Questo, in sostanza, il nuovo arresto della Corte di Cassazione in materia.
La Corte d'Appello di Brescia riteneva sussistenti le condizioni per l'estradizione negli Stati Uniti di un cittadino tedesco arrestato mentre si trovava in vacanza in Italia. Alla base della decisione, vi era il mandato di cattura emesso dal Tribunale Distrettuale del Missouri per possesso e divulgazione di materiale pedopornografico scaricato sul PC dell'estradando.
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Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Brescia ha ritenuto sussistenti le condizioni per l'estradizione negli Stati Uniti d'America del cittadino tedesco S.M., arrestato, mentre si trovava in vacanza in Italia, il 2 settembre 2021 in relazione al mandato di cattura emesso il 4 novembre 2015 dal Tribunale Distrettuale del Missouri (USA) per possesso e divulgazione di materiale pedopornografico, scaricato fra il 6 e 17 novembre 2014 sul personal computer in uso all'estradando e in sua dotazione presso il College ove lavorava come docente.
2. Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il difensore del ricorrente chiede l'annullamento della sentenza impugnata per vizio di violazione di legge e vizi di motivazione, connessi anche alla mancata istruttoria sollecitata alla Corte di merito con memorie depositate il 19 novembre 2021 e 5 gennaio 2022. In particolare denuncia:
2.1. violazione del divieto di bis in idem, in relazione all'art. VI del Trattato sull'estradizione tra Italia e Stati Uniti d'America, all'art. 54 dell'Accordo di Schengen e all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, poiché i fatti per cui viene richiesta l'estradizione da parte degli Stati Uniti d'America sono i medesimi di cui al decreto di archiviazione del 5 marzo 2019 del Procuratore di Cottbus. La difesa, attraverso la produzione documentale, aveva allegato che S.M. nei primi mesi del 2015 si era "autodenunciato" presso la competente Procura della Repubblica Tedesca per il possesso del materiale, consegnando i propri dispositivi elettronici (un lap top e due dischi rigidi) e allegando che, sebbene svolgesse attività lavorativa in America, durante i soggiorni nel proprio Paese, aveva scaricato foto e video per la propria collezione personale, operazioni effettuate da siti che, nei propri disclaimers, rassicuravano gli utenti che le attrici raffigurate fossero maggiorenni, anche per i contenuti delle sezioni classificate come "teens". Dagli accertamenti del Procuratore tedesco era emerso che sui dispositivi erano pervenute 64 immagini di contenuto pedopornografico e 90 file cancellati. La Procura competente, ritenuto che non vi fosse prova che le immagini fossero riconoscibili come pornografia minorile e che, in ogni caso, la sua condotta non dovesse riitenersi idonea a suscitare l'interesse pubblico nel perseguimento penale, aveva disposto l'archiviazione del procedimento a carico del M.. La Corte di merito non ha escluso l'applicabilità del divieto di bis in idem ma, erroneamente, non ne ha ritemuto sussistenti i presupposti di fatto, escludendo che ricorresse identità dei fatti oggetto del procedimento tedesco e di quello americano. Erroneamente perché ha focalizzato la propria attenzione sulla diversità dei dispositivi (quelli americani, oggetto di sequestro nel procedimento ivi in corso) e quelli tedeschi, consegnati agli inquirenti dal M., diversità che non vale ad escludere la identità dei contenuti, conseguente alle operazioni di download in Germania ed alla "duplicazione" delle immagini per finalità di conservazione, su apparati diversi. Né la identità delle immagini è esclusa per il fatto che quelle trovate nei supporti consegnati agli inquirenti tedeschi fossero in numero maggiore, potendo, semmai, opporsi il contrario qualora queste immagini fossero state di numero inferiore. Ha poi richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sulla nozione di bis in idem internazionale e sulla configurabilità, in caso di provvedimento di archiviazione per ragioni di merito (e non meramente processuali) di un provvedimento suscettibile di integrare una pronuncia definitiva ai fini del divieto di bis in idem;
2.2. illegittimità dell'estradizione in presenza di un provvedimento di diniego dell'estradizione avanzata dagli Stati Uniti d'America da parte della competente autorità della Repubblica di Germania; la documentazione prodotta dalla difesa, suscettibile di integrazione a cura dell'autorità giudiziaria italiana, a tanto sollecitata, comprova la esistenza di un procedimento di estradizione avanzato dagli Stati Uniti d'America verso la Germania e sarebbe stato onere della Corte di appello acquisire la relativa documentazione, in presenza di atti che inequivocabilmente attestano l'avvio di un procedimento di estradizione (il verbale di arresto e la richiesta di informazioni del difensore del M.). Erronee sono le osservazioni della Corte territoriale che sovrappongono alla richiesta difensiva l'esito negativo del formale invito alla competente autorità tedesca ad attivare a favore dell'estradando la procedura prevista dalla sentenza Petruhhin;
2.3. violazione dell'art. X del Trattato di estradizione che richiede la completa allegazione della esposizione dei fatti con indicazione del tempo e del luogo del commesso reato, aspetti centrali nella vicenda in esame in cui rileva non la mera detenzione del materiale pedopornografico ma la ricezione ed eventuale distribuzione. Acquista, pertanto, assoluto rilievo la individuazione del tempo di commissione del reato e del suo luogo, che l'estradando colloca in Germania, e la corretta individuazione della sanzione poiché negli atti trasmessi a corredo della richiesta non è indicata la pena pecuniaria applicabile e presuntivamente ricostruita dalla Corte di appello;
