Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 20 ottobre 2021 la Corte di appello di Messina ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Barcellona di Pozzo di Gotto, il 23 marzo 2021 a G. G. ex art. 368 cod. pen. per avere calunniato, nella querela presentata il 29 agosto del 2013, l'ex moglie G. B. accusandola di averlo accusato con atti depositati nel procedimento giudiziale di separazione, pur sapendolo innocente, di reiterati maltrattamenti nei suoi confronti in relazione ai quali era stato processato (capo A) nell'ambito di questo stesso procedimento con l'esito di una dichiarazione di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione.
2. Nel ricorso presentato dal difensore si chiede l'annullamento della sentenza per i motivi che vengono riportati nel seguito nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 158 e 159 cod. pen. e vizio della motivazione per essere il reato già prescritto, anche computati i periodi di sospensione del corso della prescrizione, al momento della decisione della Corte di appello dovendosi considerare che egli già sporse una prima querela nei confronti della B. il 15 aprile 2013 come indicato anche nella sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della legge perché la Corte di appello si è limitata a respingere le deduzioni dell'appellante e richiamare la motivazione della sentenza di primo grado senza rispondere alle argomentazioni difensive.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione della legge perché le dichiarazioni accusatorie dei figli della coppia sono stare acquisite avvisandoli della facoltà di non rispondere in quanto prossimi congiunti dell'imputato ma trascurando che essi tale facoltà non avevano essendo anche prossimi congiunti della persona offesa.
2.4. Con il quarto motivo si deducono violazione della legge e vizio della motivazione per avere inflitto ingiustificatamente una pena distante dal minimo edittale anche negando le circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Va anzitutto osservato che nella stessa sentenza impugnata si rileva che G. «aveva mosso le medesime false accuse sempre nei confronti della B. con una querela sporta in precedenza a quella in esame e segnatamente in data 15.04.2013», sicché è in questa data che deve intendersi consumato il reato.
Infatti, la presentazione di successive denunce aventi per oggetto lo stesso reato e lo stesso incolpato integra la commissione di più reati di calunnia solo quando il contenuto dell'atto successivo è tale da costituire un apprezzabile novum rispetto all'originaria accusa, Invece, se l'accusa successiva consiste nella mera conferma o precisazione di quella iniziale, allora essa costituisce un post factum (non punibile) rispetto al reato già consumato (Sez. 6, n. 3368 del 09/01/2018, Muglia, Rv. 272159; Sez. 6, n. 44491 del 01/12/2010, A., Rv. 248964).
Ne deriva che il reato per il quale si procede è prescritto anche se, diversamente da quanto dedotto nel ricorso, il limite di sessanta giorni previsto dall'art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., non si applica nel caso in cui il differimento dell'udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire alla manifestazione di protesta indetta dalle Camere penali, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione può essere sospeso per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell'Ufficio procedente, perché la adesione all'astensione dalle udienze non costituisce un impedimento a comparire in senso tecnico (Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, Spignoli, Rv. 263052; Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013, V., Rv. 256067).
Comunque, anche computando per intero il periodo di 235 giorni intercorso fra l'udienza del 23 marzo 2017, rinviata per l'adesione dei difensori alla astensione collettiva dalle udienze, il termine del decorso della prescrizione risulta scaduto nel giugno del 2021, anteriormente alla decisione della Corte di appello.
2. L'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. prevede che il proscioglimento nel merito prevalga sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione, ma solo se è rilevabile, con una mera attività ricognitiva, la prova evidente della insussistenza del fatto o della non colpevolezza dell'imputato, con una valutazione da parte del giudice che sia assimilabile più al compimento di una "constatazione", che a un atto di "apprezzamento" perché il concetto di "evidenza", utilizzato dal secondo comma dell'art. 129 cod. proc:. pen, riguarda la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, ossia qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione con la formula ampia, sicché non bastano la mera contraddittorietà o !'sufficienza della prova eh,, richiede giudizio su tra opposte risultanze (Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, Giuffrida, Rv. 256202).
3. Questa condizione nel ricorre nel caso in esame e, anzi, infondati risultano il secondo e il terzo dei motivi di ricorso.
Le deduzioni riguardanti la valutazione degli elementi costitutivi del reato di calunnia risultano meramente reiterative dei motivi dedotti nell'atto di appello. La sentenza impugnata le ha rigettate con una motivazione coerente e esente da manifeste illogicità e esaminato le prove anche nella prospettiva difensiva proposta dal ricorrente: in particolare, ha considerato che il testimone F., medico della B., ha asserito di non avere riscontrato segni di percosse sul corpo della donna, ma al contempo ha ricordato che la vittima gli aveva confidato di soffrire di depressione a causa delle violenze del coniugi. Per altro verso, la consapevolezza di G. circa l'innocenza della persona falsamente incolpata è dimostrata dall'avere egli deciso di denunciare la moglie per calunnia pur essendo consapevole delle violenze commesse negli anni a suo danno.
Va ribadito che l'imputato, nel corso del procedimento instaurato a suo carico, può negare, anche mentendo, la verità delle dichiarazioni a lui sfavorevoli, ma commette il reato di calunnia quando non si limita a contestare le accuse a lui addebitate, ma assume ulteriori iniziative dirette a fare incolpare l'accusatore di cui pure conosce l'innocenza (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272755; Sez. 6, n. 1875S del 16/04/201S, Scagnelli, Rv. 263550).
Né nella istruttoria è stato violato l'art. 199, comma 2, cod. proc. pen. perché la disposizione prevede una nullità nel caso di omissione dell'avviso circa la facoltà di non rispondere ma non se gli avvisi dati sono stati superflui: in questo caso si produce soltanto una irregolarità che non vizia l'acquisizione della prova.
Per quanto precede il quarto motivo di ricorso diventa irrilevante.
4. Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, ma vanno confermate le sue statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto è estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili.