Secondo Palazzo Spada, la riduzione della quota di ricavi relativi alla rete nazionale produce una maggiore competitività dell'approvvigionamento di gas naturale sul mercato nazionale, permettendo una riduzione dei costi sostenuti dal venditore all'ingrosso e una possibile riduzione del prezzo del gas naturale.
La vicenda trae origine dal gravame proposto da alcune società produttrici di energia elettrica (anche attraverso l'utilizzo di un'ingente quantità di gas naturale) avverso alcune deliberazioni dell'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA).
Le doglianze formulate dalle ricorrenti erano dirette a censurare anche la conferma del pregresso sistema di calcolo delle tariffe, in relazione al riparto tra capacity e commodity (90/10).
Con la sentenza n. 6096 del 18 luglio 2022, il Consiglio di Stato rigetta gli appelli.
Nelle sue argomentazioni, il Collegio richiama l'
Palazzo Spada menziona anche la disciplina europea, ed in particolare l'art. 8 Reg. UE 2017/460. La disposizione istituisce un codice di rete relativo a strutture tariffarie armonizzate per il trasporto del gas ma non vincola le Autorità nazionali di regolamentazione a prevedere un criterio di riparto entry/exit pari a 50/50, bensì «impone, qualora venga prevista una metodologia tariffaria diversa da quella delineata dall'art. 8 cit., di raffrontare il sistema tariffario nazionale con il modello standard, definito a livello unionale, al fine ultimo di garantire la confrontabilità delle metodologie dei prezzi di riferimento scelte in ambito nazionale».
Secondo il Consiglio «la riduzione della quota di ricavi relativi alla rete nazionale da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata (discendente dalla definizione di un criterio di riparto entry/exit pari a 40/60, a modifica del precedente criterio pari a 50/50) è idonea ad indurre una maggiore competitività dell'approvvigionamento di gas naturale sul mercato nazionale, permettendo una riduzione dei costi sostenuti dal venditore all'ingrosso (shipper) nello svolgimento della propria attività economica e, per l'effetto, una possibile riduzione, a parità di altre condizioni di mercato, del prezzo del gas naturale, con conseguente emersione di effetti benefici anche in altri mercati, quale quello dell'energia elettrica».
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza (ud. 14 aprile 2022) 18 luglio 2022, n. 6096
Svolgimento del processo
1. Le società Engie s.p.a., EP Produzione s.p.a., Axpo Italia s.p.a., Tirreno Power s.p.a., Sorgenia s.p.a., Sorgenia Puglia s.p.a., Sorgenia Power s.p.a, e Repower s.p.a. - produttori di energia elettrica, anche attraverso l’utilizzo di un’ingente quantità di gas naturale - con distinti ricorsi (integrati da motivi aggiunti) dinnanzi al Tar Lombardia, Milano, hanno impugnato:
- la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico (oggi Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, per brevità anche Autorità o ARERA) del 3 agosto 2017, n. 575/2017/R/GAS, recante “Criteri di regolazione delle tariffe del servizio di trasporto di gas naturale per il periodo transitorio negli anni 2018 e 2019”, nonché il relativo Allegato A “Testo Unico della Regolazione della qualità e delle tariffe per i servizi di trasporto e dispacciamento del gas naturale per il periodo di regolazione 2014-2017 e per il periodo transitorio 2018-2019 (TUTG)”;
- la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica, il Gas ed il Sistema idrico del 16 novembre 2017, n. 757/2017/R/GAS, recante “Approvazione dei ricavi riconosciuti per il servizio di trasporto e dispacciamento del gas naturale, per l’anno 2018”;
- la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica, il Gas ed il Sistema idrico del 30 novembre 2017, n. 795/2017/R/GAS, recante “Approvazione dei corrispettivi di trasporto e dispacciamento del gas naturale, per l’anno 2018”;
- la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica, il Gas ed il Sistema idrico del 30 novembre 2017, n. 794/2017/R/GAS, recante “Implementazione degli obblighi di pubblicazione di cui al regolamento (UE) 460/2017, che istituisce un codice di rete relativo a strutture tariffarie armonizzate per il trasporto del gas”;
- i relativi atti connessi.
I ricorrenti hanno pure proposto un’azione risarcitoria per i danni asseritamente subiti in conseguenza dell’illegittimità degli atti impugnati
2. L’Autorità si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.
3. Il Tar, riuniti i ricorsi, ha accolto la domanda caducatoria, mentre ha rigettato le domande risarcitorie.
Alla stregua di quanto rilevato dal primo giudice:
- all’esito dell’annullamento in sede giurisdizionale della deliberazione n. 514/2013/R/GAS, con delibera n. 82/2017/R/GAS, l’Autorità aveva avviato l’iter per il varo della nuova tariffa (2018-2021), prevedendo un periodo transitorio (2018-2019), al fine di tenere conto delle disposizioni contenute nel Codice di rete europeo (Regolamento UE 460/2017) relativo alle strutture tariffarie armonizzate (“Codice Tar”);
- con riferimento ai criteri tariffari per il periodo transitorio 2018-2019, l’Autorità, previo confronto con gli operatori interessati, aveva confermato l’impostazione di cui alla precedente delibera n. 514/2013/R/GAS (riparto capacity 90% e commodity 10%), seppure con l’introduzione di alcuni correttivi ai ricavi; in particolare, nella ripartizione entry/exit, ossia nel rapporto tra la quota dei ricavi recuperati mediante corrispettivi di capacità applicati ai punti di entrata nella rete nazionale del gas e la quota dei ricavi recuperati mediante corrispettivi di capacità applicati ai punti di uscita dalla rete nazionale, si era deciso di applicare un rapporto pari a 40% entry e 60% exit;
- anche tale delibera era stata impugnata in sede giurisdizionale, con l’articolazione di plurime censure di legittimità;
- le doglianze formulate dalle ricorrenti, sebbene in maniera non del tutto perspicua, erano dirette a censurare anche la conferma del pregresso sistema di calcolo delle tariffe, in relazione al riparto tra capacity e commodity (90/10);
- le azioni proposte dovevano ritenersi ammissibili e procedibili, non rilevando in senso contrario l’omessa impugnazione delle deliberazioni n. 512/2017/R/gas e 114/2019/R/gas;
- l’Autorità aveva confermato, anche con riguardo al periodo regolatorio oggetto di contenzioso (2018- 2019), di attribuire alla componente capacity un peso preponderante rispetto alla componente commodity (rapporto 90/10); il che determinava un vantaggio per gli operatori economici (shipper) che utilizzavano in misura proporzionalmente maggiore la capacità di trasporto prenotata sulla rete, ossia per gli operatori che, a parità di capacità impegnata, immettevano in rete maggiori volumi di gas;
- il sistema tariffario, così come costruito in termini proporzionali, non contemplava alcun temperamento o correttivo finalizzato, in qualche misura, a tener conto dell’obiettivo indicato dal legislatore nel 2012, ovvero rendere più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale;
- non avrebbe potuto argomentarsi diversamente sulla base della delibera 512/2017/R/GAS, attinente al completamento del progetto pilota relativo al conferimento di capacità presso i punti di riconsegna della rete di trasporto gas che alimentano impianti di generazione di energia elettrica, non avente rilevanza per l’ambito oggetto di trattazione, trattandosi di un procedimento diretto a operare un complessivo ripensamento della regolazione in materia di conferimento della capacità presso i punti di riconsegna della rete di trasporto del gas; con la conseguenza che un tale progetto pilota costituiva soltanto il punto di partenza, e non l’approdo, della riforma tuttora in itinere;
- per l’effetto, nessuna misura a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale risultava essere stata assunta con la deliberazione n. 575/2017/R/gas;
- l’ulteriore previsione relativa alla ripartizione dei ricavi della rete nazionale determinata in 40% entry e 60% exit (in precedenza invece ripartita in 50/50) concorreva ad aggravare il predetto quadro regolatorio a carico dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale;
- le domande risarcitorie non potevano trovare accoglimento, in quanto affidate a dati e deduzioni meramente affermati. La quantificazione degli asseriti maggiori costi era indicata senza alcun supporto probatorio -non potendo ritenersi sufficiente tabelle o riferimenti di natura contabile, indicativi di voci di costo non ulteriormente specificate e validate nella loro consistenza - così come il nesso di causalità tra l’illegittima previsione regolatoria e la natura e l’entità dei danni asseritamente subiti non era provato, anche avuto riguardo alla natura commerciale dell’attività svolta dalle ricorrenti e dalla molteplicità di fattori suscettibili di impattare sull’andamento dei costi.
4. L’Autorità ha appellato la sentenza di prime cure, deducendo - con l’articolazione di plurime censure -l’erroneità delle statuizioni di annullamento pronunciate dal primo giudice.
5. Engie Italia s.p.a. si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso, riproponendo le doglianze assorbite in primo grado e appellando in via incidentale la sentenza emessa dal Tar, limitatamente al capo decisorio con cui è stata rigettata la domanda risarcitoria.
6. Repower Italia S.p.A, EP Produzione S.p.A, Tirreno Power S.p.A, Axpo Italia S.p.A, Sorgenia S.p.A, Sorgenia Puglia S.p.A. e Sorgenia Power S.p.A si sono costituite in giudizio, resistendo al ricorso.
7. Snam Rete Gas s.p.a. si è parimenti costituita in giudizio, riservandosi ogni più ampia difesa e produzione.
8. Le parti hanno depositato memoria conclusionale insistendo nelle rispettive conclusioni (Snam Rete Gas ha concluso per l’accoglimento dell’appello principale); le ricorrenti in primo grado e l’Autorità hanno pure depositato repliche alle avverse deduzioni. L’Autorità e la società Engie hanno argomentato le proprie tesi difensive anche sulla base della documentazione depositata in appello.
9. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 14 aprile 2022.
Motivi della decisione
I. Sull’appello principale dell’Autorità.
1. L’Autorità, dopo avere ricostruito il quadro normativo di riferimento, avere richiamato il contenzioso relativo al quarto periodo regolatorio, nonché avere ripercorso gli eventi principali del giudizio di primo grado, ha formulato due motivi di impugnazione.
2. Con il primo motivo di appello sono censurati i capi decisori con cui il Tar ha ritenuto compresa nel thema decidendum la contestazione del riparto tra capacity e commodity, nonché ha rigettato le eccezioni preliminari opposte dall’Autorità, incentrate sulla mancata impugnazione delle delibere n. 512/2017/R/gas e n. 114/2019/R/gas.
In particolare, a giudizio dell’appellante principale, con i ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado (in specie, i punti 1.2 e 1.3), le società si sarebbero limitate ad una mera descrizione della precedente struttura tariffaria, rimasta sostanzialmente immutata nel periodo successivo, nonché a richiamare il contenzioso relativo al precedente periodo regolatorio; i ricorrenti non avrebbero, invece, contestato specificatamente il criterio di riparto capacity/commodity.
Il Tar, in ogni caso, oltre ad avere erroneamente statuito su censure non proposte, avrebbe pure errato nel ritenere illegittimo tale criterio di riparto, trattandosi di misura regolatoria incentrata sulla natura dei costi (costi di capitale in quota capacity e costi operativi in quota commodity), volta a rispecchiare i costi effettivamente correlati al servizio di trasporto, caratterizzato da una prevalenza di costi fissi.
Nel periodo regolatorio in contestazione, attesa la necessità di includere nella quota commodity anche la valorizzazione dei quantitativi di gas naturale precedentemente riconosciuti in natura, il rapporto capacity/commodity era stato definito in misura pari a 90/10: il riparto basato sulla natura dei costi oggetto di riconoscimento e non su una percentuale fissa sarebbe stata, dunque, coerente con il criterio di cost reflectivity.
Il criterio di ripartizione 90/10 delle componenti capacity/commodity avrebbe trovato, inoltre, giustificazione normativa pure nell’art. 13 Regolamento CE n. 715/2009.
Il Tar non avrebbe neppure tenuto conto che con la delibera n. 512/2017/R/gas, regolante lo strumento di conferimento infrannuale, sarebbero state assicurate misure di flessibilità in favore delle imprese a forte consumo di gas naturale, in conformità a quanto indicato dalla Sezione con sentenza n. 3735/2015. Tale delibera avrebbe consentito ai produttori termoelettrici di poter sfruttare a pieno tutte le opportunità di mercato, modificando il quantitativo di gas naturale prenotato in base alle esigenze effettive di consumo e di vendita sui punti di riconsegna nella loro disponibilità.
Per l’effetto, se i ricorrenti di primo grado avessero ritenuto che la capacità aggiuntiva acquistabile in relazione alle esigenze di consumo e rivendita non fosse stata in grado di soddisfare le esigenze di flessibilità di cui al D.L. n. 83/2012 cit., avrebbero dovuto agire tempestivamente contro la stessa delibera n. 512/2017/R/gas.
In particolare, secondo quanto ritenuto dall’Autorità, “Con il conferimento infrannuale, gli utenti (in particolare i produttori termoelettrici) hanno la possibilità di rendere flessibile il costo del trasporto sostenuto che, sebbene formalmente “fisso” (essendo attribuito alla componente capacity), è di fatto reso variabile in quanto corrisposto solo qualora si ravvisi, giorno per giorno, l’opportunità di prenotare capacità di trasporto in virtù delle esigenze di gas di volta in volta legate alla produzione di elettricità” (pag. 25 ricorso in appello).
Tale strumento sarebbe stato coerente con le finalità previste dall’art. 38, comma 2 bis, D.L. n. 83/2012 e con l’esigenza di ottemperare alle sentenze n. 1729/2014 del Tar Lombardia e n. 3735/2015 di questo Consiglio di Stato: si sarebbe trattato, altresì, di strumento entrato a pieno regime nel settore del gas naturale, in quanto mai interrotto.
Difatti, mentre in precedenza, ove durante l’anno l’operatore avesse avvertito l’esigenza di un ulteriore quantitativo di gas rispetto a quello prenotato, anche per un periodo limitato (anche un solo giorno), avrebbe dovuto comunque pagare la corrispondente capacità di trasporto aggiuntiva per tutto l’anno termico, con la delibera 512/2017/R/gas i produttori termoelettrici avrebbero potuto richiedere il conferimento di ulteriore capacità per il periodo strettamente necessario (singoli giorni o singoli mesi), con conseguente realizzazione delle esigenze di flessibilità e di economicità nell’utilizzo della rete, tenuto conto pure della riduzione dei costi in tale modo assicurata rispetto a quanto previsto dalla pregressa regolamentazione.
I ricorrenti in prime cure non avrebbero, peraltro, dimostrato l’antieconomicità della misura in esame e delle previsioni regolatorie in contestazione.
In ogni caso, il sindacato giurisdizionale operato dal Tar avrebbe invaso il merito riservato all’Amministrazione, imponendo una degressività della tariffa che, come asseritamente precisato nella sentenza 3735/2015 della Sezione, sarebbe stata irrealizzabile nell’ambito del servizio di trasporto del gas naturale.
3. Il primo motivo di appello, per ragioni di connessione, è esaminabile congiuntamente al secondo motivo di impugnazione.
Con il secondo motivo, in particolare, è censurato il capo decisorio riferito alla valutazione del criterio di riparto entry/exit (anche entrata/uscita).
In particolare, l’Autorità, nel rito, evidenzia l’erronea mancata declaratoria di inammissibilità delle corrispondenti censure di prime cure, stante l’omessa impugnazione della deliberazione n. 114/2019/R/gas, che avrebbe confermato anche per il periodo regolatorio successivo il criterio di riparto in esame; nel merito, evidenzia che il criterio di riparto entry/exit, da un lato, non avrebbe prodotto alcuna differenza dal punto di vista tariffario per i grandi consumatori di gas naturale, non incidendo sul costo complessivo di trasporto che i clienti devono sostenere, comunque pari al 100%, con conseguente mancata valorizzazione di un maggiore costo del trasporto per i grandi consumatori; dall’altro, avrebbe permesso una riduzione del costo di importazione del gas con effetti economicamente positivi per l’intero sistema, in specie per i consumatori finali. Peraltro, la gran parte delle appellate avrebbe fruito direttamente di tale vantaggio facendo parte di un gruppo societario in cui esiste una società di shipping che trae direttamente beneficio da tale misura.
In particolare, sotto il primo profilo, secondo quanto dedotto dall’Autorità, il costo del trasporto per i grandi consumatori non sarebbe caricato in bolletta con una voce autonoma, essendo incluso nel costo della fornitura, negoziato tra fornitore e cliente, con la conseguenza che il cliente finale dovrebbe pur sempre pagare il 100% del costo del trasporto: nella specie, il maggiore onere esplicito associato alla tariffa di trasporto al punto di riconsegna sarebbe stato compensato dal minore onere implicito internalizzato nel costo della materia prima.
In tale maniera, si sarebbe resa maggiormente attrattiva l’importazione della materia prima; il che, a sua volta, avrebbe determinato una riduzione del prezzo all’ingrosso più che proporzionale rispetto alla mera riduzione delle tariffe in entrata; la riduzione del costo di approvvigionamento avrebbe in tale modo più che compensato il maggiore onere esplicito associato al costo di trasporto.
Sotto il secondo profilo, la modifica del criterio di riparto, comportando una riduzione del costo di importazione del gas naturale e, quindi, una riduzione del prezzo della materia prima di cui si gioverebbe l’intero sistema, si sarebbe posta in continuità rispetto ad altri interventi regolatori deputati alla ridefinizione dei costi di importazione del gas a monte, in maniera da permettere a valle l’abbassamento delle condizioni economiche di fornitura del gas praticate ai clienti finali.
In definitiva, si sarebbe consentito un abbassamento del prezzo medio all’ingrosso del gas, lasciando invariato il costo complessivo di trasporto pagato dai clienti finali.
Sarebbe emerso, dunque, uno strumento che “non ha né come obiettivo, né come conseguenza, la flessibilità della tariffa, attuabile, con i dovuti limiti legati alla già esposta condizione specifica del mercato del gas naturale, con altri interventi regolatori” (pag. 33 ricorso in appello).
Il criterio di riparto dei corrispettivi entry/exit avrebbe potuto essere annullato solo se irragionevole; circostanza non realizzata nella specie, tenuto conto che la ripartizione interna di tali corrispettivi avrebbe creato vantaggi per il sistema energetico nel suo complesso, determinando un abbattimento del costo di importazione del gas naturale.
L’Autorità, infine, ha insistito nel ritenere che la soluzione per rendere maggiormente ammortizzabile il costo del trasporto per i grandi consumatori non fosse quella di incidere sul riparto dei corrispettivi tariffari del costo del trasporto, comunque pagati per intero dal cliente, ma quella di garantire un grado di flessibilità al costo in uscita, tramite la possibilità di modulare la capacità prenotata con l’effettivo bisogno di gas, attraverso il conferimento infrannuale di cui alla delibera 512/2017/R/gas.
4. Pregiudizialmente, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità dei motivi di appello opposte dalla società intimate (cfr. pagg. 14, 22 e 24 della memoria conclusionale depositata dalle società Tirreno Power S.p.a., EP Produzione S.p.A., Axpo Italia S.p.a., Sorgenia S.p.a., Sorgenia Power S.p.a., Sorgenia Puglia S.p.a. e Repower S.p.a., relativamente, in particolare, ai motivi di appello riferiti al criterio di riparto capacity/commodity e al criterio di riparto entry/exit, nonché alla mancata impugnazione della deliberazione 114/2019/R/gas).
Le eccezioni sono infondate.
Per “risalente e non superato insegnamento giurisprudenziale, l’appello deve sempre contenere, accanto alla parte volitiva, anche una parte critica, a confutazione della sentenza di primo grado, non trattandosi di un novum iudicium ma di una revisio prioris istantiae” (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 febbraio 2020, n. 1228).
Nel caso di specie, l’Autorità appellante:
- ha puntualmente individuato le rationes decidendi sottese alla pronuncia impugnata, date dall’illegittimità di un sistema tariffario, incentrato su un criterio capacity/commodity sostanzialmente lasciato immutato rispetto al periodo regolatorio precedente e su un criterio entry/exit pari a 40/60, definito senza alcun temperamento o correttivo finalizzato, in qualche misura, a tener conto dell’obiettivo indicato dal legislatore, ovvero rendere più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale;
- ha dedotto specifiche argomentazioni in contrapposizione a quelle svolte dal primo giudice, idonee ad incrinare l’impianto motivazionale alla base della pronuncia appellata, evidenziando come: a) il criterio di ripartizione capacity/commodity fosse giustificato in ragione della natura dei costi sottesi al servizio di trasporto del gas naturale; b) il criterio entry/exit fosse stato determinato dall’esigenza di una riduzione dei costi di importazione del gas naturale, con conseguente idoneità di tale misura regolatoria ad influire, riducendolo, sul prezzo della materia prima, a beneficio dell’intero sistema; c) le esigenze di flessibilità ed economicità previsti dal legislatore in favore dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale fossero state realizzate attraverso la delibera n. 512/2017/R/gas, regolante lo strumento del conferimento infrannuale.
Per l’effetto, l’Autorità non si è limitata a riproporre le deduzioni svolte dinnanzi al primo giudice, ma ha specificatamente contestato il decisum recato dalla pronuncia impugnata.
I motivi di impugnazione -e l’appello nel suo complesso- devono, dunque, ritenersi ammissibili.
5. Ciò premesso, occorre delimitare il thema decidendum dell’odierno giudizio, verificando se le doglianze sollevate dalle ricorrenti in primo grado riguardassero esclusivamente il criterio di riparto entry/exit, come ritenuto dall’Autorità con il primo motivo di appello, ovvero afferissero anche al criterio di riparto capacity/commodity, come ravvisato dal primo giudice, che ha preso in esame l’intera impostazione tariffaria per cui è causa.
5.1 A tali fini, è necessario avere riguardo al contenuto delle censure svolte nell’ambito degli atti introduttivi del primo giudizio, con la precisazione che:
- l'inammissibilità del ricorso per genericità dei motivi si verifica solo allorquando le censure non possano essere individuate dal contenuto dell'atto e dai fatti esposti, e il giudice quindi non sia assolutamente posto in grado di comprendere il petitum e la causa petendi, nonché le norme o i principi di cui si lamenta la violazione, ovvero quando l'intimato non sia stato messo in condizione di poter effettivamente svolgere la propria attività difensiva (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24 ottobre 2011, n. 5696);
- l’inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue solo al difetto di specificità ma anche alla loro mancata indicazione, "distintamente", in apposita parte dedicata a tale elemento del ricorso (sia esso di primo grado o d'appello), di cui i motivi costituiscono il nucleo essenziale e centrale. Lo scopo della disposizione è di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine ad una prassi in cui i ricorsi, non di rado, non contengono una esatta suddivisione tra 'fatto' e 'motivi', con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. 'motivi intrusi', ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminino tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 gennaio 2022, n. 313).
5.2 Alla stregua di quanto emergente dal ricorso di primo grado e, in specie, dalla parte dell’atto introduttivo destinata all’illustrazione dei motivi di impugnazione, le odierne appellate avevano puntualmente evidenziato che:
- il legislatore, con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, aveva imposto all’Autorità di provvedere, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione “ad adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri che rendano più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale”;
- l’Autorità, tuttavia, con riferimento alla tariffa di trasporto gas relativa al periodo regolatorio 2014-2017, “emanava [la] delibera n. 514/2013/R/Gas, con cui varava uno schema tariffario del tutto mancante di qualsiasi criterio a vantaggio dei grandi consumatori di gas” (pag. 9 ricorsi di primo grado Axpo Italia S.p.A., Tirreno Power S.p.A., EP Produzione S.p.A., Repower Italia S.p.A., Sorgenia S.p.A., Sorgenia Puglia S.p.A. e Sorgenia Power S.p.A.);
- tale delibera era stata impugnata da alcuni operatori del termoelettrico per il mancato rispetto del Decreto n. 83/2012 “essendosi mantenuto fermo il previgente schema tariffario sedimentato sul rapporto capacity-commodity pari a 90/10 e per non essersi introdotta alcuna misura correttiva che rendesse più flessibile ed economica la tariffa” (pagg. 9/10 ricorsi di primo grado cit.);
- il ricorso era stato accolto dal Tar Lombardia con pronuncia confermata in appello, sul rilievo per cui “l’art. 38, comma 2 bis del Decreto Sviluppo, riscontrata l’inefficacia della misura introdotta col Decreto Anticrisi, prevedeva un cambio di passo, attraverso un nuovo principio ordinatore, che imponeva all’AEEGSI l’adeguamento del sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale, mediante la previsione di misure a diretto vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas” (pag. 10 ricorsi in prime cure cit.);
- “Il principio veniva ulteriormente esplicitato nel successivo grado di giudizio, definito con provvedimento CdS n. 3735/20153 , avendo rilevato il Giudice Amministrativo d’Appello che la struttura tariffaria risultante dalla delibera 514/2013/R/GAS: (i) fosse rimasta immutata rispetto alla precedente, (ii) che tale struttura incentrasse il meccanismo di calcolo del dovuto sulla componente capacitiva per la parte preponderante (90%), (iii) che pertanto la struttura tariffaria del trasporto si dovesse qualificare essenzialmente come costo fisso, (iv) che la delibera impugnata non prevedesse alcun vantaggio a favore dei clienti finali che utilizzino ingenti quantità di gas, (v) che la norma, di contro, facesse obbligo all’Autorità di varare una tariffa più flessibile e più economica per i soggetti alto consumanti” (pag. 11 ricorsi in prime cure cit.);
- “con la delibera odiernamente avversata il costo del trasporto gas, fino ad ora pariteticamente distribuito 50/50 sul punto di consegna e sul punto di riconsegna, peserà per il 40% sui punti di consegna (entry) e per il 60% sui punti di riconsegna (exit); determinando un aumento del 20% del costo del trasporto a carico dei grandi consumatori (tra cui in primis gli operatori del termoelettrico)” (pag. 12 ricorso in prime cure).
5.3 Anche la società Engie ha specificatamente dedotto che la delibera impugnata “non solo conferma gli illegittimi contenuti della delibera 514/203/R/GAS, in quanto mantiene il riparto capacity/commodity al 90/10, ma si appalesa ancora più illegittima rispetto alla precedente delibera in quanto incide sul criterio exit/entry della tariffa passando dalla distribuzione paritaria (50/50) tra punto di consegna e punto di riconsegna della precedente tariffa ad una ripartizione entry/exit dei ricavi di rete nazionale pari a 40/60” (pag. 8 ricorso di primo grado)
5.4 Già soltanto tali deduzioni manifestano l’infondatezza dell’appello nella parte in cui l’Autorità tende a limitare l’oggetto dell’odierno giudizio al criterio di riparto entry/exit.
Le ricorrenti in primo grado, infatti, lungi dal limitarsi ad una descrizione fattuale degli eventi (anche processuali) anteriori all’instaurazione dell’odierna controversia, avevano evidenziato come la condotta dell’Autorità fosse caratterizzata da una perdurante violazione del quadro normativo di riferimento, essendosi reiterate le illegittimità già riscontrate (anche) da questo Consiglio in relazione al quarto periodo regolatorio.
Tali illegittimità riguardavano l’intera impostazione del sistema tariffario, incentrata sui criteri di riparto capacity / commodity e entry/exit, che non tenevano in alcuna considerazione la posizione dei soggetti alto consumanti, cui non venivano riconosciute le misure di flessibilità ed economicità invece imposte dal legislatore italiano.
Ne deriva che le censure attoree riguardavano, anche, il criterio di riparto capacity/commodity, in quanto parte di un complessivo sistema tariffario ritenuto difforme rispetto alla disciplina dettata dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83 cit.
Il Tar, pertanto, correttamente, si è pronunciato anche su tale criterio di riparto, in quanto oggetto di una specifica contestazione attorea, incentrata sulla violazione di una puntuale disposizione normativa (art. 38 Decreto n. 83/2012 cit.), per non avere l’Autorità assicurato quella economicità e flessibilità nella regolazione tariffaria prevista a beneficio dei soggetti grandi consumatori di gas naturale.
6. Definito il thema decidendum dell’odierno giudizio, devono essere rigettate le censure svolte dall’Autorità, riferite all’inammissibilità/improcedibilità delle iniziative impugnatorie intraprese in prime cure, per omessa impugnazione di altri atti di regolazione tariffaria o della delibera di regolazione dei conferimenti infrannuali.
6.1 In subiecta materia devono essere riaffermati i principi di diritto, per cui:
- l’omessa o tardiva impugnazione dell'atto presupposto rende inammissibile il ricorso giurisdizionale contro l'atto conseguenziale, ove non emerga la deduzione di vizi propri che possano connotare un'autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione (Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5439);
- l'interesse ad agire implica la manifestazione di un "bisogno di tutela giurisdizionale", nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo, mirando, dunque, a rimuovere un danno attuale e concreto (anche in termini di probabilità) alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela (Consiglio di Stato, sez. III, 9 giugno 2014, n. 2892);
- i presupposti richiesti per configurare l'acquiescenza al provvedimento lesivo devono essere sottoposti ad uno stringente vaglio in sede giurisdizionale onde evitare l'elusione dei valori costituzionali tutelati dagli artt. 24, co.1, e 113, co. 1, Cost.; “in sintesi: condotta (espressa o tacita) univoca sulla irrefutabile volontà di accettare gli effetti e l'operatività del provvedimento; volizione libera, successiva o contestuale all'emanazione del provvedimento astrattamente lesivo; irrilevanza della contingente tolleranza manifestata anche attraverso il compimento di attività necessarie per fronteggiare gli effetti del provvedimento lesivo in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 marzo 2016, n. 1128)
6.2 Sulla base di tali principi, non può ravvisarsi alcuna inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi di primo grado, per la mancata impugnazione delle delibere nn. 512/2017/R/gas e n. 114/2019/R/gas.
7. In particolare, l’omessa impugnazione di atti regolatori riferiti a periodi anteriori non influisce sull’ammissibilità dei ricorsi ancora da proporre contro gli atti relativi ai successivi periodi regolatori; così come la mancata impugnazione di atti regolatori riguardanti periodi successivi a quello per cui pende già una controversia non determina l’improcedibilità dei ricorsi già proposti.
8. In primo luogo, non sembra possa ricontrarsi un nesso di presupposizione tra atti di regolamentazione tariffaria riguardanti periodi distinti.
La presupposizione tra provvedimenti, infatti, pure qualora non configuri un nesso immediato, diretto e necessario – tale per cui l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente, non essendovi nuove e ulteriori valutazioni di interessi all’uopo da svolgere – implica, comunque, l’appartenenza degli atti alla stessa sequenza procedimentale, trovando l’atto successivo la propria giustificazione nella previa adozione dell’atto presupposto: in tali ipotesi, l’atto successivo non potrebbe essere assunto in assenza e in difformità rispetto all’assetto di interessi già divisato dall’atto presupposto (sul nesso di presupposizione, cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 9 luglio 2013, n. 3638).
Avuto riguardo alla materia della regolazione tariffaria, ogni atto di regolamentazione è destinato a produrre (ed esaurire) i propri effetti giuridici entro un periodo temporale predefinito: anche ove il sistema tariffario venisse confermato in periodi successivi, non si sarebbe comunque in presenza di un nesso di presupposizione, risultando ciascuno atto di regolamentazione assunto sulla base di un’autonoma e rinnovata manifestazione di volontà dispositiva dell’Autorità procedente.
In altri termini, ogni atto di regolamentazione non è condizionato dalla regolamentazione del precedente periodo, né vincola la regolamentazione del periodo successivo, essendo fondato su autonomi presupposti discrezionalmente valutati dall’Autorità competente.
Ne deriva che l’omessa impugnazione di un atto di regolamentazione tariffaria, comportando la definitività dell’assetto di interessi attuato in relazione al solo periodo temporale regolamentato, non influisce sulla procedibilità dei ricorsi già proposti avverso gli atti (autonomi) riguardanti precedenti periodi tariffari, né condiziona l’ammissibilità dei ricorsi proponendi avverso gli atti (anch’essi autonomi) riferiti a successivi periodi tariffari; ciò anche qualora la regolamentazione sia stata rinnovata senza sostanziali modifiche.
9. Per tali ragioni, non potrebbe neppure ritenersi che l’accettazione dell’assetto di interessi attuato in relazione ad un dato periodo regolatorio comporti l’acquiescenza alla regolamentazione riguardante differenti periodi, ove rimasta sostanzialmente immutata.
L’acquiescenza presuppone una chiara ed univoca volontà della parte lesa di spontanea accettazione della specifica e sfavorevole regula iuris divisata in sede amministrativa e, dunque, di abdicazione dalla sua contestazione giudiziaria.
La circostanza per cui la parte abbia omesso di impugnare un provvedimento lesivo avente un’efficacia temporalmente limitata non può manifestare univocamente la volontà di accettare sine die la sfavorevole regolazione amministrativa e, dunque, di astenersi dall’impugnazione di futuri ed autonomi atti che dovessero recare misure di regolamentazione sostanzialmente analoghe: è ben possibile che mutino nel tempo le condizioni alla base dell’originaria valutazione della parte o, comunque, che l’accettazione della regula iuris divisata in sede amministrativa sia stata manifestata proprio in ragione della sua efficacia temporale limitata, ferma rimanendo la possibilità di un ripensamento della parte una volta scaduto il termine di efficacia dell’atto inoppugnato.
Non potrebbe, a fortiori, discorrersi di acquiescenza in relazione ad iniziative giudiziarie già intraprese, tenuto conto che l’acquiescenza implica la manifestazione univoca di una volontà ostativa alla proposizione del ricorso, mentre, una volta adita la sede giurisdizionale, sarebbe necessaria un’espressa rinuncia all’impugnazione già proposta.
Per l’effetto, l’acquiescenza prestata in relazione al successivo atto di regolamentazione, analogo a quello già impugnato, non potrebbe implicare un’accettazione della regula iuris già contestata in giudizio, in assenza di un’espressa rinuncia al ricorso.
Una tale circostanza non potrebbe neppure integrare una causa di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, riscontrabile soltanto qualora sopravvenga un assetto di interessi tendenzialmente definitivo (in quanto non più contestabile in giudizio), ostativo alla realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso al ricorso: stante l’autonomia del successivo atto di regolamentazione, la sua omessa impugnazione, come osservato, non potrebbe influire sulla precedente regolamentazione già contestata, la cui perdurante lesività, suscettibile di rimozione in caso di accoglimento della relativa impugnazione, osterebbe alla configurazione di una causa di improcedibilità del ricorso.
10. L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche conduce a rigettate la censura attorea, incentrata sull’inammissibilità/improcedibilità dei ricorsi di primo grado in ragione della mancata impugnazione della delibera n. 114/2019/R/gas, recante i criteri di regolazione tariffaria per il servizio di trasporto e misura del gas naturale per il quinto periodo di regolazione (2020-2023).
Sebbene tale delibera avesse confermato talune misure di regolamentazione contestate nell’ambito dei giudizi di primo grado (in specie, in ordine al criterio di riparto entrata/uscita) e nonostante tale atto non fosse stato impugnato da alcuni ricorrenti di primo grado, una tale circostanza non avrebbe potuto, comunque, determinare l’improcedibilità dei ricorsi introduttivi dei primi giudizi (non potrebbe, invece, discorrersi di originaria inammissibilità delle relative impugnazioni, trattandosi di circostanze sopravvenute, correlate alla mancata impugnazione di un atto assunto dall’Autorità in pendenza dei giudizi di prime cure).
Alla stregua di quanto osservato, infatti, l’omessa impugnazione di un atto di regolazione tariffaria esaurisce la propria rilevanza in relazione al periodo di efficacia dell’atto rimasto inoppugnato, non comportando una tale condotta omissiva né l’improcedibilità delle impugnazioni già proposte avverso gli atti di regolamentazione relativi ai periodi pregressi - pure ove connotati da misure sostanzialmente analoghe - né l’inammissibilità delle impugnazioni da proporre contro atti di regolamentazione riferiti ai successivi periodi tariffari.
Ne deriva che la mancata impugnazione della delibera n. 114/2019/R/gas non poteva influire sulla sussistenza delle condizioni per potere emettere una sentenza sul merito dei ricorsi proposti in primo grado.
11. L’appello è infondato anche nella parte in cui valorizza l’omessa impugnazione della delibera n. 512/2017/R/gas.
Come si osserverà infra, tale delibera, nel regolare il conferimento infrannuale di capacità presso i punti di riconsegna della rete di trasporto gas che alimentano impianti di generazione di energia elettrica, ha introdotto alcune misure di favore per le ricorrenti in primo grado.
Tale delibera, dunque, in quanto favorevole alle parti private, non avrebbe potuto essere da queste impugnata, non emergendo alcun interesse alla sua contestazione.
Il pregiudizio alla base dell’azione promossa dinnanzi al Tar –e, dunque, quel bisogno di tutela giurisdizionale che sosteneva le contestazioni all’uopo svolte – non era rappresentato dalla supposta lesività delle misure di conferimento infrannuale, ma dall’inidoneità dei criteri di regolazione delle tariffe del servizio di trasporto di gas naturale, come definiti in particolare nella delibera n. 575/2017/R/GAS, a garantire la flessibilità e l’economicità del servizio di trasporto in favore degli operatori caratterizzati da elevati consumi di gas naturale.
Pertanto, la lesione attuale e concreta cui le parti private intendevano rimediare attraverso l’iniziativa giudiziaria era arrecata – anziché dallo strumento dei conferimenti infrannuali – dai criteri tariffari impugnati in prime cure, lesivi perché non recanti misure regolatorie di favore per i soggetti alto consumanti.
Piuttosto, la delibera n. 512/17, come si osserverà amplius infra, assume rilievo nell’odierno giudizio, anziché nel rito (per escludere l’ammissibilità dei ricorsi di primo grado), nel merito (per verificare la fondatezza delle domande caducatorie): in particolare, occorre valutare se, alla luce di una complessiva disamina degli atti di regolamentazione assunti dall’Autorità, riferiti tanto ai criteri tariffari quanto alle misure di flessibilità riguardanti i conferimenti infrannuali, possa ritenersi rispettato il disposto positivo (art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), che imponeva di adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri che rendessero più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale.
12. Le considerazioni svolte permettono, dunque, da un lato, di ritenere compreso nel thema decidendum la contestazione del criterio di riparto capacity/commodity, dall’altro, di escludere l’inammissibilità o l’improcedibilità dei ricorsi di primo grado, essendo a tali fini irrilevante l’omessa impugnazione della delibera n. 512/2017 o degli atti di regolamentazione tariffaria riferiti a periodi differenti da quello per cui è causa (in specie, delibera n. 114/2019/R/gas).
Ciò rilevato, è possibile soffermarsi sulle ulteriori doglianze articolate dall’Autorità, incentrate sulla coerenza del sistema tariffario oggetto di giudizio con il quadro normativo di riferimento (con particolare riguardo alla definizione dei criteri di riparto capacity/commodity e entry/exit), nonché sull’avvenuta realizzazione, attraverso la regolamentazione dei conferimenti infrannuali, delle esigenze di flessibilità ed economicità per i soggetti con maggiore consumo di gas naturale.
13. Le questioni oggetto dell’odierno giudizio sono state (in parte) già affrontate e risolte dalla Sezione con la sentenza n. 3735/2015, che ha affermato principi di diritto, da un lato, cogenti per l’Autorità (a prescindere dall’avvenuta rinuncia al ricorso per l’ottemperanza proposto dalle parti legittimate, profilo valorizzato dall’appellante principale ma irrilevante ai fini del decidere), individuando la regula iuris che l’Amministrazione avrebbe dovuto osservare nell’assumere le determinazioni di competenza, relative non soltanto alla stessa vicenda amministrativa in cui è stato adottato il provvedimento annullato in giudizio, ma anche ad altre vicende alla prima oggettivamente connesse (Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 marzo 2022, n. 2297); dall’altro, condivisi dal Collegio, pure tenuto conto di evidenti esigenze di certezza del diritto oggettivo, che inducono ad evitare una divergenza tra interpretazioni giurisprudenziali, se non quando sussistano elementi sicuri – nella specie non emergenti – per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata.
14. Giova, dunque, richiamare il quadro normativo di riferimento e le principali caratteristiche alla base della definizione dei corrispettivi per il servizio di trasporto, avuto riguardo, altresì, a quanto rilevato dalla Sezione nella sentenza n. 3735 del 2015.
14.1 Per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio, rilevano l’art. 3, comma 3, lett. a) del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, nonché l’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
L’art. 3, comma 3, lett. a) del decreto-legge n. 78 del 2009 ha introdotto la previsione per cui: “Al fine di consentire un'efficiente gestione dei volumi di gas ceduto attraverso le procedure concorrenziali di cui al comma 1, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto: a) introduce nelle tariffe di trasporto del gas naturale misure di degressività che tengano conto della struttura costi del servizio in ragione del coefficiente di utilizzo a valere dall'inizio del primo periodo di regolazione tariffaria del trasporto del gas successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto (...)”.
Tali previsioni normative sono state poi rafforzate dall’ulteriore intervento del legislatore, operato con la disposizione dell’articolo 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., ove si stabilisce che “L’Autorità per l’energia elettrica e il gas, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede ad adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri che rendano più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale”.
Tale ultima disposizione ha avuto un effetto innovativo rispetto alla precedente: da un lato, essa ha richiesto all’Autorità di operare un adeguamento del sistema delle tariffe e, quindi, di modificare l’assetto esistente; dall’altro, ha introdotto per la prima volta un esplicito riferimento agli operatori destinati a beneficiare della maggiore economicità del servizio di trasporto, individuandoli nei soggetti con maggiore consumo di gas naturale.
Come precisato nel precedente della Sezione n. 3755/15, “La disposizione in esame richiedeva, quindi, l’introduzione di un criterio di determinazione della tariffa di carattere degressivo, volto a premiare gli utenti caratterizzati da un elevato consumo di gas”.
14.2 L’Autorità, sia in relazione al periodo regolatorio (quarto) su cui ha statuito la Sezione, sia in relazione al periodo transitorio rilevante nell’odierno giudizio, ha continuato a regolare, sul piano tariffario, il rapporto tra le società di vendita del gas al cliente finale (c.d. shippers) e le imprese di trasporto, ovvero i soggetti che fisicamente portano il gas attraverso la rete al punto di riconsegna in cui è installato il contatore (o misuratore) del cliente finale.
La tariffa di trasporto del gas, in particolare, è stata definita (tra l’altro) sulla base di due componenti, rispettivamente commisurate alla capacity, ossia alla capacità di trasporto impegnata dagli shippers, e alla commodity, ossia al gas effettivamente trasportato in rete.
La capacità è misurata in relazione:
- ai punti di entrata della rete nazionale di gasdotti, configuranti i punti fisici della rete in cui l’utente (ossia l’utilizzatore del sistema gas che acquista capacità di trasporto per uso proprio o per cessione ad altri) rende disponibile il gas all’impresa di trasporto per la sua immissione in rete (art. 1 Allegato A deliberazione 575/2017/R/GAS);
- ai punti di uscita della rete, costituenti punti virtuali aggregati di più punti fisici di interconnessione tra la rete nazionale di gasdotti e la rete regionale di gasdotti, ovvero punti fisici di interconnessione tra la rete nazionale di gasdotti e un sistema di gasdotti estero (art. 1 Allegato A deliberazione 575/2017/R/GAS).
La capacity, inoltre, riguarda la capacità di trasporto conferita all’utente nel punto preso in considerazione, che individua la quantità massima di gas che ciascun utente può immettere nella rete o prelevare dalla rete, espressa come volume giornaliero misurato alle condizioni standard. Nella costruzione della tariffa la capacità deve essere moltiplicata per il corrispettivo unitario di capacità per il trasporto relativo ai conferimenti nel punto di entrata o di uscita preso in considerazione.
La commodity individua, invece, il quantitativo di gas immesso in rete, espresso in metri cubi, da moltiplicare, ai fini della definizione della tariffa di trasposto, per il corrispettivo unitario variabile, espresso in euro/metro cubo.
14.3 La regolazione tariffaria, inoltre, è caratterizzata da una ripartizione dei ricavi tra quota da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata e ai punti di uscita (entry/exit), prevedendosi, come osservato, la separata valorizzazione della capacità conferita all’utente nel punto di entrata e nel punto di uscita.
Mentre nel quarto periodo regolatorio tale riparto risultava equamente distribuito tra i punti di entrata ed uscita con un rapporto di 50/50, nel periodo di regolamentazione tariffaria per cui è causa l’Autorità ha definito un rapporto di 40/60, attribuendo ai punti di entrata una quota di ricavo pari al 40% dei ricavi di rete nazionale e ai punti di uscita una quota di ricavo pari al 60% dei ricavi di rete nazionale.
15. Alla stregua di tali rilievi, è possibile soffermarsi sui rimanenti motivi di appello principale.
La Sezione, pronunciandosi sull’assetto regolatorio riguardante il quarto periodo regolatorio, ha evidenziato come un sistema tariffario incentrato su un peso preponderante della componente capacity rispetto alla componente commodity (rapporto 90:10) non preveda misure a favore dei maggiori clienti finali (non contemplati dalla tariffa, la quale prende in considerazione solo gli utenti della rete, cioè gli shippers), premiandosi “piuttosto gli utenti della rete che, a parità di capacità impegnata, presentino un maggiore coefficiente di utilizzo della rete stessa, ossia i grossisti che utilizzino in misura maggiore la capacità prenotata e quindi, in ultima analisi, gli shippers in grado di mantenere costante la quantità di gas immesso”.
Sotto questo profilo – è stato evidenziato - le tariffe contestate non rispettano quanto previsto dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, che, invece, prescrive l’introduzione di tariffe degressive per gli utenti caratterizzati da un consumo elevato.
La Sezione ha pure precisato che:
- il Regolamento CE 715/2009 vieta qualsiasi forma di sussidiazione in favore degli utenti della rete, ma non potrebbe essere invocato per escludere l’applicazione dell’art. 38, comma 2-bis, del decreto legge n. 83 del 2012, che non ha previsto l’introduzione di misure degressive in favore degli utenti della rete (cioè degli shippers), bensì in favore dei clienti finali caratterizzati da un più elevato livello di consumi;
- il decreto legge n. 83 del 2012 ha previsto l’introduzione di misure orientate esclusivamente a favore dei clienti e non a favore delle imprese che vendono sul mercato grandi quantità di gas, con conseguente inconferenza di deduzioni incentrate sulla violazione dei principi in tema di concorrenza;
- non potrebbe impedirsi l’applicazione della disposizione normativa del 2012 sulla base del rilievo per cui con l’attuale struttura tariffaria (che si occupa esclusivamente del rapporto tra imprese di trasporti ed utenti della rete, e non anche dei consumatori finali) sarebbe tecnicamente impossibile inserire nella tariffa misure degressive o di flessibilità per i consumi dei clienti finali: “È evidente, infatti, …, che, a fronte di una precisa previsione normativa che impone l’introduzione del ricordato meccanismo degressivo, l’AEEG avrebbe dovuto modificare l’attuale struttura del sistema tariffario, introducendo temperamenti o correttivi finalizzati a tenere conto della finalità indicata al regolatore dal legislatore nel 2012. Del resto, il decreto-legge n. 83 del 2012 ha previsto solamente che l’Autorità determinasse criteri, di qualsiasi tipo, purché tali da determinare condizioni di maggiore flessibilità e risparmio a tutela dei soggetti grandi consumatori, lasciando all’Autorità ampi margini di discrezionalità tecnica nell’individuazione degli strumenti attraverso i quali darvi attuazione”;
- “la concreta realizzabilità sul piano operativo, di meccanismi tariffari alternativi che, pur in un contesto nel quale l’AEEG non può regolare direttamente la tariffa relativa ai rapporti contrattuali tra shippers e clienti finali, emerge anche dalla lettura del documento del 13 novembre 2013 (depositato in giudizio in data 12 dicembre 2014) nel quale l’Associazione Energia Concorrente, associazione di categoria dei produttori termoelettrici, aveva proposto diverse opzioni, tra cui: i) la previsione di procedure di conferimento della capacitò di trasporto su base infrannuale; ii) sistemi di aggiustamento infrannuale, senza effetti retroattivi; iii) la previsione di un sistema degressivo sulle rete regionale. Si tratta di mere opzioni, che pur non vincolando l’Autorità nell’esercizio del suo potere tecnico-discrezionale, dimostrano, tuttavia, l’insussistenza di ragioni tecniche ostative all’attuazione dei criteri stabiliti dal legislatore del 2012”.
La Sezione, dunque, da un lato, ha evidenziato la necessità di una modifica della struttura del sistema tariffario, introducendo temperamenti o correttivi finalizzati a tenere conto della finalità indicata al regolatore dal legislatore nel 2012; dall’altro, ha comunque rilevato che, pure in un contesto regolamentare in cui non vi è una regolazione diretta della tariffa relativa ai rapporti contrattuali tra shippers e clienti finali, sarebbero configurabili opzioni idonee ad assicurare il rispetto del disposto positivo, che impone di tenere conto della posizione dei soggetti che consumano grandi quantità di gas naturale.
16. La questione centrale dell’odierno giudizio è, pertanto, quella di verificare se le misure approvate dall’Autorità, successivamente al quarto periodo di regolamentazione tariffaria, ritenuto illegittimo dalla Sezione, consentano di rispettare il disposto dell’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., che impone all’Autorità di “adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale secondo criteri che rendano più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale”.
16.1 Secondo la prospettazione dell’appellante, stante le caratteristiche del sistema tariffario, regolante i soli rapporti tra le imprese di trasporto e gli shippers, le esigenze di flessibilità ed economicità richiamate dal legislatore potrebbero essere soddisfatte con strumenti diversi rispetto alla regolamentazione tariffaria, quali i conferimenti infrannuali.
Di contro, i criteri tariffari riferiti al riparto capacity/commodity e entry/exit non potrebbero essere censurati, in quanto coerenti con la normativa di riferimento, essendo preordinati al raggiungimento di obiettivi di interesse generali e riflettenti la peculiarità dei costi da finanziare.
16.2 Il Collegio, per le ragioni che saranno infra svolte, ritiene che la disciplina prevista dall’art. 38, comma 2 bis, d.l. n. 83/12 non imponga, di per sé, un intervento sui criteri di riparto capacity/commodity e entry/exit, soggetti alla discrezionalità regolatoria dell’Autorità, ma richieda, comunque, un intervento di regolamentazione che consenta un trattamento differenziato degli operatori alto consumanti, al fine di garantire in loro favore speciali misure di economicità e flessibilità.
Le modalità di conseguimento di tale obiettivo sono rimesse alla potestà regolatoria dell’Autorità, ma non possono coincidere con il solo strumento del conferimento infrannuale, per come definito con la delibera n. 517 del 2017.
17. Procedendo all’approfondimento delle questioni componenti l’odierno thema decidendum, deve convenirsi con l’Autorità che la particolare natura del servizio di trasporto del gas naturale, fornito attraverso gasdotti e, dunque, mediante l’impiego di una infrastruttura con assoluta prevalenza dei costi fissi di capitale, impone di recuperare i ricavi prevalentemente con la componente applicata alla capacità.
I corrispettivi unitari di capacità tendono, infatti, ad assicurare la copertura della remunerazione del capitale investito e degli ammortamenti riconosciuti, mentre i corrispettivi unitari variabili sono deputati, per lo più, alla copertura dei costi operativi (artt. 8 e ss. allegato A delibera n. 575 del 2017).
Per l’effetto, in considerazione degli elevati costi fissi della gestione della rete rispetto ai costi variabili, dipendenti dalla quantità di gas effettivamente immesso, è ragionevole e attendibile attribuire alla componente capacity un peso preponderante rispetto alla componente commodity (con la definizione, nella specie, di un rapporto pari a 90:10).
Tale scelta, del resto, è conforme anche a quanto previsto in ambito unionale (art. 4, par. 3, regolamento n. 460 del 2017), in cui si richiede di recuperare i ricavi relativi ai servizi di trasporto “mediante tariffe di trasporto applicate alla capacità”, prevedendo che soltanto “In via eccezionale, fatta salva l'approvazione dell'autorità nazionale di regolamentazione, una parte dei ricavi relativi ai servizi di trasporto può essere recuperata soltanto mediante le seguenti tariffe di trasporto applicate ai volumi trasportati …”: tali previsioni non soltanto giustificano, ma anche richiedono, in ragione della natura dei costi sottostanti, di riconoscere peso preponderante alla componente di capacità, risultando del tutto marginali i costi operativi commisurati alle effettive quantità di gas naturale trasportato (commodity).
18. Parimenti, il Collegio non riscontra, di per sé, alcuna disposizione o principio che imponga la definizione del criterio di riparto entry/exit in misura pari a 50/50, rientrando nella discrezionalità regolatoria dell’Autorità una modifica di tale rapporto di valori.
18.1 Nella specie, l’Autorità ha giustificato la modifica di tale criterio, transitato da un rapporto di 50/50 previsto per il quarto periodo regolatorio ad uno di 40/60 (con una misura minoritaria della quota di ricavi da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata) sulla base:
- della necessità di indurre una maggiore competitività dell’approvvigionamento di gas naturale sul mercato nazionale e un maggiore allineamento dei prezzi al PSV con i principali hub europei, nonché di contemperare gli obiettivi di favorire un ottimale sfruttamento delle infrastrutture esistenti;
- del livello di utilizzo registrato negli ultimi anni della capacità di trasporto associata a tali infrastrutture.
18.2 Il Collegio condivide quanto dedotto dall’Autorità in ordine alla possibilità di una variazione del criterio entrata/uscita, non ostandovi disposizioni contrarie e, comunque, costituendo tale componente del sistema tariffario un importante strumento per il perseguimento di obiettivi di interesse generale.
18.3 La riduzione della quota di ricavi da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata è, infatti, idonea a determinare, a parità delle altre condizioni di mercato, una riduzione dei costi sostenuti per l’importazione del gas naturale nel mercato italiano (pure condizionati dai costi di immissione nella rete nazionale); il che potrebbe influire, sempre a parità di altre condizioni di mercato, anche sul prezzo della stessa materia prima.
Il costo di trasporto sostenuto in relazione ai punti di accesso alla rete nazionale, come pure dedotto dall’appellante incidentale (Engie), confluisce infatti nell’insieme dei costi di produzione a carico dello shipper, al pari del costo di approvvigionamento di gas, costo del personale o per oneri finanziari: una generale riduzione del costo di trasporto sostenuto dallo shipper, conseguente ad una riduzione della quota dei ricavi da recuperare con le componenti tariffarie associate ai punti di entrata, dunque, si traduce in un minore costo sostenuto dal venditore all’ingrosso nello svolgimento della propria attività economica.
Dovendosi ritenere che lo shipper sia un operatore razionale e, dunque, agisca nel mercato determinando i propri margini di guadagno sulla base dei costi sostenuti, una riduzione dei propri costi di esercizio non potrebbe che determinare una riduzione anche del prezzo del bene finale venduto alle controparti negoziali.
La riduzione del prezzo del gas naturale, a sua volta, è idonea a produrre effetti economici anche in altri mercati, quale, per quanto più di interesse nell’odierno giudizio, proprio quello dell’energia elettrica: per i titolari di impianti di produzione di energia elettrica attraverso l’utilizzo del gas naturale, una riduzione del prezzo del gas naturale si traduce in una riduzione dei costi di esercizio, suscettibile, a sua volta, di influire sul prezzo dell’energia elettrica prodotta e venduta, con ulteriori benefici sia per gli utenti domestici che per gli ulteriori operatori professionali che si avvalgono dell’energia elettrica nello svolgimento dell’attività di impresa.
18.4 La riduzione della quota di ricavi da recuperare con i corrispettivi applicati ai punti di entrata risulta, inoltre, coerente con il livello di utilizzo dell’infrastruttura registrato negli ultimi anni (profilo valorizzato negli atti impugnati e non specificatamente contestato e, comunque, non puntualmente smentito dagli elementi acquisiti nell’odierno giudizio): l’Autorità ha, infatti, ritenuto opportuno “fare riferimento alla massima capacità giornaliera utilizzata in ciascun punto di entrata della rete nazionale di gasdotti, esclusi i siti di stoccaggio, registrata negli ultimi due anni termici disponibili, vale a dire il 2014-15 e il 2015-16 e il cui valore risultante a pari a circa il 40%” (delibera n. 575 del 2017)
18.5 La circostanza per cui una tale misura non consenta di produrre significativi vantaggi nei confronti di alcuni operatori economici che, ad esempio, si approvvigionino direttamente nei punti di entrata ad un prezzo inferiore a quello del mercato all’ingrosso, non è peraltro idonea a minare l’attendibilità della relativa regolamentazione, la cui idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati deve essere valutata in via generale, senza tenere conto delle peculiarità di singoli operatori di mercato.
Parimenti, la circostanza per cui il prezzo della materia prima sia influenzato anche da altre condizioni di mercato, spesso imprevedibili e non dominabili dall’Autorità, non influisce sulla ragionevolezza e sull’attendibilità del meccanismo regolatorio; il quale, da un lato, deve essere valutato ex ante, tenuto conto dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (non minando la sua validità eventuali mutamenti delle condizioni di mercato sopravvenute rispetto alla sua adozione), dall’altro, rappresenta, comunque, una concausa idonea ad influire sul prezzo della materia prima, costituendo, dunque, uno strumento a disposizione dell’Autorità, effettivamente impiegabile per perseguire gli obiettivi di interesse generali all’uopo prefissati.