2.4. violazione di legge, in relazione all'art. III del Trattato di estradizione tra Italia e Usa, in mancanza di elementi che consentano di accertare il luogo di consumazione del reato dal momento che, secondo il ricorrente, l'operazione di download è avvenuta in Germania, dunque fuori del territorio americano. Erronea la conclusione che la questione di giurisdizione dovrà essere accertata nel processo negli Stati Uniti d'America sia perché non è rilevante "l'origine" dei file (rilevando solo il luogo in cui essi sono stati scaricati e non quello di produzione, che resta incerto), sia perché l'art. III subordina l'estradizione, rispetto a reato commesso al di fuori del territorio degli Stati Uniti d'America, alla condizione che il reato sia punibile, secondo le leggi della Parte richiesta o se la persona richiesta è un cittadino della Parte Richiedente. Ad avviso del ricorrente la disposizione deve essere interpretata non nel senso che il fatto sia previsto come reato dalle leggi italiane ma che il fatto debba essere punito anche se commesso all'estero da cittadino straniero, ai sensi dell'art. 10 cod. pen. nel caso il reato, punibile ai sensi dell'art. 600-quater cod. pen. non rientra tra i reati comuni commessi dallo straniero all'estero sottoponibili alla giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 10 ed è pacifico che l'estradando non è cittadino italiano né statunitense; e, se commesso in Germania, M. non è estradabile perché non sussistono i presupposti che legittimano la giurisdizione statunitense;
2.5. violazione di legge, in relazione all'art. 705, comma 2, lett. a) cod. proc. pen. poiché, alla luce degli atti trasmessi, vi è ragione di presumere che il procedimento penale instaurato nei confronti dell'estradando non assicura il rispetto dei diritti fondamentali, alla stregua della genericità del capo di imputazione formulato - non vengono indicati numero di immagini rinvenute e il loro contenuto non essendovi la loro descrizione sommaria né sono specificate le modalità del download. Né la contestazione riceve maggiore chiarezza dal contenuto della richiesta di estradizione nella quale si aggiunge la presenza di un video, oltre alle immagini pedopornografiche. La descritta genericità si salda a quella relativa alla indicazione di tempo e luogo di commissione del reato e si risolve nella formulazione di un capo di accusa che contravviene ai principi di cui all'art. 6 CEDU, norma che elenca i diritti fondamentali dell'indagato e, fra questi, la informazione in modo chiaro e preciso sui motivi di accusa;
2.6. violazione dell'art. X, comma 3, lett. B) del Trattato di estradizione per mancanza di elementi che forniscano una base ragionevole per ritenere che la persona richiesta abbia commesso il reato per il quale viene domandata l'estradizione. Osserva il ricorrente che, dal contenuto della relazione sommaria dei fatti e delle prove, inoltrata a supporto dell'estradizione, non vi sono evidenze per ritenere accertato che il download delle immagini sia stato volontariamente eseguito o che l'estradando avesse consapevolezza della minore età delle persone ritratte nelle immagini scaricate che sono conservate tra migliaia di immagini erotiche contenute anche nella cartella intitolata "teens". E' più che ragionevole, in presenza di un numero così elevato di immagini, che si sia in presenza di un'operazione di download automatico che, accidentalmente ed involontariamente, ha riguardato anche immagini di minori. La criptazione era funzionale a garantire la riservatezza di tutto il materiale (e non solo delle immagini riguardanti minori) e non è, dunque, significativa nel senso ritenuto dalla Corte di appello. I disclaimers del sito utilizzato ((omissis); (omissis)) rassicurano gli utenti sull'età delle persone riprodotte nel senso che, anche quando sono indicate come adolescenti sono, in realtà, donne maggiorenni.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato perché proposto per motivi infondati.
2. La sentenza impugnata ha individuato gli elementi indiziari posti a carico del ricorrente ai fini delle verifiche di completezza e corrispondenza alle coordinate delle regole estradizionali.
2.1. Ha evidenziato, in particolare, che dalla dichiarazione resa da personale FBI si evince che l'indagine a carico del ricorrente era nata a seguito di una segnalazione effettuata in data 17 novembre 2014 dal Direttore dei servizi informatici ed amministrativi del College presso il quale M. lavorava che, nel corso di un'operazione di controllo del sistema, aveva rivenuto materiale pedopornografico in un drive collegato al pc portatile marca Dell in uso al M. e collegato alla rete del College. Il materiale incriminato veniva rinvenuto in una sottocartella (intitolata teens, adolescenti, situata all'interno di due cartelle criptate) e nella quale erano contenute migliaia di immagini pornografiche, alcune delle quali ritraenti minori di età compresa fra i dodici e i quattordici anni, impegnati in comportamenti sessualmente espliciti. Le verifiche eseguite su due drive (uno, marca Western Digitai e l'altro Fantom Drive) sequestrati al M., consentivano di rinvenire 33 immagini e un video a contenuto pedopornografico; 34 immagini erotiche rappresentanti bambini e quattro immagini di cartoni animati, ad analogo contenuto. Il M., al quale venivano contestati i fatti, rifiutava di sottoporsi ad interrogatorio.
2.2. La Corte di appello, premesso che il reato di quale si procede negli Stati Uniti d'America è riconducibile alla fattispecie di cui all'articolo 600-quater cod. pen., ha escluso che possa ravvisarsi il bis in idem tra i fatti per i quali si procede negli Stati Uniti e i fatti oggetto dell'indagine poi archiviata con provvedimento del 5 marzo 2019 del Procuratore di Cottbus, archiviazione disposta per colpevolezza minore in relazione alla quale non sussiste l'interesse al pubblico perseguimento. Ha, pertanto, ritenuto che l'esame delle produzioni rende evidente la non sovrapponibilità tra i fatti oggetto dei due procedimenti osservando che il procedimento tedesco era nato a seguito di autodenuncia del M., successiva all'avvio del procedimento negli Stati Uniti, determinato dal sequestro, nel novembre 2014, dei dispositivi informatici contenenti le immagini, ciò che esclude che possa trattarsi dei medesimi dispositivi consegnati all'autorità giudiziaria tedesca. Anche l'esame più mirato della documentazione conferma tale assunto non solo per la diversità dei devices ma anche perché il numero delle immagini incriminate nel procedimento davanti all'autorità giudiziaria tedesca è maggiore rispetto a quelli indicati negli atti statunitensi e, comunque, in relazione a detto materiale, non ne è esplicitato che si tratti di immagini strettamente afferenti "bambino e pornografia giovanile".
