La Cassazione affronta il caso vertente sull'opposizione a cartelle di pagamento per spese di giustizia cui siano sottesi provvedimenti adottati dal giudice penale, quando la contestazione dell'opponente riguardi l'indeterminatezza della pretesa erariale per mancanza di corrispondenza tra spese indicate in cartella e quelle liquidate nel processo penale.
L'attore proponeva opposizione alla cartella esattoriale con la quale gli era stato notificato il pagamento di una somma a titolo di spese di giustizia. Il Tribunale di Trieste accoglieva l'opposizione e annullava la cartella esattoriale ma, a seguito di gravame proposto dalle controparti, la Corte d'Appello accoglieva parzialmente il medesimo, ritenendo,...
Svolgimento del processo
A.B. con atto del 11.9.2015 propose opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. avverso la cartella esattoriale n. (omissis), con cui gli si intimava il pagamento della somma di € 30.884,41, relative a spese di giustizia. Nel contraddittorio con Equitalia Giustizia s.p.a., Ministero della Giustizia e Agente della riscossione di Pordenone, l'adito Tribunale di Trieste con sentenza del 5.6.2017 accolse l'opposizione, annullando la cartella, per totale difetto di motivazione. Sia il Ministero che Equitalia Giustizia proposero distinti appelli, entrambi resistiti dal B.; quindi, previa riunione delle impugnazioni, la Corte d'appello di Trieste, con sentenza del 22.11.2018, accolse parzialmente l'appello di Equitalia Giustizia, respingendo nel resto e così riformando la sentenza impugnata, in parte qua. In particolare, il giudice d'appello ritenne la "competenza" del giudice civile riguardo alle questioni sollevate, contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante Equitalia Giustizia, accogliendone però il gravame in relazione alle sole somme portate dalla cartella che non risultavano contestate dal B., ossia € 3.150,00 per multe e ammende, € 18,50 per contributo unificato ed € 84,00 per imposta di registro.
Avverso detta sentenza, ricorre ora per cassazione Equitalia Giustizia s.p.a., affidandosi a quattro motivi, cui resistono con controricorso A.B., nonché con autonomo controricorso Agenzia delle Entrate-Riscossione e il Ministero della Giustizia, che hanno pure proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. Equitalia Giustizia e A.B. hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c. All'esito dell'adunanza camerale del 9.12.2021, il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 93/2022, onde consentire alle parti di prendere posizione sulla possibile refluenza sull'esito della controversia della sopravvenuta pronuncia di Cass., Sez. Un., n. 38596/2021. All'esito, hanno depositato ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c. sia Equitalia Giustizia che A.B.. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, assorbiti il terzo e il quarto motivo, con rigetto nel resto.
Motivi della decisione
1.1- Con il primo motivo si lamenta la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 615-617 c.p.c. e degli artt. 227-bis ss. del d.P.R. n. 115/2002, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice d'appello ritenuto, così confermando la prima decisione, la "competenza" del giudice civile, anziché del giudice dell'esecuzione penale, disattendendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un. pen., n. 491/2011.
1.2- Con il secondo e il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 615-617 c.p.c. e degli artt. 227-bis ss. del d.P.R. n. 115/2002, in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere il giudice d'appello dichiarato inammissibili il secondo e il terzo motivo del gravame da essa ricorrente proposti, con cui era stata denunciata l'illegittimità della sentenza di primo grado, che si era pronunciata per la carenza di motivazione e di requisiti della cartella di pagamento. Sotto un primo profilo, si evidenzia l'erroneità della decisione, perché - in relazione ai denunciati pretesi vizi formali della cartella - la regola dell'inappellabilità ex art. 618 c.p.c. dei relativi capi della decisione che, ad un tempo, abbia deciso questioni riportabili a motivi sia di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., che agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., presuppone che il giudice che ha emesso la sentenza impugnata non abbia esplicitamente qualificato la domanda, come invece avvenuto nel caso di specie, in cui il Tribunale ha espressamente affermato trattarsi di opposizione ex art. 615 c.p.c.; in tal caso, infatti, per il principio dell'apparenza, l'impugnazione deve seguire le forme previste per il provvedimento così come qualificato dallo stesso giudice che l'ha emesso, sicché, secondo la ricorrente, le doglianze dalla stessa mosse con l'appello erano senz'altro ammissibili e proponibili. Sotto altro profilo, si censura la decisione perché la Corte giuliana - benché in relazione alla questione della portata della cognizione del giudice civile - ha comunque ritenuto insufficiente la motivazione della cartella impugnata, senza tener conto del fatto che, in subiecta materia, la determinazione e quantificazione delle spese di giustizia si inscrivano in un procedimento a formazione progressiva, appunto disciplinato dagli artt. 227 ss. d.P.R. n. 115/2002, nella specie pedissequamente osservato.
1.3- Con il quarto motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 del d.m. n. 321/1999 e dell'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ancora per avere il giudice d'appello dichiarato inammissibili il secondo e il terzo motivo del gravame da essa ricorrente proposti. Col mezzo in esame, in particolare, ci si duole dell'erroneità della decisione impugnata, che non ha tenuto conto del costante insegnamento giurisprudenziale di legittimità circa il contenuto minimo della cartella, redatta sulla base di un preciso modello direttoriale, riportando anche il numero e la data della sentenza di condanna e gli importi richiesti a titolo di spese.
1.4- Con l'unico motivo di ricorso, AdER e il Ministero della Giustizia denunciano la nullità della sentenza per violazione degli artt. 615 e 617 c.p.c., nonché dell'art. 665 c.p.p., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte d'appello erroneamente ritenuto la competenza del giudice civile, anziché affermare quella del giudice penale.
2.1- Il primo motivo del ricorso principale e l'unico dell'incidentale, da esaminarsi congiuntamente perché concernenti la medesima questione, sono senz'altro ammissibili, perché - al di là dell'erroneo riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e della pretesa nullità della sentenza o del procedimento - ciò di cui i ricorrenti chiaramente si dolgono è l'erronea mancata devoluzione della cognizione della controversia al giudice penale, la cui denuncia si sostanzia, comunque, in un errar in iudicando (benché de iure procedendo) correttamente denunciato nei suo termini essenziali (si veda, in particolare, Cass., Sez. Un., n. 23745/2020).
2.2- Ciò posto, premesso che la materia che qui occupa non è devoluta alla giurisdizione tributaria, bensì a quella ordinaria (Cass., Sez. Un., n. 18979/2017), costituisce principio già affermato da questa Corte di legittimità quello secondo cui "In tema di opposizione a cartelle di pagamento per spese di giustizia, cui siano sottesi provvedimenti adottati dal giudice penale, sono riservate alla cognizione del giudice civile le contestazioni riguardanti o aspetti squisitamente contabili o la riconducibilità di talune voci al perimetro di applicabilità della condanna, sempre che non vi siano dubbi sulla definizione del detto perimetro e si verta, quindi, solo sul concreto rispetto di esso in sede di quantificazione. Qualora, viceversa, si discuta della reale definizione del perimetro e, pertanto, della portata della stessa statuizione penale, la questione appartiene alla cognizione del giudice dell'esecuzione penale" (Cass. n. 14598/2020). Detta statuizione si pone dichiaratamente in linea con l'insegnamento di Cass., Sez. Un. pen., n. 491/2011, Pislor, così massimata: "La domanda del condannato che, senza contestazione della condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, deduca (sia quanto al calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa, sia quanto alla loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna) l'errata quantificazione, va proposta al giudice civile nelle forme dell'opposizione 'ex' art. 615 cod. proc. civ.; non rilevando a tal fine l'attribuibilità alla statuizione di detta condanna della natura di sanzione economica accessoria alla pena".
2.3- Risulta quindi decisivo stabilire con esattezza quale sia l'oggetto della domanda proposta dall'odierno controricorrente.
Questi, come si evince dalla trascrizione della parte di atto introduttivo effettuata da Equitalia Giustizia, nonché da AdER e dal Ministero - rispettivamente - nel ricorso principale e nell'incidentale, ha affermato: "Se è vero, infatti, che la cartella opposta trova il suo presupposto nella sentenza penale di condanna, si rileva tuttavia che le spese processuali non sono state quantificate dal Giudice Penale in sentenza (a differenza di quanto accade in sede civile), ma solo in un secondo momento, secondo quanto previsto nel citato dpr n. 115/2002 ... Ma dall'esame della sentenza penale di condanna n. 742/2012 e dei cinque capi di imputazione, risulta che il sig. B. è stato assolto da tre su cinque (al/. 4); alcuna quantificazione delle spese processuali viene eseguita, né per il primo né per il grado di legittimità; né si trova il riferimento alle fatture pagate dai Consulenti; né la quantificazione delle spese processuali, non tecniche, né come già eccepito ai decreti di liquidazione del PM".
Al riguardo, nell'esaminare la questione suddetta (all'epoca sottopostale col terzo motivo d'appello del Ministero e col primo motivo d'appello di Equitalia Giustizia s.p.a.), la Corte giuliana ha richiamato il suddetto arresto delle Sezioni Unite penali, concordando con l'impostazione degli appellanti circa il fatto che - se il B. avesse effettivamente contestato l'individuazione delle spese riferite ai reati per i quali aveva riportato condanna - ne sarebbe derivata, giocoforza, la "competenza" del giudice dell'esecuzione penale; ha però proseguito, rilevando che la decisione di primo grado non aveva ritenuto di poter sindacare quali spese si riferissero ai suddetti reati, bensì evidenziando - in guisa insuperabile, secondo la stessa Corte territoriale - che non v'era "corrispondenza tra gli importi risultanti dalla documentazione prodotta dal Ministero e l'importo di Euro 27.632,31 riportato in cartella e sulla questione della solidarietà; ne consegue che l'Ente impositore non ha assolto all'onere probatorio di dimostrare che gli importi di cui alla cartella fossero dovuti nella misura in concreto richiesta. Sotto questo profilo entrambi i motivi di appello sono inammissibili, in quanto sono inidonei a incidere sulla conclusione alla quale è pervenuto il giudice di primo grado, non svolgendo alcuna deduzione volta a dimostrare che il giudice (...) avrebbe errato nel ritenere che i documenti prodotti non giustificassero l'importo richiesto di Euro 27.632,31".
Sostengono le ricorrenti, con i mezzi in esame, che la Corte d'appello non si sia attenuta ai dettami della citata Sez. Un. Pislor, non avendo devoluto alla cognizione del giudice penale la domanda del B., in realtà volta a contestare la determinazione della condanna alle spese, in relazione alla effettiva individuazione dei reati per i quali l'opponente stesso aveva riportato la condanna, venendo in rilievo, nella specie, l'estraneità di alcune spese ai reati medesimi.
2.4- Ora, va anzitutto premesso che la recente Cass., Sez. Un., n. 38596/2021 (che ha affermato la non configurabilità di una "questione di competenza" in subiecta materia, rispetto all'ordinanza con cui il giudice civile rimetta la questione al giudice penale appartenente al medesimo ufficio giudiziario), non è pertinente nella specie, come pure correttamente evidenziato sia da Equitalia che dal B. nelle rispettive nuove memorie, giacché la condanna penale è stata irrogata allo stesso B. dal Tribunale di Pordenone, mentre l'opposizione alla cartella è stata proposta dinanzi al Tribunale di Trieste; la diversità dei due uffici giudiziari, dunque, non consente neppure in astratto la prospettazione della questione in termini di attribuzione degli affari interni a singoli giudici, appartenenti al medesimo ufficio.
2.5- Ciò posto, ritiene la Corte che le doglianze in esame non possano trovare accoglimento.
Nel prospettare l'opposizione alla cartella notificatagli, il B. si è nella sostanza doluto principalmente della impossibilità di comprendere quali voci di spesa egli era tenuto a sopportare, in relazione alla condanna, non emergendo dalla cartella stessa alcuna ipotesi di riscontro con quelle affrontate e liquidate nel processo penale (ad es., con le fatture emesse dai consulenti, o quelle "non tecniche" liquidate dal P.M.). In definitiva, il B., più che contestare la riconducibilità delle somme alla condanna penale, ha principalmente denunciato la indeterminatezza della quantificazione operata nei suoi confronti dall'Amministrazione, così anticipando, in definitiva, la questione della stessa individuazione del "perimetro" della sentenza penale; su tale specifico aspetto, preliminare rispetto ad ogni altra doglianza per come prospettata dall'opponente, il giudice d'appello e, prim'ancora, il Tribunale di Pordenone, hanno stigmatizzato il deficit probatorio in cui è incorsa l'Amministrazione, non avendo essa dimostrato la riconducibilità della documentazione prodotta all'importo complessivamente intimato all'opponente (si tratta di questione, peraltro, che neppure in questa sede le ricorrenti, a ben vedere, si premurano di censurare).
Per tal verso, si è al cospetto, dunque, di una ipotesi classica di opposizione all'esecuzione, ex art. 615 c.p.c., sotto il profilo della illiquidità del credito come portato dall'iscrizione a ruolo a carico del B. (ossia, il preteso titolo esecutivo), la cui cognizione non può che essere devoluta al giudice civile.
E' senz'altro vero che lo stesso B. avesse sottolineato, nel ricorso in opposizione, che egli era andato assolto da tre capi di imputazione su cinque, così prospettando anche la non riconducibilità dell'importo intimato rispetto alla condanna (questione che avrebbe dovuto senz'altro devolversi alla cognizione del giudice penale); tuttavia, come già anticipato, si tratta di vizio che, da un punto di vista logico, costituisce un posterius rispetto alla prima questione, concernente l'indeterminatezza della pretesa, tanto è vero che il profilo della non riferibilità delle somme pretese ai reati per i quali il B. aveva subito condanna non è stato minimamente affrontato dal giudice del merito; detto profilo, dunque, è rimasto all'evidenza assorbito. La decisione impugnata, pertanto, deve ritenersi esente da censure al riguardo.
3.1- I motivi secondo, terzo e quarto del ricorso principale possono esaminarsi congiuntamente, stante l'evidente connessione; essi non possono però trovare accoglimento.
Infatti, come anche correttamente evidenziato dal B., il Tribunale di Pordenone non qualificò affatto l'intera opposizione da esso controricorrente proposta come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., ma ciò fece in relazione alla sola questione circa la "contestazione dell'importo richiesto sotto il profilo della mancanza di uno specifico supporto giustificativo - riguardo sia allo specifico quantum preteso, sia all'effettivo esborso da parte dello Stato (...)".
Precisò poi che "se anche si volessero ricondurre le doglianze svolte a meri vizi formali ex art. 617 c.p.c., l'opposizione svolta resterebbe comunque tempestiva (cartella notificata il 18/08/15 e atto introduttivo notificato il 7/09/15".
Nel far ciò, ad avviso di questa Corte, il primo giudice (benché, in effetti, in modo non del tutto lineare) non procedette ad una qualificazione complessiva dell'opposizione in senso da ricomprendervi tutte le doglianze avanzate dal B., ma tanto fece in relazione alle sole questioni effettivamente sussumibili nell'egida dell'art. 615 c.p.c. (ossia, quelle già scrutinate riguardo al primo motivo del ricorso principale), così restando prive di qualificazione quelle altre proposte dall'opponente e senz'altro attinenti a motivi di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Del tutto correttamente, quindi, la Corte giuliana ha rilevato l'inammissibilità dei relativi motivi d'appello avanzati da Equitalia, giacché questa avrebbe dovuto proporre in proposito ricorso per cassazione ex art. 618, ult. comma, c.p.c., i relativi capi della sentenza non risultando appellabili.
4.1- Può pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: "In tema di opposizione a cartelle di pagamento per spese di giustizia, cui siano sottesi provvedimenti adottati dal giudice penale, la contestazione con cui l'opponente lamenti l'indeterminatezza della pretesa erariale per mancanza di corrispondenza tra le spese indicate in cartella e quelle liquidate nel processo penale (ad es., riguardo alle fatture emesse dai consulenti, o quelle liquidate dal P.M.) costituisce opposizione a/l'esecuzione ex art. 615 c.p.c., riservata alla cognizione del giudice civile, trattandosi di questione logicamente precedente rispetto a quella concernente la definizione del perimetro di applicabilità della condanna (anche circa la riferibilità della pretesa ad uno o più specifici reati per i quali l'opponente ha riportato la condanna stessa), invece devoluta alla cognizione del giudice dell'esecuzione penale".
5.1- In definitiva, il ricorso principale e il ricorso incidentale sono rigettati. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso di Equitalia Giustizia s.p.a. (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228); tanto non occorre riguardo al ricorso incidentale di AdER e del Ministero (v. Cass. n. 1778/2016).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente Equitalia Giustizia s.p.a., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.