Respinto il ricorso di un Comune che ha licenziato un proprio dipendente in quanto egli aveva instaurato un secondo rapporto di lavoro, sempre a tempo parziale, con un altro Ente locale, senza averne dato comunicazione.
Svolgimento del processo
M. C. ha domandato al Tribunale di Lodi che fosse dichiarato nullo il licenziamento intimatogli il 14 novembre 2016 clal Comune di (omissis), con conseguente condanna al reintegro ed al risarcimento del danno patito a titolo di mobbing.
M. C. era stato assunto nel l 986 dal Comune di (omissis), con il quale aveva poi concluso il 1° ottobre 2000 un nuovo contratto avente ad oggetto un rapporto individuale di lavoro a tempo pieno e indeterminato, ed aveva chiesto ed ottenuto, a partire dal 1° gennaio 2005, la trasformazione del rapporto di lavoro in questione da tempo pieno a part-time al 50%.
Nel 2015 il Comune di (omissis) aveva accertato che M. C. aveva in corso un ulteriore rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale con il Comune di (omissis)sin dal 1° dicembre 2011 e che tale circostanza non era stata mai comunicata.
Il 14 novembre 2016 il Comune di (omissis) ha comunicato a M. C. la risoluzione del rapporto di lavoro per avere assunto un incarico alle dipendenze di altro ente locale senza essere stato previamente autorizzato.
Il Tribunale di Lodi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 119/2017, ha accolto il ricorso sul presupposto che M. C., essendo impiegato a tempo parziale per 18 ore (al 50%), non fosse soggetto alla disciplina autorizzativa degli incarichi di cui all'art. 53, commi da 7 a 13, del d.lgs. n. 165 del 2001, trovando applicazione la deroga prevista dal precedente comma 6 del citato art. 53.
Il Comune di (omissis) ha proposto appello che la Corte d'appello di Milano, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1148/2018, ha respinto.
Il Comune di (omissis) ha presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
M. C. ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente.
Infatti, il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 8642. del 12 aprile 2010 non consente di ritenere inammissibile il ricorso, quantomeno perché la corte territoriale ha operato detto richiamo semplicemente per escludere l'esistenza di un divieto legislativo tout court per i dipendenti di enti locali di assumere un impiego presso un altro ente pubblico.
La ratio decidendi complessiva della pronuncia della Corte d'appello di Milano si fonda, piuttosto, non esclusivamente sul menzionato precedente, ma sull'esame della disciplina normativa vigente, in particolare dell'art. 1, comma 56, della legge n. 662 del 1996i. letto in rapporto con l'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.
2. Con il primo ed il secondo motivo che, stante la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. l 12 c.p.c., dell"art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996 e dell'art. 53, commi 1 e 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 perché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere illegittimo il licenziamento in questione senza tenere conto della prospettata violazione dell'art. 1, commi 58, 60, 61 e 62, della legge n. 662 del 1996.
Il Comune di (omissis) evidenziia che la deroga all'esclusività del rapporto di lavoro pubblico privatizzato deve conformarsi ai limiti fissati dal citato art. 1, soprattutto a quelli indicati al comma 58, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, ed al successivo comma 58 bis, che prescrive che i dipendenti degli enti locali possano svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza.
Inoltre, sottolinea che il sistema dellle incompatibilità concernenti il cumulo di impieghi del pubblico dipendente va ricostruito considerando che, ove quest'ultimo chieda di operare in regime cli part-time, deve rispettare le condizioni, i presupposti e gli obblighi di lealtà e di completa e veritiera informazione.
In particolare, precisa che l'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 fa riferimento agli incarichi e non, come avvenuto nella specie, a rapporti di pubblico impiego e che la corte territoriale non avn:?bbe tenuto conto che il controricorrente non aveva domandato di volere accedere al regime di part-time con il fine di assumere un altro impiego pubblico.
Parte ricorrente prospetta, altresì, che l'art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000 prescrive che "I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti" e che la trasformazione del rapporto di lavoro del controricorrente da tempo indetermiinato a tempo parziale era stata autorizzata esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di libero professionista, a nulla rilevando che il rapporto con la diversa pubblica amministrazione fosse sorto in un momento successivo alla detta trasformazione, atteso che pure in questo caso avrebbe dovuto essere richiesta una specifica autorizzazione.
Le doglianze sono infondate.
L'impiego pubblico è storicamente caratterizzato da un rigoroso regime di incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industrialii, imprenditoriali e professionali in costanza di rapporto di lavoro con la P.A.
La ratio di tale divieto, che permanei anche nel sistema del pubblico impiego contrattualizzato, va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico, espressa dall'art. 98, comma 1, Cast.
Gli artt. 60 ss. del d.P.R. n. 3 del 1957, declinando il principio del servizio esclusivo della Nazione del pubblico dipendente sancito dall'art. 98 Cast., prevedevano l'incompatibilità assoluta dell'impiego pubblico con l'esercizio di altre attività.
Il citato art. 60, infatti, prescriveva che "L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del ministro competente".
Questo divieto è stato successivamente mitigato dall'21rt. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, poi trasfuso nell'art. 53 de'I d.lgs. n. 165 del 2001 che, nel testo ratione temporis applicabile, ha previsto la possibilità per l'amministrazione di appartenenza di autorizzare il dipeindente a svolgere incarichi conferiti da altre pubbliche amministrazioni o soggetti privati, anche retribuiti, se ritenuti compatibili con l'attività svolta dal dipendente (sul punto, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010).
Per l'esattezza, l'art. 53, comma 1, dispone che "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'artlcolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina".
Con specifico riferimento ai rapporti di lavoro a tempo parziale, e senza prendere in considerazione le speciali categorie discipllinate dal d.lgs. n. 297 del 1994 e dalle leggi n. 498 del 1992 e n. 412 del 1991 che, nel caso in esame, non vengono in rilievo, il D.P.C.M. n. 117 del 1989 prevede, all'art. 6, comma 2, che "Al personale interessato è consentito, previa motivata autorizzazione dell'amministrazione o dell'ente di appartenenza, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione o ente".
Inoltre, l'art. 1 della legge n. 662 del 1996 prescrive, ai commi da 57 a 62, per quanto qui rileva, che:
"57. Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni,, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigli del fuoco.
58. La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere.
L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di la varo autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio a/lai funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'arnministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. (...).
58-bis. Ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse, le amministrazioni provvedono, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. I dipendenti degli enti locali possono svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza.
(...)
60. Al di fuori dei casi previsti al comma 56, al personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato provvedimento di diniego.
61. La violazione del divieto di cui al comma 60, la mancata comunicazione di cui al comma 58, nonché le comunicazioni risultate non veritiere anche a seguito di accertamenti ispettivi dell'amministrazione costituiscono giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituiscono causa di decadenza dall'impiego per il restante personale, sempreché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro. Le procedure per l'accertamento delle cause di recesso o di decadenza devono svolgersi in contradditorio fra le parti.
62. Per effettuare verifiche a campione sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni, finalizzate all'accertamento dell 'Jsservanza delle disposizioni di cui ai commi da 56 a 65, le amministrazioni si avvalgono dei rispettivi servizi ispettivi, che, comunque, devono essere costituiti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Analoghe verifiche sono svolte dal Dipartimento della funzione pubblica che può avvalersi, d'intesa con le amministrazioni interessate, dei predetti servizi ispettivi, nonché, d'intesa con il Ministero delle frnanze ed anche ai fini dell'accertamento delle violazioni tributarie, della Guardia di finanza".
Pertanto, oggi è prevista, in via generale, la possibilità per i pubblici dipendenti di accedere al part-time ed è regolata nel dettaglio la procedura di trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.
Detta trasformazione può essere rifiutata dalla P.A., qualora comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso vi sia, in relazione alli mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, un pregiudizio per la funzionalità dell'amministrazione stessa. Essa non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica.
Più in generale, l'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 dispone, al comma 2, che "Le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati" e, al comma 5, che "In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente".
Parte ricorrente sostiene, sulla base della normativa sopra riportata, che il controricorrente, pur avendo diritto, in astratto, ad accedere al lavoro part-time, avrebbe dovuto essere specificamente autorizzato ad instaurare un rapporto di pubblico impiego con un altro ente locale.
Deporrebbe in tal senso il citato art. 1 della legge n. 662 del 1996, precisamente i commi 58, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, e 58 bis, che prescrive che i dipendenti degli enti locali possano svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza.
Questa ricostruzione sarebbe avallata dall'art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000, per il quale "I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti".
Non a caso l'art. 53, comma 1, del d.l Js. n. 165 del 2001, nel disporre che "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3", farebbe salva la deroga prevista, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, anche "dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662".Dal sistema complessivo emergerebbe, inoltre, a carico del dipendente in regime di part-time, un dovere di rispetto degli obblighi di lealtà e di completa e veritiera informazione.
L'interpretazione della normativa citata offerta dal Comune di (omissis) non tiene conto, però, della disciplina complessiva.
Infatti, il richiamo operato dall'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 alla deroga prevista, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, "dall'artico/o 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662" non si estende al comma 56 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 il quale, invece, stabilisce che "Le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno".
Ciò si spiega perché l'art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 29/1993 è stato sostituito proprio dall'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Ne deriva che il regime dei "dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno" non è interessato dalla regolamentazione introdotta dall'art. 53j, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, quindi, dal richiamo ivi contenuto ai "commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662" (con l'unica eccezione di quanto stabilito dal comma 58 bis, su cui si tornerà in sequito).
