Costituisce una condotta fraudolenta idonea ad integrare il reato di cui all'art. 388, comma 2, c.p., quella della madre che si trasferisce autonomamente in una località sconosciuta portando con sé la figlia all'insaputa del padre, allo scopo di ostacolare il diritto di visita di quest'ultimo verso la minore.
La Corte d'Appello di Trieste confermava la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputata per il reato di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Udine del 17 giugno 2019, che aveva condannato, all'esito di giudizio abbreviato, l'imputata S.F. per il reato di cui all'art. 388, secondo comma, cod. pen.
All'imputata era stato contestato di aver eluso il provvedimento del Tribunale di Gorizia del 27 luglio 2016 - che stabiliva il diritto di visita della figlia minorenne da parte del padre di quest'ultima - trasferendosi con la bambina prima in altra località in provincia di Udine e poi in Slovenia e ostacolando i colloqui telefonici tra la minore e il padre (dal novembre 2016 con permanenza).
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 388 cod. pen.
La difesa contesta che i fatti, così come accertati dai giudici di merito, integrino il reato contestato.
Non si è verificata alcuna elusione del diritto di visita stabilito dal Tribunale, secondo i principi affermati in sede di legittimità. Non è infatti sufficiente il mero inadempimento da parte del genitore affidatario degli obblighi stabiliti dal giudice, occorrendo una condotta caratterizzata da atti fraudolenti o simulati.
Nella specie, la condotta ritenuta penalmente rilevante (il trasferimento in Slovenia) era dovuta a temporanee difficoltà della imputata nel trovare un luogo di soggiorno a (omissis) per fatto anche addebitabile alla persona offesa. Tale trasferimento, come non ha impedito alla ricorrente di proseguire la consulenza tecnica d'ufficio in corso in Italia, non poteva impedire al padre di esercitare il diritto di visita (nella specie questi non si è neppure attivato perché avvenissero gli incontri, salvo l'invio pretestuoso di due raccomandate) e in ogni caso la ricorrente riteneva che tali incontri andassero organizzati e ritmati secondo le indicazioni della consulente.
Dopo l'aspro litigio del novembre 2016, non è vero che la ricorrente non si fosse attivata per la revisione delle condizioni del provvedimento del Tribunale (era in corso il procedimento ed era stata affidata la consulenza tecnica d'ufficio, che era finalizzata a stabilire una soluzione per la ripresa degli incontri del padre con la bambina con modalità graduali) ella temeva problemi derivanti dagli incontri (dovuti al sospetto di accuse calunniose e allo stato di alterazione alcoolica del padre della minore).
La difesa richiama i principi in tema cli tutela del genitore non affidatario garantita dalla Convenzione dell'Aja quanto al trasferimento all'estero del genitore affidatario (cfr. Cass. del 31/07/2008).
L'esito della consulenza tecnica d'ufficio ha stabilito che dovevano essere i servizi sociali ad organizzare la ripresa degli incontri tra il padre e la bambina e in tale ambito la imputata legittimamente ha ritenuto dovessero avvenire gli incontri stessi.
2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 124 cod. pen. quanto alla tardività della querela.
La querela è stata presentata il 5 agosto 2017.
La tempestività della querela andava riferita al momento in cui erano iniziate le operazioni della consulenza tecnica d'ufficio (marzo 2017) e non a quello dell'invio delle raccomandate da parte della persona offesa all'imputata - in località che lui sapeva non essere più la residenza della moglie.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al dolo.
La ricorrente riteneva di non violare gli obblighi stabiliti dal giudice al fine di proteggere la minore: aveva avviato un procedimento civile che aveva il compito di valutare la situazione della minore nel suo complesso e, una volta sorti i problemi, aveva ritenuto che quella fosse la sede per discutere le modalità di visita; il trasferimento all'estero era dettato da situazioni contingenti.
Quindi non era provato, oltre ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza della ricorrente (così Cass. n. 9190 del 2012).
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla pena (art. 13 cod. pen.).
La Corte di appello, sulla richiesta di riduzione della pena, modificando la motivazione del primo giudice (limitata alle condizioni economiche che non consentivano l'applicazione di una sanzione pecuniaria), ha ritenuto il fatto grave perché astrattamente avrebbe potuto integrare il reato di cui all'art. 574-bis cod. pen.
Peraltro, mancavano gli elementi per ravvisare tale reato e quanto evidenziato nei motivi che precedono consentiva di applicare una pena più mite (il p.m. aveva chiesto l'applicazione di una pena pecuniaria).
2.5. Revoca delle statuizioni civili.
L'accoglimento dei motivi che precedono determina l'annullamento anche di tale punto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato e pertanto non può essere accolto.
2. In ordine al primo motivo, il Collegio ritiene che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi di diritti affermati in sede di legittimità con riferimento al reato in esame.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all'art. 388 cod. pen., la condotta elusiva deve essere connotata da una componente di artificio, inganno o menzogna concretamente idonea a vulnerare le legittime pretese della controparte (Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Vuocolo, Rv. 272171).
Con riferimento all'elusione dei provvedimenti del giudice civile relativo all'affidamento di minori, si è stabilito, in applicazione del suddetto principio, che il mero inadempimento non integra il reato di cui art. 388, secondo comma, cod. pen., occorrendo che il genitore affidatario si sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all'obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell'obbli90 (Sez. 6, n. 12976 del 19/02/2020, Rv. 278756).
Quanto in particolare, al trasferimento all'estero del coniuge affidatario, si è precisato che la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, resa esecutiva con l. n. 64 del 1994, attribuisce a quest'ultimo il diritto di stabilire la propria residenza all'estero, rendendo pertanto la tutela dell'altro genitore affievolita. Il coniuge che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde infatti l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario (Sez. 1 civ., n. 9633 del 12/05/2015, Rv. 635370). Il coniuge non affidatario può esigere dunque unicamente che gli sia garantita l'effettività del diritto di visita, anche attraverso una ridefinizione delle sue modalità (Sez. 6, n. 31717 del 06/06/2008, Rv. 240712).
Nel caso in esame, dalla ricostruzione dei fatti, come accertata dai Giudici di merito, è emerso che la ricorrente si era autonomamente trasferita all'estero, all'insaputa del padre della bambina e in località sconosciuta non solo a quest'ultimo, ma a tutte le figure istituzionali (anche allo stesso consulente tecnico del procedimento instaurato dalla ricorrente) coinvolte nella vicenda per la tutela dell'interesse della minore.
Quindi non si versava in mero inadempimento degli obblighi derivanti dal provvedimento del giudice o di trasferimento all'estero, pacificamente stabilito dal genitore affidatario, ma di condotta fraudolenta nei termini sopra indicati.
Né poteva dirsi accoglibile la tesi difensiva sulla scusabilità della condotta per aver agito nell'interesse della minore e nel contesto della procedura instaurata davanti al giudice civile. La ricorrente aveva infatti tenuto nascosto il trasferimento all'estero anche al consulente tecnico, come risultava dall'elaborato del 4 ottobre 2017; aveva sradicato la bambina dal suo ambiente di riferimento, tanto che il Tribunale aveva affidato il 30 ottobre 2017 la minore al Comune di residenza.
Il plausibile e giustificato motivo in grado di costituire valida causa di esclusione della colpevolezza - in quanto scriminante il rifiuto di dare esecuzione al provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento dei figli minori - pur non richiedendo gli elementi tipici dell'esimente dello stato di necessità, deve essere determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell'interesse del minore in una situazione sopravvenuta che, per il momento del suo avverarsi e per il carattere meramente transitorio, non abbia potuto essere devoluta al giudice per la opportuna eventuale modifica del provvedimento. Ne consegue che non può giustificare l'elusione del provvedimento giudiziale una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti (siano esse note, dedotte o deducibili al giudice) circa la inopportunità dell'esecuzione, in quanto il dissenso sul merito del provvedimento manifesta la volontà del soggetto agente di eluderne l'esecuzione. In sintesi, il plausibile motivo che possa discriminare il rifiuto di dare esecuzione ad un provvedimento del giudice concernente l'affidamento dei figli minori deve essere sopravvenuto e tale, per il suo carattere transitorio, da non consentire la devoluzione al giudice civile per l'eventuale modifica (Sez. 6, n. 27705 del 22/01/2019, Rv. 276250; Sez. 6, n. 17691 del 09/01/2004, Rv. 228490).
Come ha rilevato dalla Corte di appello, la imputata avrebbe dovuto, ben potendolo attuare come dimostra la ricostruzione dei fatti (avendo lei stessa chiesto l'intervento del giudice, perché gli incontri della minore con il padre riprendessero, se pur con modalità stabilite), rivolgersi al giudice civile per la modifica o sospensione delle condizioni di visita fino ad allora assunte (non essendo consentita una modifica unilaterale), mentre ha assunto arbitrarie e non giustificate iniziative, pregiudizievoli anche per la stessa minore, per ostacolare in modo fraudolento l'esercizio di visita da parte del genitore non affidatario.
Nell'esaminare l'appello, la Corte territoriale ha rilevato come fossero pretestuose le ragioni della condotta della ricorrente (il disinteresse del padre verso la bambina; la conoscenza da parte di questi dell'avvenuto trasferimento; il timore di denunce da parte della persona offesa per comportamenti tenuti dal compagno dell'imputata), volte non a proteggere la minore quanto piuttosto ad impedire al padre - con il quale era in piedi un contenzioso caratterizzato da estrema conflittualità - il diritto di visita.
D'altra parte, come già aveva rilevato il primo giudice, l'imputata aveva giustificato in sede di interrogatorio il suo allontanamento soltanto con la finalità di voler "distrarre" la figlia dall'ambiente che si era creata con il padre, senza far cenno alla intenzione di impedire gli incontri.
Le diverse ricostruzioni fattuali proposte in questa sede dalla ricorrente finiscono per introdurre in questa sede non consentite, viepiù generiche, incursioni nel merito della valutazione delle prove, al di fuori dei rigorosi limiti del vizio di travisamento.
3. Neppure fondato è il motivo sulla tardività della querela.
Nel delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice il termine per proporre la querela decorre dalla data in cui l'inottemperanza pervenga a conoscenza del creditore, restando a carico di chi deduce la tardività della querela la prova del difetto di tempestività della stessa (Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272170).
Nella specie, la Corte di appello ha individuato il momento della conoscenza del fatto illecito in quello in cui la raccomandata inviata all'imputata fu restituita alla persona offesa con la dicitura del destinatario "trasferito".
A fronte di tale accertamento, ancorato a dati certi e precisi, la ricorrente si è limitata a vaghe considerazioni alternative, inidonee a contrastare la prova della tempestività nei termini sopra indicati.
4. Anche in punto di dolo la sentenza impugnata resiste alle critiche difensive, che riproducono questioni risolte in modo corretto dai Giudici di merito, sin dal primo grado.
La Corte di appello ha spiegato che la convinzione soggettiva della ricorrente di proteggere la minore veniva ad integrare un errore sul precetto penale non scusabile ai sensi dell'art. 5 cod. pen.
Né poteva escludere il dolo - che per il reato in esame è generico, richiedendo la volontà cosciente dell'agente di eludere la esecuzione di un provvedimento del giudice (tra tante, Sez 6, n. 25905 del 16/04/2015, Rv. 263810) - l'esistenza di un plausibile e giustificato motivo, per quello che si è già detto.
5. La pena risulta determinata, sia per specie sia per quantità, sin dal primo grado facendo leva sulla gravità della condotta, alla luce della sua apprezzabile durata.
Il riferimento fatto dalla Corte di appello per giustificare la scelta della pena anche alla astratta configurabilità del reato di sottrazione di minori non appare illogico, posto che alla elusione del provvedimento del giudice veniva ad aggiungersi nel caso in esame la compromissione del legame fra minore e genitore, tutelata dall'art. 574-bis cod. pen.
Infine, le richieste della ricorrente di rideterminazione della pena ad opera della Corte di cassazione sono all'evidenza inammissibili.
6. Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.