
Fondato il motivo di ricorso con cui l'imputata lamenta la violazione dell'art. 597 c.p.p. in relazione alla fissazione del termine di 6 mesi per l'adempimento delle statuizioni civili cui è subordinata la sospensione condizionale della pena.
La Corte d'Appello di Venezia sostanzialmente confermava la sentenza con la quale l'imputata era stata condannata per avere eluso l'esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni sull'affido dei figli minori ai servizi sociali e sul collocamento presso l'abitazione del padre, nonché per avere sottratto gli stessi a quest'ultimo conducendoli in Marocco.
Contro tale...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Venezia ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui A.M. è stata condannata per i reati previsti d gli artt. 388, comma 2,- 574 bis cod. pen.
All'imputata è contestato:
-di aver eluso, con le condotte di cui si si dirà, l'esecuzione del provvedimento emesso da Tribunale per i minori di Venezia il 9.7.2014 con il quale veniva disposto l'affido dei figli minori al servizio sociale ed il collocamento degli stessi presso l'abitazione del padre (capo a);
- di avere sottratto i figli minori al padre, conducendoli in Marocco e ivi trattenendoli contro la volontà del genitore, impedendo a questi l'esercizio della potestà (capo b).
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando sei motivi.
2.1. Con il primo si lamenta violazione di norme processuali in relazione agli artt. 512 - 512 bis - 507 - 157- 159 cod. proc. pen.
Il tema attiene alla acquisizione, ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen., delle sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria da G.K. e da E.Z.E.T. l’(omissis).
In particolare, quanto a E.Z., la dichiarazione di irreperibilità del teste, indicato nella lista del Pubblico Ministero, sarebbe inficiata da "omissioni di indagini ulteriori rispetto a quelle meramente anagrafiche e burocratiche, effettuate dai carabinieri" (così il ricorso), i quali si sarebbero limitati a dare atto: a) di avere verificato che all'indirizzo di residenza "la casa risulta abbandonata da tempo"; b) che l'utenza telefonica da essi reperita "non risponde, non squilla".
In tale contesto, sarebbe stata successivamente acquisita una nota del 22.2.2019 della Polizia locale del Comune di (omissis), con cui si attestava che tutti i componenti della famiglia del teste non erano presenti all'indirizzo di residenza anagrafica ed erano irreperibili nel territorio comunale, in quanto, da informazioni assunte dal proprietario dell'immobile, erano tornati in Marocco.
Si aggiunge che all'udienza del 7.12.2018 il Giudice aveva ordinato ulteriori ricerche, ma all'udienza del 11.3.3019, il Tribunale, senza che fosse stata compiuta nessuna ulteriore ricerca, dichiarava chiusa l'istruttoria ed acquisiva il verbale delle dichiarazioni rese unilateralmente nel corso delle indagini sulla base di una irreperibilità, si argomenta, mai effettivamente accertata.
Si evidenzia come con l'atto di appello si fosse segnalato che il teste lavorava per la ditta "(omissis)", indicando anche la sede e che vi erano ulteriori luoghi in cui il testimone esercitava la sua attività lavorativa, ma, nonostante dette indicazioni, nessuna ricerca era stata compiuta.
La Corte di appello non avrebbe motivato alcunchè, limitandosi ad affermare che il giudice non avrebbe "omesso di disporre ulteriori ricerche" presso luoghi precisi, senza tuttavia considerare come invece il Tribunale avesse ordinato dette ricerche; la Corte avrebbe inoltre aggiunto che il teste aveva riferito circostanze di dettaglio rispetto al fatto specifico relativo al trasferimento della imputata con i figli in Marocco.
Sostiene l'imputato che in realtà il teste aveva un rapporto di amicizia con l'imputata, mai sentita in giudizio, con cui aveva avuto occasione di parlare anche dopo il trasferimento di questa in Marocco.
Vi sarebbe stata nella specie la violazione dei principi fondamentali del giusto processo, atteso che la semplice difficoltà di reperimento del dichiarante non poteva condurre alla acquisizione mediante lettura delle sommarie informazioni in precedenza rese.
Considerazioni analoghe vengono compiute quanto alle dichiarazioni rese da G.K., unica altra testimone in grado di riferire circostanze riguardanti il contesto i cui sarebbe maturata la condotta dell'imputata, le sue motivazioni e supposizioni, i rapporti interni e pregressi con il padre dei bambini e con i figli.
