Relativamente alle cessioni di piccoli esercizi commerciali non è richiesta la forma scritta, con la conseguenza che, a fronte di un principio di prova per iscritto, la simulazione relativa al prezzo può essere dimostrata tra le parti ricorrendo alla prova per testimoni.
Svolgimento del processo
1.- Con citazione notificata il 6 ottobre 2008, T. M. conveniva, davanti al Tribunale di Roma, R. E., chiedendo: che fosse accertato l'obbligo di restituzione degli assegni bancari indebitamente trattenuti e incassati dal convenuto, rispettivamente per euro 4.000,00, euro 3.000,00 ed euro 1.000,00, tutti emessi da Banca E., e - per l'effetto - che questi fosse condannato alla restituzione delle somme illegittimamente percepite, con interessi dal giorno dell'incasso; che il convenuto fosse condannato a risarcire l'attrice dei danni conseguenti al protesto dell'assegno di euro 3.000,00, la cui levata era avvenuta su impulso dello R., danni ammontanti ad euro 100.000,00, tenuto in considerazione che il sistema bancario non avrebbe più concesso fiducia alla T., iscritta al CAI e al CRIF, quale protestata e cattiva pagatrice; che fosse accertata l'esistenza di vizi occulti, denunciati con il telegramma del 12 settembre 2008, e che fosse conseguentemente disposta la riduzione del prezzo di compravendita, condannando lo R. a restituire il maggior prezzo corrisposto, con interessi dal giorno dell'effettivo pagamento.
Al riguardo, l'attrice esponeva: che aveva acquistato una piccola azienda commerciale, con posto fisso, presso il mercato cli via (omissis); che il corrispettivo per l'acquisto dell'azienda era stato determinato, nel contratto preliminare stipulato il 18 marzo 2008, nella somma pari ad euro 38.000,00; che, alla stipula dell'atto definitivo in data 31 luglio 2008, il prezzo era stato ridotto ad euro 28.000,00 per gravi deficienze commerciali emerse successivamente; che aveva versato somme eccedenti rispetto al dovuto, per cui spettava il diritto a ottenere la restituzione di euro 8.000,00, somma corrispondente all'importo dei tre assegni bancari di euro 4.000,00, euro 3.000,00 ed euro 1.000,00, consegnati al momento della stipula del preliminare e illegittimamente posti all'incasso dal venditore; che spettava anche il risarcimento del danni per l'illegittimo protesto di uno di tali assegni; che il prezzo della vendita doveva essere ridotto per i vizi occulti da cui l'azienda era affetta, vizi denunciati con lettera e telegramma del 12 settembre 2008.
Si costituiva in giudizio R. E., il quale resisteva alla domanda e, in particolare, deduceva: che, al momento della stipulazione del preliminare, il prezzo per la cessione dell'azienda era stato pattuito in euro 38.000,00, con versamento di una caparra pari ad euro 7.000,00; che, al tempo della stipulazione del definitivo, il prezzo finale era stato ridotto ad euro 36.000,00, per effetto di uno sconto praticato bonariamente dall'alienante, a fronte di lagnanze espresse dalla T.; che conseguentemente, alla stipula dell'atto definitivo, l'attrice aveva versato, in aggiunta rispetto alla caparra di euro 7.000,00, tre assegni circolari da euro 7.000,0 ciascuno e tre assegni bancari, rispettivamente di euro 4.000,00, euro 3.000,00 ed euro 1.000,00; che, in via meramente formale, il prezzo di vendita era stato dichiarato in euro 28.000,00 per motivi fiscali, in ragione di uno storno fittizio di euro 10.000,00 giustificato testualmente, nell'atto definitivo del 31 luglio 2008, alla stregua di una riduzione dell'avviamento per discontinuità nello svolgimento dell'impresa commerciale nella fase successiva alla conclusione del preliminare; che i tre assegni bancari ex adverso richiesti in restituzione, dell'importo complessivo di euro 8.000,00, erano stati rilasciati a saldo del corrispettivo, in sede di stipula del contratto definitivo; che, secondo gli accordi presi, tali assegni dovevano essere incassati alle scadenze pattuite, successivamente alla conclusione del contratto definitivo, come era indirettamente confermato dalle intimazioni rivolte dall'acquirente, volte ad astenersi dall'incasso dei titoli stessi, comunicate nel settembre 2008; che era stato onorato solo il primo dei tre assegni bancari, cosicché aveva dovuto protestare gli ulteriori assegni di euro 3.000,00 e di euro 1.000,00, restando creditore della somma di euro 4.000,00, a saldo del corrispettivo pattuito, oltre ad euro 122,62, a titolo dli spese di protesto, per il cui pagamento formulava domanda riconvenzionale. Contestava, poi, ogni domanda di risarcimento danni e di riduzione del prezzo per asseriti vizi.