2.4. Né osta all'accoglimento della domanda di estradizione il mancato accoglimento di una procedura estradizionale che si sarebbe svolta presso l'Autorità federale tedesca di cui non si conoscono gli esiti. In ogni caso non è impedita una nuova autonoma valutazione da parte delle autorità italiane condotta sulla base della normativa interna di riferimento e della regolamentazione pattizia. Non rileva il disposto dell'articolo 707 cod. proc. pen. che si riferisce all'adozione di una sentenza favorevole di estradizione dopo l'emissione di una sentenza sfavorevole da parte dell'autorità italiana e, quindi, legittima la procedura estradizionale sulla base di una domanda che offra nuovi elementi di valutazione. Nè è applicabile, in materia di estradizione, il divieto di bis in idem in relazione all'art. 54 della Convenzione di Schengen, che opera in presenza di fatti sovrapponibili o comunque inscindibilmente collegati che abbiano dato luogo a procedimenti penali in due Stati contraenti, fattispecie per questa ragione estranea alle determinazioni assunte dall'uno e dall'altro Stato in materia estradizionale. Analogamente deve escludersi secondo la disciplina della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea che in ambito internazionale sussista la possibilità di invocare il principio del ne bis in idem in relazione alla estradizione. Infine, in applicazione dei criteri Petruhhin, la autorità giudiziaria tedesca aveva comunicato che non vi è interesse alla presentazione di richiesta di estradizione di M. dall'Italia alla Repubblica Federale di Germania.
3. Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte cli appello, benché suscettibili di alcune precisazioni, non possono essere riviste.
Il punto controverso della vicenda in esame è costituito dalla sussistenza del bis in idem che la difesa propone sotto due aspetti, uno - per così dire - sostanziale e l'altro derivante da un precedente diniego di estradizione del ricorrente dall'autorità giudiziaria tedesca (motivo sub 2.2). Le circostanze allegate a fondamento e presupposto di fatto del bis in idem, costituiscono la base degli ulteriori rilievi difensivi che concernono la sussistenza della giurisdizione degli Stati Uniti d'America (motivo sub 2.4) e la legittimità della contestazione formale - alquanto generica ed incerta, si sostiene - sia con riguardo agli elementi costitutivi della condotta che al tempo e luogo del commesso reato (motivi sub 2.3., 2.3. e 2.5.) posti a fondamento della domanda di estradizione e del procedimento in corso presso gli Stati Uniti d'America, incertezze, queste che incidono sul diritto di difesa di cui all'art. 3 CEDU. Il nucleo centrale della ricostruzione difensiva si innesta, infatti, sull'assunto che il materiale rinvenuto nei drive sequestrati dall'autorità giudiziaria statunitense, è stato originato dalle operazioni di download, con le quali il ricorrente si era procurato i file, operazioni eseguite in Germania mentre si trovava in vacanza nel suo paese di origine. Il materiale sequestrato dall'autorità giudiziaria americana, secondo tale ricostruzione, costituisce un mero duplicato, realizzato per finalità di conservazione, di quello scaricato in Germania che ha costituito oggetto del decreto di archiviazione del 5 marzo 2019 della Procura di Cottbus. Secondo la ricostruzione difensiva le fattispecie incriminatrici (italiana e statunitense) sanzionano le condotte di "ricezione" dei file pedopornografici (condotta che si realizza appunto con le operazioni di download) e non il mero possesso di tali file che, rispetto alla prima condotta, ne costituisce la mera progressione criminosa, penalmente irrilevante.
4. Con riguardo al primo aspetto della questione vale bene una premessa.
E' stata molto controversa, nella dottrina e nella giurisprudenza, la possibilità di configurare il divieto di bis in idem come principio generale di diritto, individuandone la fonte nei principi comuni agli ordinamenti interni.
Un diverso approccio ricostruttivo, configurando il divieto quale principio generale del diritto penale convenzionale e eurounitario, ne ha, invece, valorizzato la fonte costituita dalle convenzioni e trattati che ne hanno previsto la introduzione nella disciplina dei rapporti tra Stati sancendone l'operatività anche nei rapporti tra decisioni in materia penale adottate da organi giudiziari appartenenti ad ordinamenti giuridici diversi. Una linea di tendenza - si è detto anche nella giurisprudenza di legittimità - di un'evoluzione legislativa sempre più diffusa nel diritto internazionale, che aveva trovato espressione nell' art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e nell' art. 54 della Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.
E, proprio sulla base della interpretazione dell'art. 50 della Carta di Nizza, questa Corte ha affermato che, nell'ambito dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il principio del "ne bis in idem" si configura come garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo, anche nei confronti di uno Stato non appartenente alla UE, ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto nei confronti della stessa persona ed a prescindere dalla sua cittadinanza europea (Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268931). La sentenza ora richiamata negava l'estradizione verso la Turchia di una persona che era già condannata definitivamente in Germania, benché Stato terzo rispetto alla procedura, e in una materia che aveva un collegamento con quelle di competenza del diritto dell'Unione.
Soprattutto, la sentenza Resneli, ha ritenuto assodata non solo la diretta applicabilità, con prevalenza sulla normativa nazionale, delle norme dei Trattati, ma anche delle norme generalissime e di principio della Carta dei diritti fondamentali in forza dell'art. 52 par. 3 della Carta che prevede che il livello di tutela fissato dalla Cedu e dai suoi protocolli, secondo l'apprezzamento della Corte di Strasburgo, costituisce lo standard minimo di tutela dei corrispondenti diritti della Carta. Attraverso il richiamo all'art. 50 della Carta di Nizza, invero, conferendosi effetto diretto all'acquis giurisprudenziale in materia di art. 4 prot. 7 CEDU, si ritiene applicabile, da parte del giudice italiano, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in relazione al divieto di doppio giudizio, sempre che - beninteso - si versi nell'ambito di applicazione del diritto dell'UE, ai sensi dell'art. 51 della Carta.
