In tema di disciplina emergenziale, la mancata formulazione da parte del pubblico ministero delle conclusioni nel giudizio di appello, integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio.
In una controversia avente ad oggetto la condanna per il reato di cui all'
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza (ud. 17 giugno 2022) 21 luglio 2022, n. 28728
Svolgimento del processo
Con sentenza del 10 dicembre 2020 la Corte d'appello di Genova ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città il 15 ottobre 2019, con cui C.M. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 648 bis cod. pen.
Avverso la sentenza d'appello C.M. - a mezzo difensore - ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione degli artt. 23 D.L. n. 149/2020 e 179, comma uno, cod. proc. pen., essendo il procedimento stato celebrato nelle forme del rito camerale anziché di quello ordinario. Il ricorrente ha ricordato che la prima udienza del processo dinanzi alla Corte d'appello era stata fissata per il 12 novembre 2020 ed era stata rinviata al 4 dicembre 2020 per legittimo impedimento del difensore. Poiché la prima udienza era stata celebrata in periodo antecedente all'entrata in vigore dell'art. 23 citato, anche la successiva udienza del 4 dicembre 2020 si sarebbe dovuta trattare con il rito ordinario. Peraltro, non sarebbero state depositate le conclusioni scritte del Procuratore generale, con conseguente nullità dell'udienza e, quindi, della sentenza impugnata;
2) vizi della motivazione con riguardo alla mancata rinnovazione del dibattimento mediante l'assunzione di una prova decisiva, ossia l'esecuzione di una perizia grafologica sulla lettera di incarico di trasporto, asseritamente sottoscritta dall'imputato.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
1.1 L'art. 23 del D.L. n. 149/2020, in vigore dal 9 novembre 2020, ossia dallo stesso giorno della sua pubblicazione, ha dettato, per la prima volta nella disciplina emergenziale da Covid-19, specifiche disposizioni per i giudizi penali d'appello, prevedendo che "per la decisione" la Corte d'appello "procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori", salvo che vi sia richiesta di trattazione orale, formulata dalle parti private o dal Pubblico ministero, o l'imputato manifesti la volontà di comparire.
La norma è rimasta in vigore dal 9 novembre 2020 al 24 dicembre 2020,
essendo stata abrogata dall'art. 1, comma due, della legge 18 dicembre 2020 n. 176, la quale ha fatto salvi gli effetti prodottisi sulla base del decreto-legge n. 149/2020 e ha introdotto l'art. 23 bis, che ha riprodotto in buona sostanza la disciplina dell'art. 23 del decreto-legge n. 149/2020.
Il comma sei dell'art. 23 citato precisava che le disposizioni, contenute nella nuova disciplina emergenziale, non si applicavano nei procedimenti nei quali l'udienza per il giudizio di appello era fissata entro il termine di 15 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le nuove disposizioni si applicavano quindi, dal 25 novembre 2020 al 24 dicembre 2020, essendo, come già detto, il D.L. stato poi abrogato dalla L. 18 dicembre 2020 n. 176.
Per le udienze precedenti al 25 novembre 2020, si applicava l'ordinaria disciplina, che consentiva la partecipazione dei difensori alla discussione, senza la preventiva richiesta di autorizzazione.
Nel caso in esame, alla prima udienza del 12 novembre 2020 si applicava l'ordinaria disciplina ma a tale udienza è stato disposto un mero rinvio per legittimo impedimento del difensore. Alla successiva udienza del 4 dicembre 2020, si applicavano già le nuove disposizioni dettate dall'art. 23 D.L. n. 149/2020.
In tale situazione nessuna violazione di legge ha commesso la Corte territoriale nel celebrare l'udienza del 4 dicembre 2020 con il rito cartolare, in difetto di richiesta di trattazione orale.
Difatti, il differimento dell'udienza, disposto il 12 novembre 2020, è avvenuto in via preliminare, così che non può ritenersi che il processo fosse iniziato.
Ne è controprova il fatto che la nuova udienza del 4 dicembre 2020 si sarebbe potuta trattata in composizione collegiale differente da quella della precedente udienza. Giova ricordare che questa Corte (Sez. 2, n. 31924 dell'll/7/2013, Rv. 256791; Sez. 4, n. 14068 del 18/1/2007, Rv. 236456) ha affermato che il principio dell'immutabilità del giudice non è violato quando il giudice, che ha svolto l'istruttoria, ha risolto le questioni inerenti all'oggetto del giudizio e ha assunto la decisione finale, non è lo stesso che ha compiuto gli atti precedenti, quali l'accertamento della regolare costituzione delle parti, la dichiarazione di contumacia e la mera dichiarazione di apertura del dibattimento.
Nel caso in esame, all'udienza del 12 novembre 2020 non era stata compiuta attività dibattimentale, quali acquisizioni probatorie, risoluzione di questioni incidentali, decisioni interinali inerenti l'oggetto del giudizio e simili, ma era stato disposto solo il rinvio per legittimo impedimento del difensore e, quindi, era stato assunto un provvedimento che non ha avuto valenza sul giudizio.