Nel corso del giudizio era espletata prova per interpello e per testi.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 20382/2010, depositata il 15 ottobre 2010, ritenuto che il prezzo effettivo concordato tra le parti ammontava ad euro 35.000,00, per uno sconto di euro 3.000,00 accordato dal venditore, come da quest'ultimo riferito in sede di assunzione della prova per interpello, in luogo di quello indicato nell'atto definitivo pari ad euro 28.000,00, rigettava la domanda di restituzione avanzata dalla T., nonché la domanda di riduzione del prezzo per vizi della cosa venduta e, in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannava l'acquirente al pagamento della somma, dovuta a saldo del prezzo pattuito, di euro 3.122,00.
2.- Sul gravame interposto - in via principale - da T. M., con citazione notificata il 14 novembre 2010, e - in via incidentale - da R. E., la Corte d'appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l'appello principale e, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava T. M. alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, avuto riguardo alle tariffe rispettivamente vigenti.
A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte territorial rilevava: a) che, in ordine al primo motivo di gravame, con cui si deduceva un vizio di ultra petizione della decisione di prime cure, in relazione al fatto che il Giudice aveva ravvisato la simulazione del contratto definitivo con riguardo al prezzo della cessione, era stato il venditore ad allegare la divergenza tra prezzo complessivo della compravendita risultante formalmente dall'atto definitivo e prezzo effettivo, allo scopo di giustificare il versamento della maggior somma da parte dell'acquirente; b) che, viceversa, l'acquirente aveva rivendicato che il prezzo effettivo doveva intendersi quello di euro 28.000,00; e) che, per l'effetto, era preliminarmente necessario, ai fini della decisione, accertare esattamente il prezzo concordato della cessione, in relazione a quanto effettivamente versato dall'acquirente, con la conseguenza che il Giudice di prime cure aveva correttamente valutato la circostanza di fatto allegata da R. E. circa la previsione di un prezzo effettivo di euro 36.000,00, agli effetti di cui all'art. 1417 c.c.; d) che poteva essere estesa anche al caso di abuso del diritto, ravvisabile nelle operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, in violazione delle norme comunitarie, la possibilità di avvalersi della prova per testi e per presunzioni prevista dall'art. 1417 c.c. per il caso in cui si fosse fatta valere "l'illiceità del contratto simulato perseguita dalle parti"; e) che, alla stregua degli assegni bancari rilasciati al momento della stipula del definitivo, doveva essere confermata la valutazione del Giudice di primo grado circa la previsione di un prezzo complessivamente pattuito pari ad euro 36.000,00; f) che tale conclusione era confermata dalla lettera e dal telegramma del 12 settembre 2008, con cui la T. invitava lo R. a non incassare gli assegni di euro 3.000,00 e di euro 1.000,00, il che presupponeva che il venditore fosse nel pieno diritto di porli all'incasso, nonché dalle prove testimoniali assunte; g) che, con riferimento ai pretesi vizi occulti, che in realtà non erano affatto tali, non era dovuta alcuna garanzia, posto che il compratore conosceva esattamente lo stato e le condizioni del bene venduto e., peraltro, di tale stato si era avuta specifica considerazione attraverso la riduzione del prezzo a complessivi euro 36.000,00 in sede di stipula del definitivo; h) che, in ogni caso, si era verificata la decadenza dalla garanzia, per mancata denuncia dei vizi entro otto giorni dalla consegna; i) che doveva essere accolto l'unico motivo dell'appello incidentale proposto da R. E., riguardante le spese processuali di primo grado, liquidate in misura insufficiente rispetto alle tariffe forensi vigenti all'epoca, in relazione al valore della causa compreso nello scaglione che va da euro 5.200,01 fino a euro 25.900,00.
3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, T. M.. È rimasto intimato R. E..
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omessa pronuncia sull'eccezione sollevata nel giudizio d'appello di violazione del divieto di ultra-petizione ex art. 112 c.p.c., per non avere la Corte d'appello esaminato il motivo di gravame con cui l'appellante contestava preliminarmente la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo il giudice di primo grado riconosciuto la simulazione del contratto di vendita in ordine al prezzo, senza che alcuna delle parti avesse avanzato una siffatta domanda.