L'esattezza delle conclusioni della sentenza Resneli ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha individuato la materia dell'estradizione del cittadino europeo carne materia di interesse del Trattato. "L'obiettivo perseguito dall'art. 54 della Carta, quale enucleabile dalla giurisprudenza, attraverso il divieto di bis in idem mira ad evitare, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che una persona giudicata con sentenza definitiva venga perseguita, per il fatto di esercitare la libera circolazione, per gli stessi fatti nel territorio di diversi Stati contraenti al fine di garantire la certezza del diritto attraverso il rispetto delle decisioni degli organi pubblici divenute esecutive, in assenza di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri. Occorre, a tal riguardo, interpretare l'art. 54 della Carta alla luce dell'art. 3, pgf. 2 del Trattato secondo il quale l'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne, tra l'altro, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima" (Corte di Giustizia, WS / Bundesrepublik Deutschland, C-505/19).
La Corte di appello ha ritenuto pacifica l’applicazione del divieto di bis in idem rispetto alla domanda di estradizione avanzata dagli Stati Uniti di America per processare il ricorrente, nel contesto di interpretazione dell'art. VI del Trattato italo-statunitense che, alla luce della legge n. 25 del 16 marzo 2009, costituisce, oggi, un atto complesso, nel quale è confluito sia il Trattato cli estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, che l'Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003. Ed ha ritenuto scontata la natura di decisione definitiva del decreto di archiviazione emesso il 5 marzo 2019 dalla Procura di Cottbus.
4.1. Tale conclusione è tutt'altro che pacifica nella giurisprudenza di questa Corte proprio con riferimento ai provvedimenti di archiviazione quando vengano in rilievo la natura e gli effetti del provvedimento sul quale ragguagliare la nozione di duplicazione ostativa alla nuova decisione (bis).
A tal riguardo è ricorrente nelle sentenze di questa Corte, nella interpretazione della nozione di ne bis in idem, con riferimento all'art. 54 della Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell'Accordo di Schengen, l'affermazione che il divieto di bis in idem opera nel diritto interno solo in presenza di un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato, quale non è il decreto di archiviazione emesso dall'autorità giudiziaria straniera (Sez. 2, n. 51221 del 15/06/2018, Feil Bernd, Rv. 275064; Sez. 2, n. 22566 del 08/05/2014, Varano, Rv. 259584; Sez. 1, n. 10426 del 02/02/2005, Boheim, Rv. 231602).
Le sentenze richiamate, in particolare Feil Bernd e Boheim, facevano riferimento a provvedimenti di archiviazione emessi dall'autorità giudiziaria tedesca, ritenuti irrilevanti, ai fini dell'applicazione del divieto, nei procedimenti in materia di responsabilità emessi dall'autorità giudiziaria italiana.
Ma non pervenivano a conclusione diversa le sentenze relative all'applicazione dell'art. 9 della Convenzione europea di estradizione del 1957, quindi direttamente pertinenti alla materia dell'estradizione, qui cli interesse. Si affermava, infatti, che in tema di estradizione per l'estero, l'avvenuta archiviazione in Italia di un procedimento penale, avente ad oggetto i medesimi fatti sui quali è fondata la domanda dello Stato richiedente, non costituisce causa ostativa alla concessione dell'estradizione poiché il provvedimento di archiviazione non costituisce "titolo" per radicare una non consentita duplicità di "giudizio" sui medesimi fatti di reato, giacché a tal fine la disposizione pattizia presuppone una decisione assunta "in via definitiva", cioè una sentenza di merito sulla regiudicanda passata in giudicato. Il che certamente non può dirsi per un decreto di archiviazione in un contesto in cui non sia mai stata esercitata alcuna azione penale nello Stato di consegna (Italia) per i reati oggetto dell'accusa mossa al consegnando nello Stato richiedente (Sez. 6, n. 41316 del 14/05/2010, Vigani, Rv. 248785; Sez. 6, n. 39.23 del 24/11/2015, dep. 29/01/2016, D'Ambrosia, Rv. 265911).
Lungo la stessa linea, sebbene con affermazioni di maggiore apertura, qualora il trattato di estradizione preveda espressamente la clausola del divieto di bis in idem, appare orientata una più recente decisione di questa Corte secondo cui, in tema di estradizione passiva, non è ostativa alla consegna l'archiviazione, disposta in uno Stato terzo, di un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti per i quali è stata avanzata la domanda estradizionale, sia perché trattasi di un provvedimento insuscettibile di dar luogo a giudicato, e, quindi, alla violazione del "ne bis in idem", sia perché il rispetto di tale principio assume valenza ostativa solo se espressamente previsto nel trattato di estradizione applicabile al caso concreto (Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020, S, Rv. 278709).
Diversamente, appariva incentrata su un giudizio di preclusione al rilievo del bis in idem una risalente sentenza, in materia di estradizione che esaminava, ritenendolo irrilevante ai fini del divieto di bis in idem, proprio un decreto di archiviazione emesso in Italia (Sez. 6, n. 41316 del 14/05/2010, Vigani, Rv. 248785) individuando la nozione di "decisione definitiva" in una sentenza di merito sulla regiudicanda passata in giudicato, statuizione che non può correlarsi a un decreto di archiviazione in un contesto in cui non sia mai stata esercitata alcuna azione penale nello Stato di consegna.
E' evidente che pesano, nelle decisioni fin qui richiamate, le caratteristiche specifiche dei provvedimenti giurisdizionali di riferimento troppo spesso parametrati, per verificarne la idoneità a costituire la res iudicata - dal cui rispetto trae origine il principio del ne bis idem - alle caratteristiche della legislazione nazionale e ricostruite sul modello della sentenza di merito passata in giudicato.
4.2. Con riguardo alla nozione di decisione definitiva, le conclusioni della giurisprudenza di legittimità non appaiono più condivisibili perché, invece, proprio attraverso il descritto sistema di integrazione (punto 4 del Considerato in diritto), deve essere applicata, nella materia dell'estradizione, la corrispondente nozione elaborata dalla Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia è stato lungo il percorso che ha condotto alla definizione di "decisione definitiva", essendo molto controverso il significato giuridico di ciascuno dei sintagmi che compongono la nozione.
Le più risalenti decisioni della Corte di Giustizia hanno riguardato l'operatività del principio in presenza di decisioni che dichiaravano la estinzione del procedimento penale (Corte di Giustizia, 11 febbraio 2003 C-187/01 e C-385/01, Gozutok e Brugge) e la prescrizione del reato (Corte di giustizia, 28 settembre 2006, C - 467 /05, Gasparini): nel primo caso la Corte affermava che una persona può godere dell'applicazione del principio anche quando una pronuncia non sia formalmente definitiva.
Sulla nozione di definitività appare particolarmente esplicativa la pronuncia della Corte di Giustizia Europea (29 giugno 2016, Kossowski, C 486/14) secondo la quale si considera che una persona ricercata sia stata oggetto di una sentenza definitiva per gli stessi fatti nel caso in cui, in esito a un procedimento penale, l'azione penale si sia definitivamente estinta o, ancora, qualora le autorità giudiziarie di uno Stato membro abbiano emanato una decisione di definitivo proscioglimento dell'imputato per i fatti contestatigli in precedenza ( 16 novembre 2010, Mantello, C 261/09). Con riferimento al termine "sentenza" (in realtà menzionato nell'art.3, punto 2 della Decisione Quadro 2002/584 relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri) la Corte di Giustizia ha affermato che il termine deve essere inteso in senso ampio con riguardo ad ogni decisione che chiuda definitivamente il procedimento penale in uno Stato membro, ancorché non adottata da un giudice con forma di sentenza (Zupanijski Sudu Zagrebu, C-268/17).
Particolarmente significativo il passaggio ricostruttivo della sentenza Kossowski (a prescindere dalla specifica problematica posta dalla clausola di esecuzione) in cui la Corte precisa che l'art. 54 dell'Accordo di Schengen deve essere interpretato alla luce dell'art. 50 della Carta di Nizza, desumendone l'operatività incondizionata del principio nel caso in cui il precedente procedimento si sia concluso con decisione che estingue definitivamente l'azione penale senza che siano state irrogate sanzioni. E' la lettera dell'art.54 che prevede l'applicazione del principio nei confronti di colui che sia stato «giudicato (non condannato) con sentenza definitiva», disposizione che va interpretata nel senso che il divieto di bis in idem operi quando l'azione penale sia definitivamente estinta, a seguito di esame nel merito, secondo il diritto dello Stato che ha pronunciato la prima decisione (cfr. anche Corte di Giustizia, 5 giugno 2014, M, C-398/12).
Il principio opera, dunque, indipendentemente dal fatto che tale decisione provenga da un giudice o che assuma la forma di una sentenza o che sia stata irrogata una sanzione (come già affermato nella decisione richiamata Gozutok e Brugge).
Rileva, conclusivamente, ai fini della operatività del principio che una persona ricercata sia stata oggetto di una sentenza definitiva per gli stessi fatti nel caso in cui, in esito a un procedimento penale, l'azione penale si sia definitivamente estinta o, ancora, qualora le autorità giudiziarie di uno Stato membro abbiano emanato una decisione di definitivo proscioglimento dell'imputato per i fatti contestatigli (Corte di Giustizia, 16 novembre 2010, Mantello, C 261/09).
La nozione di bis in idem è oggetto di risalente interpretazione anche della Corte di Strasburgo.
La sentenza della Corte Edu più recente (sentenza dell'8 luglio 2019, Mihalache e/Romania, ricorso n. 54012/10) appare, in questa materia, di particolare interesse perché, facendo applicazione delle coordinate internazionali (tra cui l'art. 14, par. 7, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, le regole generali di interpretazione della Convenzione di Vienna, l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, e l'art. 54 della Convenzione di attuazione dell'Accordo di Schengen), e delle decisioni della Corte di giustizia che si erano già espresse sulla questione, ha esaminato proprio l'aspetto della definitività della decisione.
Pur muovendo dall'affermazione che può considerarsi definitiva solo una decisione che abbia acquisito la forza della res iudicata, la Corte ha precisato che ciò si verifica, in particolare, quando una pronuncia assume il carattere dell'irrevocabilità, ossia quando "non sono disponibili ulteriori rimedi ordinari di impugnazione, o quando le parti hanno esaurito tali rimedi, o hanno lasciato scadere i relativi termini senza avvalersene"' (cfr. par. 37).
Secondo tale decisione, premesso che una duplicazione di procedimenti (bis), si concretizza solo ove venga avviato un secondo procedimento nei confronti di soggetti che per gli stessi fatti siano stati già destinatari di provvedimenti in via definitiva, la Corte ha escluso, da un lato, la necessità dell'intervento di un organo giudiziario (inteso come giudice terzo e imparziale) affinché un provvedimento possa assurgere a "decisione" e, dall'altro, ha riesaminato il significato delle nozioni di "assoluzione" e "condanna. Quanto alla necessità elle l'assoluzione o la condanna siano l'esito dello svolgimento di un vero e proprio procedimento penale di carattere giurisdizionale (innanzi ad un giudice terzo e imparziale), ad avviso della Corte Edu, ciò che realmente conta è che la decisione conclusiva venga presa da un organo che partecipi all'amministrazione della giustizia nell'ordinamento nazionale di riferimento e che quest'ultimo, sia competente, ai sensi del diritto interno, ad accertare ed eventualmente punire il comportamento illecito contestato ad un determinato soggetto. A supporto di questa interpretazione, viene richiamato l'approccio adottato dalla stessa Corte per valutare se i provvedimenti emanati all'esito di procedimenti qualificati come "amministrativi" dal diritto nazionale possano essere ritenuti idonei a produrre effetti sostanzialmente "penali", nel significato "autonomo" che tale termine assume nel contesto convenzionale. Alla stregua di tali argomenti, la Grande Camera esclude la necessità dell'intervento dell'organo giudiziario affinché un provvedimento possa assurgere a vera e propria "decisione". Quanto all'ulteriore questione concernente il significato dei termini "assolto" e "condannato", la Corte Edu ha precisato che tali espressioni implicano un accertamento della responsabilità penale dell'imputato sulla base di prove che siano idonee a motivare nel "merito" la decisione adottata e la fondatezza o meno della contestazione mossa.
