
È quanto ha stabilito la Suprema Corte pronunciando un nuovo principio di diritto.
Svolgimento del processo
1. Alessandro G. T. ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe (con la quale la Corte di appello di Roma ha confermato la sua condanna in ordine ai reati di cui agli artt. 640 e 479 cod. pen. alla pena ritenuta di giustizia dal Tribunale di Roma), deducendo violazione di leggi e vizi di motivazione:
I - l'autenticazione di una scrittura privata non costituirebbe atto pubblico, e la sua falsità ideologica non potrebbe conseguentemente integrare il delitto di cui all'art. 479 cod. pen. ("in ossequio al principio di tassatività della legge penale e del divieto di analogia, quindi, non è possibile applicare al caso in esame il delitto di cui agli artt. 48 e 479 c.p.; la mancanza della natura di atto pubblico nell'atto in questione - autentica di firma - nonché [del]la previsione del fatto in altra fattispecie penale, impediscono che il T. possa essere giudicato penalmente responsabile per il reato così come contestato al capo B di imputazione": pag. 4 s. del ricorso);
II - la sentenza impugnata non avrebbe indicato la condotta posta in essere ex art. 48 cod. pen. al fine di trarre in inganno il notaio rogante;
III - sarebbero state riconosciute in favore dell'imputato le circostanze attenuanti generiche senza operare alcuna riduzione di pena, e sarebbe, inoltre, eccessivo l'aumento operato per la continuazione tra i reati accertati.
1.1. Nelle more della decisione della Settima sezione di questa Corte, è stata presentata memoria che reitera i motivi di ricorso, rivendicandone l'ammissibilità.
1.2. Altra memoria difensiva è stata presentata all'odierna udienza.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivi in parte manifestamente infondati, in parte non consentiti.
1. Secondo il pacifico orientamento di questa Corte, che il collegio condivide e ribadisce (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv. 278719 - 01), il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art. 611 cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse.
1.1. Per tale ragione, non potrà tenersi conto della memoria difensiva depositata nell'interesse dell'imputato all'odierna udienza pubblica.
2. Ciò premesso, deve rilevarsi che i tre motivi di ricorso risultano tutti dedotti per la prima volta in sede di legittimità, non anche come motivi di appello, pur potendo già essere in sede di gravame dedotti.
2.1. Risultano, pertanto, prima facie non consentiti il secondo ed il terzo motivo, con riferimento ai quali è opportuno, rispettivamente, precisare che:
- (secondo motivo) l'atto di appello conteneva doglianze riguardanti unicamente la presunta carenza di dolo, non anche la - oggi per la prima volta dedotta - asserita mancata indicazione della condotta posta in essere ex art. 48 cod. pen. al fine di trarre in inganno il notaio rogante;
- (terzo motivo) la pena concretamente irrogata sarebbe al più asseritamente illegittima, ma non illegale, con la conseguenza che, rientrando essa nei limiti edittali astratti previsti per i reati contestati, l'eventuale errore del giudice di merito nella determinazione della misura della riduzione di pena conseguentemente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche integrerebbe un'ipotesi di violazione di legge che, non essendo stata dedotta nell'atto di appello, non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità nel corpo di un ricorso nel resto inammissibile (cfr. in argomento Sezioni Unite, ud. 31/03/2022, notizia di decisione).
3. Maggiori problemi pone il primo motivo, ugualmente dedotto per la prima volta in sede di legittimità, non anche come motivo di appello, pur potendo già essere in quella sede dedotto, ma a ben vedere inerente alla possibilità o meno di configurare, in diritto, il delitto configurato già alla stregua della descrizione del fatto contestato come operata nel capo d'imputazione, senza alcun ulteriore rilievo di merito.
3.1. E' noto al collegio l'orientamento per il quale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (così, in termini generali, Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica, Rv. 255940-01: fattispecie relativa a omessa pronuncia da parte della Corte di appello sulla sussistenza della scriminante della legittima difesa, mai richiesta con i motivi di appello; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632 - 01: fattispecie relativa a contravvenzioni edilizie e urbanistiche, nella quale il motivo con cui si contestava la costituzione di parte civile del danneggiato perchè effettuata mediante richiamo all'imputazione e senza dedurre il diritto soggettivo leso, è stato ritenuto inammissibile dalla S.C., in quanto davanti al giudice di appello la costituzione era stata impugnata invocando l'esclusiva legittimazione del Comune titolare dell'interesse di natura pubblicistica leso dalla condotta criminosa).