1.1.- Il motivo è infondato.
In disparte il rilievo secondo cui l'omessa pronuncia non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo - e dunque è denunciabile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e non del n. 5 (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6150 del 05/03/2021; Sez. L, Sentenza n. 13866 del 18/06/2014) -, in ogni caso, la sentenza impugnata ha affrontato il motivo d'appello, sostenendo che il tenore delle difese articolate dalle parti implicasse l'accertamento della simulazione del prezzo.
Segnatamente, la Corte di merito ha;, nello specifico, ritenuto - in ordine al primo motivo di gravame proposto dall'appellante, con cui si deduceva, appunto, il vizio di extra-petizione della decisione di prime cure, in relazione al fatto che il Giudice aveva ravvisato la simulazione del contratto definitivo con riguardo al prezzo della cessione, senza che vi fosse stata alcuna corrispondente domanda - che era stato il venditore ad allegare la divergenza tra prezzo complessivo della compravendita risultante formalmente dall'atto definitivo e prezzo effettivo, allo scopo di giustificare il versamento della maggior somma da parte dell'acquirente. Viceversa, l'acquirente aveva rivendicato che il prezzo effettivo doveva intendersi quello di euro 28.000,00. Per l'effetto, secondo la Corte d'appello, alla stregua della comparazione della posizione difensiva assunta dalle parti, era preliminarmente necessario, ai fini della decisione, accertare esattamente il prezzo concordato della cessione, in relazione a quanto effettivamente versato dall'acquirente.
Ne consegue che, nella fattispecie, non ricorre il vizio di omessa pronuncia sullo specifico motivo di appello proposto, poiché la decisione emessa, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ha esplicitamente rigettato tale motivo, demandandone l'esito a una puntuale argomentazione. La motivazione ha, infatti, fornito una spiegazione logica e adeguata della decisione adottata.
2. - Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., con la conseguente nullità della sentenza impugnata per l'integrazione del vizio di ultra-petizione, per avere la Corte d'appello perseverato nell'errar in procedendo commesso dal giudice di primo grado, pronunciando sulla simulazione del contratto, sebbene una siffatta domanda non fosse stata mai spiegata da nessuna delle parti in causa.
2.1.- Anche siffatta doglianza, per quanto già illustrato scrutinando il primo motivo, è destituita di fondamento.
Infatti, la Corte territoriale ha confermato la simulazione relativa della cessione d'azienda, in ordine alla misura del prezzo, sulla scorta del riferimento alle pretese prospettate dalle parti, tali da far emergere che una domanda di simulazione fosse stata implicitamente e incidentalmente avanzata, essendo il suo accertamento necessario ex art. 34 c.p.c. per decidere nel merito le domande espressamente proposte di restituzione del prezzo (domanda proposta dall'attrice) ovvero di condanna al pagamento del prezzo residuo (domanda riconvenzionale proposta dal convenuto).
In relazione alla posizione assunta dalle parti, era infatti necessario decidere la questione pregiudiziale in senso tecnico, relativa alla simulazione del prezzo, a fronte delle domande dipendenti proposte, avendo il convenuto specificamente dedotto che il prezzo effettivo non corrispondeva a quello dichiarato nel contratto definitivo.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2722 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la simulazione relativa del prezzo, in ordine alla vendita conclusa, potesse essere dimostrata attraverso la prova testimoniale e presuntiva nei rapporti tra le parti, anziché attraverso una specifica prova scritta.
3.1.- La censura è infondata.
Nondimeno a questa conclusione deve pervenirsi con motivazione in parte diversa da quella esposta dalla sentenza impugnata, sebbene sulla base della stessa ricostruzione fattuale operata dalla sentenza di merito.
E ciò perché, con riguardo all'avvenuta cessione di azienda commerciale - e segnatamente di una piccola azienda commerciale con posto fisso presso il mercato di via (omissis) in Roma -, la prova per testimoni è ammissibile tra le parti non solo se la domanda è diretta a far valere l'illiceità dell'accordo dissimulato che preveda un corrispettivo superiore rispetto a quello risultante dal contratto registrato ex art. 1417 c.c., ma anche quando vi è un principio di prova per iscritto ex art. 2724, n. 1, c.c., che conferisca alla testimonianza riscontro probaT.o documentale presuntivo (per la locazione immobiliare infranovennale ad uso diverso da quello abitativo, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9672 del 26/05/2020).