18.6 Ne deriva che, non sussistendo principii o precetti normativi che prescrivano l’utilizzo di un criterio riparto entrata/uscita pari a 50/50 (sulla rilevanza del diritto unionale, si rinvia a quanto sarà infra osservato nella disamina dei motivi riproposti dalla società Engie), anche il criterio di riparto entrata/uscita definito con la deliberazione impugnata in prime cure non potrebbe ritenersi predefinito in maniera vincolante dalla normativa di settore, essendo rimessa la sua concreta determinazione alla discrezionalità regolatoria dell’Autorità odierna appellante.
19. La circostanza per cui i criteri di riparto presi in esame (capacity/commodity e entry/exit) possano essere discrezionalmente definiti dall’Autorità non è, tuttavia, sufficiente per predicare la legittimità del sistema tariffario in contestazione, complessivamente considerato.
Occorre, infatti, verificare se i criteri di riparto in esame, valutati unitamente alle ulteriori misure approvate dall’Autorità, consentano di rispettare l’ulteriore obiettivo, ex lege imposto all’Autorità e da questa non disapplicabile, di rendere il servizio di trasporto del gas naturale maggiormente flessibile ed economico per i soggetti alto consumanti.
20. Sotto tale profilo, i criteri di riparto previsti negli atti censurati in primo grado, di per sé, non consentono di realizzare l’obiettivo di tutela prescritto dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit.; il che discende, peraltro, dalle stesse deduzioni dell’Autorità, da cui si desume che i criteri capacity/commodity e entry/exit non sono stati definiti per realizzare le speciali esigenze di flessibilità ed economicità previste dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012 cit.
20.1 Si è, infatti, in presenza, per come descritto, di criteri ancorati, da un lato, alla natura dei costi da finanziare con la tariffa di trasporto del gas (criterio capacity/commodity), dall’altro, al livello di utilizzo della rete e a finalità di politica regolatoria (in relazione alla riduzione del costo della materia prima - criterio entry/exit): tali criteri sono, dunque, inidonei ad influire sulla condizione degli operatori alto consumanti, cui non viene garantito un servizio di trasporto maggiormente economico o flessibile.
Risulta, peraltro, che:
- la conferma del rapporto capacity/commodity con ruolo preponderante della capacity, come osservato dalla Sezione nella sentenza n. 3735 del 2015, comporta un vantaggio per gli operatori economici (shippers) che utilizzano in misura proporzionalmente maggiore la capacità di trasporto prenotata sulla rete, ossia per i soggetti che, a parità di capacità impegnata, immettano in rete maggiori volumi di gas. Tale criterio di riparto non produce, invece, uno specifico vantaggio per gli operatori alto consumanti;
- la modifica del rapporto entry/exit con una riduzione della quota da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata, se comporta un minore costo del trasporto in entrata (con incremento del costo in uscita), appare idonea a ridurre i margini di efficienza ritraibili dagli shipper nell’esercizio della propria attività d’impresa, suscettibili di influire pure sul prezzo del gas naturale nei rapporti commerciali con gli operatori alto consumanti.
20.2 Sotto tale ultimo profilo, si rileva infatti che, come osservato, i corrispettivi applicati ai punti di uscita costituiscono un onere esplicito associato al costo di trasporto, essendo riferiti alla tariffa di trasporto applicabile in ragione dello specifico punto di riconsegna da cui il grande consumatore riceve la materia prima; i corrispettivi applicati ai punti di entrata configurano, invece, un onere implicito internalizzato nel costo della materia prima.
Per l’effetto, mentre l’onere esplicito associato al costo del trasporto, riferito ai punti di uscita, viene, di regola, interamente traslato sul consumatore, l’onere implicito internalizzato nel costo della materia prima, riferito ai punti di entrata, potrebbe essere parzialmente trattenuto dal venditore all’ingrosso (nell’ambito di strategie commerciali promozionali, in ipotesi, incentrate anche su una riduzione dei margini di profitto), al fine di evitare una sua integrale traslazione sulla controparte.
Di conseguenza, la riduzione della quota dei ricavi da recuperare con i corrispettivi associati ai punti di entrata determina una riduzione della componente dei costi di trasporto rispetto alla quale lo shipper potrebbe attuare strategie promozionali in favore degli acquirenti (date dal trattenimento presso di sé di una percentuale dei costi di trasporto del gas naturale da non traslare alla propria controparte negoziale), in tale modo influendo negativamente, in termini assoluti, sui margini di riduzione del prezzo del gas naturale venduto agli operatori alto consumanti.
Come osservato dal Tar, “se in precedenza lo shipper aveva la possibilità, in ragione dei suoi margini di manovra e nel perseguimento delle proprie politiche commerciali (ad esempio, per attrarre nuovi clienti), di non addebitare integralmente ai consumatori finali la sua parte di tariffa, pari al 50%, con la nuova previsione tale intendimento può essere riferito soltanto al 40%, visto che la restante parte (60%) è integralmente a carico di questi ultimi. Certamente ciò rappresenta un aggravio per i ricorrenti, che in qualità di grandi consumatori di gas naturale avrebbero, secondo quanto previsto dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto legge n. 83 del 2012, dovuto beneficiare di tariffe più leggere”.
Si conferma, dunque, che anche la modifica del rapporto entry/exit non soltanto non consente di assicurare l’economicità e la flessibilità del servizio di trasporto per i soggetti con grande consumo di gas naturale, ma potrebbe pure rivelarsi pregiudizievole per gli stessi, importando minori vantaggi ritraibili dai margini di efficientamento correlati alle strategie imprenditoriali dello shipper.
21. Evidenziato che i criteri di riparto in esame non consentono di raggiungere gli obiettivi definiti dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., occorre verificare se le esigenze di tutela sottese a tale disposizione siano state garantite attraverso l’intervento regolatorio riferito agli strumenti di conferimento infrannuale; il che permetterebbe di assicurare la conformità del sistema tariffario, complessivamente considerato, (anche) alla disciplina primaria di cui al D.L. n. 83/12 cit.
Al riguardo, se è vero che la Sezione (con la sentenza n. 3735/2015) ha valorizzato tali strumenti quale opzione per garantire il rispetto dell’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., è altrettanto vero che l’idoneità delle misure de quibus ad assicurare le relative esigenze di flessibilità e economicità deve essere apprezzata avendo riguardo alle concrete modalità con cui le stesse sono state attuate dall’Autorità.
21.1 Soffermandosi sulla delibera n. 512/2017/R/gas, non sembra che la stessa possa consentire un adeguamento del sistema tariffario rispetto alle esigenze di economicità e di flessibilità del servizio di trasporto del gas naturale per gli operatori alto consumanti; ciò pure prescindendo dalla considerazione per la quale l’art. 38, comma 2 bis, cit. richiedeva un adeguamento del sistema delle tariffe del trasporto con la previsione di criteri specificamente diretti ai soggetti con maggiore consumo di gas naturale, mentre la delibera de qua non ha influito formalmente sui criteri di determinazione della tariffa.
21.2 Al riguardo, si osserva che la delibera n. 512 del 2017:
- è stata assunta all’esito di un procedimento (cfr. documento per la consultazione 409/2015/R/gas), diverso rispetto a quello avviato dall’Autorità per ottemperare alle statuizioni della Sezione rese con sentenza n. 3735/2015 (deliberazione di avvio 429/2015/R/gas), avente come autonomo presupposto la riforma della disciplina dei conferimenti di capacità e non quella della flessibilità o dell’economicità del servizio di trasporto per i soggetti con maggiori consumi di gas; la circostanza per cui l’Autorità, nell’ambito del (diverso) procedimento di ottemperanza della sentenza n. 3735/2015, abbia ravvisato la necessità di prendere in esame gli esiti del procedimento riguardante il conferimento di capacità aggiuntiva dimostra la connessione delle tematiche in parola, ma non la loro identità, potendo valutarsi i benefici del conferimento di capacità aggiuntiva per meglio modulare, ma non per escludere, l’intervento regolatorio imposto dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., comunque necessario;
- riguarda esclusivamente il conferimento di capacità presso i punti di riconsegna della rete di trasporto gas che alimentano impianti di generazione di energia elettrica, interessando, dunque, soltanto i soggetti produttori di energia elettrica, che tuttavia non sembrano esaurire il novero dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale (tenuto conto che lo stesso disposto positivo non si riferisce ai soli produttori di energia elettrica); con la conseguenza che il relativo intervento regolamentare non potrebbe, comunque, ritenersi corrispondente a quello previsto dall’art. 38, comma 2-bis cit., non essendo riferito all’ambito soggettivo di applicazione di tale disposizione;
- prende in considerazione circostanze eventuali, date dall’esigenza sopravvenuta di conferimento di capacità aggiuntive rispetto a quelle impegnate su base annuale; con la conseguenza che tali misure potrebbero anche non trovare applicazione in relazione a quegli operatori che, caratterizzati da consumi costanti, non avvertano l’esigenza di ricorrere a conferimenti di capacità aggiuntiva infrannuale; quando, invece, la disciplina primaria imponeva di assicurare per tutti gli operatori alto consumanti la maggiore flessibilità ed economicità del servizio di trasporto, con misure, dunque, idonee ad influire sulla tariffa ordinariamente applicabile al servizio di trasporto fornito in loro favore; non sembra, in altri termini, idonea a soddisfare l’obiettivo di tutela sotteso all’art. 38, comma 2 bis, cit., una disciplina riferita alla tariffa applicabile soltanto al ricorrere di circostanze eventuali e sopravvenute, qual è l’esigenza di quantitativi di gas superiori alla capacità impegnata su base annuale;
- prevede, per il caso di conferimento di capacità aggiuntiva, il pagamento di un prezzo superiore rispetto a quello ordinariamente applicabile in caso di rispetto dei quantitativi impegnati (prevedendosi una maggiorazione, secondo coefficienti di moltiplicazione all’uopo previsti, del corrispettivo di capacità annuale riproporzionato su base mensile o giornaliera); il che, se assicura una maggiore flessibilità del servizio (sebbene, come osservato, ad applicazione eventuale), comporta un costo superiore rispetto a quello riferibile alla capacità ordinaria, con conseguente mancata realizzazione delle esigenze di maggiore economicità, egualmente valorizzate (al pari di quelle di flessibilità) dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit.
21.3 Peraltro, la stessa Autorità con la delibera n. 575 del 2017 ha ritenuto “opportuno rinviare la valutazione di eventuali ulteriori interventi di mitigazione, in particolar modo per i soggetti a maggior consumo di gas naturale, nell’ambito della riforma della disciplina degli oneri generali di sistema”; il che dimostra come, pure a fronte della previa adozione della delibera n. 512 del 2017, l’Autorità riconoscesse l’esigenza di affrontare la tematica degli interventi di mitigazione riferiti ai soggetti con maggior consumo di gas naturale, corrispondenti esattamente agli operatori beneficiati dall’art. 38, comma 2 bis, cit., rinviando la sua trattazione ad un intervento regolamentare futuro (ancora da attuare) in tema di oneri generali di sistema.
21.4 Non può, dunque, ritenersi che la delibera n. 512 del 2017 abbia consentito di rendere il sistema tariffario per cui è causa, complessivamente considerato, compatibile con il disposto dell’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit., dovendo confermarsi la valutazione di illegittimità già resa dalla Sezione con la sentenza n. 3755/15, intervenuta, per quanto osservato, in relazione ad un sistema tariffario sostanzialmente analogo a quello per cui è controversia, comunque caratterizzato dall’assenza di misure di regolazione tariffaria volte ad assicurare una maggiore flessibilità ed economicità del servizio di trasporto per i soggetti con maggiore consumo di gas naturale.
22. Non potrebbe, al riguardo, neppure sostenersi che una tale conclusione implichi un sindacato sostitutivo su valutazioni riservate all’Autorità.
Si fa questione, infatti, di un vizio di legittimità -e non di una ragione di inopportunità- della regolamentazione amministrativa, assunta in violazione di un precetto legislativo, che imponeva di tenere conto, nella definizione del sistema tariffario, della condizione di alcuni operatori (alto consumanti), cui avrebbero dovuto essere garantite condizioni di maggiore vantaggio sia in termini di flessibilità, in relazione alle esigenze produttive dagli stessi manifestate, sia in termini di economicità, in ragione degli elevati costi da questi sostenuti (parametrati alla rilevante capacità impegnata e alle elevate quantità di gas acquistate).
Integrandosi una difformità della regolamentazione in contestazione rispetto al paradigma normativo di riferimento, il vizio così emergente è certamente sindacabile da questo Consiglio.
23. Le considerazioni svolte determinano il rigetto dell’appello.
Pure dovendosi ammettere la discrezionalità dell’Autorità nella disciplina dei criteri di riparto capacity/commodity ed entry/exit -facendosi questione di elementi non predefiniti in maniera vincolante dalla normativa di settore- emerge l’illegittimità del sistema tariffario per cui è causa, complessivamente considerato, in quanto carente di misure idonee ad assicurare in favore degli operatori alto consumanti la maggiore flessibilità ed economicità del servizio di trasporto prescritta dall’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit.
L’illegittimità riscontrata con la presente sentenza, in particolare, non risiede, di per sé e in maniera atomistica, nelle modalità con cui sono stati definiti i criteri di riparto dei ricavi da recuperare (capacity/commodity e entry/exit), ma nell’approvazione di una complessiva metodologia tariffaria che non prevede speciali misure agevolative per gli operatori alto consumanti.
L’Autorità, pure non risultando vincolata ad intervenire sui criteri di riparto esaminati, effettivamente condizionati (come osservato) dalla tipologia dei costi sottesi e dagli obiettivi di interesse generale perseguiti, non avrebbe potuto approvare una metodologia tariffaria carente di temperamenti o correttivi che tenessero conto della finalità indicata al regolatore dal legislatore nel 2012, né avrebbe potuto valorizzare a tali fini il meccanismo dei conferimenti infrannuali di cui alla delibera n. 512 del 2017, per le ragioni svolte insufficiente alla realizzazione delle esigenze di tutela sottese all’art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, cit.
Deve, pertanto, confermarsi la sentenza gravata, occorrendo che l’Autorità, nella fase di riedizione del potere, definisca tali temperamenti e correttivi nell’esercizio della propria discrezionalità regolatoria.
