Stante la pluralità dei beneficiari del trattamento economico non corrisposto, non si configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale tra loro.
Il Tribunale di Ragusa condannava l'attuale ricorrente alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per aver non aver versato l'assegno di mantenimento in favore della ex moglie e dei figli minori. La Corte d'Appello confermava la decisione di prime cure, conseguendone il ricorso in Cassazione.
Tra i motivi di doglianza, il ricorrente...
Svolgimento del processo
1. S.I. è stato tratto a giudizio dal Pubblico Ministero del Tribunale di Ragusa per il delitto di cui all'art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie e ai figli minori, omettendo di versare l'assegno di mantenimento di euro 600,00 mensili, così come disposto dal giudice civile di Ragusa in data 8 febbraio 2012; fatto commesso in data 8 aprile 2015, data della querela, con condotta perdurante.
Il Tribunale di Ragusa, con sentenza emessa in data 4 maggio 2016 all'esito del giudizio dibattimentale di primo grado, ha condannato l'imputato per i reati ascrittigli, qualificati ai sensi dell'art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54 in relazione alle condotte poste in essere ai danni dei figli, unificati dal vincolo della continuazione, e lo ha condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, sospensivamente condizionata al pagamento della provvisionale di euro 4.000,00.
Il Tribunale di Ragusa ha, inoltre, condannato l'imputato al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore della moglie e dei figli minori, da liquidarsi in separato giudizio civile e alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite.
Con la decisione impugnata la Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Ragusa nei confronti dell'imputato appellante S.I., che ha condannato al pagamento delle spese del grado e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita.
2. L'avvocato M.S., difensore dello I., ricorre avverso questa sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo cinque motivi e, segnata mente:
a) la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello avrebbe condannato l'imputato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione senza, tuttavia, tener conto del fatto che l'imputato avrebbe versato tutte le somme di cui aveva la disponibilità, anche se le stesse non erano in grado di coprire l'integrale importo mensile dell'assegno di mantenimento.
L'imputato, infatti, avrebbe sempre corrisposto l'assegno di mantenimento stabilito in sede civile, compatibilmente con le proprie possibilità economiche e con le esigenze dovute al mantenimento del figlio avuto successivamente da altra relazione sentimentale.
b) l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'abnormità della pena irrogata.
Deduce il ricorrente che l'imputato è stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e, dunque, a una pena superiore al massimo edittale della reclusione fino ad un anno contemplato dalla fattispecie di reato contestata.
Ad avviso del ricorrente, in nessun caso questa determinazione della pena potrebbe essere giustificata dalla condotta plurioffensiva, in quanto l'assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile era unico e non vi sarebbe mai stata volontà da parte dell'imputato di recare un'offesa a più soggetti, non essendovi stata proprio la possibilità di adempiere.
c) l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata concessione all'imputato delle attenuanti generiche.
La Corte di appello di Catania avrebbe, infatti, dovuto concedere le attenuanti generiche in ragione dell'incensuratezza dell'imputato, salvo la condanna ad un'ammenda nel 2006, del comportamento dell'imputato che aveva sempre cercato, in base alle proprie possibilità, di adempiere e delle condizioni familiari e lavorative dello I., che con un lavoro precario doveva mantenere due famiglie.
d) l'erronea applicazione della legge penale in quanto in relazione alla concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale, che, tuttavia, l'imputato non era in grado di onorare.
e) l'erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale in relazione alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile costituita.
Il Tribunale di Ragusa avrebbe, infatti, condannato l'imputato al pagamento delle spese in favore della parte civile in misura del tutto sproporzionata rispetto ai parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n 55.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, secondo la disciplina delineata dall'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, conv. dalla legge n. 176 del 2020, prorogata per effetto dell'art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022.
Con requisitoria e conclusioni scritte del 14 marzo 2022, il Procuratore Generale ha chiesto di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Con conclusioni depositata in data 17 marzo 2022, il difensore del ricorrente ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputato aveva versato tutte le somme di cui aveva la disponibilità, anche se le stesse non erano in grado di coprire l'integrale importo mensile dell'assegno di mantenimento.
3. Il primo motivo è inammissibile per genericità e aspecificità.
4. Le argomentazioni addotte dal ricorrente omettono, infatti, di confrontarsi con le specifiche motivazioni della Corte di appello che, rinviando anche alle considerazioni espresse sul punto dal giudice di primo grado, hanno evidenziato la linearità e l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, anche con riguardo alle condizioni economiche dell'imputato e alla sua -indimostrata e solo asserita- impossibilità di adempiere integralmente.
La Corte di appello a pag. 4 della sentenza impugnata ha rilevato che «non si è comprovata la concreta impossibilità di adempiere e la documentazione all'uopo prodotta non appare significativa, e in un certo senso essa comprova ulteriormente l'assunto accusatorio».
5. Con il secondo motivo il ricorrente censura l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'abnormità della pena irrogata. Deduce il ricorrente che l'imputato è stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e, dunque, a una pena superiore al massimo edittale contemplato dall'art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., che è della reclusione fino ad un anno. Ad avviso del ricorrente, in nessun caso questa determinazione della pena potrebbe essere giustificata dalla condotta plurioffensiva, in quanto l'assegno di mantenimento era unico e non vi sarebbe mai stata volontà da parte dell'imputato di volere recare un'offesa a più soggetti.
6. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Per quanto la pena inflitta all'imputato sia superiore a un anno di reclusione, massimo edittale previsto dall'art. 570 comma 1, n. 2 cod. pen. (richiamato dall'art. 570-bis cod. pen.), non viene in rilievo un caso di pena illegale, in quanto, stante la pluralità dei beneficiari del trattamento economico non corrisposto dallo I., si configura non già un unico reato, bensì una pluralità di reati, ritenuti dai giudici di merito unificati dal regime del concorso formale.
Le Sezioni unite di questa Corte, del resto, hanno chiarito che la condotta di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti conviventi nello stesso nucleo familiare non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro (Sez. U, n. 8413 dei 20/12/2007, dep. 2008, Cassa, Rv. 238468 - 01; Sez. 6, n. 13418 del 08/03/2016, D., Rv. 267212 - 01).
Inammissibile, in quanto si risolve in una sollecitazione alla Corte di legittimità a rivalutare il fatto, è la censura relativa alla carenza del dolo del ricorrente, in ragione della propria incapienza.
7. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata concessione all'imputato delle attenuanti generiche.
8. Il motivo si rivela manifestamente infondato.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell'esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ex plurimis: Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane ed altri, Rv. 248244). Tale obbligo, peraltro, nel caso di specie è stato pienamente assolto.
La Corte di appello di Catania ha escluso la concessione delle attenuanti generiche, in quanto «l'imputato ha svolto tale condotta in modo non occasionale» e «in ragione della modalità dei fatti e della stessa intensità del dolo che ha connotato la condotta» (pag. 5 della sentenza impugnata).
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02).
9. Con il quarto motivo il ricorrente censura l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla sostanziale mancata concessione della sospensione condizionale della pena. La Corte di appello, infatti, pur concedendo il beneficio, lo aveva subordinato al pagamento di una provvisionale che l'imputato non era in grado di adempiere.
10. Il motivo si rivela inammissibile per genericità, in quanto il ricorrente si è limitato a reiterare le proprie differenti valutazioni in ordine a tale punto della sentenza, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di appello di Catania ha, invece, congruamente rilevato che l'analoga censura svolta dall'imputato nell'atto di appello «appare formulata in modo generico atteso che il riferimento allo stato di incensurato non appare significativo e rilevante in ragione delle concrete modalità dei fatti mentre quello alle condizioni economiche complessive dell'imputato appare del tutto non r riscontrato in atti, laddove è emerso che egli gode non solo di uno stipendio da forestale regionale ma anche di altre entrate economiche» (pag. 5 della sentenza impugnata).
11. Da ultimo, con il quinto motivo il ricorrente si duole dell'erronea applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale.
Il Tribunale di Ragusa avrebbe, infatti, condannato l'imputato al pagamento delle spese in favore della parte civile, liquidite in euro 3.500,00 e, dunque, in misura del tutto sproporzionata rispetto ai parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n 55.
12. Il motivo è inammissibile, avendo a oggetto pretese violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
13. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stati presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.