Questa conclusione è confermata dal comma 60 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, disposizione questa coerentemente ricompresa nel rinvio all'art. 1 della legge n. 662 del 1996 presente nell'art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prescrive che "Al di fuori dei casi previsti al comma 56, al personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata da/l'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato provvedimento di diniego".
Non a caso il comma 6 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce, per quel che qui interessa, che "I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui a/l'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui a/l'artico/o 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali. Sono nulli tutti gli atti e provvedimenti comunque denominati, regolamentari e amministrativi, adottati dalle amministrazioni di appartenenza in contrasto con il presente comma.
Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso (...)".
I commi da 7 a 13 dell'art. 53 del d.l9s. n. 165 del 2001 sono proprio quelli che regolano l'autorizzazione degli incarichi retribuiti dei dipendenti pubblici da parte dell'amministrazione di appartenenza, il versamento del compenso per l'incarico non consentito alla P.A., il divieto di conferimento di incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza "la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi" da parte di enti pubblici, enti pubblici economici e soggetti privati, la richiesta di autorizzazione all'amministrazione di appartenenza e la relativa procedura.
Ne deriva che il comma 58 dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, non può riferirsi ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno".
Per ciò che concerne il successivo comma 58 bis, per il quale i dipendenti degli enti locali possono svol9ere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza, la disposizione va letta nella sua interezza.
Infatti, essa contiene, in effetti, un riferimento ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno", in quanto dispone che "Ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse, le amministrazioni provvedono, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. I dipendenti degli enti locali possono svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza".
Peraltro, tale riferimento riguarda esclusivamente i decreti ministeriali con i quali le amminis-t.r , ioni provvedono, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai loro dipendenti, mentre la menzione, contenuta alla fine del citato comma 58 bis, del fatto che "I dipendenti degli enti locali possono svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza" serve solo a chiarire che, per "I dipendenti degli enti locali", è possibile chiedere comunque un'autorizzazione anche in questi casi.
Siffatta ricostruzione si presenta compatibile con un recente precedente della S.C. che, pur non riguardando una fattispecie del tutto analoga a quella oggetto del presente giudizio, esprime una ratio decidendi coerente con l'interpretazione qui accolta della normativa finora menzionata.
Al riguardo, si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, massimata come segue: «In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 (applicabile "ratione temporis"), 6, comma 2, del d.p.c.m. n. 117 del 1989 e 1, comma 58-bis, della I. n. 662 del 1996, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamentE autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento» (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010).
La non necessità per il controricorrente di chiedere l'autorizzazione del Comune di (omissis) per svolgere l'attività in esame conduce ad escludere che la decisione di appello qui impugnata si ponga in contrasto con l'art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000, per il quale "I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti", o che non abbia tenuto conto del dovere, per il dipendente in regime di part time, di rispettare gli obblighi di lealtà e di completa e veritiera informazione.
Priva di rilievo è, poi, l'affermazione di parte ricorrente che la corte territoriale non avrebbe valutato che il controricorrente non aveva domandato di volere accedere al regime di part-tirne con il fine di assumere un altro impiego pubblico e che la trasformazione del suo rapporto di lavoro da tempo indeterminato a tempo parziale era stata autorizzata esclusivamente per lo svolgimento dell'attività di libero professionista.
Infatti, come rilevato dalla Corte d'appello di Milano e non contestato specificamente in questa sede, la circostanza de qua non era stata oggetto di contestazione nell'ambito del procedimento disciplinare.
Infine, va respinta la doglianza di parte ricorrente secondo cui la sentenza della Corte d'appello di Milano sarebbe erronea perché fondata su una non corretta interpretazione dell'art. 53, comma 6, del d.lgs. n.
165 del 2001, il quale farebbe riferimento, nel suo testo, al termine "incarichi", espressione che non ricomprenderebbe i rapporti di pubblico impiego instaurati con altra P.A., come quello che vedeva coinvolto il controricorrente.
Al riguardo, è infondata l'eccezione di iinammissibilità per novità di tale doglianza sollevata da M. C. a pagina 10 del controricorso, atteso che la questione era stata prospettata in appello, come risulta dalla.
Non vi sono, però, ragioni per ritenere che la parola "incarichi" non debba essere intesa in senso lato e, quindi, come idonea a ricomprendere rapporti di lavoro subordinato con altre amministrazioni locali.
3. Il ricorso è, quindi, respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex articolo 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo, per parte ricorrente, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
La Corte,
- rigetta il ricorso;
- condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 5000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
- dà atto che sussiste l'obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, chi:? ha aggiunto il comma 1 quater all'articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.