Nella fattispecie, il Giudice del gravame ha utilizzato, per giungere alla prova della simulazione relativa del contratto di cessione d'azienda, in ordine alla misura del prezzo, le risultanze dell'assunta prova testimoniale, come corroborate: 1) dagli assegni circolari e bancari emessi dall'acquirente a copertura del corrispettivo effettivo pattuito; nonché 2) dalla lettera e dal telegramma del 12 settembre 2008, con cui l'acquirente invitava l'alienante a non incassare gli assegni; evidenziando che la simulazione del prezzo era finalizzata al conseguimento di un vantaggio fiscale illecito.
Attraverso l'analitica disamina di tali elementi è stato acclarato che, rispetto a un preliminare di cessione di un piccolo esercizio commerciale concluso tra le parti il 18 marzo 2008, registrato presso l'Agenzia delle entrate il 7 aprile 2008, per il prezzo di euro 38.000,00, il definitivo concluso il 31 luglio 2008, registrato il 5 agosto 2008, per il corrispettivo di euro 28.000,00, era simulato in ordine alla misura del prezzo, avendo le parti concordato un prezzo effettivo per la produzione dell'effetto traslativo pari a euro 36.000,00.
Per converso, il fine fiscale elusivo (ossia il risparmio sulle imposte da pagare in ragione di un prezzo dichiarato inferiore a quello reale) non è tale da implicare l'illiceità del contratto dissimulato - e, dunque, la sua nullità-, con la conseguenza che non poteva essere invocata la deroga di cui all'art. 1417 c.c.
Tuttavia, trattandosi di contratto per il quale non è richiesta la forma scritta, né ad substantiam né ad probationem - appunto perché, relativamente alle cessioni di piccoli esercizi commerciali, non è prescritta l'obbligaT.a iscrizione presso il registro delle imprese, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2083, 219:i, primo comma, 2202 e 2556 c.c. - , a fronte di un principio di prova per iscritto, la simulazione relativa, con riguardo al prezzo, poteva essere dimostrata tra le parti, in deroga alle previsioni di cui agli artt. 1417 e 2722 c.c., ricorrendo alla prova per testimoni, ai sensi dell'art. 2724, n. 1, c.c., per riscontrare l'elemento documentale che faccia apparire verosimile il fatto allegato (ossia la simulazione del corrispettivo).
E non vi è dubbio che 1) gli assegni bancari consegnati dall'acquirente contestualmente alla stipulazione del definitivo (secondo la non contestata ricostruzione dei Giudici di merito circa il momento del loro rilascio), unitamente 2) al telegramma e alla lettera del 12 settembre 2008, con cui l'alienante era invitato a non portare all'incasso gli assegni, rappresentassero documenti costituenti principio di prova per iscritto, provenienti dalla controparte e non dalla parte che aveva chiesto la prova testimoniale, da cui poteva desumersi l'esistenza di un nesso logico tra gli scritti ed il fatto che il prezzo indicato nel definitivo fosse simulato, nesso atto a suffragare la verosimiglianza del secondo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17766 del 16/10/2012; Sez. 3, Sentenza n. 27013 del 07/12/2005; Sez. L, Sentenza n. 3583 del 07/04/1998).
A queste conclusioni può pervenirsi all'esito dei seguenti passaggi nomofilattici: A) La simulazione del prezzo integra un'ipotesi di simulazione relativa oggettiva parziale. B) La possibilità di derogare, tra le parti, alla necessaria prova scritta, nel caso di simulazione relativa, ai sensi dell'art. 2725 c.c., nella sola ipotesi di perdita incolpevole del documento ex art. 2724, n. 3, c.c., riguarda esclusivamente i contratti per i quali sia prescritta, ad substantiam o ad probationem, la forma vincolata, con la conseguenza che, nei contratti a forma libera, le parti possono dimostrare l'accordo dissimulato in tutte le ipotesi di cui all'art. 2724 c.c.
C) I contratti di cessione di piccoli esercizi commerciali non sono soggetti all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, né al vincolo della forma scritta ad probationem.
Sotto il profilo sub A), la Corte ha costantemente sostenuto che la pattuizione con cui le parti di un negozio soggetto al vincolo della forma scritta abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell'atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall'art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3234 del 18/02/2015; Sez. 2, Sentenza n. 21442 del 19/10/2010; Sez. U, Sentenza n. 7246 del 26/03/2007).
