Nel caso in cui il testimone non sia tutelato dalla facoltà di non rispondere ex art. 199 c.p.p., non può escludersi l'applicazione dell'art. 384, comma 1, c.p..
Il Giudice di secondo grado confermava la sentenza emessa dal Giudice di prime cure con la quale l'imputata era stata dichiarata colpevole del reato di falsa testimonianza in relazione ad un procedimento per reato di estorsione attuato anche ai suoi danni che vedeva coinvolto il figlio. Nello specifico, ella aveva negato il debito del figlio verso l'imputato per il...
Svolgimento del processo
1. Il difensore di C.G. ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di L'Aquila ha confermato la sentenza emessa il 13 marzo 2019 dal Tribunale di Vasto, che aveva dichiarato la predetta ricorrente colpevole del reato di falsa testimonianza di cui all'art. 372 cod. pen., commesso in data 2 marzo 2016, condannandola alla pena di un anno e mesi quattro di reclusione.
La predetta ricorrente è stata ritenuta responsabile per il reato di falsa testimonianza in relazione alla deposizione resa nel procedimento a carico di P.W.J., imputato del reato di estorsione ai danni anche della stessa ricorrente, avendo negato che il debito del figlio verso detto soggetto fosse riconducibile ad una cessione di droga, smentendo le precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari.
2. Con il ricorso si articolano due motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge in relazione all'esclusione della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen. rilevandosi che essendo la predetta obbligata a deporre, in quanto persona offesa del reato di estorsione, e quindi non assistita dalla facoltà di non deporre, era stata costretta a rispondere a domande che esponevano anche il proprio figlio ipoteticamente coinvolto nella illecita attività di spaccio svolta per conto di P..
Sicchè erano proprio le peculiari circostanze della testimonianza e le specifiche domande rivolte all'imputato che la ponevano nella situazione di conflitto interiore per il sentimento materno che le imponeva di preservare la libertà e l'onore del figlio coinvolto nell'illecita attività di spaccio.
La Corte di appello aveva, peraltro, omesso del tutto di rispondere sulla censura dedotta nei motivi di appello avverso la valutazione del primo giudice, frutto del travisamento probatorio denunciato circa la finalità della falsa testimonianza che era stata individuata nella volontà di favorire il nipote imputato del reato di estorsione anziché come era, invece, evidente il proprio figlio dal coinvolgimento nello spaccio o anche soltanto nell'assunzione di sostanze stupefacenti.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, considerato che anche ove si fosse voluta escludere l'operatività della causa di non punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen. era evidente che l'imputata non avesse agito con la coscienza e volontà di scagionare il P. dalle accuse a suo carico.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato con riferimento al primo motivo con cui si censura l'omessa motivazione sulla invocata applicazione dell'esimente prevista dal primo comma dell'art. 384 cod. pen.
Al riguardo si deve osservare che effettivamente nella motivazione della sentenza impugnata non vi è alcuna risposta al motivo di appello che era stato dedotto sullo specifico punto.
La Corte di appello non ha esaminato le doglianze dell'appellante che investi vano non la questione giuridica dell'ambito di applicazione della esimente prevista dall'art. 384, comma 1, cod.pen. ma prima di tutto il piano fattuale, con riferimento al mancato approfondimento delle ragioni per le quali la testimone aveva reso la falsa dichiarazione in merito alla causa del debito del proprio figlio nei confronti del P., imputato del reato di estorsione.
Nella sentenza di appello sul piano del dolo si è affermato che la finalità della falsa testimonianza era quella di aiutare l'imputato P. a sottrarsi alla con danna per estorsione, ma senza spiegare le ragioni di tale convincimento, ed in modo apodittico rispetto alla indiscussa delimitazione del contenuto della falsa testimonianza non già alle minacce ricevute da P., che sarebbero state con fermate dalla teste, ma unicamente sulla causa del debito che coinvolgeva il figlio nell'acquisto di sostanza stupefacente per un elevato importo, considerata l'entità del debito nei confronti del P. (circa 10 mila euro).
Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimità nel caso di testimone non tutelato dalla facoltà di non rispondere ex art. 199 cod. proc. pen. - come nella specie - l'applicazione del primo comma dell'art. 384 cod.pen. non è esclusa ove possa ritenersi che la circostanza rappresentata in modo veritiero esponga lo stretto congiunto all'inevitabile grave nocumento dei beni della libertà personale o dell'onore.
L'assunto difensivo è che la madre abbia mentito sulla ragione del debito del proprio figlio esclusivamente per tutelare l'onore e la libertà del figlio dal concreto pericolo dell'avvio di un procedimento penale a suo carico o comunque anche solo dalle conseguenze che potevano derivarne dal disvelamento della sua condizione di assuntore di sostanze stupefacenti.
Al riguardo va considerato che il grave nocumento è stato ravvisato dalla giurisprudenza di legittimità anche per l'acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente nell'applicazione delle misure previste dall'art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (Sez. U, n. 21832 del 22/02/2007, Marea, Rv. 236371), e che il grave e inevitabile nocumento alla libertà personale o all'onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto abbia agito per evitare un'accusa penale a carico del congiunto (Sez. 6, n. 53939 del 20/11/20181 Bonfiglio, Rv. 274583).
Deve, innanzitutto, rimarcarsi la stretta correlazione che esiste tra l'istituto di diritto sostanziale regolato dall'art. 384 cod. pen. e quello di diritto processuale previsto dall'art.199 cod. proc. pen. in tema di facoltà di astensione dall'obbligo di testimonianza, trattandosi di norme che sono volte a tutelare il sentimento naturale di protezione della propria libertà e onore di fronte all'obbligo di rendere testimonianza ("nemo tenetur se detegere"), insieme con l'esigenza di tenere conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà familiare.
Pertanto, ove non ricorrano i presupposti previsti dall'art. 199, comma 1, cod. proc. pen., come nel caso di specie, trattandosi di testimonianza resa in un procedimento in cui l'imputato non è un prossimo congiunto del teste, né trattandosi di un procedimento originato da una denuncia sporta contro un prossimo congiunto, non vi è ragione per non ritenere in astratto applicabile l'esimente prevista dal primo comma dell'art. 384 cod. pen.
Si deve, infatti, rimarcare che nel caso in esame l'imputato del procedimento penale (P.V.J.) non era legato con la teste dai rapporti di parentela considerati nell'art. 307, ultimo comma, cod. pen. ai fini della nozione di "prossimo congiunto", trattandosi del nipote del coniuge (tenuto conto che "prossimo congiunto" è solo il nipote diretto e non quello acquisito per rapporto di affinità), e pertanto non assume rilievo la veste di persona offesa prevista dall'art. 199, comma 1, cod. proc. pen., considerato che l'obbligo di testimoniare resta in questo caso soggetto alla regola generale prevista per chiunque non sia prossimo con giunto dell'imputato del procedimento in cui è chiamato a testimoniare, come per ogni persona offesa di un reato a carico di imputati privi di legami parentali qualificabili come relazioni tra prossimi congiunti.
Non vertendosi, pertanto, nell'ipotesi di una testimonianza inquadrabile nell'ambito di applicazione del primo comma dell'art. 199 cod. proc. pen., ma in un caso di ordinaria applicazione della regola generale dell'obbligo di testimonianza, non si pone la questione del rapporto di alternatività che è stato riconosciuto tra l'esercizio della facoltà di non deporre da parte del teste, prossimo con giunto dell'imputato, e l'obbligo inderogabile di dire la verità che deriva dal non essersi il teste avvalso di tale facoltà, con la conseguente inapplicabilità della esimente del primo comma dell'art. 384 cod. pen..
Infatti, la causa di esclusione della punibilità, prevista dall'art. 384, comma primo, cod. pen., non è applicabile neppure nei confronti di colui che, dopo aver presentato denuncia o querela nei confronti di un prossimo congiunto, commetta il reato di falsa testimonianza al fine di salvarlo dal pericolo di condanna nell'ambito del processo scaturito dalla sua accusa a carico del medesimo prossimo congiunto denunciato.
La stessa regola riguarda anche il caso in cui la falsa testimonianza sia stata resa dal prossimo congiunto dell'imputato che abbia operato la scelta di non avvalersi della facoltà di astenersi dal testimoniare, dopo essere stato avvertito della facoltà di astenersi ex art. 199 cod. proc. pen..
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 7208 del 29/11/2007, dep. 14/02/2008, Genovese, Rv. 238383, nel risolvere l'annoso contrasto tra le opposte interpreta zioni del rapporto tra la norma processuale e quella penale in esame, hanno dato prevalenza alla tesi della stretta correlazione tra l'istituto, di natura sostanziale, dell'art. 384 cod. pen. e la prescrizione processuale contenuta nell'art. 199 cod. proc. pen., pervenendo alla conclusione che l'art. 384, primo comma, cod. pen. non possa trovare applicazione nei casi in cui opera la disciplina processuale prevista dall'art. 199 cod. proc. pen.