Tale situazione ricorre, ad esempio, allorché l'autorità abbia irrogato una sanzione (sostanzialmente) penale nei confronti dell'autore dell'illecito, in quanto ciò presuppone, di norma, un accertamento della liceità della condotta contestata alla luce di tutte le circostanze del caso concreto.
Alla stregua della compiuta rassegna può affermarsi il seguente principio di diritto: «in tema di estradizione passiva, è ostativa alla consegna l'archiviazione, disposta in uno Stato terzo, di un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti per i quali è stata avanzata la domanda estradizionale, quando tale provvedimento sia stato adottato da un organo che partecipi dell'amministrazione della giustizia nell'ordinamento nazionale di riferimento, sia competente ad accertare, ed eventualmente a punire, il comportamento illecito sulla base delle prove raccolte, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e l'azione penale si sia definitivamente estinta».
4.3. Sulla scorta di queste coordinate e passando all'esame del caso di specie, il Collegio ritiene che il provvedimento della Procura di Cottbus emanato all'esito del procedimento svoltosi dinanzi all'autorità giudiziaria tedesca, promosso dall'autodenuncia del M., non possa essere considerato un mero ordine processuale di archiviazione del procedimento, bensì una vera e propria decisione di proscioglimento definitivo, posto che, ai sensi del diritto interno, la Procura tedesca, partecipa in generale all'amministrazione della giustizia penale nell'ordinamento tedesco; nel caso in questione, era certamente competente ad indagare sulla liceità della condotta contestata e la decisione ha applicato le pertinenti norme di diritto sostanziale dell'ordinamento giuridico interno effettuando le proprie valutazioni sulla base delle prove raccolte, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. Se è vero che la decisione di archiviazione non ha inflitto una sanzione di carattere punitivo, prevista nell'ordinamento, è anche vero che tale decisione è intervenuta sul merito dell'accertamento e si fonda sull'apprezzamento sostanziale di carenza dell'interesse punitivo. E tale decisione è definitiva perché non sono disponibili ulteriori rimedi ordinari di impugnazione e solo per effetto di un mutamento di circostanze la Procura potrebbe nuovamente riaprire il caso.
5. Cionondimeno ritiene il Collegio che, nel caso, in esame, non si sia in presenza dello stesso fatto.
E' accertato che negli Stati uniti d'America si procede a carico di S.M. per il reato di "possesso e divulgazione di materiale pedopornografico almeno dal 6 novembre 2014 e fino all'incirca al 17 novembre 2014 nella Contea di (omissis) ed in altre località del (omissis) del Missouri". Il materiale pedopornografico, secondo la richiamata relazione allegata al rinvio a giudizio ed alla richiesta di estradizione, era contenuto in un drive collegato al pc, a sua volta collegato alla rete del college, in due cartelle criptate una delle quali contenente una sottocartella intitolata "Teens" nella quale erano presenti migliaia di immagini pornografiche e fra queste 33 immagini pedopornografiche, 1 video a contenuto pedopornografico, 34 immagini erotiche raffiçI1uranti bambini, 4 immagini di cartoni animati a contenuto pedopornografico. La data della contestazione si riferisce, al confronto con le evidenze investigative, a quella della segnalazione a carico di M. partita il 17 novembre 2014 a seguito del rinvenimento del materiale, nel corso di operazioni di verifica del sistema del College, si indica come data di ricezione dei files quella del novembre 2014. Le risultanze finali dell'esame dei file sono contenute nell'informativa del 12 agosto 2015.
Secondo la contestazione a base della domanda di estradizione, il ricorrente è perseguito per il reato di possesso (la sentenza impugnata evidenzia la natura tralatizia della contestazione di divulgazione) di materiale pornografico relativo a minori, una condotta che, come hanno ben evidenziato nella sentenza impugnata, è punita, con la pena della detenzione fino a tre anni, dall'art. 600-quater cod. pen. italiano che incrimina sia la condotta di "procurarsi" che quella di detenzione di detto materiale.
Come anticipato, la difesa sostiene che tali files costituiscono il risultato (la progressione penalmente irrilevante) di mere operazioni di duplicazione di quelli che il ricorrente si era procurato attraverso Ile operazioni di download eseguite in Germania, operazioni, queste, a base del decreto di archiviazione emesso il 5 marzo 2019 dal Procuratore di Cottbus e nel quale si dà atto che i file incriminati si trovano nella cache del browser e corrispondono a due operazioni eseguite il 4 settembre 2013 e 28 agosto 2013, in questo caso risultato di un download automatico.
Nell'accezione che vi ha ascritto la Corte di merito, non sono esaustivi, per escludere la fondatezza dell'allegazione difensiva, la diversità dei drive (quelli consegnati all'inquirente tedesco e quelli sequestrati negli Stati Uniti d'America) e il numero dei file, che, nella domanda di estradizione, sono di numero minore, pur non essendo precisamente individuati con riferimento alla loro denominazione né alla provenienza (o data di scarico) o contenuto rispetto a quelli oggetto del provvedimento di archiviazione del 5 marzo 2019, peraltro, osserva la Corte di merito, non classificandole come strettamente afferenti a "bambino o pornografia giovanile".
Ma anche a prescindere dal numero di immagini detenute (nella documentazione allegata al procedimento svoltosi dinanzi all'autorità giudiziaria tedesca si parla di 64 immagini e di 90 file cancellati, rispetto alle 33 immagini pedopornografiche, 34 immagini erotiche raffiguranti bambini, 4 immagini di cartoni animati a contenuto pedopornografico indicati nella domanda di estradizione), ciò che appare decisivo al Collegio, per escludere che ci si trovi in presenza del medesimo materiale, è la presenza, fra quelli per i quali è stata avanzata domanda di estradizione, di un file video che non è pi-esente nel decreto di archiviazione e nel rapporto di analisi tedesco (peraltro incompleto, perché privo nella traduzione italiana dell'ultima pagina).