Come già rilevato dalla Sezione con la sentenza n. 3735/2015, il decreto-legge n. 83 del 2012 si è limitato a prevedere che l’Autorità determinasse criteri, di qualsiasi tipo, purché tali da determinare condizioni di maggiore flessibilità e risparmio a tutela dei soggetti grandi consumatori, con la conseguenza che l’individuazione degli strumenti attraverso i quali darvi attuazione non potrebbe essere operata nella presente sede (altrimenti emergendo un inammissibile sindacato giudiziale di tipo sostitutivo), dovendo essere rimessa, nella fase di riedizione del potere, alla discrezionalità tecnica dell’Autorità appellante.
II. I motivi riproposti da Engie.
24. Come osservato nella descrizione degli eventi processuali, la società Engie, costituendosi in giudizio, non si è limitata a resistere all’appello dell’Autorità, bensì, da un lato, ha riproposto taluni motivi di ricorso assorbiti in primo grado, dall’altro, a sua volta, ha appellato in via incidentale la sentenza di primo grado, in relazione al capo decisorio (riferito alla domanda risarcitoria) rispetto al quale la società era rimasta soccombente.
24.1 L’infondatezza dell’appello, determinando una conferma dell’illegittimità – ai sensi e nei limiti sopra indicati – degli atti gravati, consentirebbe, anche nel presente grado di appello, di assorbire le ulteriori doglianze svolte in primo grado e non esaminate dal Tar (ritualmente riproposte dalla società Engie).
Si provvede, tuttavia, alla disamina di tali ulteriori doglianze, non potendosi escludere la rilevanza di un eventuale loro accoglimento ai fini della conformazione della riedizione del potere di regolamentazione.
24.2 Avuto riguardo ai motivi riproposti, l’operatore economico ha dedotto l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, in ragione:
- della violazione del Regolamento (UE) n. 460 del 2017, per avere l’Autorità disatteso la metodologia dei prezzi di riferimento basata sulla distanza ponderata prevista dall’art. 8 regolamento n. 460 del 2017, recante, tra i parametri da rispettare, la ripartizione entrata-uscita pari a 50/50; ciò tenuto conto pure che l’Autorità si era autolimitata nel documento di consultazione n. 413/2017/R/Gas al criterio del 50/50 (punto 14.9);
- del travisamento dei presupposti di fatto e di diritto alla base degli atti gravati e, comunque, dello sviamento, tenuto conto che l’obiettivo perseguito dall’Autorità, dato dalla riduzione della differenza di prezzo (spread) tra il mercato italiano del gas naturale e quello dei principali mercati europei si fonderebbe su una correlazione invero inesistente tra riduzione degli oneri in entrata/aumento degli oneri in uscita e la riduzione dei prezzi del Punto di Scambio Virtuale; sarebbero, infatti, numerosi gli elementi idonei ad influire sul mercato del gas, con la conseguenza che l’obiettivo prefissato dall’Autorità non avrebbe potuto essere affidato all’aumento di un costo isolato, dovendo essere realizzato con un intervento sistematico; si farebbe, dunque, questione di una misura inidonea a realizzare l’obiettivo prefissato e penalizzante per gli operatori di mercato tenuti ad acquistare il gas in Italia;
- della violazione degli artt. 26 e 27 del Regolamento n. 460 del 2017 cit., avendo omesso l’Autorità di fornire nel documento di consultazione n. 413/2017/R/gas una serie di informazioni minime, per come descritte dall’art. 26, par. 1, cit., specie in relazione alle ipotesi, verificatesi nella specie, in cui la metodologia dei prezzi di riferimento fosse diversa da quella prevista dall’art. 4 dello stesso regolamento; lo stesso art. 38 del Regolamento non escluderebbe il capo relativo alla consultazione dalla sua applicazione immediata, con la conseguenza che tale disciplina avrebbe dovuto trovare applicazione al procedimento avviato con la deliberazione n. 413/2017/R/gas.
25. Il primo motivo riproposto è infondato.
25.1 In primo luogo, si osserva che:
- da un lato, l’art. 8 regolamento n. 460 del 2017, in quanto inserito nell’ambito del capo II dello stesso regolamento, è entrato in vigore soltanto a decorrere dal 31 maggio 2019 (ai sensi di quanto previsto dall’art. 38 regolamento);
- dall’altro, ai sensi dell’art. 27, par. 5, del medesimo regolamento “Le tariffe applicabili per il periodo tariffario prevalente al 31 maggio 2019 saranno applicabili fino al termine del periodo”.
Ne deriva che la disciplina richiamata a fondamento del primo motivo riproposto opera soltanto a far data dal 31 maggio 2019 e per i soli criteri tariffari definiti per il periodo regolatorio successivo a quello prevalente al 31 maggio 2019.
Tale disciplina, dunque, non è applicabile, ratione temporis, al caso di specie, in cui si discorre di un atto di regolamentazione (n. 575/2017/R/GAS) assunto in data 3 agosto 2017 e in relazione al periodo transitorio 2018/2019, quando ancora non operava la disciplina sovranazionale (ex art. 8 regolamento n. 460/17) sulla metodologia dei prezzi di riferimento basata sulla distanza ponderata per la capacità.
Pertanto, il primo motivo riproposto non può essere accolto, in quanto incentrato su una disciplina irrilevante, ratione temporis, ai fini sella soluzione dell’odierna controversia.
25.2 In secondo luogo, si rileva, comunque, che l’art. 8 cit. non vincola le Autorità di regolamentazione alla previsione di un criterio di riparto entrata/uscita pari a 50/50, bensì impone, qualora venga prevista una metodologia tariffaria diversa da quella ivi delineata, di raffrontare il sistema tariffario nazionale con il modello standard, definito in ambito unionale, al fine ultimo di garantire la confrontabilità delle varie misure nazionali.
25.3 Tanto emerge da una lettura sistematica dell’atto unionale.
Difatti:
- l’art. 26, paragrafo 1, lettera a, punto vi), del regolamento cit., prevede che la consultazione che precede la decisione motivata definitiva del procedimento deve, tra l’altro, descrivere la metodologia dei prezzi di riferimento proposta; a tali fini, tra le informazioni da fornire, si prevede che, “se la metodologia dei prezzi di riferimento proposta è diversa dalla metodologia dei prezzi di riferimento basata sulla distanza ponderata per la capacità descritta nell'articolo 8”, occorre garantire “il confronto della prima con la seconda insieme alle informazioni di cui al punto iii)”;
- l’art. 8 del medesimo regolamento individua i parametri propri della metodologia dei prezzi di riferimento basata sulla distanza ponderata per la capacità, prendendo in esame anche la ripartizione entrata-uscita, quantificata nel 50/50;
- l’art. 7 del regolamento cit. delinea i requisiti da osservare nella scelta della metodologia dei prezzi di riferimento, tra cui non compare il riparto entrata/uscita pari a 50/50.
Per l’effetto, la disciplina sovranazionale, prevedendo, in caso di scelta di una metodologia dei prezzi di riferimento diversa da quella prevista dall’art. 8 cit., l’obbligo di confrontare la metodologia nazionale con il modello standard definito in ambito unionale, non vincola le Autorità di regolamentazione ad utilizzare la metodologia tariffaria definita, nelle sue componenti, all’art. 8 cit., ma impone soltanto di tenere in considerazione tale modello tariffario, ai fini di un suo confronto con il sistema tariffario adottato in ambito nazionale.
I requisiti cogenti da rispettare dalle autorità nazionali sono stati, invece, definiti, dall’art. 7 del regolamento, che rinvia all’art. 13 del regolamento (CE) n. 715/2009 e che prevede direttamente taluni elementi da osservare nella scelta della metodologia dei prezzi di riferimento: tra tali requisiti non è compreso, come osservato, il criterio di riparto entrata/uscita pari al 50/50.
L’Autorità deve, in definitiva, ritenersi libera di applicare una metodologia diversa da quella basata sulla distanza ponderata per la capacità ex art. 8 cit., a condizione, tuttavia, che, da un lato, rispetti i requisiti di cui all’art. 7, tra cui non compare la ripartizione entrata-uscita, dall’altro, qualora utilizzi una metodologia diversa dal modello unionale, ponga a raffronto il modello nazionale rispetto a quello unionale.
25.4 Non potrebbe, peraltro, neppure ritenersi che, una volta scelta la metodologia dei prezzi di riferimento basata sulla distanza ponderata per la capacità, occorra, in ogni caso, rispettare tutti i parametri delineati dall’art. 8 cit.
Una tale regola, oltre a non essere posta dal diritto unionale, condurrebbe a risultati irragionevoli: si permetterebbe l’utilizzo di metodologie radicalmente differenti da quella basata sulla distanza ponderata per la capacità, costituente il modello delineato in ambito europeo, ma non si consentirebbe l’uso della stessa metodologia (basata sulla distanza ponderata per la capacità) con alcuni correttivi riguardanti taluni dei parametri standard definiti dall’art. 8, sebbene un tale ultimo modus procedendi si discosti in misura minore da quanto previsto in sede europea.
25.5 Si conferma che l’esigenza sottesa alla definizione di una metodologia standard ai sensi dell’art. 8, incentrata su taluni parametri (parimenti) standard, non è quella di imporre l’utilizzo di un sistema tariffario unico, ma soltanto quella di assicurare la confrontabilità delle misure regolatorie nazionali con un modello uniforme non vincolante definito in ambito europeo, imponendo ogniqualvolta vi sia uno scostamento rispetto a tale modello -sia minimo, in ragione dell’utilizzo della stessa metodologia ma con parametri differenti rispetto a quelli riportati dall’art. 8 cit., sia massimo, a causa dell’uso di una metodologia radicalmente differente, non basata sulla distanza ponderata per la capacità- un mero raffronto tra metodologia nazionale e unionale.
25.6 Alla luce delle considerazioni svolte, deve confermarsi la legittimità di una metodologia nazionale -difforme da quella di riferimento definita in ambito unionale ai sensi dell’art. 8 regolamento n. 460 del 2017- che preveda sì il ricorso alla distanza ponderata per la capacità, ma sulla base di parametri, quali il riparto entrata/uscita, diversi da quelli definiti nell’art. 8 cit., emergendo in siffatte ipotesi soltanto l’esigenza di un confronto tra le due metodologie in parola (nazionale e standard unionale).
25.7 Infine, non potrebbe pervenirsi all’accoglimento del primo motivo di ricorso neppure facendo leva su un supposto autovincolo assunto dall’Autorità nell’ambito del documento di consultazione n. 413/2017/R/gas (punto 14.9).
L’Autorità, infatti, sebbene abbia ritenuto la metodologia di cui all’art. 8 del regolamento n. 715/09 idonea a garantire “una maggior semplicità”, consentendo “più agevolmente agli utenti della rete di riprodurre il calcolo dei prezzi di riferimento ottenendone una previsione accurata”, nell’ambito dello stesso punto 14.9 del documento di consultazione, ha espressamente rappresentato l’intenzione di “valutare una possibile differente ripartizione dei ricavi tra corrispettivi di entrata e corrispettivi di uscita, attualmente pari a 50/50. Tale soluzione fa seguito a quanto già proposto per il periodo transitorio, per il quale è stata proposta una ripartizione 40/60 (cfr. paragrafo 9.21, lettera a)), e risponde agli obiettivi di maggiore competitività dell’approvvigionamento di gas naturale sul mercato nazionale e di maggiore allineamento dei prezzi al PSV con i principali hub europei”.
Di conseguenza, l’Autorità aveva chiaramente rappresentato l’esigenza di valutare una modifica del criterio di riparto entrata/uscita, non sussistendo, pertanto, alcun autovincolo avente ad oggetto, in relazione al periodo transitorio per cui è causa, la previsione di un criterio di riparto pari a 50/50.
26 Anche il secondo motivo di ricorso riproposto non può trovare accoglimento.
Al riguardo, giova rinviare alle considerazioni svolte nella disamina dell’appello principale, in relazione all’idoneità della modifica del criterio di riparto entrata/uscita -con la riduzione delle componenti tariffarie associate ai punti di entrata e un loro incremento in relazione ai punti di uscita - a determinare, a parità di altre condizioni di mercato, una diminuzione del costo della materia prima a beneficio dell’intero sistema economico (secondo i sopra indicati meccanismi di trasmissione degli effetti economici della misura de qua dal mercato del gas naturale ai mercati correlati).
La circostanza per cui un tale obiettivo sia condizionato da altre variabili di mercato, non dominabili dall’Autorità e per la stessa spesso imprevedibili, non potrebbe escludere l’idoneità dell’intervento dell’Autorità a concorrere, quale concausa, nella produzione dell’obiettivo di interesse generale atteso; il che è sufficiente per giustificare la relativa misura regolatoria.
Come ogni scelta regolatoria, implicante una comparazione di interessi contrapposti, è inoltre possibile che la regula iuris così introdotta produca taluni effetti negativi su alcuni operatori di mercato; ciò, tuttavia, non determina l’illegittimità della scelta, se la stessa consenta, in via generale, di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Pertanto – si ribadisce – non è illegittima, di per sé, la scelta di un riparto entrata/uscita pari a 40/60 – non essendovi una disposizione o un principio che imponga, in ogni caso, un rapporto pari a 50/50 – bensì è illegittimo il complesso sistema tariffario in esame, carente di misure e temperamenti specifici, ulteriori e diversi dai criteri di riparto capacity/commodity o entry/exit, volti a garantire le esigenze di flessibilità ed economicità degli operatori alto consumanti.
27. Non risulta meritevole di accoglimento neppure il terzo motivo di ricorso riproposto, incentrato sulla conduzione di una procedura di regolazione difforme rispetto a quanto prescritto dagli artt. 26 e 27 del regolamento n. 460/2017.
27.1 Premesso che la fondatezza di tale censura non muterebbe l’esito del giudizio, dovendosi già confermare l’illegittimità degli atti impugnati in ragione della violazione (sostanziale) del decreto-legge n. 83 del 2012, si osserva che il legislatore unionale ha delineato un’apposita procedura di regolamentazione tariffaria, che prevede “la consultazione finale sulla metodologia dei prezzi di riferimento in conformità dell'articolo 26, la decisione dell'autorità nazionale di regolamentazione in conformità del paragrafo 4, il calcolo delle tariffe in base a tale decisione e la pubblicazione delle tariffe conformemente al capo VII” (art. 27, par. 5, regolamento n. 460 cit.).
Tale procedura “può essere avviata a partire dall'entrata in vigore del presente regolamento ed è conclusa entro il 31 maggio 2019” (art. 27, comma 5, regolamento n. 460 cit.).