Si tratta, dunque, di simulazione relativa parziale, che coinvolge un elemento essenziale inerente all'oggetto del contratto. Pertanto, la prova per testimoni della pattuizione atta a celare una parte del corrispettivo di un contratto incontra, fra le parti, i limiti dettati dall'art. 1417 c.c. e contrasta col divieto posto dall'art. 2722 c.c., in quanto una tale pattuizione deve essere equiparata all'ipotesi di dissimulazione del contratto (contra l'ormai superato orientamento di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4901 del 02/03/2007).
In ordine al profilo sub B), in tema di simulazione di un contratto formale, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa. Nel primo caso, l'accordo simulatori, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all'art. 2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, menzionati dall'art. 2725 c.c., avendo natura ricognitiva dell'inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c. Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi - che, essendo estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte - la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l'esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell'ipotesi di cui al n. 3 dell'art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta a fare valere l'illiceità del negozio (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 36283 del 23/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10240 del 04/05/2007; Sez. 2, Sentenza n. 16021 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2906 del 27/02/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4704 del 21/07/1981).
A contrario, allorché la simulazione relativa concerna un contratto a forma libera, non opera la limitazione di cui all'art. 2725 c.c., sicché, nel rapporto tra le parti, potrà essere invocata la prova per testimoni o per presunzioni, sia quando la prova venga richiesta per dimostrare l'illiceità del contratto dissimulato ex art. 1417 c.c., sia quando ricorra una delle condizioni prescritte dall'art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento), che costituiscono eccezioni al divieto di prova testimoniale del patto aggiunto o contrario al contenuto del documento simulato, per il quale si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contestuale ex art. 2722 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 740 del 18/03/1970; con riferimento ai contratti di trasferimento di quote di partecipazione sociale, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13857 del 07/07/2016, riferita ad un'ipotesi di simulazione soggettiva assoluta; con riferimento agli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 612 del 15/01/2016).
In ultimo, quanto al profilo sub C), non è necessaria, per il combinato disposto degli artt. 2083, 2202 e 2556 c.c., la prova scritta nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di un'azienda di piccolo commercio, non essendo la stessa soggetta a registrazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3392 del 20/02/2004; Sez. 2, Sentenza n. 11851 del 26/11/1997; Sez. 1, Sentenza n. 4986 del 04/06/1997; Sez. 3, Sentenza n. 11767 del 11/12/1990; Sez. 3, Sentenza n. 3717 del 09/06/1981).
Ovviamente tale condizione si realizza allorché non sia prescritto un obbligo di registrazione, come accade - appunto nel caso di specie - di cessione di una piccola azienda commerciale, indipendentemente dalla circostanza che il contratto di cessione sia stato, di fatto, registrato, in attuazione di una mera facoltà.
4.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del ricorso, tenuto conto dell'enunciazione dei seguenti principi di diritto:
"Allorché la simulazione relativa riguardi un contratto a forma libera, non opera la limitazione di cui all'art. 2725 c.c., sicché, nel rapporto tra le parti, si potrà invocare la prova per testimoni o per presunzioni, sia quando la prova venga richiesta per dimostrare l'illiceità del contratto dissimulato ex art. 1417 c.c., sia quando ricorra una delle condizioni prescritte dall'art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento), che costituiscono eccezioni al divieto di prova testimoniale del patto aggiunto o contrario al contenuto del documento simulato, per il quale si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contestuale ex art. 2722 c.c.".
"Relativamente alle cessioni di piccoli esercizi commerciali non è richiesta la forma scritta, né ad substantiam né ad probationem - non essendo prescritta l'obbligatoria iscrizione presso il registro delle imprese, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2083, 2195, primo comma, 2202 e 2556 c.c. - , con la conseguenza che, a fronte di un principio di prova per iscritto, la simulazione relativa, con riferimento al prezzo, può essere dimostrata tra le parti, in deroga alle previsioni di cui agli artt. 1417 e 2722 c.c., ricorrendo alla prova per testimoni, ai sensi dell'art. 2724, n. 1, c.c., per riscontrare l'elemento documentale che faccia apparire verosimile il fatto allegato (ossia la simulazione del corri5pettivo )".
Non vi è luogo a provvedere sulle spese e i compensi di lite, in quanto l'intimato non si è costituito nel giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso art. 13, se dovuto.