L'obbligo di cooperazione gravante sul lavoratore in malattia non può spingersi fino a ricomprendere l'astensione dal compimento di qualsiasi atto del vivere quotidiano tra le mura domestiche, come fare una doccia.
La Corte d'Appello di Milano respingeva l'appello proposto da una struttura sanitaria contro la sentenza con cui il Tribunale aveva accolto il ricorso di un proprio dipendente e annullato la sanzione disciplinare a lui inflitta, condannando la società alla corresponsione della indennità di sala operatoria sospesa per via del provvedimento disciplinare.
Nello specifico, era accaduto...
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Milano ha respinto l'appello proposto dalla s.p.a. Istituto Clinico C.S. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso di M.S. e, annullata la sanzione disciplinare del richiamo scritto irrogata il 16 gennaio 2018, aveva condannato la società a corrispondere al ricorrente l'indennità di sala operatoria dell'importo mensile di € 413,17, sospesa in quanto il regolamento contrattuale ne condizionava l'erogazione all'assenza di provvedimenti disciplinari;
2. la Corte territoriale ha premesso, in fatto, che il S., assente per malattia dall'11 al 13 dicembre 2017, al momento della visita di controllo non aveva sentito suonare il campanello di casa perché «sotto la doccia» e ciò aveva impedito l'accesso del medico fiscale nell'abitazione;
3. l'appellato, peraltro, si era immediatamente attivato, manifestando piena disponibilità a consentire l'accertamento ed aveva anche inviato tempestiva comunicazione dell'accaduto agli organi preposti;
4. il giudice d'appello ha condiviso le conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale ed ha ritenuto che, in relazione alle circostanze del caso concreto, doveva essere esclusa la rilevanza disciplinare della condotta, non risultando violati gli obblighi esigenza e di esecuzione del contratto secondo buona fede, imposti dagli artt. 2104 e 2106 cod. civ.;
5. per la cassazione della sentenza l'Istituto Clinico C.S. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, al quale non ha opposto difese M.S., rimasto intimato;
6. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata;
7. nessun deposito rituale di memoria risulta effettuato nel termine imposto dall'art. 380 bis cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. occorre preliminarmente rilevare che non può trovare accoglimento l'istanza di discussione orale depositata dal difensore di M.S., perché il legislatore, nel riformulare con il d.l. 31.8.2016 n. 168 l'art. 380 bis cod. proc. civ., ha previsto la sola facoltà delle parti costituite di presentare memoria ed ha eliminato l'inciso «di chiedere di essere sentiti se compaiono»;
2. il ricorso denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2106 cod. civ. e dell'art. 41, comma 6, lett. n) del CCNL per il personale dipendente da strutture sanitarie associate all'AIOP, all'ARIS e alla Fondazione Don Carlo Gnocchi e sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale a valorizzare, per escludere la rilevanza disciplinare della condotta, il comportamento successivamente tenuto dal lavoratore;
1.1. l'Istituto ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte e sostiene che il mancato rispetto della reperibilità costituisce inadempimento contrattuale sanzionabile in sé, ossia a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, perché il lavoratore ha nei confronti del datore un dovere di cooperazione e pertanto, anche nel domicilio, è tenuto ad astenersi da condotte che impediscano l'accesso al medico della struttura pubblica;
1.2. aggiunge che il contratto collettivo prevede espressamente la rilevanza disciplinare dell'assenza alla visita domiciliare di controllo ed insiste nel sostenere che la decisione di «fare la doccia durante la fascia di reperibilità (fatto peraltro non indifferibile)» integra inadempimento contrattuale;
2. il ricorso è infondato;
da tempo questa Corte ha osservato che la procedura di cui all'art. 5 della legge n. 638 del 1983 attiene al rapporto assicurativo e, rientrando nel potere esclusivo dell'INPS, travalica l'ambito interno del rapporto di lavoro e non costituisce esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro al quale, peraltro, la contrattazione collettiva, in aggiunta, può riconoscere la facoltà di infliggere sanzioni disciplinari;
2.1. la decadenza dal trattamento economico può essere annoverata tra le sanzioni a carattere amministrativo, che trovano fondamento nel potere dovere degli enti erogatori di prestazioni previdenziali di accertare nell'ambito della loro gestione amministrativa l'esistenza del rischio posto a base delle prestazioni stesse;
2.2. a detta sanzione può aggiungersi un'ulteriore misura di carattere punitivo, espressione del potere disciplinare del datore di lavoro, ove la condotta del dipendente integri anche violazione di obblighi derivanti dal contratto di lavoro (cfr. fra le tante Cass. n. 9709/2000 e Cass. n. 24681/2016);
2.3. corollario del principio è che non tutte le condotte che rilevano nei rapporti con l'istituto previdenziale e che possono determinare decadenza dal beneficio comportano anche una responsabilità disciplinare, perché per quest'ultima è necessario accertare il rispetto delle condizioni richieste sul piano sostanziale dall'art. 2106 cod. civ. e sul piano formale dall'art. 7 della legge n. 300/1970;
3. ciò detto va osservato che il CCNL invocato dalla società ricorrente inserisce fra le condotte di rilievo disciplinare l'assenza alla visita domiciliare di controllo, che non è concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all'interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all'accesso del medico competente;
3.1. quest'ultima può essere equiparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l'istituto previdenziale (ed infatti le pronunce richiamate dalla ricorrente - Cass. n. 5420/2006 e Cass. n. 4216/1997 - sono state rese in fattispecie nelle quali veniva in rilievo la decadenza dal trattamento di malattia) non già ai fini disciplinari, per i quali, oltre a venire in rilievo il principio di legalità e quello di proporzionalità, occorre accertare che in concreto la condotta, valutata in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi, integri una violazione degli obblighi che dal rapporto scaturiscono;
4. dai richiamati principi non si è discostato il giudice del merito che, dopo aver accertato (con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede) che il lavoratore era presente all'interno delle pareti domestiche, per escludere che la condotta dallo stesso tenuta fosse stata contraria agli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, ha correttamente valutato tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa l'immediata attivazione del S., una volta avuta contezza di quanto accaduto;
4.1. l'obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle pareti domestiche;
5. il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;
6. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché M.S. non ha notificato tempestivo controricorso e non ha svolto attività difensiva;
7. ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
La Corte rigetta il ricorso.
P.Q.M.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.