Per l’effetto, una tale procedura, comprendente -come primo atto- la pubblicazione di apposito documento di consultazione di cui all’art. 26, par. 1, del regolamento, da un lato, non avrebbe potuto essere avviata anteriormente al 6 aprile 2017, corrispondente alla data di entrata in vigore del regolamento (ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione, avvenuta in data 17.3.2017), dall’altro, avrebbe dovuto essere conclusa entro il 31.5.2019.
Il legislatore unionale ha, dunque, previsto un solo termine vincolante, corrispondente al dies ad quem per concludere la procedura di regolamentazione (come reso palese dalla locuzione “è conclusa”, espressiva di un precetto non derogabile): il dies a quo di avvio (6.4.2017), invece, risultava facoltativo (avendo il legislatore significativamente impiegato, in tale caso, la diversa locuzione “può essere avviata”, a dimostrazione della sua facoltatività), essendo rimesso all’apprezzamento delle Autorità di regolamentazione la scelta della data di avvio della procedura.
Tale disciplina è completata dalle previsioni recate nello stesso art. 27, par. 5, in cui si dispone che “Le tariffe applicabili per il periodo tariffario prevalente al 31 maggio 2019 saranno applicabili fino al termine del periodo. Detta procedura è ripetuta almeno ogni cinque anni a decorrere dal 31 maggio 2019”, nonché nell’art. 38, che ha previsto il differimento a decorrere dal 31.5.2019 delle disposizioni (altresì) sulle metodologie dei prezzi di riferimento (capo II).
27.2 Ne deriva che le Autorità di regolamentazioni avrebbero dovuto concludere le procedure di regolamentazione delineate dalla disciplina unionale entro il 31.5.2019, affinché, a partire da tale data, potessero trovare applicazione metodologie tariffarie conformi alle previsioni poste dal capo II del regolamento n. 460 cit. (applicabili proprio a decorrere dal 31.5.2019), ferma rimanendo, ai sensi dell’art. 27, par. 5, la perdurante applicabilità delle tariffe relative al periodo tariffario prevalente al 31.5.2019, operanti fino al termine del periodo.
27.3 Tali rilievi evidenziano l’inapplicabilità nella specie, ratione temporis, (anche) della disciplina procedimentale dettata dagli artt. 26 e 27 regolamento n. 460 cit.
Trattasi, infatti, di disciplina riferita ai procedimenti di regolamentazione da concludere entro il 31.5.2019, riguardanti i criteri tariffari da applicare dal 31.5.2019 ovvero, in caso di tariffe predeterminate operanti per il periodo tariffario prevalente al 31.5.2019, dal termine del relativo periodo.
Nel caso di specie, invece, si discorre di un procedimento di regolamentazione relativo a criteri tariffari di regolazione delle tariffe del servizio di trasporto di gas naturale per il periodo transitorio negli anni 2018 e 2019 e, dunque, relativo a tariffe applicabili per il periodo tariffario prevalente al 31.5.2019.
In definitiva, le previsioni unionali, operando per il procedimento di regolamentazione dei criteri tariffari riferiti al periodo regolatorio successivo a quello prevalente al 31.5.2019, risultavano inapplicabili per l’adozione della deliberazione n. 575 del 2017, non potendo, di conseguenza, essere invocate quale parametro di legittimità degli atti impugnati in primo grado.
III. L’appello incidentale di Engie.
28. Infine, occorre esaminare l’appello incidentale proposto da Engie, diretto a censurare il capo decisorio con cui il Tar ha rigettato la domanda risarcitoria proposta in primo grado.
Secondo la prospettazione dell’operatore economico, il Tar sarebbe incorso in “errores in procedendo e in judicando. Omessa motivazione”, avendo negato l’esistenza di una prova a supporto della relativa domanda, nonostante la società avesse dimostrato esattamente e puntualmente il pregiudizio subito in conseguenza della regolazione tariffaria illegittima introdotta dall’Autorità.
Le tabelle e i riferimenti contabili indicativi di voci di costo avrebbero dimostrato le circostanze fattuali alla base della domanda risarcitoria, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice.
Il calcolo proposto da Engie, invero, sarebbe stato eseguito prendendo a riferimento la capacità giornaliera di ciascuna delle centrali ed applicando la componente tariffaria in uscita riferita all’area di prelievo, come desumibile dai documenti ufficiali di Snam pubblicati sul sito annualmente e confermato dalle fatture emessa da Snam Rete Gas.
Per l’effetto, Engie avrebbe verificato i costi sostenuti nel 2017 e li avrebbe confrontati ai costi sostenuti nel 2018 e nel 2019, calcolando l’incremento di costo derivante dalla modifica della tariffa in relazione al nuovo riparto del criterio entry/exit: tale pregiudizio avrebbe dovuto essere quantificato in € 1.596.683,00 per l’anno 2018 ed € 987.000,00 per l’anno 2019, pari alla differenza tra i costi complessivi sostenuti nel 2018 e nel 2019 e i costi complessivi sostenuti nel 2017, tenuto conto degli impianti di produzione elettrica di tipo CCGT denominati Leini, Roselectra e Voghera (a ciclo combinato alimentati a gas) e, in specie, delle componenti tariffarie associate ai punti di riconsegna cui gli impianti risultavano collegati (costituenti, nella specie, punti di collegamento tra la rete nazionale e quella regionale in cui l’impianto era situato).
L’operatore economico, in particolare, ha tenuto conto della tariffa dovuta sulla base delle componenti correlate alla capacità conferita nei punti di uscita (in concreto rilevanti) dalla rete nazionale di gasdotti e nei punti di riconsegna (in concreto rilevanti) delle reti regionali di gasdotti. Lo stesso appellante ha precisato, invece, che ai punti ai quali sono connessi gli impianti di produzione, non sono applicabili le componenti (Ke * CPe) e (V * CV), operanti, invece, solo per i punti di immissione di gas naturale nella rete di trasporto.
La quantificazione del danno è stata operata pure mantenendo costanti le capacità impegnate, emergendo anche in tale ipotesi un risultato pressoché analogo.
Trattandosi di una liquidazione operata sulla base delle tabelle e dei riferimenti di natura contabile indicativi di voci di costo estratte da dati ufficiali pubblicati sul sito Snam – derivanti dal confronto tra la tariffa del 2017 con quella operante negli anni 2018 e 2019, condizionata dalla regolazione impugnata in prime cure in ordine al nuovo criterio di riparto entry/exit – il Tar non avrebbe potuto rigettare la domanda risarcitoria per difetto di prova, essendosi in presenza di una compiuta dimostrazione sia del quantum del danno che della sua correlazione causale alla condotta regolatoria tenuta dall’Autorità.
Difatti, “La somma dei corrispettivi unitari applicati ai punti di uscita dalla RN e ai punti di riconsegna (CRr + CPu), infatti, subisce un incremento del 12% proprio tra il 2017 ed il 2018. Ad ulteriore riprova del nesso di causalità, è sufficiente notare che - diversamente tra il 2017 e il 2018 - tra il 2018 ed il 2019 c’è stata, invece, una lieve riduzione della Tariffa di Trasporto” (pag. 14 appello incidentale).
Per l’effetto, pure non potendosi ristorare la perdita di occasioni di mercato determinata dall’aumento dei costi di produzione, aventi natura fissa (non essendo l’operatore economico in condizione di spostare i propri punti di exit al di fuori della rete di trasporto), “il maggior costo, addebitabile esclusivamente al mutamento del criterio exit/entry da 50/50 a 40/60 è di € 1.596.683,0 per l’anno 2018 ed € 978.008,00 per l’anno 2019, per un totale di € 2.574.691,00 per l’intero periodo di applicazione della delibera 575/2017/R/GAS, calcolato prendendo a riferimento la capacità giornaliera (CG) di ciascuna delle centrali (Voghera, Leinì e Roselectra) ed applicando la componente tariffaria in uscita applicata” (pag. 15 appello incidentale)
29. L’appello incidentale è infondato.
30. In materia di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, la parte che affermi di avere subito un danno in conseguenza dell’altrui condotta lesiva, è tenuta ad allegare e provare puntualmente gli elementi costitutivi dell’illecito e le conseguenze pregiudizievoli subite (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2020, n. 6394).
30.1 In particolare, l’illecito civile ascrivibile all’Amministrazione nell’esercizio dell’attività autoritativa, quale quella rilevante nell’odierna sede processuale, richiede:
- sul piano oggettivo, la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto, con la necessità, a tale ultimo riguardo, di distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento”) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza”), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3);
- sul piano soggettivo, l’integrazione del coefficiente di colpevolezza, con la precisazione che la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell'amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa non integra la colpa dell'Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).
30.2 Con specifico riferimento all’accertamento del nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo – c.d. “causalità materiale” – occorre, inoltre, verificare “se l’attività illegittima dell’Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3318).
Trattasi di un giudizio da svolgere in applicazione della teoria condizionalistica, governata dalla regola probatoria del “più probabile che non” e temperata in applicazione dei principi della causalità adeguata.
In particolare, occorre procedere ad un giudizio controfattuale, volto a stabilire “se, eliminando o, nell’illecito omissivo, aggiungendo quella determinata condotta, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, e, una volta risolto positivamente tale scrutinio, un secondo stadio richiede di verificare, con un giudizio di prognosi ex ante, l’esistenza di condotte idonee - secondo il criterio del “più probabile che non” - a cagionare quel determinato evento.
Sicché l’esito positivo del predetto giudizio - riconducibile alla teoria della causalità adeguata - accerta definitivamente l’efficienza causale dell’atto illegittimo rispetto all’evento di danno, che va esclusa qualora emergano fatti o circostanze che abbiano reso da sole impossibili il perseguimento del bene della vita determinando autonomamente l’effetto lesivo (Cons. Stato, VI, 29 maggio 2014, n. 2792)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 luglio 2019, n. 4790).
30.3 Positivamente definito lo scrutinio in ordine alla causalità materiale, a fronte d’un evento dannoso causalmente riconducibile alla condotta illecita, occorre verificare la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).
Peraltro, ove non sia possibile accertare con certezza la spettanza in capo al ricorrente del bene della vita ambito, il danno patrimoniale potrebbe, comunque, essere liquidato ricorrendo alla tecnica risarcitoria della chance, previo accertamento di una "probabilità seria e concreta" o anche "elevata probabilità" di conseguire il bene della vita sperato.
30.4 Sul piano dell’elemento soggettivo, infine, occorre accertare il coefficiente di colpevolezza.
Al riguardo, al fine di configurare la colpa dell'Amministrazione assume rilievo, altresì, la tipologia di regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell'elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all'Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità.
A fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell'Amministrazione può, infatti, essere affermata nei soli casi in cui l'azione amministrativa abbia disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell'imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 05 giugno 2019, n. 3799).
Sotto il profilo processuale del riparto dell’onere della prova, inoltre, deve rilevarsi che, in caso di acclarata illegittimità di un atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio per ciò che attiene al profilo dell'elemento soggettivo della fattispecie; egli può, infatti, limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell'elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c., mentre spetta alla Pubblica amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile.
Tale presunzione di colpa dell'amministrazione, tuttavia, può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l'imperizia, cioè l'aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell'assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l'indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (Consiglio di Stato Sez. VI, 28 giugno 2019, n. 4454).
31. L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie manifesta l’infondatezza dell’appello incidentale.
In particolare, da un lato, difetta il danno ingiusto, risultando la pretesa risarcitoria incentrata sulla asserita spettanza di un bene della vita (correlato all’applicazione necessitata di un criterio di riparto entrata/uscita pari a 50/50) invero non riconosciuto dalla normativa di settore; dall’altro, le conseguenze dannose di cui l’appellante chiede il risarcimento non corrispondono all’effettivo danno correlabile all’asserito fatto illecito, occorrendo a tali fini tenere conto anche dei vantaggi discendenti da una riduzione (prodotta dalla stessa misura regolatoria in contestazione) della quota di ricavi recuperabili in relazione ai punti di entrata. Ciò pure prescindendo dall’accertamento del coefficiente di colpevolezza, come osservato da escludere qualora, in presenza di fattispecie connotate da elevata complessità tecnica, implicanti giudizi discrezionali dell’Autorità intimata, non sia ravvisabile una macroscopica ed evidente violazione dei criteri di buona fede ed imparzialità.
L’infondatezza della domanda risarcitoria, inoltre, esime il Collegio dallo statuire sull’eccezione di inammissibilità opposta dall’Autorità a pag. 7 della memoria conclusionale e motivata sulla base dell’asserita introduzione in grado di appello di un’integrazione della domanda di primo grado, in violazione dell’art. 104 c.p.a.
32. Procedendo alla disamina delle ragioni ostative all’accoglimento della domanda risarcitoria, occorre, in primo luogo, evidenziare come nel caso in esame non sia possibile formulare un giudizio di cd. “spettanza del bene della vita” favorevole alla parte privata.
32.1 Come precisato dalla giurisprudenza di questo Consiglio, il risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest'ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell'Amministrazione: nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, l’accoglimento della domanda così proposta è, dunque, subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 aprile 2021, n. 3398).
In particolare, è stato rilevato che “[l]'annullamento di un atto dal quale consegue una riedizione del potere amministrativo, per vizi che non comportano un giudizio definitivo in ordine alla spettanza o meno del bene da conseguire, ha come conseguenza che la domanda di risarcimento del danno causato da detto illegittimo provvedimento non può essere accolta, ove, come nel caso in esame, persistano in capo alla p.a. significativi spazi di discrezionalità amministrativa, in sede di possibile riesercizio del potere, e la parte istante non si sia limitata a chiedere il mero danno subito per effetto di un'illegittimità procedimentale sintomatica di una modalità comportamentale non improntata alla regola della correttezza, ma abbia richiesto l'intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla richiesta pretensiva” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 733)
32.2 Avuto riguardo al caso di specie, risulta che la parte ricorrente incentra la propria pretesa risarcitoria sulla modificazione del criterio di riparto entrata/uscita, transitato da un valore pari a 50/50 (volto a ripartire in misura paritaria i ricavi da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di entrata e ai punti di uscita) ad un valore pari a 40/60 (con un incremento percentuale della quota dei ricavi da recuperare attraverso componenti tariffarie applicate ai punti di uscita).
Per l’effetto, la società Engie chiede il risarcimento del danno subito in conseguenza, anziché di mere violazioni procedimentali (pure censurate ai fini caducatori), dei maggiori costi prodotti dal nuovo criterio di riparto entrata/uscita definito con gli atti impugnati in primo grado.