Ne discende che, al fine delle scelte sul rito indicato dall'art. 23 citato, il processo non poteva considerarsi iniziato e il difensore avrebbe potuto avanzare richiesta di trattazione orale, in difetto della quale l'udienza del 4 dicembre 2020 non si sarebbe potuta trattare con rito ordinario.
Né il ricorrente - contrariamente a quanto sostenuto - può trarre argomenti a favore dell'asserita necessità di trattazione ordinaria dell'udienza del 4 dicembre 2020 dal fatto che nella comunicazione del rinvio non era stato "indicato alcunché circa l'applicabilità del D.L. 149/2020". Ciò in quanto nessuna indicazione in tal senso è prevista dalla legge, come già osservato da questa Corte (Sez. 2, n. 45188 del 14/10/2021, Rv. 282438; Sez. 5, n. 677 del 13/10/2021, Rv. 282531), secondo cui, in tema di disciplina emergenziale di contenimento della pandemia da Covid-19, il mutamento del rito nella forma camerale non partecipata, avvenuto nelle more del giudizio di appello (nella specie, rinviato per legittimo impedimento del difensore dell'imputato) e determinato dall'entrata in vigore del D.L. 9 novembre 2020, n. 149, non deve essere comunicato all'imputato il quale può, comunque, esercitare, tramite il difensore, la facoltà di chiedere la trattazione in pubblica udienza.
Si è precisato al riguardo (sent. citata n. 45188 del 2021) che la normativa, stante la sua transitorietà connessa alla situazione pandemica, non contiene alcun riferimento alle modalità della vacatio in iudicium, che continua ad essere regolata dall'art. 601, comma 3, cod. proc. pen., alla cui stregua il decreto di citazione per il giudizio d'appello deve contenere i requisiti di cui all'art. 429, comma 1 lett. a) (generalità dell'imputato); f) (l'indicazione del giorno, del luogo e dell'ora della comparizione) e g) (la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste) nonché l'indicazione del giudice competente. Il comma sesto limita la nullità dell'atto alle ipotesi in cui l'imputato non sia identificato in modo certo ovvero manchi o sia insufficiente uno dei requisiti previsti dall'art. 429, comma 1 lett. f), cod. proc. pen. ovvero giorno, luogo ed ora della comparizione, negando la giurisprudenza di legittimità con indirizzo costante che l'avvertenza in ordine alle conseguenze della mancata comparizione costituisca un requisito dell'atto (in tal senso, Sez. 4, n. 27494 del 14/02/2017, Rv. 270706; n. 5017 del 19/12/2018, dep.2019, Rv. 275116; Sez. 2, n. 36097 del 14/5/2014, Rv, 260354).
Nel caso in esame, non vi era dunque alcun obbligo di comunicare all'appellante che l'udienza del 4 dicembre 2020 sarebbe stata trattata con il rito cartolare. Ciò peraltro tenuto anche conto del fatto che non può farsi carico al Presidente della Corte d'Appello del non previsto onere di informare l'appellante circa la vigenza di una legge processuale, i cui contenuti e le cui prerogative rientrano nelle competenze proprie della difesa tecnica, alla quale è espressamente rimesso l'atto di impulso tendente all'instaurazione del contraddittorio orale.
1.2 Ad epilogo diverso deve invece pervenirsi con riguardo alla mancata presentazione delle conclusioni scritte del Procuratore generale.
L'art. 23 D.L. n. 149/2020, poi riprodotto nell'art. 23 bis della L. n. 176/2020, stabiliva che "entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che saranno resi disponibili ed individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica ( ... ), ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte d'appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137".
La sequenza procedimentale, dunque, prevede che, fissata l'udienza, le parti e il Procuratore generale possono formulare istanza di trattazione orale entro i quindici giorni precedenti; in difetto, il Procuratore generale deve formulare le proprie conclusioni per iscritto entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza, mentre le altre parti, cui le conclusioni debbono essere telematicamente inviate, possono presentare a loro volta conclusioni scritte entro il quinto giorno precedente l'udienza.
E' evidente, dunque, sulla base della diversità dei termini ("formula le conclusioni", "possono presentare le conclusioni") che, mentre la Parte pubblica deve formulare le conclusioni per ciascuno dei processi fissati all'udienza, difensori delle parti private possono presentarle ma non sono obbligati.
Le conclusioni della Parte pubblica, poi, a differenza di quelle delle parti privati devono essere immediatamente comunicate alle altre parti.
Tale conclusione è già stata formulata in precedenti pronunce di questa Corte. Difatti, nella sentenza della Sesta Sezione n. 26459 del 25/05/2021, Rv. 28217 5, si è affermato che "in tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, la mancata formulazione da parte del pubblico ministero delle conclusioni nel giudizio di appello, previste dall'art. 23-bis, comma 2, d. I. 28 ottobre 2020 n. 137, integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, 1 lett. b), e non la nullità prevista alla lettera c) del medesimo articolo, poiché non pregiudica il diritto della difesa di formulare le proprie conclusioni". Ravvisata l'omologia con il rito camerale di cui all'art. 611 cod. proc. pen, che ha costituito il paradigma per la costruzione del procedimento a cd. trattazione scritta ad opera del legislatore dell'emergenza pandemica, la sentenza ora citata ha osservato che, a differenza di quanto stabilito dal codice per il giudizio camerale non partecipato di legittimità, la disciplina emergenziale rende obbligatorie le conclusioni del Pubblico ministero. Si tratterebbe di un "adempimento formale necessario attraverso il quale si concretizza la partecipazione della parte pubblica al procedimento", e ciò perché la disposizione di legge prescrive testualmente che "entro il decimo giorno precedente l'udienza, il Pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della Corte di appello per via telematica", ove l'uso del presente indicativo "formula" attesta appunto l'indefettibilità dell'adempimento. Non così, invece, per l'intervento scritto delle parti private, perché nel prosieguo della medesima disposizione si precisa che i difensori delle altre parti "entro il quinto giorno antecedente l'udienza possono presentare le conclusioni con atto scritto...". Dalla diversità espressiva, dato che in tale ultima formula si indica chiaramente come meramente eventuale l'intervento scritto, si è tratto argomento per sostenere che la mancata presentazione delle conclusioni della parte pubblica concretizza una nullità d'ordine generale, per mancata partecipazione del Pubblico ministero agli atti del procedimento.
Anche nella sentenza n. 38177, pronunciata dalla Terza Sezione di questa Corte il 7 settembre 2021 (Rv. 282373), si è desunto dall'uso del presente indicativo - "formula" - la natura obbligatoria delle conclusioni del Pubblico ministero.
Siffatta soluzione interpretativa non è stata condivisa dalla sentenza della Prima Sezione, richiamata nelle conclusioni formulate dal Procuratore generale nel presente giudizio. In tale pronuncia si è osservato, tra l'altro, che la tesi dell'obbligatorietà delle conclusioni del Pubblico ministero trascura di valutare che nei procedimenti camerali a contraddittorio rafforzato, e quindi con partecipazione necessaria, il legislatore fa sempre ricorso a formule inequivoche, non affidando all'interprete il compito di desumere da indici lessicali strutturalmente aperti a una pluralità di letture il tipo di partecipazione richiesta, appunto precisando, in termini espressi, se necessaria o meno.
Deve però rilevarsi che, se è condivisibile che l'uso dell'indicativo "formula" non vale ad esprimere inequivocabilmente la doverosità dell'atto, non può trascurarsi che a conferire inequivocità all'anzidetto indicativo soccorre la successiva precisazione sulle parti private, che "possono" presentare le conclusioni. La lettura congiunta dei due diversi termini, in uno alla previsione sulla necessaria comunicazione alle parti private delle conclusioni del Pubblico ministero, consente di addivenire alla conclusione che il legislatore dell'emergenza pandemica ha inteso conferire facoltatività solo alle conclusioni delle parti private e non anche a quelle della parte pubblica.
La struttura procedimentale, delineata dall'art. 23 citato, impone quindi la soluzione dell'obbligo del rinvio dell'udienza camerale, quando la mancanza delle conclusioni o la loro comunicazione della parte pubblica al difensore di parte privata siano state omesse. Rinvio tuttavia da disporsi solo su esplicita richiesta della parte privata interessata all'eccezione, trattandosi di vizio del contraddittorio disponibile.
Si configura, infatti, una nullità ex art. 178 cod. proc. pen., intervenuta prima del giudizio e, pertanto, ex art. 180 la parte ha l'onere di sollevare un'espressa eccezione entro la deliberazione d'appello.
Questa Corte (Sez. 6, n. 10216 del 3/3/2022, Rv. 283048; Sez. 5, n. 20885 del 28/04/2021, Rv. 281152) ha già avuto modo di affermare che, in tema di disciplina emergenziale da Covid-19, nel giudizio cartolare d'appello, svolto ai sensi dell'art. 23-bis, comma 2, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, la mancata comunicazione in via telematica delle conclusioni del Pubblico ministero alla difesa dell'imputato integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che attiene all'assistenza dell'imputato e va eccepita prima del compimento dell'atto o, se non possibile, immediatamente dopo.
Nel caso in esame, il difensore dell'imputato aveva fatto pervenire prima dell'udienza del 4 dicembre 2020 una memoria in cui eccepiva la mancanza delle conclusioni scritte della parte pubblica e ciononostante la Corte territoriale ha trattato l'udienza.
Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Genova.
2. Le residue doglianze risultano assorbite.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Genova.