Anche in tal caso si contesta, da una parte, la ritualità dell'acquisizione e, dall'altra, la omessa valutazione da parte del Tribunale delle stesse dichiarazioni.
La Corte, investita della questione relativa all'acquisizione, non avrebbe considerato che nessuna ricerca specifica nella specie fosse stata compiuta, tenuto conto che la teste risultava residente in Germania, ed essendo state limitate le ricerche ad un controllo presso l'ultima dimora e presso l'ufficio anagrafe del comune di (omissis) presso il quale, in realtà, la teste non aveva mai risieduto.
La Corte sul punto si sarebbe limitata ad affermare che le dichiarazioni della teste sarebbero state del tutto irrilevanti.
Sotto ulteriore profilo, si deduce la illegittimità della ordinanza emessa dal Tribunale l'11.3.2019 con cui fu revocata l'ordinanza del 7.12.2018 con la quale era stata disposta, ai sensi dell'art 507 cod. proc. pen., l'audizione di tre testi che avevano in cura i bambini e che "erano in relazione professionale con le parti" (così il ricorso); si tratta delle dott.sse A.T., C.B., psicologhe e psicoterapeute, e dell'assistente sociale M.M., responsabile dell'affidamento dei bambini ai servizi sociali disposto dal Tribunale in servizio per tutto il tempo antecedente e concomitante ai fatti di causa.
L'integrazione probatoria era stata disposta al fine di comprendere "la situazione psicologica dei bambini" a cui era stato fatto continuo riferimento durante l'esame del padre, ma anche per l'accertamento delle modalità con cui i bambini erano stati "presi" e gestiti dall'assistente sociale M..
In tale contesto la revoca della ordinanza ammissiva sarebbe stata immotivata ed originata solo dal fatto che i testimoni non fossero stati citati dal Pubblico ministero sul presupposto che alla citazione avrebbe dovuto provvedere il Tribunale.
Anche sul punto la motivazione della Corte, che si è limitata a valorizzare le relazioni scritte dei servizi sociali acquisite sarebbe viziata, non potendo dette relazioni surrogare le indispensabili prove orali.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità formulato sulla base delle dichiarazioni del padre dei bambini.
Non sarebbe stato considerato che, dopo il rintraccio e dopo un primo colloquio con figli, avvenuto nel febbraio del 2017, il successivo periodo di otto mesi, fino al 28.10.2017- data in cui il padre e i bambini fecero ritorno in Italia- sarebbe stato condizionato da decisioni dall'autorità marocchina e da difficoltà burocratiche.
Si assume che la permanenza del reato non potrebbe considerarsi cessata il 28.10.2017, ma nel febbraio di quell'anno, quando il padre avrebbe rivisto i bambini.
Né sarebbe stato valutato il contenuto dell'accordo stipulato il 27.10.2017 tra l'imputata e il padre dei bambini davanti al Tribunale di Marrakech, mai riconosciuto in Italia per mancanza di autenticazione dell'Appostille, di cui invece è stato munito dal 8.1.2020.
Si tratta di un accordo, il cui contenuto viene riportato sinteticamente in ricorso, da cui emergerebbe una diversa valutazione del comportamento e della personalità delle parti rispetto a quella delineati dalla parte civile; né sarebbero state considerate ulteriori circostanze favorevoli all'imputata e la Corte non avrebbe valutato il motivo con cui si censurava il condizionamento della sentenza derivante dalla rilevanza mediatica avuta dalla vicenda.
Né il Tribunale, né la Corte avrebbero esaminato le motivazioni e le ragioni della condotta della ricorrente e le possibili sue giustificazioni; si fa riferimento alla prova dell'elemento soggettivo del reato di cui al capo b), ritenuto sussistente senza considerare la possibile configurabilità di scriminanti, quali l'esercizio del diritto del genitore di salvaguardare l'interesse superiore dei figli, in relazione all'art. 30 Cost. e 8 CEDU.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, fatto discendere dal lungo periodo in cui si sarebbe protratta la permanenza dei bambini all'estero, dalla superficiale volontà di sottrarre il padre alla sua responsabilità genitoriale, dalla esistenza di un precedente specifico.
Assume la ricorrente che la motivazione sarebbe viziata in quanto non si sarebbe valutato l'accordo di cui si è detto.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dosimetria della pena ed all'aumento di pena inflitto a titolo di continuazione.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell'art. 597 cod. proc. pen. e vizio di motivazione quanto alla fissazione del termine di sei mesi per l'adempimento delle statuizioni in favore delle parti civili, cui è stata subordinata la sospensione condizionale della pena.
La Corte avrebbe respinto il motivo di appello con cui si censurava la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ma ha introdotto senza motivazione un breve termine di sei mesi per l'adempimento.
2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge, anche processuale, in ordine alla condanna risarcitoria in favore del nonno dei bambini ed alla provvisionale.
A fronte di un motivo di appello con cui si era evidenziato come nella specie non vi fossero gli elementi concreti a cui l'art. 317 bis cod. civ. condiziona il diritto degli ascendenti al rapporto con i minori, la motivazione sarebbe viziata.
Si chiede anche l'annullamento della costituzione di parte civile di H.E., nonno dei bambini, e comunque del punto della sentenza relativo alla provvisionale.
3. È stata presentata una memoria nell'interesse delle parti civili con cui si ripercorrono i motivi e le argomentazioni poste a fondamento del ricorso di cui evidenza la infondatezza
4. È pervenuta anche una articolata memoria di replica nell'interesse dell'imputata con cui si contestano analiticamente tutti le argomentazioni utilizzate dal Procuratore generale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato limitatamente al quinto motivo di ricorso.
2. È nel complesso infondato, ai limiti della inammissibilità, il primo motivo.
2.1. Il motivo, in particolare, è inammissibile nella parte relativa all'acquisizione ed alla utilizzazione probatoria delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da E.Z. e da G.K..
Il presupposto, non contestato nemmeno dal ricorrente, è che entrambi i testi fossero stati indicati solo nella lista del Pubblico Ministero e non anche in quella della difesa e che, per effetto del mancato esame in dibattimento, siano state irritualmente acquisite e utilizzate dette dichiarazioni.
2.2. La Corte di cassazione con molteplici pronunce - anche a Sezioni unite e non sempre recenti - ha stabilito princìpi funzionali ad attuare il percorso demolitorio intrapreso dalla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale. In particolare, è consolidato il principio - affermato soprattutto in tema di intercettazioni telefoniche al quale, tuttavia, deve essere riconosciuta una portata più generale - secondo cui è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi non solo quale sia l'atto inutilizzabile ma, soprattutto, chiarisca l'incidenza dell'atto affetto dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, Gullè, non massimata).
Ulteriori approfondimenti di rilievo concernono i limiti demolitori della pronuncia di legittimità; prima infatti di annullare con rinvio la sentenza basata su di un dato dimostrativo· dichiarato inutilizzabile, è necessario procedere alla c.d. prova di resistenza, valutando se la motivazione "resti in piedi", nonostante l'eliminazione dell'elemento viziato. La regola viene considerata un corollario dell'interesse all'impugnazione: se la sentenza non è basata sulla prova inutilizzabile, il ricorso, ancorché fondato nel merito, deve essere rigettato (Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, Gerina, in motivazione; Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241299; Sez. 2, n. 30271 dell'11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303).
La Corte, con orientamento consolidato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011), che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.
2.3. Nel caso di specie, a fronte dell'assunto della Corte di appello secondo cui i dichiaranti avevano riferito "circostanze di dettaglio", il motivo di ricorso rivela la sua genericità, perché non è stato chiarito nè quali sarebbero le specifiche circostanze fattuali che avrebbero dovuto non essere utilizzate ai fini probatori e che invece sarebbero state utilizzate - avendo per altro la stessa imputata, almeno quanto alle dichiarazioni di G.K., affermato che di esse non sarebbe stata compiuta nessuna utilizzazione- e neppure, soprattutto, quale sarebbe il peso e la loro valenza a carico rispetto al ragionamento probatorio sotteso alla affermazione della responsabilità penale, cioè la loro incidenza e decisività rispetto alla decisione impugnata.
Sotto altro profilo, il motivo di ricorso è strutturato su una generalizzata critica che ha come presupposto quello per cui, se i testi fossero stati ascoltati, avrebbero potuto riferire rilevanti circostanze a discarico.
Si tratta tuttavia di un assunto giuridicamente costruito non sulla dedotta inutilizzabilità di dichiarazioni acquisite illegittimamente ed in ragione delle quali si è pervenuto al giudizio di responsabilità, ma su una prospettata lesione del diritto di esaminare testimoni, peraltro non indicati in lista dall'imputato, che, invece, se fossero stati esaminati, avrebbero in ipotesi potuto forse rendere dichiarazioni favorevoli alla ricorrente.
Una lesione derivante dal mancato esame di un teste non della parte e che, se fosse stato ascoltato, avrebbe potuto essere contro esaminato e quindi, in ipotesi, rendere dichiarazioni favorevoli all'imputata.
Detta questione non attiene tuttavia alla inutilizzabilità della prova, ma al più ad altre forme di invalidità - quale, in via astratta, la nullità - che non solo non sono state specificamente dedotte nel ricorso, ma che avrebbero dovuto essere dedotte nel corso del processo.
Sotto ulteriore profilo, quanto, in particolare, alle dichiarazioni di G.K., il motivo è aspecifico anche perché non si confronta con quanto spiegato dalla Corte secondo cui l'acquisizione di dette dichiarazioni - ritenute irrilevanti ai fini della decisione- sarebbe avvenuta "senza alcuna opposizione della difesa" (cfr. pag. 7 sentenza).
2.4. Non diversamente, è infondato il motivo anche in relazione all'ordinanza dell'11.3.2019 con cui il Tribunale revocò il precedente provvedimento con il quale era stata disposta, ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen., l'audizione di tre testimoni.
Dalla lettura del verbale di udienza emerge che: a) il Presidente del Collegio, preso atto che i testimoni, in precedenza ammessi per "capire esattamente la situazione psicologica dei bambini", non erano stati citati, revocò l'ordinanza omissiva della prova sul presupposto che i testi in questione dovessero essere sentiti "in funzione dei danni avuti per il trascorso in Tunisia... e che comunque tale accertamento non comporterebbe alcuna valutazione rispetto al fatto in sé"; b) rispetto all'ordinanza di revoca il difensore si limitò a manifestare il proprio dissenso senza tuttavia eccepire formalmente alcuna nullità.
Al riguardo la Corte di appello ha ritenuto che la revoca fosse giustificata in ragione del fatto che nel corso del processo sarebbero state acquisite relazioni dei servizi sociali che avrebbero apportato lo stesso livello di conoscenza che sul tema sarebbe stato raggiunto nel caso in cui i testi fossero stati sentiti.
2.5. Rispetto a tale quadro di riferimento il motivo rivela la sua infondatezza.
Sotto un primo profilo, ritiene il ricorrente che l'ordinanza di revoca sarebbe stata sostanzialmente immotivata ovvero motivata in modo non pertinente.
Dunque formalmente non è stata dedotta nessuna nullità, ma un vizio di motivazione; si tratterebbe di una ordinanza viziata perché priva di motivazione ovvero con una motivazione non pertinente.
La Corte di Cassazione ha in molteplici occasioni chiarito tuttavia che non sono denunciabili, con il ricorso per cassazione, dei «vizi della motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito in relazione alle argomentazioni giuridiche delle parti» (Sez. 5, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola, Rv. 197993), in quanto o le medesime «sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, ovvero sono infondate, ed in tal caso il provvedimento con cui il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all'art. 619 cod. proc. pen., che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta» (Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016, dep. 2017, Emanuele, Rv. 271451).
È utile evidenziare peraltro che sul tema della omessa motivazione, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito come anche il caso - certamente più radicale rispetto a quello in esame - di mancanza assoluta della motivazione della sentenza non configuri né l'inesistenza dell'atto, né rientri tra quelli, tassativamente previsti dall'art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, potendosi invece configurare una nullità, ai sensi dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., alla quale, allorquando la sentenza è appellabile, il giudice di appello può rimediare in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto assegnatigli dalla legge.
In particolare, secondo le Sezioni unite della Corte, anche a fronte del deposito del mero dispositivo, il giudice d'appello può decidere nel merito e, nel rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di "reformatio in peius", procedere addirittura alla redazione integrale di una motivazione mancante, utilizzando le prove già legittimamente acquisite nel precedente grado di giudizio nel contraddittorio delle parti (Sez. U., n. 3287 del 27/11/2008, (dep. 2009), R.,Rv. 244118; in senso conforme, più recentemente, Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735).
Dunque, è fondato ritenere che anche un'ordinanza sostanzialmente priva di motivazione non sia un atto inesistente, ma un atto nullo ai sensi dell'artt. 125 cod. proc. pen.
Quanto al "grado" della nullità della sentenza, la stessa sarebbe di carattere assoluto secondo Sez. 5, n. 42379 del 23/09/2004, P.G. in proc. Cozzolino, Rv. 230362, mentre invece, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, si tratterebbe di una nullità a carattere relativo (in tal senso, Sez. 6, n. 5457 del 12/09/2018, dep.2019, Cosentino, Rv. 275029; e, con riferimento alla sentenza, Sez. 5, n. 11961 dell'08/02/2005, P.C. in proc. Bellantone, Rv. 232058; Sez. 2, n. 23552 del 6/05/2004, P.G. in proc. Santelli, non massimata; Sez. 2, n. 23547 del 6/05/2004, P.G. in proc. Madeo, Rv. 229219; Sez. 2, n. 20280 del 7/04/2004, P.M. in proc. Morelli, Rv. 229025, e, nel vigore del codice di rito previgente, Sez. 5, n. 839 del 18/12/1975, Mellino, Rv. 132633; quasi tutte tali pronunce, peraltro, a decorrere dalla più risalente, assunta poi a precedente da tutte le altre, non appaiono enunciare le ragioni della natura relativa della nullità, dandola praticamente per "scontata").
È fondato tuttavia ritenere che anche quella derivante dalla omessa motivazione di una ordinanza dibattimentale, non sia una nullità assoluta e quindi insanabile, ma una nullità che deve essere dedotta entro i termini di decadenza previsti dalla legge.
Escluso il carattere assoluto, la nullità, riguardando un atto compiuto alla presenza della parte (l'ordinanza letta in udienza), avrebbe dovuto essere eccepita, ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., subito dopo il compimento dell'atto, cioè, nel caso di specie, subito dopo che il Tribunale, all'udienza dell'11.3.2019, dette lettura in udienza dell'ordinanza e tuttavia si è già detto al riguardo come nessuna eccezione di nullità fu formalmente avanzata in quella occasione.
Il motivo rivela inoltre la sua strutturale genericità in quanto non è stato nemmeno chiarito quali sarebbero stati i temi di prova diversi ed ulteriori rispetto a quelli che hanno indotto i Giudici di merito a ritenere superflua l'audizione dei teste e, in particolari, i fatti probatori diversi rispetto a quelli la cui prova sarebbe stata acquisita attraverso le relazioni prodotte dallo stesso imputato (cfr. sentenza impugnata pag. 8).
3. Infondato, ai limiti della inammissibilità, è il secondo motivo di ricorso relativo al giudizio di responsabilità.
I Giudici di merito hanno puntualmente valutato le prove, ricostruito i fatti, la cui valenza oggettiva non è stata nemmeno contestata dall'imputato, spiegato le ragioni per le quali sussistono gli elementi strutturali del reato previsto dall'art. 574 bis cod. pen. e, soprattutto, perché è configurabile il dolo del delitto in esame e non vi siano cause di giustificazione (cfr., sentenza di primo grado).
Rispetto a tale univoco quadro di riferimento, nulla di specifico è stato dedotto, non essendo stata indicata nessuna concreta ragione idonea a minare la tenuta del ragionamento probatorio dei Giudici.
Né obiettivamente è chiaro perché, pur volendo ragionare con la difesa, l'accordo stipulato tra l'imputata e il padre dei bambini nell'ottobre del 2017, il cui contenuto viene succintamente richiamato nel ricorso, e l'assunto secondo cui la condotta penalmente rilevante avrebbe avuto una durata minore rispetto a quella ritenuta, avrebbero una valenza disarticolante al fine del giudizio di responsabilità.
La Corte, da una parte, ha spiegato come integrino modalità alternative di commissione del delitto di cui all'art. 574-bis cod. pen. le condotte, nella specie ritenute correttamente sussistenti, di "abductio" e di trattenimento dei minori al di fuori del territorio dello Stato, che determinano impedimento all'esercizio della responsabilità genitoriale, e, dall'altra, ha valorizzato il periodo di trattenimento degli stessi all'estero, ai fini dell'intensità del dolo, della valutazione della gravità della condotta, e, come si dirà, della determinazione del trattamento sanzionatorio (in tal senso, Sez. 6, n. 28772 del 26/09/2020, M., Rv. 279678).
4. Sulla base di quanto appena chiarito sono inammissibili il terzo e il quarto motivo. A fronte di una puntuale, generale, ampia trama argomentativa con cui la Corte ha spiegato le ragioni per le quali le circostanze attenuanti generiche non sono state riconosciute, ha chiarito i motivi posti a fondamento della dosimetria della pena, della entità dell'aumento di pena per continuazione sulla pena detentiva, facendo riferimento alla esistenza di un precedente specifico di sottrazione di minori da cui è gravata l'imputata, alla obiettiva gravità dei fatti, alla durata della sottrazione, al grado di offesa arrecato ai minori (pag. 9 a segg. sentenza impugnata), nulla di specifico è stato dedotto, essendosi limitata l'imputata ad una generalizzata critica difettiva avulsa dall'ampio contesto generale della motivazione. Sul punto due considerazioni si impongono.
La prima è che la moltiplicazione di rivoli argomentativi non decisivi, la scomposizione indistinta di fatti e di piani di argomentazione non ancorata al ragionamento probatorio complessivo della sentenza impugnata, la valorizzazione di singoli elementi il cui significato viene scisso ed esaminato atomisticamente rispetto all'intero contesto, violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse al provvedimento (sul tema, Sez. 6, n. 10539 del 10/02/2017, Lorusso, Rv. 269379).
La seconda considerazione è che il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando, a differenza della fattispecie in esame, gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 3274 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723).
5. Anche il sesto motivo di ricorso, relativo alle statuizioni civili, è inammissibile.
Quanto alla legittimazione alla costituzione di parte civile da parte del nonno dei minori, i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui ai sensi dell'articolo 74 cod. proc. pen, l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, di cui all'articolo 185 cod. pen., può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputato e del responsabile civile.
Tale norma distingue il diritto al risarcimento "iure proprio", che è il diritto del soggetto al quale il reato ha direttamente recato danno, dal diritto al risarcimento "iure successionis", che spetta solo ai successori universali e che sorge quando si sia verificato un depauperamento del patrimonio della vittima in conseguenza dell'accadimento.
Ne discende che i soggetti, che non siano, in concreto, anche eredi, non possono agire "iure successionis", non escludendosi però, per i successibili che siano prossimi congiunti della vittima, la legittimazione ad agire "iure proprio" per il ristoro dei danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali sofferti a causa della morte del congiunto.
Dunque non è chiaro perché in astratto la costituzione di parte civile del nonno sarebbe nella specie inammissibile.
Quanto al danno, i Giudici di merito hanno liquidato la somma di euro 2.000,00 in favore del nonno dei bambini a titolo di provvisionale; sul punto è consolidato il principio secondo cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione del risarcimento.
Ne discende che la sentenza deve essere confermata quanto alle statuizioni civili, con conseguente condanna dell'imputato a rifondere alle parti civili, H.R. e H.E. le spese di rappresentanza e difesa del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 4.500,00 oltre accessori di legge.
6. È invece fondato, nei limiti di cui in motivazione, il quinto motivo di ricorso.
Il Tribunale, nel subordinare la sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo al pagamento della somma provvisoriamente riconosciuta alle parti, non aveva indicato nessun termine per l'adempimento dell'obbligazione, peraltro immediatamente esecutiva.
La Corte di appello ha d'ufficio correttamente indicato il termine di sei mesi per l'adempimento che, tuttavia, deve farsi decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, con conseguente annullamento senza rinvio sul punto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al termine stabilito per l'adempimento delle statuizioni civili, costituente condizione della sospensione condizionale della pena, che ridetermina in mesi sei decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza.
Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna inoltre la ricorrente a rifondere alle parti civili, H.R.E. e H.E. le spese di rappresentanza e difesa del presente grado di giudizio, che si liquidano in euro 4.500,00 oltre accessori di legge.