L’accoglimento di tale pretesa presupporrebbe, dunque, l’illegittima definizione del criterio di riparto de quo pari a 40/60, stante la necessità di prevedere al riguardo un riparto paritario tra i punti di entrata e di uscita, corrispondente a 50/50.
32.3 Una tale pretesa non può ritenersi fondata, con conseguente mancata emersione di un danno “ingiusto” ex art. 2043 c.c. suscettibile di risarcimento.
Come osservato nella disamina dell’appello principale, il sistema tariffario per cui è causa è illegittimo, non perché l’Autorità non avrebbe potuto modificare il criterio di riparto entrata/uscita, variando l’originario rapporto 50/50 e definendone uno nuovo pari a 40/60 (rientrando una tale misura nella discrezionalità regolatoria dell’Autorità e non essendovi principi o norme che impongono un valore di 50/50), bensì per non essere stati previsti specifici temperamenti o correttivi finalizzati, in qualche misura, a tener conto dell’obiettivo indicato dal legislatore nel 2012, funzionali, dunque, a rendere più flessibile ed economico il servizio di trasporto a vantaggio dei soggetti con maggiore consumo di gas naturale.
Tale obiettivo, tuttavia, avrebbe potuto (con l’adozione degli atti impugnati in primo grado) e potrebbe (nella fase di riedizione del potere) essere perseguito anche attraverso misure non incidenti sul riparto entrata/uscita e, dunque, pure a fronte di un riparto pari a 40/60, di per sé non illegittimo in assenza di un principio o un precetto giuridico che imponga al riguardo la definizione di un rapporto pari a 50/50, corrispondente a quanto infondatamente preteso dall’appellante incidentale.
32.4 Pertanto, una prima ed autonoma ragione ostativa all’accoglimento della domanda risarcitoria deve essere individuata nell’impossibilità di individuare nel rapporto 50/50 la misura necessitata del criterio di riparto entrata/uscita in commento, facendosi questione di una componente del sistema tariffario definibile in via discrezionale dall’Autorità.
Per l’effetto, il maggiore costo di trasporto associato ai punti di uscita, sopportato dalla società Engie, non integra un danno ingiusto suscettibile di risarcimento, essendosi in presenza di un maggiore costo correlato ad una modifica di una componente tariffaria (criterio di riparto entrata/uscita pari a 40/60), suscettibile di essere confermata nella fase di riedizione del potere, trattandosi di un elemento rimesso alla discrezionalità dell’Autorità procedente, non vincolato dalla normativa di settore o dalla presente pronuncia.
33. Fermo rimanendo il carattere dirimente di tale prima ragione di rigetto, si osserva che la pretesa azionata dalla ricorrente non avrebbe potuto, comunque, essere accolta per come formulata nell’appello incidentale, avendo la società ricorrente tenuto conto dei soli svantaggi economici conseguenti al nuovo criterio di riparto entrata/uscita definito con gli atti per cui è causa, senza considerare i benefici economici goduti per effetto della misura regolatoria in esame, pure determinanti per accertare l’esistenza (oltre che, eventualmente, il quantum) del danno concretamente lamentato.
33.1 Nell’odierno giudizio, l’Autorità, dopo avere correttamente precisato che la società Engie, nella quantificazione del danno, ha preso in esame anche gli esborsi per il corrispettivo CRr, “che nulla hanno a che vedere con il thema decidendum” (pag. 8 memoria conclusionale) influendo il riparto entrata/uscita sul corrispettivo CPu:
- da un lato, ha rilevato che “la regola di riparto entry/exit: non produce alcuna differenza dal punto di vista tariffario per i grandi consumatori di gas naturale, non incidendo in alcun modo sul costo complessivo di trasporto che i clienti devono sostenere (pari al 100% sia se lo si suddivida 50/50 che nel caso in cui sia suddiviso in 40/60). In alcun modo, dunque, la misura in oggetto produce un incremento del costo del trasporto a carico dei grandi consumatori”, con la precisazione che “il passaggio dal criterio di riparto entry/exit 50/50 a quello attuale 40/60 non è idoneo a mutare l’entità del costo complessivo di trasporto pagato dai clienti finali” (pag. 31 ricorso in appello);
- dall’altro, con specifico riferimento alla domanda risarcitoria, ha pure eccepito che “l’impostazione di controparte non considera in alcun modo che la misura adottata dall’Autorità, riducendo i costi di trasporto ai punti di entrata, persegue l’obiettivo di ridurre il costo di approvvigionamento del gas naturale, con l’obiettivo di un risparmio per i consumatori di gas naturale sul costo della materia prima. L’istanza risarcitoria, dunque, è viziata da genericità, proprio perché generico e parziale è il confronto effettuato da Engie, che, come precisato nella sentenza n. 440/2020, non prova il danno paventato” (pag. 8 memoria conclusionale).
A giudizio dell’Autorità, dunque, la modifica del criterio entrata/uscita non avrebbe determinato alcun effetto economico (positivo o negativo) per l’appellante incidentale, trattandosi di operatore comunque tenuto, in ultima analisi, al pagamento del 100% del costo di trasporto, con la conseguenza che sarebbe stato indifferente un riparto entrata/uscita definito in misura pari al 50/50 o secondo un rapporto di 40/60; ciò rileverebbe anche ai fini del rigetto della domanda risarcitoria, formulata al riguardo in maniera generica, senza tenere conto degli effetti positivi discendenti da una riduzione delle componenti tariffarie associate ai punti di entrata.
33.2 L’impostazione dell’Autorità, incentrata sulla neutralità per gli operatori alto consumanti di una modifica del criterio di riparto entrata/uscita, pure non potendo essere interamente condivisa (rinviandosi sotto tale profilo a quanto già osservato in ordine alla riduzione dei margini entro cui gli shippers possono attuare strategie di parziale trattenimento dei costi di trasporto, in tale modo evitando una loro traslazione integrale in capo ai grandi consumatori), valorizza comunque correttamente l’esigenza, nella determinazione dell’an e del quantum del danno conseguenza, di tenere conto, qualora il medesimo fatto (nella specie, la modifica del criterio entrata/uscita) produca nei confronti dello stesso soggetto al contempo conseguenze pregiudizievoli e favorevoli sul piano economico, anche dei vantaggi ottenuti dalla parte danneggiata.
Difatti, “quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perchè il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell'altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato” (Cass. civ., Sez. I, Ord., 6 marzo 2020, n. 6477).
In particolare, il principio della compensatio lucri cum damno non mira ad introdurre, nel thema decidendum del giudizio, un nuovo fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto altrui, ragion per cui non integra un’eccezione in senso stretto, ma configura una mera difesa in ordine all'esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato (Cass. civ., Sez. III, Sent., 24 novembre 2020, n. 26757): tale principio può operare tra somme liquide, certe, determinate o determinabili e in presenza della prova dell'esistenza e dell'entità delle somme da detrarre, da fornire a cura di chi eccepisca il lucrum (Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 11 aprile 2022, n. 11626).
33.3 Avuto riguardo al caso di specie, deve osservarsi che, nella determinazione delle eventuali conseguenze pregiudizievoli subite dall’operatore alto consumante, discendenti da una riduzione della quota di ricavi da recuperare presso i punti di entry e da un incremento della quota di ricavi da recuperare presso i punti di exit, non può tenersi conto del solo maggiore costo del trasporto del gas naturale associato ai punti di uscita, dovendo essere valorizzata, altresì, la riduzione dei costi sostenuti dallo shipper presso i punti di entrata, costituenti, comunque, una componente dei costi di esercizio rilevanti per la determinazione del prezzo del gas naturale.
Come osservato, una riduzione dei costi di trasporto calcolati in applicazione dei corrispettivi tariffari ai punti di entrata si traduce in un costo minore sostenuto dallo shipper per l’immissione del gas naturale nella rete nazionale (ai fini del suo successivo trasporto e della relativa vendita).
Dovendosi ritenere che lo shipper sia un operatore razionale e, dunque, agisca nel mercato determinando i propri margini di guadagno sulla base dei costi sostenuti, una riduzione del costo di trasporto associato ai punti di entrata e internalizzato dallo shipper tra i propri costi di esercizio non potrebbe che determinare una riduzione anche del prezzo del bene finale venduto alle controparti negoziali.
Si è osservato, in precedenza, che lo shipper potrebbe attuare strategie promozionali volte a trattenere presso di sé una quota dei costi di trasporto riferiti ai punti di entrata, senza provvedere alla loro traslazione integrale in favore degli acquirenti; ciò al fine di fidelizzare la propria clientela o di guadagnare quote di mercato.
È invece improbabile che lo shipper trasli in capo alla propria controparte un costo di trasporto, associato ai punti di entrata, superiore rispetto a quello effettivamente sostenuto.
Pertanto, un criterio di riparto pari a 40/60, determinando una riduzione della quota dei ricavi da recuperare presso i punti di entrata, comporta una riduzione dei costi di trasporto sostenuti dallo shipper presso i punti di immissione nella rete nazionale; tale minore costo non può che tradursi anche in una riduzione dei costi traslabili in sede di definizione del prezzo di vendita del gas naturale e, in ultima analisi, nella riduzione dello stesso prezzo di vendita della materia prima.
Di conseguenza, l’operatore alto consumante, nel passaggio da un criterio di riparto entrata/uscita pari a 50/50 ad uno pari a 40/60, se subisce una maggiorazione del costo sostenuto presso i propri punti di uscita e di riconsegna (aumentando la sua incidenza nella determinazione del complessivo costo di trasporto), è comunque beneficiato da una riduzione dei costi riferiti all’immissione del gas naturale nella rete nazionale, che concorrono a definire i costi di esercizio dello shipper e che influiscono (in funzione riduttiva) nella determinazione del prezzo della materia prima acquistata.
In siffatte ipotesi, in cui lo stesso fatto (modifica del criterio di riparto entrata/uscita) determina, al contempo, svantaggi (maggiore costo del trasporto “in uscita”, autonomamente valorizzato nell’ambito del prezzo dovuto dall’operatore alto consumante) e benefici (minore costo del trasporto “in entrata”, inglobato nei costi di esercizio rilevanti per la determinazione del prezzo della materia prima, con conseguente riduzione anche del costo del gas naturale compravenduto), il danno non potrebbe essere determinato facendo riferimento al solo maggiore costo, ma dovrebbe tenere conto anche dei vantaggi economici in concreto prodottisi.
33.4 Né potrebbe contestarsi al riguardo il difetto di prova in ordine all’esistenza di tali benefici.
Una tale prova discende dalla riduzione della quota dei ricavi da recuperare attraverso le componenti tariffarie associate ai punti di entrata e dalla razionalità economica della condotta dell’operatore di mercato (shipper) che, per potere continuare a svolgere la propria attività di impresa, non potrebbe trattenere interamente su di sé i benefici derivanti da una riduzione dei costi di esercizio (sub specie dei costi di trasporto associati ai punti di entrata), dovendo, per essere competitivo sul mercato, valorizzare tali risparmi ai fini della determinazione del prezzo dei beni forniti.
A fronte di tale presunzione ancorata alla razionalità economica dell’operatore di mercato, rispondente al principio dell’id quod plerumque accidit, avrebbe dovuto essere la società appellante incidentale a specificare e dimostrare l’inidoneità della riduzione del costo del trasporto associato ai punti di entrata, a parità di condizioni di mercato, a produrre benefici economici sul prezzo di acquisto della materia prima; trattasi, infatti, di elementi riferiti alla contabilità dell’appellante incidentale, rientranti nella sua disponibilità (in applicazione del principio di vicinanza dell’onere della prova) che, a fronte delle specifiche deduzioni dell’Autorità, avrebbero dovuto essere fornite dalla società ricorrente.
33.5 Parimenti, non potrebbe argomentarsi diversamente sostenendo che il prezzo del gas naturale sarebbe, comunque, influenzato da molteplici condizioni di mercato, indipendenti dalla regolamentazione in contestazione.
L’innegabile interazione di tali condizioni non potrebbe comunque escludere i benefici prodotti dal nuovo criterio di riparto: il vantaggio discendente da un minore costo del trasporto in entrata non verrebbe infatti meno, in quanto il prezzo del gas naturale effettivamente negoziato sul mercato risulterebbe comunque inferiore rispetto a quello che si sarebbe altrimenti registrato in assenza della misura regolatoria in contestazione.
33.6 Alla luce di tali rilievi, ferma rimanendo l’impossibilità di ritenere ingiusto il danno lamentato dalla società Engie – non sussistendo alcun principio o precetto che imponga una definizione del riparto entrata/uscita pari a 50/50 e, dunque, non spettando in capo alla ricorrente il bene della vita ambito (determinazione del criterio di riparto pari a 50/50) e il danno conseguente alla sua mancata acquisizione – in ogni caso, la domanda risarcitoria proposta dalla società non avrebbe potuto, comunque, essere accolta, per come proposta dall’appellante incidentale.
Trattasi di domanda incentrata soltanto sugli effetti negativi correlati all’aumento del costo del trasporto presso i punti di uscita e riconsegna, che prescinde dalla riduzione dei costi di trasporto riguardanti i punti di entrata, la quale, secondo l’id quod plerumque accidit, non potrebbe che tradursi in una corrispondente riduzione dei costi di esercizio sostenuti dallo shipper, con effetti favorevoli (per gli acquirenti) in ordine alla definizione del prezzo di compravendita del gas naturale.
In definitiva, a fronte di minori costi sostenuti dallo shipper, il prezzo del gas naturale, a parità di condizioni di mercato, non potrebbe che diminuire; il che configura un beneficio per l’appellante incidentale pure idoneo ad elidere le conseguenze dannose dedotte in ricorso. Ciò tenuto anche conto che, a fronte dell’incremento del 10% della quota dei ricavi da recuperare attraverso le componenti tariffarie associate ai punti di uscita (transitata dal 50% al 60%), si è assistito ad una riduzione, per il medesimo coefficiente percentuale (10%), della quota dei ricavi da recuperare con le componenti tariffarie associate ai punti di entrata (transitata dal 50 al 40%), con conseguente emersione di una compensazione del lucro con il danno (da presumere, per come osservato, in assenza di prova contraria fornita dall’appellante incidentale).
III. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello principale e l’appello incidentale devono essere rigettati.
La particolarità della controversia e la complessità delle questioni esaminate giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio del grado di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Compensa interamente tra le parti le spese di giudizio del grado di appello.