Non sussiste l'aggravante della violenza sulle cose in caso di elusione temporanea dell'efficacia di uno strumento antitaccheggio che può essere riutilizzato senza la necessità di un ripristino.
Il Giudice di seconde cure riformava la sentenza di primo grado con la quale l'imputata era stata ritenuta responsabile di avere prelevato dai banchi di vendita di un negozio di abbigliamento alcuni capi, di averne rimosso le placche antitaccheggio servendosi di un magnete e di aver così compiuto atti idonei e diretti inequivocabilmente ad impossessarsi della merce, condotta non andata a buon fine grazie all'intervento dei dipendenti del negozio.
Considerando che la Corte territoriale aveva riformato la decisione solo in termini di trattamento sanzionatorio, ritenendo sussistente l'aggravantedi cui all'
Con la sentenza n. 27625 del 15 luglio 2022, la Corte di Cassazione dichiara il suddetto motivo di ricorso fondato, precisando la nozione di “violenza sulle cose”.
Come osservano gli Ermellini, tale nozione è illustrata nell'
Ciò posto, nella vicenda in esame, mentre la difesa riteneva che l'aggravante della violenza sulle cose non potesse ritenersi integrata perché le placche antitaccheggio erano state solamente rimosse servendosi di un magnete, la Corte territoriale d'altra parte aveva ritenuto che la rimozione avesse comunque determinato un mutamento strutturale del bene, il quale da cosa dotata di sistema di sicurezza si era trasformata in cosa priva di sistema di sicurezza.
A tal proposito, la Cassazione chiarisce la differenza tra manomissione e manipolazione della cosa diversa da quella sottratta, la quale si coglie in relazione alla possibilità di riutilizzare pienamente il bene senza ripristino, in conformità alla sua destinazione d'uso originaria. Dunque, nel caso in esame, l'aggravante contestata alla ricorrente non può dirsi sussistente perché le placche antitaccheggio, non essendo state danneggiate, potevano ben essere riutilizzate.
Il dispositivo, infatti, non è incorporato nel bene che è stato sottratto, visto che quest'ultimo può essere utilizzato solo una volta che le placche siano state rimosse e, a seguito del pagamento, le stesse non vengono consegnate all'acquirente, restando nella disponibilità del venditore.
Tenuto conto, dunque, del fatto che la violenza sulle cose non è integrata dall'elusione temporanea dell'efficacia di uno strumento antitaccheggio che possa essere riutilizzato senza la necessità di un ripristino, la Cassazione conclude annullando la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui al n. 2, comma 1,
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 2 marzo 2021, la Corte di appello di Torino ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza con la quale, il 19 febbraio 2019 il Tribunale di Novara aveva ritenuto C.B. responsabile del reato di cui agli artt. 56, 110, 624, 625 n. 2 cod. pen., commesso il 3 settembre 2014. La B. (cui e stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale) è stata ritenuta responsabile - in concorso con altra persona giudicata separatamente - di aver prelevato dai banchi di vendita di un negozio capi di abbigliamento da bambino del valore di € 270,00, di aver rimosso le placche antitaccheggio con l'ausilio di un magnete e di avere così compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della merce, non riuscendo nell'intento per l'intervento dei dipendenti dell'esercizio commerciale.
2. Contro la sentenza, la B. ha proposto tempestivo ricorso, per mezzo del proprio difensore, lamentando violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui all'art.625 n. 2 cod. pen.
La difesa sostiene: che le placche antitaccheggio furono rimosse senza alcun danno e, quindi, senza adoperare violenza; che la rimozione avvenne utilizzando un magnete e potrebbe quindi integrare al più l'aggravante (non contestata) dell'uso di mezzo fraudolento; che, esclusa la aggravante della violenza sulle cose, la condanna sarebbe stata possibile solo per violazione dell'art. 624 cod. pen. e a condizione di ritenere validamente proposta la querela presente in atti, sottoscritta da un dipendente dell'esercizio commerciale.
3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato e il secondo motivo ne risulta assorbito.
2. La nozione di «violenza sulle cose» è delineata a livello normativo dall'art.392, secondo comma, cod. pen., che la ritiene sussistente «allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione». Perché si possa parlare di violenza sulle cose, dunque, non è necessario che vi sia stato un danneggiamento del bene; è necessario, tuttavia, che esso sia stato trasformato o ne sia stata mutata la destinazione. Muovendo da queste premesse, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'aggravante della violenza sulle cose sia integrata ogniqualvolta il soggetto, per commettere il reato, «fa uso di energia fisica diretta a vincere, anche solo immutandone la destinazione, la resistenza che la natura o la mano dell'uomo hanno posto a riparo o difesa della cosa altrui» (cfr. Sez. 5, n. 53984 del 26/10/2017, Amoroso, Rv. 271889; Sez. 5, n. 641 del 30/10/2013, dep. 2014, Eufrate, Rv. 257949).
