzialità oggettiva di cui all'art. 6 della Convenzione, cioè che la decisione sia presa da parte di un organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, nell’ambito di un procedimento che garantisca la parità delle armi tra accusa e difesa e lo svolgimento di una udienza pubblica che permetta un confronto orale (Corte EDU, sez. II, 4 marzo 2014 n. 18640/10).
Sicché l’assenza di violazione dei diritti fondamentali si misura non in ragione della soddisfazione della pretesa del singolo, da raggiungere a tutti i costi anche alterando le regole ordinariamente vigenti, ma assicurando proprio il rispetto di quelle regole, purché informate ai canoni indicati dall’art. 6 della Convenzione EDU.
Non è estraneo a detta prospettiva il criterio dell’efficienza dell’azione pubblica e della scarsità della risorsa amministrativa, oltre che del bene giustizia.
Del resto, la tutela dei diritti fondamentali è assicurata, nell’ambito di un sistema complesso, connotato dall’avvenuto riconoscimento di numerosi diritti fondamentali e dalla varietà delle situazioni di debolezza che necessitano di ricevere tutela, da un organico e dinamico punto di equilibrio in cui vanno bilanciati e misurati in concreto i diritti sociali a prestazioni economicamente rilevanti.
L’attuazione dei diritti costituzionali finanziariamente condizionati, quali la pretesa di un giusto procedimento e il diritto a un equo processo, avviene attraverso il ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni assistiti da pari tutela costituzionale nonché con l’obiettiva disponibilità di risorse organizzative e finanziarie, con la precisazione che le esigenze relative all’equilibrio della finanza pubblica non possono assumere un peso preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto connesso all’inviolabile dignità della persona umana. In particolare, il bilanciamento non avviene direttamente tra risorse finanziarie e diritti, essendo piuttosto il risultato di una ponderazione tra diritti sulla base del principio dell’equilibrio di bilancio o comunque della disponibilità di risorse (Corte cost., 15 luglio 1994 n. 304).
In tale contesto la spendita di una risorsa oltre le regole di settore, chiedendo ad esempio all’Amministrazione di prolungare il procedimento per valutare elementi sopravvenuti, e al giudice di tenere conto di dette sopravvenienze, non è indifferente alla tenuta dell’intero sistema, alterando la predeterminata distribuzione delle risorse fra le diverse priorità e la valutazione delle concrete condizioni di fatto che hanno condotto il legislatore a comprimere le aspettative.
Non può infatti non apprezzarsi come la soddisfazione piena di una posizione soggettiva, con una spendita di risorsa pubblica ulteriore rispetto a quella predeterminata dal decisore politico nella disciplina di settore, seppur satisfattiva della pretesa del singolo, determina effetti negativi indiretti rispetto ad altre posizioni che aspirino a quella stessa tutela e che si vedano pregiudicate dall’utilizzo ultroneo di una risorsa scarsa. Con conseguenze negative sui diritti fondamentali di altre persone che necessitino contemporaneamente o successivamente della stessa risorsa. La situazione è resa ancora più evidente se si considera che il privato rimasto privo della risorsa amministrativa in quanto utilizzata al fine di soddisfare, oltre il termine, la pretesa di altri potrebbe essere in possesso, già a far tempo dal momento di presentazione della domanda, dei requisiti necessari per ottenere il bene della vita anelato, rimanendo in attesa della liberazione della risorsa destinata a valutare la posizione di colui che ha acquisito in un momento successivo alla conclusione del procedimento il requisito condizionante il provvedimento favorevole.
A ciò si aggiunge, quanto al sistema giustizia, che il meccanismo che rischia di delinearsi, oltre a determinare un allungamento del processo, rischia di incentivare la richiesta di tutela giurisdizionale al solo fine di prolungare la chance procedimentale di ottenere il bene della vita attraverso lo strumento dell’ordinanza propulsiva.
Piuttosto, a fronte di sopravvenienze fattuali rispetto al provvedimento impugnato è onere del privato, anziché prolungare il processo, chiedere un nuovo provvedimento all’Amministrazione, soluzione più rapida ed esente dai costi del processo.
Del resto il sistema è unico e vive di pesi e contrappesi posti in una relazione di reciproco e difficile equilibrio, tale per cui l’alterazione delle proporzioni e delle modalità di soddisfazione di uno di essi si riverbera sul sistema in generale.
Nella presente controversia peraltro, come già sopra illustrato, il caso si presenta in termini diversi rispetto a quelli sui quali si è pronunciato il Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 4467 del 2022 in quanto la sopravvenienza è venuta in essere dopo l’adozione del provvedimento assunto dall’Amministrazione in ottemperanza dell’ordinanza di riesame pronunciata dal Tar, sicché essa non potrebbe essere valutata se non adottando un’ulteriore ordinanza propulsiva, che rimetta in termini l’Amministrazione circa la possibilità di esercitare nuovamente il potere e di considerare la sopravvenienza.
D’altro canto, l’art. 34 comma 2 c.p.a., che impedisce al giudice amministrativo di pronunciarsi su poteri non esercitati, osta a che la sopravvenienza venga scrutinata direttamente nell’ambito del presente giudizio.
Nondimeno, per i motivi sopra esposti, il Collegio ritiene che detta sopravvenienza non possa rilevare nell’ambito del procedimento amministrativo concluso con il provvedimento impugnato, né, di conseguenza, nell’ambito del presente giudizio.
12.3. Il motivo non può quindi essere accolto.
13. In conclusione, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza gravata.
14. La novità della questione giuridica sottesa alla presente controversia, rispetto alla quale rileva il recente arresto del Consiglio di Stato sopra richiamato, giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del presente grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.