Con maggiore attinenza al tema in esame, Sez. 5, n. 48416 del 06/10/2014, Dudaev, Rv. 261029 - 01, ha ritenuto (sia pur nell'ambito del subprocedimento cautelare) che non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione la questione relativa alla qualificazione giuridica del fatto, in precedenza non sottoposta alla cognizione del giudice dell'appello, e Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368 - 01, ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, poiché non sono deducibili questioni non prospettate nei motivi di appello - ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza - non può dedursi la diversa qualificazione del fatto, qualora in appello sia stata contestata la sussistenza della condotta sotto il profilo oggettivo (fattispecie in tema di estorsione nella quale, in appello, era stata prospettata la mancanza del requisito dell'ingiusto profitto e, nel ricorso per cassazione, invece, la sussunzione dei fatti nel paradigma dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona).
3.2. Ad avviso del collegio, peraltro, questo principio non trova applicazione anche con riferimento alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
3.2.1. Sia pur con riguardo a diversa fattispecie, le Sezioni Unite di questa Corte (n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, in motivazione), premesso che "L'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza d'appello, ma non eccepita nel grado di merito, né rilevata da quel giudice e neppure dedotta con i motivi di ricorso", hanno già ritenuto di dover pervenire a diversa conclusione nel caso in cui, con il ricorso per cassazione, sia stata dedotta, sia pure come unica doglianza, l'estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza d'appello, e ciò anche nel caso in cui essa non fosse stata eccepita dalla parte interessata nel grado di merito né rilevata da quel giudice, poiché "in questa ipotesi, il ricorso non può ritenersi inammissibile e la causa di non punibilità erroneamente non dichiarata dal giudice di merito deve essere rilevata e dichiarata, in accoglimento del proposto motivo, in sede di legittimità".
In tali casi, "Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, è certamente ammissibile, perché volto a fare valere l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. L'errar in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità. L'impugnazione mira ad emendare tale errore. L'ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; né alcuna rilevanza preclusiva all'ammissibilità dell'impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell'appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). L'art. 129 cod. proc. pen. impone al giudice, come recita la rubrica, l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale "obbligo" il giudice di merito non può sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. 'giudicato sostanziale'".
3.2.2. Per le medesime ragioni, con riferimento al primo motivo di ricorso, ritiene il collegio che la sua deducibilità non possa essere pregiudicata dal fatto che il ricorrente non avesse posto la questione come motivo di appello, proprio perché, come chiarito dalle Sezioni Unite, l'art. 129 cod. proc. pen. impone al giudice l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, e tra esse anche che il fatto contestato non è previsto dalla legge come reato, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., ed a tale "obbligo" il giudice di merito non può sottrarsi, dovendo adottare ex officio il provvedimento consequenziale: se a tanto egli erroneamente non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata, deducendo la doglianza per la prima volta, con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude, anche in questo caso, la formazione del c.d. "giudicato sostanziale".
3.2.3. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto:
"E' ammissibile il ricorso per cassazione col quale si deduce per la prima volta, in difetto di un previo e possibile motivo di appello, ed anche con un unico motivo, che il fatto non è previsto dalla legge come reato, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., e che la conseguente non punibilità dell'imputato sia stata in ipotesi erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.".
4. Ciò premesso, in rito, quanto alla deducibilità per la prima volta in sede di legittimità della doglianza de qua, deve, peraltro, rilevarsi la manifesta infondatezza di essa.