Secondo la difesa, nel caso di specie l'aggravante contestata non potrebbe ritenersi sussistente perché le placche antitaccheggio non furono danneggiate, ma rimosse e, per rimuoverle, non fu usata energia fisica, ma ci si avvalse di un magnete. Secondo la Corte territoriale, la rimozione delle placche antitaccheggio determinò comunque un mutamento strutturale del bene, che «da cosa dotata di sistema di sicurezza» si trasformò in «cosa priva di sistema di sicurezza». La Corte di appello osserva inoltre che, attraverso l'uso del magnete, fu manomesso il funzionamento della placca antitaccheggio mutandone la destinazione e impedendole di assolvere alla propria funzione di protezione della merce esposta in vendita; funzione che avrebbe dovuto svolgere «fino al momento della legittima rimozione» da parte della cassiera.
3. La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che l'aggravante della violenza sulle cose sia ravvisabile anche quando l'energia fisica non sia rivolta direttamente sul bene che si vuole sottrarre, ma verso lo strumento posto a sua protezione (cfr. Sez. 5, n. 33898 del 12/06/2017, Temelie, Rv. 270478; Sez. 2, n. 3372 del 18/12/2012, dep. 2013, Moisescu, Rv. 254782; Sez. 4, n. 14780 del 14/02/2006, Navarrete, Rv. 234030). Richiede, tuttavia, che la condotta dell'agente debba aver prodotto qualche conseguenza sul bene oggetto della sottrazione o sullo strumento posto a protezione dello stesso determinandone la rottura o il guasto o il danneggiamento o la trasformazione oppure mutandone la destinazione (cfr. Sez. 5, n. 20476 del 17/01/2018, Sforzato, Rv. 272705; Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 279042).
La sussistenza dell'aggravante è stata conseguentemente esclusa quando l'energia spiegata non abbia determinato la manomissione del bene o dello strumento destinato a proteggerlo, ma si sia risolta in una semplice manipolazione che non rendeva necessaria alcuna attività di ripristino (cfr. Sez. 4, n. 57710 del 13/11/2018, Vales, Rv.274771). Si muovono in questa linea interpretativa numerose sentenze che hanno ritenuto non provata la aggravante: in un caso in cui i giudici di merito avevano omesso di verificare se un nastro di nylon che impediva l'accesso ad un locale nel quale era stato commesso un furto fosse stato strappato o semplicemente sollevato (Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 279042); in un caso in cui l'imputato aveva colpito con calci il portone d'ingresso di un'abitazione, ma non si erano accertate le conseguenze di questa azione sul bene (Sez. 5, n. 20476 del 17/01/2018, Sforzato, Rv. 272705); in un caso in cui l'energia fisica diretta ad aprire una serratura non aveva prodotto alcun danno sulla medesima che aveva mantenuto l'idoneità alla funzione (Sez. 4, n. 57710 del 13/11/2018, Vales, Rv.274771).
Ad analoghe conclusioni si è giunti, di recente, in un caso nel quale era ignoto se il dispositivo antitaccheggio, rimosso per sfilamento dalla merce protetta, fosse stato danneggiato o fosse invece riutilizzabile mediante una nuova applicazione. Si è sottolineato, in proposito, che «la differenza fra manomissione e manipolazione della "cosa" diversa da quella sottratta [...] si coglie in relazione alla possibilità del suo "pieno riutilizzo senza ripristino", in conformità dell'originaria destinazione d'uso, con conservazione dell'idoneità allo sviluppo della funzione che le è propria» (Sez. 4, n. 10783 del 14/01/2020, La Manna, Rv. 278652, pag. 5 della motivazione). Si è concluso, pertanto, che non possa ritenersi sussistente l'aggravante di cui all'art. 625 n. 2 cod. pen. - neppure nella forma, meno invasiva, del mutamento di destinazione - quando i dispositivi antitaccheggio siano stati rimossi senza essere danneggiati e sia possibile riutilizzarli.
4. La Corte territoriale sostiene che il sistema di sicurezza posto a protezione di un bene (nel caso di specie, la placca antìtaccheggio) può essere considerato una «componente intrinseca» della cosa sicché, rimuovendolo, la si trasforma «da "cosa dotata di sistema di sicurezza" a "cosa priva di sistema di sicurezza"». Questo è certamente vero per alcuni sistemi di sicurezza che si incorporano col bene costituendone parte integrante: la serratura, ad esempio, è componente intrinseca di una porta; il bloccasterzo è parte del sistema di accensione di un veicolo. Quando un bene è protetto da placche antitaccheggìo, però, non v'è alcuna incorporazione tra quel bene e il sistema di protezione che vi è stato apposto dal venditore. Perché il bene possa essere utilizzato, infatti, le placche antitaccheggio devono essere rimosse e, dopo il pagamento, non vengono trasferite all'acquirente, ma restano nella disponibilità del venditore.