In relazione ai reati in materia di traffico di materiale pedopornografico, costituisce, ad avviso del Collegio, un elemento strutturale di rilievo preminente ai fini della applicazione del divieto di bis in idem, che le condotte dei procedimenti diversi abbiano ad oggetto il medesimo materiale, condizione che non sussiste quando le immagini, sebbene appartenenti alla medesima categoria, siano diverse: oggetto del reato sono, infatti, le rappresentazioni specifiche, risultato dell'uso dei minori, e non il loro supporto, fisico o digitale. La disposizione di cui all'art. 600-quater cod. pen., punisce non solo le condotte di "ricezione" del materiale - secondo la erronea ricostruzione difensiva di cui al punto sub 2.3 dei motivi - ma anche il mero possesso del materiale, analogamente alla legislazione degli Stati Uniti d'America, posta a base della contestazione.
Nel sistema italiano la disposizione di cui all'art. 600-quater cod. pen. costituisce una norma di chiusura, a carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa di produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento, per la cui sussistenza è richiesta la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione. La norma di cui all'art. 600-quatercod. pen. è il risultato della necessità di conformare l'ordinamento interno alle previsioni internazionali e, in particolare, alla Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. Con tale atto normativo, l'Unione europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell'uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un'educazione ed uno sviluppo armoniosi (par. 4 dei "considerando"), essendo particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo Internet. In questo contesto, sono state dettate regole minime a cui gli Stati membri avrebbero dovuto attenersi, e alle quali la disciplina italiana si è uniformata nel corso del tempo con la legge 10 gennaio 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno). La disciplina valorizza la punizione delle condotte a monte, di produzione del materiale, ma, più in generale è diretta a colpire il "mercato" della "pornografia minorile", che si colloca a valle dell'attività di produzione e ne rappresenta lo sbocco, sul piano economico. Anche nella fattispecie di cui all'art. 600-quater cod. pen. oggetto del reato è "l'uso del minore nella produzione di materiale pedopornografico", uso che ne compromette l'immagine, la dignità e il corretto sviluppo sessuale qualificando la condotta in termini di offensività. Ne consegue che, necessariamente, l'oggetto giuridico del reato di cui all'art. 600-quater cod. pen. va individuato nella specifica immagine oggetto della rappresentazione.
Pur nel descritto contesto della genericità delle indicazioni sulla denominazione o altre caratteristiche tecniche dei file oggetto di sequestro negli Stati Uniti d'America e sulle modalità di creazione, se attraverso operazione di download o mera duplicazione di un file già detenuto, la detenzione del file video è comunque sufficiente ad escludere la fondatezza dell'eccezione del bis in idem.
Non ha pregio la evocata genericità di tale documento che non solo reca un titolo autoevidente sull'età della protagonista ("(omissis)") ma il cui contenuto è efficacemente indicato nella relazione di accompagnamento che descrive comportamenti sessualmente espliciti delle rappresentazioni, analizzate anche tramite il sistema CRIS che ha accertato che si tratta di immagini tratte da serial che rappresentano vittime minorenni coinvolte in pedopornografia creata al di fuori degli USA ossia Germania, Italia e Brasile. Il video era contenuto non già in una cartella "di servizio" ma in una sottocartella creata dall'utente (protetta da altre cartelle criptografate) e significativamente intitolata "Teens".
Ancora. La presenza certa di tale file video tra le "immagini" oggetto del procedimento americano, incrina e smentisce la valenza della ricostruzione difensiva (sulla medesimezza del materiale) e avvalora, invece, la ricostruzione posta a base delle accuse elevate nel procedimento per il quale è richiesta l'estradizione sulla provenienza del materiale in quanto "scaricato" pochi giorni prima del controllo, elementi che, come precisato in prosieguo, devono essere esaminati non nella prospettiva della prova di colpevolezza ma di una base ragionevole per la sottoposizione a processo.
Non vi è motivo, dunque, ai fini della verifica dei presupposti dell'estradizione, per discostarsi dalla contestazione posta a fondamento della richiesta di estradizione e dei dati di fatto (su tempus e focus commissi delicti) enunciati nella contestazione, saldamente ancorati a dati fattuali (il possesso dei file su drive personali), che non sono seriamente contestati e che sono compitamente descritti, integrando la base ragionevole ai fini dell'accoglimento della richiesta di estradizione.
6. Appare opportuno, a questo punto, esaminare anche i motivi sub 2.5 e 2.6, che sono privi di pregio.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in tema di estradizione per l'estero, l'autorità giudiziaria italiana, ai fini della verifica della "base ragionevole" necessaria per ritenere che l'estradando abbia commesso il reato, prevista dall'art. X, par. 3, lett. b), del Trattato di estradizione con gli Stati Uniti d'America del 1983, non è tenuta a valutare autonomamente la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma deve soltanto verificare che la relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda, consenta di ritenere probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l'estradando abbia commesso il reato in questione (così, tra le altre, Sez. 6, n. 11947 del 15/01/2019, Hernandez, Rv. 275293; Sez. 6, n. 5760 del 04/02/2011, Anokhin, Rv. 249455; Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Yarrington, Rv. 272766; Sez. 6, n. 42777 del 24/09/2014, Francisci, Rv. 260431). Nel caso di specie la Corte di appello di Brescia ha indicato, con motivazione congrua, che va esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicità, gli elementi che rendono ragionevolmente probabile la configurabilità dei reati. La Corte di appello ha escluso che nella documentazione trasmessa si evidenzino lacune investigative avendo illustrato, sulla base della documentazione trasmessa dallo Stato richiedente l'estradizione, come il ricorrente detenesse, sui device a lui in uso e in apposite cartelle crittografate, il materiale pedopornografico che era stato individuato, ad una prima analisi compiuta dal servizio di sicurezza del College, sul drive collegato alla rete dell'istituto. In tale ottica, vanno disattese le censure formulate con il ricorso tendenti sostanzialmente a sollecitare da parte del giudice italiano una inammissibile valutazione degli elementi di conoscenza a disposizione comparandoli con quelli di segno contrario allegati dalla difesa, secondo uno standard parificabile a quello necessario per accertare l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato.
Come anticipato, la documentazione prodotta, relativa al procedimento svoltosi in Germania, non ha attestato, in termini inconfutabili, che il materiale trovato nei drive in America costituisse la mera duplicazione di quello, alcuni mesi prima, scaricato in Germania, anzi la presenza del file video (che non compare nei file oggetto dell'archiviazione), compromette la tenuta logica della linea difensiva, né sono presenti, in ragione delle concrete modalità di conservazione del materiale, elementi idonei a dimostrare in maniera chiara ed incontrovertibile l'innocenza dell'incolpato, che consentano di superare il giudizio espresso in ordine alla sussistenza delle ragioni per le quali, nella prospettiva dello Stato richiedente, è stata ritenuta probabile la commissione dei reati ascritti all'estradando (in tale ottica cfr. Sez. 6, n. 40552 del 25/09/2019, Trintade, Rv. 2.77560; Sez. 6, n. 16287 del 19/04/2011, Xhatolli, Rv. 249648).
Non possiedono efficacia dirimente, nell'ottica proposta dalla difesa, le ulteriori circostanze inerenti alle modalità di conservazione (l'imputato collezionava migliaia di file di contenuto pornografico tra i quali le poche decine, con contenuto pedopornografico); o alla mancanza di consapevolezza del preciso contenuto dei file e, anzi, alle rassicurazioni contenute nei disclaimer dei siti porno dai quali il ricorrente scaricava il materiale di interesse: è sufficiente in questa sede rilevare come nella relazione di accompagnamento della domanda di estradizione sia stato espressamente sottolineato che il materiale possedeva carattere intrinsecamente pedopornografico.
7. Passando all'esame del secondo motivo di ricorso, premesso che il principio del ne bis in idem convenzionale non riguarda anche le valutazioni processuali, essendo espressamente riferito alle valutazioni sulla responsabilità per i fatti reato, risulta generica la deduzione difensiva sulla preclusione ad attivare la procedura estradizionale in Italia per la (supposta) esistenza, in Germania, di un provvedimento che aveva rifiutato l'estradizione di S.M.. La richiesta di un supplemento istruttorio, a cura della Corte di appello, appare funzionale ad una verifica meramente esplorativa. Le allegazioni difensive e la documentazione prodotta sono, infatti, del tutto inidonee a comprovare l'avvio di una procedura estradizionale dal momento che è stata prodotta unicamente la comunicazione di arresto dell'Interpol che non è univocamente significativa della esistenza di una procedura estradizionale e una richiesta di esame degli atti, anche questa caratterizzata da intrinseca genericità. In poche parole non vi è traccia, nella documentazione prodotta, dell'inizio di una procedura estradizionale del M. in Germania, essendo comunque vago ogni riferimento al suo esito.
8. Dalla ricostruzione compiuta al punto 5. del Considerato in diritto consegue la manifesta infondatezza del motivo di ricorso sub punto 2.4., relativo all'eccezione di giurisdizione, di cui non è ravvisabile il presupposto costitutivo dell'allegazione difensiva, che il reato sia stato commesso fuori del territorio degli Stati Uniti d'America. Secondo il ricorrente, infatti, il reato è stato commesso in Germania, luogo in cui è stata effettuata l'operazione di download delle immagini con la conseguenza che essendo stato commesso il reato al di fuori del territorio degli Stati Uniti d'America la parte richiesta ha il potere di concedere l'estradizione solo se le sue leggi prevedono la punibilità di tale reato, in quanto commesso all'estero, o se la persona richiesta è cittadino dello Stato richiedente. Sostiene il ricorrente che, non essendo M. cittadino americano, l'Italia potrebbe concedere l'estradizione alle condizioni previste dall'art. 10 cod. pen. che, cioè, si tratti di reato perseguibile in Italia commesso all'estero da cittadino straniero.
Solo per completezza deve aggiungersi che le norme in materia di estradizione non prevedono che, in caso di procedura di estradizione passiva processuale, l'autorità giudiziaria italiana possa rifiutare la consegna sulla base di una rinnovata verifica della esistenza del potere giurisdizionale spettante all'autorità giudiziaria straniera che ha emesso il provvedimento posto in esecuzione (v., negli stessi termini ( Sez. 6, n. 17835 del 21/05/2020, Korshunov, non massimata; n. 30642 del 22/10/2020, Bianchi, Rv. 2798489).
8. Il motivo di ricorso, peraltro formulato in termini generici, sulla illegalità della pena applicabile negli Stati Uniti, è infondato, in quanto la decisione adottata dal giudice territoriale è conforme all'insegnamento esegetico contenuto negli arresti della giurisprudenza di questa Corte, in base ai quali si è affermato che, in tema di estradizione richiesta dagli Stati Uniti d'America, secondo il regime disciplinato dal Trattato bilaterale di estradizione del 1983, solo la possibilità che venga comminata una pena detentiva a vita che comporti un rischio reale di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, contrari all'art. 3 CEDU, costituisce circostanza ostativa all'emissione di una sentenza favorevole (in questo senso Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Yarrington, Rv. 272767; conf. Sez. 6, n. 11947 del 15/01/2019, Hernandez, cit.).
E', dunque, irrilevante in questa sede che il trattamento sanzionatorio previsto, con riferimento al limite edittale massimo, dall'ordinamento penale statunitense per i reati addebitati all'odierno ricorrente, senza raggiungere connotati di assoluta irragionevolezza, sia abbastanza severo: in quanto è certo come tale circostanza rilevi esclusivamente ai fini delle valutazioni discrezionali spettanti all'autorità ministeriale (così, tra le molte, Sez. 6, n. 2037 del 05/12/2018, dep. 2019, Huang, Rv. 275424; Sez. 6, n. 5747 del 09/01/2014, Homm, Rv. 258802); né, ai fini del giudizio di irragionevolezza, rileva l'entità della pena pecuniaria.
9. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui al l'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.