4.1. Questa Corte ha già chiarito che la nozione di atto pubblico, sotto il profilo penalistico, è autonoma rispetto a quella civilistica, in quanto la legge penale tutela il documento pubblico nella sua genuinità e veridicità sia quale strumento
probatorio, sia in sé stesso quale principale espressione del bene giuridico dellat fede pubblica (Sez. 5, n. 3478 del 07/02/1984, Di Piazza, Rv. 163725 - 01), ed è ormai ferma nel ritenere che, nell'ipotesi di falsa autenticazione di firma relativa a scrittura privata, la falsa attestazione del notaio in ordine all'avvenuta preventiva identificazione del sottoscrittore, oppure in ordine alla apposizione della firma in sua presenza, costituisce falsità ideologica in atto pubblico, poiché l'atto di autenticazione ha una autonoma funzione probatoria rispetto alla scrittura privata, che mantiene tale sua natura, pur se acquista l'efficacia sancita dall'art. 2702 cod. civ., di tal che la scrittura autenticata costituisce l'insieme di un documento privato e di un atto pubblico (Sez. 5, n. 3478 del 07/02/1984, Di Piazza, Rv. 163726 - 01).
Tale ultimo principio è stato successivamente ribadito da Sez. 5, n. 9777 del 06/07/1994, Ferrofino, Rv. 199853 - 01, nei seguenti termini: "La scrittura privata autenticata contiene la contestuale documentazione di due atti che rimangono distinti, essendo l'uno privato, l'altro pubblico. L'invalidità, la simulazione o l'inesistenza giuridica del primo non si riflette sulla validità ed esistenza dell'altro, poiché l'autenticazione non implica un accertamento in ordine alla natura o al contenuto dell'atto privato, ma attesta solo il fatto dell'autentica e contestuale sottoscrizione".
Ne consegue che commette il reato di falsità ideologica in atto pubblico il notaio che nell'autenticazione di firma attesti, contrariamente al vero, che la firma (già apposta altrove ed apocrifa) sia originale e sia stata apposta in sua presenza da persona (in realtà assente) da lui previamente identificata: in tal caso, infatti, il mendacio investe circostanze inerenti all'attività del pubblico ufficiale (identificazione del sottoscrittore) o cadenti sotto la diretta percezione del medesimo (sottoscrizione in sua presenza) (Sez. 5, n. 3478 del 07/02/1984, Di Piazza, Rv. 163724 - 01; Sez. 5, n. 9077 del 05/07/1983, D'Alessio, Rv. 160940 - 01; Sez. 2, n. 862 del 12/05/1965, Presiglio, Rv. 099839 - 01).
4.1.1. Ciò vale, naturalmente, mutatis mutandis, anche nei casi previsti dall'art. 48 cod. pen.
4.1.2. Ribadendo tale consolidato orientamento, si è, infine, più recentemente affermato che integra il delitto di falsità ideologica in atto pubblico la condotta del notaio che, provvedendo all'autenticazione di firma relativa a scrittura privata, attesti falsamente l'avvenuta preventiva identificazione del sottoscrittore oppure l'apposizione della firma in sua presenza, in quanto l'atto di autenticazione ha autonoma funzione probatoria rispetto alla scrittura privata (Sez. 2, n. 5239 del 18/01/2013, Adduci, Rv. 254976 - 01); la medesima decisione ha specificato che, di conseguenza, risponde di questo reato, e non di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, chi induce in errore il notaio sull'identità della persona risultante dall'autentica notarile.
4.2. Trattasi di orientamento da tempo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, perfettamente inerente al caso in esame, che il collegio condivide e ribadisce, e con il quale il ricorrente non si è confrontato.
Ciò comporta la manifesta infondatezza del motivo.
5. Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della estinzione per prescrizione del reato eventualmente maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della totale inammissibilità del ricorso, che «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, D. L., Rv. 217266; conformi, successivamente, Sez. U., n. 23428 del 02/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Nicoli, Rv. 239400; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818).
5.1. Invero il ricorso formulava due motivi non deducibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., ed uno (il primo) deducibile, ma manifestamente infondato, riproponendo una questione giuridica ictu oculi priva di ogni consistenza, in presenza di un contrario e pacifico orientamento giurisprudenziale, ed in difetto di deduzioni nuove atte ad indurre al superamento di esso (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062 - 01).
6. In considerazione della declaratoria d'inammissibilità totale del ricorso, il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali oltre che - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause dell'inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) -, di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della significativa entità della predetta colpa, appare equo quantificare nella somma di euro tremila.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.