Non può essere condiviso neppure l'ulteriore argomento utilizzato dalla Corte di appello di Torino, secondo il quale una placca antitaccheggio può considerarsi manomessa, per mutamento della sua destinazione d'uso, sol perché rimossa da un soggetto non legittimato. La rimozione di uno strumento posto a protezione della proprietà, infatti, ne vanifica l'efficacia, ma non ne muta la funzione se non nel caso in cui, per effetto della rimozione, quello strumento non sia più utilizzabile. Il Collegio condivide - e ritiene perciò di dover ribadire - l'orientamento espresso dalle sentenze secondo le quali l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, prima parte, deve essere esclusa quando l'energia spiegata non determina la manomissione del bene o dello strumento destinato a proteggerlo, ma sì risolve in una semplice manipolazione che non rende necessaria alcuna attività di ripristino.
Quando l'uomo predispone strumenti a protezione del diritto di proprietà su un bene, quegli strumenti non diventano per ciò stesso una «componente intrinseca del bene», che mantiene la propria identità funzionale. Non è quindi possibile sostenere - come fa la sentenza impugnata - che la rimozione dei sistemi di sicurezza comporti sempre una trasformazione della cosa protetta da quei sistemi. Una tale trasformazione si verifica solo quando il sistema di protezione sia incorporato al bene e ne costituisca parte integrante, ma non è conseguenza necessaria della rimozione del presidio antitaccheggio: una rimozione che ha l'effetto di eludere il funzionamento del presidio, ma non lo trasforma e non ne muta la destinazione se non lo danneggia, non lo rende inservibile, non ne rende indispensabile la riparazione.
Peraltro, eventuali attività elusive dell'efficacia dei presidi di protezione che non richiedano l'esercizio di energia fisica - se caratterizzate da «marcata efficienza offensiva e [ ...] da insidiosità, astuzia, scaltrezza, volta a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa della cosa» - possono avere rilevanza nel definire il grado di disvalore del fatto ai sensi dell'art. 625 comma 1 n. 2 cod. pen., seconda parte, essendo possibile, in questi casi, ritenere integrata la diversa aggravante dell'uso di un mezzo fraudolento (sul punto Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974).
5. Con la sentenza n. 40354/2913, le Sezioni unite hanno opportunamente sottolineato che anche in relazione alle circostanze aggravanti si pone «un problema interpretativo volto a cogliere nel lessico legale una portata che esprima fenomenologie significative, che giustifichino l'accresciuta severità sanzionatoria». Anche se non concorrono all'individuazione dell'offesa tipica, infatti, le circostanze aggravanti assumono rilevanza ai fini della definizione del grado di disvalore del fatto sicché, nell'interpretarle, si deve «assicurare che l'incremento di pena sia proporzionato al grado dell'offesa o, in una prospettiva più ampia, conformata sulle peculiarità della fattispecie aggravata, alle modalità dell'aggressione del bene protetto o all'intensità dell'atteggiamento interiore» (così testualmente pag. 9 della motivazione).
Ne consegue che, nell'interpretazione dell'aggravante dell'uso della violenza sulle cose (come in quella dell'uso del mezzo fraudolento cui la sentenza citata si riferisce), occorre ispirarsi ad un approccio ermeneutico di rigore tenendo in considerazione i tratti caratteristici, le finalità della aggravante, la portata del relativo trattamento sanzionatorio. Non si può ignorare, poi (perché significativa del particolare disvalore che il legislatore attribuisce all'aggravante in esame) la disposizione dell'art. 380, comma 2, lett. e) cod. proc. pen. in base al quale - salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 4 cod. pen. - per chi è sorpreso nella flagranza di un furto aggravato dall'uso di violenza sulle cose l'arresto è obbligatorio. Muovendosi nell'ambito di queste coordinate ermeneutiche, la trasformazione e il mutamento della destinazione che, ai sensi dell'art. 392 comma 2 cod. pen., integrano (al pari del danneggiamento) una violenza sulle cose penalmente rilevante, devono connotare in termini di particolare gravità la condotta finalizzata alla sottrazione e, perciò, devono avere carattere di stabilità. Ne consegue, che la violenza sulle cose non è integrata dalla temporanea elusione dell'efficacia di uno strumento antitaccheggio che possa essere riutilizzato senza bisogno di attività di ripristino.
6. Poiché non chiarisce se le placche antitaccheggio - rimosse con l'aiuto di un magnete - fossero state danneggiate, rese inservibili o dovessero essere riparate, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al punto concernente la sussistenza della aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 2, prima parte, cod. pen. Ne consegue la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Il secondo motivo di ricorso, che riguarda la ritualità della querela presente in atti, è assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 625, co. 1, n. 2, cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino.