L'erogazione dell'indennità di disoccupazione non diviene indebita se alla pronuncia che annulla il licenziamento non segue l'effettiva reintegra del dipendente nel luogo di lavoro.
Svolgimento del processo
Il tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato l’INPS al pagamento in favore di C. C. dell’indennità di euro 6720,52, oltre interessi, detratto a titolo di acconto a titolo sull' anticipazione dell'indennità di mobilità;
la pronuncia era stata resa nel giudizio di opposizione proposto dall'INPS avverso il decreto ingiuntivo richiesto da C. C. (ex dipendente licenziato dal curatore della società fallita "La P. s.p.a., fallimentare il 26 gennaio 2000) per ottenere la condanna dell'INPS a corrispondergli l'importo di lire 44.022.864, pari all'indennità di mobilità anticipata per trentasei mesi in ragione della scelta del lavoratore di intraprendere un'attività di lavoro autonomo;
in seno a tale giudizio, l'INPS aveva svolto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna del C. al pagamento di lire 12.512.836 in ragione del fatto che la società "La P. s.p.a." lo aveva licenziato già in data 30 giugno 1995 ed il lavoratore, a seguito di ciò, aveva inoltrato domanda di indennità di mobilità, con impegno comunicare all'INPS l’eventuale avvenuta impugnazione dell’atto;
pur a fronte di tale impegno, il C., che aveva ottenuto la reintegrazione con sentenza del Pretore aveva omesso di effettuare tale comunicazione all'INPS dell'esistenza di tale sentenza l'INPS aveva saputo solo il 28 novembre 2000, in occasione della richiesta susseguente al licenziamento posto in essere dal curatore fallimentare, quando erano stati erogati importi, successivi alla sentenza di reintegrazione e perciò divenuti indebiti, relativi all'indennità di mobilità per un biennio, unitamente agli assegni per il nucleo familiare, all'assegno per lavori socialmente utili svolti presso il Comune di Ascoli Piceno ed al trattamento di integrazione salariale straordinario;
dopo aver espletato c.t.u contabile, il Tribunale ritenne non provata l'effettiva erogazione delle somme opposte in compensazione dall'INPS e dall’Istituto ritenuto indebite e, quindi, rigettò l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo opposto, condannando l’Istituto a pagare la somma sopra indicata a titolo di differenze sul dovuto;
la Corte territoriale, impugnata la sentenza di primo grado solo dall’INPS, ha dato atto che l'Istituto aveva reiterato la tesi della natura indebita delle erogazioni in ragione della sola pronuncia di reintegrazione nel posto di lavoro e che la doglianza era relativa al mancato accertamento delle effettive erogazioni;
inoltre, ha confermato la sentenza impugnata, mutandone la motivazione, in ragione del fatto che non potevano in radice qualificarsi indebite le erogazioni effettuate in favore del lavoratore che, seppure vittorioso nel giudizio di impugnazione del licenziamento e parte attiva nell'esecuzione della sentenza, non era mai stato reintegrato né aveva percepito le relative retribuzioni;
avverso tale sentenza, ricorre l'Inps con un motivo, successivamente illustrato da memoria;
resiste C. C., con controricorso ed ulteriore memoria;
Motivi della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia violazione del combinato disposto degli artt. 7, comma dodicesimo, l. mn. 223 del 1991, 4 e 8 d.lgs. n. 468 fdel 1997, R.D.L. n. 1827 del 1935, 45, comma 3, conv. In L. n. 1155 del 1936, vigente ratione temporis, con riferimento all’art. S.L.. Censura il riconoscimento dell'indennità di mobilità anche nel caso di sussistenza di valido rapporto a tempo indeterminato accertato a seguito di sentenza dichiarativa di illegittimità del licenziamento e di condanna alla reintegra ed alle retribuzioni maturate. Lamenta che la Corte abbia ritenuto necessario il ripristino de facto del rapporto di lavoro, non essendo sufficiente il solo ripristino de iure;
il ricorso è ammissibile;
la sentenza impugnata è stata pubblicata il 24 settembre 2015 ed il ricorso di primo grado risale all'anno 2001, per cui ai sensi dell'art. 327 c.p.c., nella versione previgente al 4 luglio 2009, per effetto dell'art. 46, comma 17, della l. 18 giugno 2009, n. 69, il ricorso andava notificato entro un anno dalla pubblicazione;
il ricorso è stato passato, per la notifica a mezzo posta, il 23 settembre 2016 per cui la notifica è avvenuta tempestivamente, come previsto dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263 art. 4, terzo comma; tale articolo ha modificato la legge 20 novembre 1982, n. 890 ed ha stabilito che gli effetti di tale notifica vanno ricollegati, per il notificante, alla mera consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, pur restando fermo, per il destinatario, il principio del perfezionamento della notificazione alla data di sua ricezione, attestata dall'avviso di ricevimento, con la conseguente decorrenza da quella stessa data di qualsiasi termine imposto al destinatario medesimo;
l'unico motivo di ricorso è infondato;
deve, infatti, darsi continuità ai principi affermati da questa Corte (cfr Cass. n. 24950 del 2021 ; 28295/2019 e n. 17793/2020 ) in relazione a fattispecie aventi ad oggetto l'accertamento negativo della fondatezza della pretesa restitutoria, azionata dall'Inps, dell'indennità di disoccupazione, stante la identità di ratio ed il generale richiamo contenuto nell’art. 7, comma 12, l. n. 223 del 1991 alla disciplina dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria;
si è affermato, il richiamato R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 45, che “l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro ossia inattività conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103). La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione del art. 38 Cost., comma 2 e che tale presupposto si verifica anche nel caso di scadenza del termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non deriva da iniziativa del lavoratore";
nei precedenti citati si è rilevato che la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dall’atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento" (v. anche Cass. 11.6.1998 n. 5850, Cass. n. 4040 del 27/06/1980) e che solo una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall'istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti, così non potendo, peraltro, le stesse essere detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n.300 del 1970, art. 18 (v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cassa n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n. 9418 del 20/4/2007);
in definitiva, se alia pronunzia non segue i:effettiva reintegra e senza che il lavoratore sia obbligato ad eseguire la sentenza favorevole, l’erogazione dell’indennità di disoccupazione non diviene indebita in quanto lo stato di disoccupazione è provocato, e giustificato, dall’atto datoriale di risoluzione, e non dalla mancata esecuzione del provvedimento giudiziale, e deve quindi ritenersi comunque involontario;
per le considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori legge, nonché Euro 200,00 per esborsi.