Si è osservato che ritenere applicabile l'esimente del primo comma dell'art. 384 anche nei casi in cui la falsa testimonianza sia stata resa dal prossimo con giunto dell'imputato, ritualmente avvertito della facoltà di non rispondere, avrebbe l'effetto di rendere priva di rilievo la disciplina processuale che regola gli obblighi del testimone, nei casi in cui la falsa testimonianza sia resa nell'ambito di un procedimento in cui l'imputato sia prossimo congiunto del teste.
Si deve, quindi, ribadire che il primo comma dell'art. 384 cod. pen., per quanto riguarda la testimonianza, si riferisce chiaramente ai casi in cui il dichiarante non ha facoltà di astenersi e non si applica al teste, prossimo congiunto dell'imputato, al quale invece si riferisce la causa di non punibilità prevista dal secondo comma.
L'ambito di applicazione del secondo comma dell'art. 384 cod. pen. riguarda, quindi, solo le persone che non avrebbero dovuto essere assunte come testimoni senza il previsto avviso.
Le due diverse sfere di applicazione del primo e del secondo comma dell'art. 384 cod. pen. - come è stato affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 7208 del 2007 - portano a ritenere che le due cause di non punibilità sono alternative tra loro e non si possano combinare.
Quindi, è solo quando ci si trova nella situazione regolata dal secondo comma dell'art. 384 cod. pen., che il testimone, che non si è astenuto e ha dichiarato il falso, non può avvalersi della causa di non punibilità prevista dal primo comma dell'art. 384 cod. pen. in quanto detta disposizione rappresenta il riflesso sul piano del diritto penale sostanziale della disciplina processuale che regola la testimonianza del prossimo congiunto e presuppone che il processo nel quale viene resa la testimonianza sia necessariamente a carico del prossimo congiunto.
Diversamente, nel caso previsto dal primo comma, la falsa testimonianza non punibile riguarda i procedimenti svolti nei confronti di soggetti diversi dai prossimi congiunti dell'imputato, come nel caso di specie, rispetto ai quali non opera la disciplina derogatoria agli obblighi di rendere testimonianza prevista dal primo comma dell'art. 199 cod. proc. pen per i soli casi ivi considerati.
Occorre, infine, considerare che l'art. 384 cod. pen. integra una causa di esclusione della colpevolezza e non di esclusione della antigiuridicità della con dotta, sicchè opera solo nel caso in cui, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, valutate secondo il parametro della massima diligenza esigibile, si presenti all'agente come l'unica in grado di evitare all'agente un grave pregiudizio per la libertà o per l'onore proprio o altrui.
2. In conclusione, deve disporsi l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio sullo specifico punto investito dal primo motivo di ricorso, non essendo stata fornita alcuna risposta alla doglianza devoluta nei motivi di appello sulle ragioni della mancata applicazione dell'esimente prevista dal primo comma dell'art. 384 cod. pen., esclusa dal Giudice del primo grado sull'erroneo presupposto che la falsa testimonianza per cui si procede non fosse soggetta alla disciplina prevista da detta disposizione, assimilando la posizione dell'imputata a quella prevista dal secondo comma dell'art. 384 cod. pen., che si ricollega alla disciplina processuale prevista dall'art. 199 cod. proc. pen., non attinente al caso di specie, non trattandosi della falsa testimonianza resa in procedimento a carico di un prossimo congiunto o comunque di procedimento scaturito da una denuncia sporta da un prossimo congiunto dell'imputato.
Una interpretazione più ampia dei limiti di applicazione del primo comma dell'art. 384 cod. pen., estesa anche ai casi in cui il prossimo congiunto sia stato solo ipoteticamente coinvolto dalla denuncia sporta esclusivamente a carico di un diverso soggetto per un reato di cui il predetto è persona offesa, si risolverebbe in una forma di analogia in malam partem che restringerebbe l'ambito di operatività di una causa di non punibilità, come tale non consentita.
Il giudice di rinvio, per colmare la lacuna motivazionale della sentenza impugnata, nella piena autonomia di giudizio in ordine alla verifica fattuale dei presupposti previsti dall'art.384 cod. pen. che richiedono una verifica rigorosa del carattere dell'inevitabilità del nocumento alla libertà personale o all'onore del prossimo congiunto tutelato dalla falsa testimonianza, dovrà attenersi ai principi di diritto sopra illustrati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.