Il delitto di estorsione, che ha natura di reato plurioffensivo, lede non soltanto il patrimonio ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima. È, quindi, necessaria una valutazione globale del pregiudizio sofferto.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 16/12/2020, la Corte di appello di Cagliari confermava la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Cagliari in data 15/07/2019 che aveva condannato E. F. alla pena di anni quatto, mesi sei di reclusione ed euro 1.200 di multa per i delitti di cui agli artt. 572 cod. pen. (capo A, dal 2009 al 20 agosto 2017) e 629''-cod. pen. (capo B, con più condotte commesse dall'anno 2009 fino al 22 agosto 2017), entrambi ai danni dell'anziana madre convivente B. S., invalida civile al 100%.
2. Avverso la predetta sentenza, nell'interesse di E. F., è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 629 cod. pen. La condotta dell'imputato non risulta indirizzata a coartare la volontà della vittima (madre del F.) ma integrava una mera reazione di disappunto, sicuramente inconsulta, al rifiuto della stessa di consegnargli una piccola somma di denaro. I giudici territoriali avrebbero dovuto dare riscontro sui motivi che avevano indotto ad oltrepassare il significato letterale della precisa espressione utilizzata dalla donna ("disappunto") fino a ricomprendervi una condotta volontariamente estorsiva del tutto disancorata dalle risultanze processuali.
Secondo motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 649 cod. pen. nella parte in cui non ha ritenuto applicabile nel caso di specie la scriminante de qua e manifesta illogicità della motivazione sul medesimo punto. Appare evidente l'errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale, giacchè, da un lato, ha ritenuto configurabile il terzo comma dell'art. 649 cod. pen. e, dall'altro, non ha fornito sul punto congrua motivazione. Invero, la scriminante in parola non si applica ai delitti di cui agli artt. 628, 629 e 630 cod. pen. e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza contro le persone. Ebbene, il tenore della norma, escludendo la scriminante nelle ipotesi di condotte operate con "violenza alle persone", rafforza l'applicabilità dell'art. 649, primo comma, cod. pen. a tutte le azioni commesse con violenza sulle cose. D'altra parte, una diversa lettura supererebbe indubbiamente il tenore letterale del precetto codicistico che, sul punto, appare invece cristallino. A nulla rileva che il fatto sia suscettibile di essere diversamente percepito dalla persona offesa: arrivare a queste conclusioni, significa offrire un'affermazione del tutto apodittica e meramente ipotetica, insufficiente a superare la critica difensiva anche perché, per quanto ciò non rilevi in sede di legittimità, nessuno dei testi ha mai riferito di violenze fisiche dell'imputato all'anziana madre.
Terzo motivo: inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62 n. 4 cod. pen., nella parte in cui non è stata riconosciuta l'attenuante de qua e non è stata conseguentemente ridotta la pena. Si è in presenza di un danno economico di soli trenta euro, e non si riesce ad individuare alcun ulteriore criterio che certifichi il danno in una misura maggiore.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In relazione al primo motivo, pur volendo superare il profilo della concomitante proposizione di una (non consentita, e come tale inammissibile) censura cumulativa e/o alternativa in relazione a tutti e tre i profili del vizio di motivazione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, secondo cui il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione), si è comunque in presenza di doglianze prive di specificità in tutte le loro articolazioni in quanto meramente reiterative di censure che vengono, per così dire, "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica.
2.1. Sempre in premessa va, inoltre, evidenziata la ricorrenza di un'ipotesi di c.d. "doppia conforme", con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell'adozione - da parte di entrambe le sentenze - dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
2.2. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come la difesa abbia sottoposto a critica il punto della decisione concernente il delitto di cui all'art. 629 cod. pen. giacché la condotta dell'imputato non risultava indirizzata a coartare la volontà della vittima, ma integrava una mera reazione (sicuramente inconsulta) al rifiuto della stessa madre di consegnargli una piccola somma di denaro. La donna si era vista costretta a consegnargli i 30,00 euro solo per "zittire" il figlio. La Corte territoriale non avrebbe replicato in modo preciso a tale censura, facendo riferimento ad una non meglio precisata "prassi imposta dallo stesso", senza argomentare sul dato letterale, rappresentato dal termine "disappunto" utilizzato dalla donna per spiegare la reazione del figlio. Gli altri testi su questa vicenda sarebbero solo testi de relato, non avendo assistito direttamente a fatti violenti, aspetto che sarebbe stato eluso nella motivazione della sentenza.
2.3. La Corte territoriale ha condivisibilmente osservato che la condotta attuata dal prevenuto era chiaramente indirizzata ad ottenere il denaro dall'anziana madre, essendo tale "obiettivo" una costante prassi imposta dallo stesso, come riferito dalla donna e confermato dai famigliari e testi escussi, "di modo che non può seriamente dubitarsi sull'esplicito e chiaro contenuto volitivo di tale condotta criminosa, oltre modo convalidata proprio dalla stessa indicazione fornita dall'anziana donna, cioè di aver consegnato il denaro al figlio solo per farlo smettere di distruggere i beni presenti nell'abitazione. Dunque, appare evidente come tra la condotta ... dell'imputato, attuata immediatamente dopo il rifiuto della donna di consegnargli il denaro, e la consegna di questo da parte della stessa, vi sia un unico ed esclusivo nesso dinamico causale, tale da rendere evidente l'esistenza della minaccia alla persona, realizzata mediante violenza sulle cose, peraltro suscettibile anche di possibile progressione criminosa nella intuibile percezione della vittima, per ottenere la consegna del denaro, ragione per cui no appare seriamente contestabile il dolo estorsivo in capo all'appellante".
3. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
La difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 649 cod. pen., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nella parte in cui non ha ritenuto applicabile al caso di specie la scriminante in parola, e manifesta illogicità della motivazione sul medesimo punto. La Corte non avrebbe vagliato la eventuale sussistenza della scriminante di cui all'art. 649 cod. pen., quando la violenza non era rivolta alle persone, ma alle cose. Non avrebbe rilievo, al riguardo, che il comportamento bene poteva essere fisiologicamente percepito dalla vittima come foriero di sviluppi ulteriori, trattandosi di affermazione apodittica e meramente ipotetica, insufficiente a superare la critica difensiva.
3.1. Come è noto, l'art. 649 cod. pen., perpetuando una linea di politica criminale enucleata dai codici preunitari e dal codice Zanardelli, disciplina in termini derogatori la punibilità e la procedibilità dei delitti contro il patrimonio commessi a danni di congiunti, per ragioni di opportunità, stante la comunanza di interessi economici all'interno della famiglia, ed al fine di evitare che la punizione di tali fatti possa arrecare un pregiudizio sociale maggiore rispetto a quello che può derivare dalla loro mancata punizione.
Nel disegno del legislatore, tuttavia, la ragione dell'esclusione o della limitazione dell'intervento punitivo statuale viene meno quando l'azione esorbiti la mera offesa al patrimonio e si risolva anche in una offesa alla persona, ancorché di un familiare. L'ultimo comma dell'art. 629 cod. pen. sancisce, pertanto, che "Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli artt. 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone".
3.2. La sentenza impugnata ha ritenuto inapplicabile nei confronti dell'imputato la causa di non punibilità di cui all'art. 649 cod. pen., in quanto lo stesso aveva posto in essere le contestate condotte di estorsione ai danni della madre a mezzo di minacce e con uso di violenza fisica verso le cose, riconoscendo come quest'ultima ben potesse essere fisiologicamente percepita dalla vittima come foriera di sviluppi ulteriori e più gravi per la propria persona e certamente per i propri beni, atteso che la cessazione della violenza veniva conseguita dalla donna ricorrendo alla consegna del denaro al figlio.
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio, in ossequio alla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità che, i reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono esclusi dall'area di applicabilità della previsione dell'art. 649 cod. pen., pur se posti in essere senza violenza alle persone, bensì con la sola minaccia (in tal senso, Sez. 6, n. 26619 del 05/04/2018, Pg, Rv. 273557, nella quale la S.C. ha precisato che la causa di non punibilità per "ogni altro diritto contro il patrimonio" commesso con minaccia alle persone si applica solo alle ipotesi diverse da quelle nominativamente previste, rispetto alle quali non è richiamata la distinzione tra minaccia e violenza).
Detta interpretazione non si pone in contrasto con i dieta della sentenza della Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, Gallano, Rv. 255982, che ha affermato che la minaccia non esclude la configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 649 cod. pen. per i reati contro il patrimonio commessi in danno dei prossimi congiunti, in quanto la operatività della stessa è esclusa solo quando il fatto sia stato commesso con violenza fisica.
La sentenza Gallano, infatti, ha ad oggetto una fattispecie di tentata estorsione commessa con minacce ai danni del coniuge convivente e, pertanto, non può costituire un adeguato fondamento ermeneutico per accertare la disciplina della diversa fattispecie della estorsione consumata in danno del prossimo congiunto a mezzo di sole minacce.
3.3. Invero, l'art. 649, ultimo comma, cod. pen. enuncia una disciplina per il delitto tentato di estorsione autonoma e distinta rispetto a quella del corrispondente delitto consumato. Atteso, infatti, che, il delitto tentato è un reato autonomo e non già una forma minore, incompleta o ridotta del diritto consumato, non può trovare applicazione nella specie il regime tassativamente delineato dal legislatore all'art. 649, ultimo comma, cod. pen. per il delitto di estorsione, a meno di non accedere ad una interpretazione analogica di una norma evidentemente speciale.
La giurisprudenza di legittimità ha, pertanto, ritenuto, che, non essendo il delitto di tentata estorsione commesso ai danni di prossimi congiunti ricompreso nell'ambito dei reati nominativamente indicati dal legislatore, la non punibilità ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 649 cod. pen. possa opera esclusivamente ove non si ricada nella previsione di ogni "altro delitto contro il patrimonio commesso con violenza alle persone".
Per i delitti tentati di cui agli artt. 628, 629 e 630 cod. pen., pertanto, la operatività della causa di non punibilità dell'art. 649 cod. pen. è limitata alle ipotesi nelle quali gli stessi siano stati commessi solo con minaccia (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 53631 del 17/11/2016, Giglio, Rv. 268712; Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, Gallano, cit.; Sez. 2, n. 18273 del 19/01/2011, Frigerio, Rv. 250083; Sez. 2, n. 22628 del 08/05/2001, Losito, Rv. 219421) e non già ricorrendo alla violenza fisica.
La violenza è, infatti, una fattispecie ben distinta dalla minaccia, sicché quest'ultima non può ritenersi ricompresa nella prima, la quale implica l'esplicazione di un'energia fisica sopraffattrice verso una persona o una cosa; la minaccia è, invece, la prospettazione, anche con gesti, di un male ingiusto futuro con scopo intimidatorio diretto a restringere la libertà psichica o a turbare la tranquillità altrui (cfr., ex p/urimis, Sez. 2, n. 28686 del 09/07/2010, Carollo, Rv. 248031).
3.4. Tale principio di diritto (e, segnatamente, la distinzione tra commissione del reato mediante violenza o minaccia), tuttavia, non opera con riferimento ai delitti consumati nominativamente indicati dalla prima parte dell'ultimo comma dell'art. 649 cod. pen., quali il delitto di estorsione.
I reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono, infatti, esclusi dall'area di applicabilità della previsione dell'art. 649 cod. pen., per espressa previsione normativa, pur se posti in essere senza violenza alle persone, bensì con la sola minaccia (cfr., ex p/urimis, Sez. 2, n. 28141 del 15/06/2010, Stefoni, Rv. 247937; Sez. 2, n. 39008 del 24/06/2009, Cilli, Rv. 245250).
Invero, la locuzione "commesso con violenza alle persone" si riferisce unicamente ad "ogni altro delitto contro il patrimonio" di cui alla seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 649 cod. pen. e, pertanto, tale inciso deve essere riferito ad ogni delitto contro il patrimonio diverso ed ulteriore rispetto ai menzionati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione. Il legislatore, del resto, nel delineare la causa di non punibilità prevista dalla prima parte dell'ultimo comma dell'art. 649 cod. pen. ha espressamente eccettuato i predetti delitti, senza introdurre alcuna limitazione in relazione alle possibili alternative modalità esecutive degli stessi.
3.5. Pertanto, il delitto consumato di estorsione è sempre escluso dall'ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 649 cod. pen., sia che risulti commesso con violenza fisica, che con minaccia, laddove la tentata estorsione commessa solo con violenza morale (rectius: minaccia) ricade nell'ambito applicativo della seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 649 cod. pen.
Tale assetto normativo non integra alcuna disparità di trattamento rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost., in quanto le ipotesi tentate dei delitti comportano una lesione solo "potenziale" del bene giuridico tutelato e, pertanto, non irragionevolmente meritano, nel disegno legislativo, un trattamento meno severo rispetto alle rispettive fattispecie consumate.
4. Manifestamente infondato è il terzo motivo.
La difesa deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 62 n. 4 cod. pen., in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., nella parte in cui non ha ritenuto configurata l'attenuante in parola e non ha ridotto conseguentemente la pena. Tale esclusione sarebbe erronea, giacché apodittica, generica e disancorata da una reale valutazione del danno economico, di soli trenta euro, cagionato alla vittima con la condotta e che la Corte sussume nell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 629 cod. proc. pen.
4.1. Tale motivo, come detto, è da ritenersi parimenti manifestamente infondato, dovendosi dare continuità al condivisibile orientamento, fatto proprio dai giudici di merito, secondo cui ai fini della configurabilità dell'attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento al delitto di estorsione, che ha natura di reato plurioffensivo in quanto lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima, è necessaria una valutazione globale del pregiudizio subito dalla parte lesa (Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, Donati, Rv. 257755).
4.2. Il delitto di estorsione si trova, invero, inserito nel titolo XIII del libro II del codice penale, concernente i delitti contro il patrimonio, in quanto lede, in primo luogo, l'interesse al possesso dei beni mobili; ma, poiché tale interesse - come condivisibilmente rilevato dalla Procura generale - viene leso attraverso la violazione della libertà fisica (cioè, mediante violenza) e/o interiore (cioè, mediante una minaccia) della persona, esso si connota come un tipico reato plurioffensivo, avendo il legislatore preso in considerazione anche la tutela della libertà ed integrità individuale lese dalla condotta tipizzata dalla norma incriminatrice. Il danno, quindi, non attiene solo alla sfera patrimoniale ma comprende anche gli aspetti lesivi dei sopra indicati beni individuali. La natura plurioffensiva del reato in esame pone• quindi, anche un problema di individuazione del soggetto o dei soggetti passivi al fine di poter stabilire la ricorrenza dell'attenuante invocata dal ricorrente.
L'inciso che nella seconda parte della norma presuppone per la concessione dell'attenuante anche la speciale tenuità dello "evento dannoso o pericoloso" postula chiaramente un apprezzamento globale della sfera soggettiva lesa dalla condotta criminosa, includendovi senz'altro il pregiudizio morale, in quanto la lesione non è più circoscritta al solo danno patrimoniale e comprende, ai sensi degli artt. 178 cod. pen. e 2059 cod. civ., qualsiasi danno derivante dal fatto reato, compreso, appunto, quello di natura non strettamente patrimoniale. E, dunque, il danno globale deve reputarsi tanto più elevato, malgrado la modesta entità economica della somma estorta, quanto più intensa è la sofferenza morale e/o fisica da lui provocata al soggetto passivo con la sua azione violenta o minacciosa. E' evidente che, avuto riguardo ai beni protetti, l'interesse patrimoniale non assorbe nè può assorbire quello attinente all'intangibilità della libertà ed integrità della persona, la quale, peraltro, non sempre coincide con il soggetto leso nel suo patrimonio. Se, dunque, alla stregua dei rilievi che precedono l'estorsione non può ritenersi solamente un reato contro il patrimonio in senso stretto, è evidente come, ai fini dell'applicazione della attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen., per la configurazione del danno penalmente rilevante non deve aversi riguardo alla prima parte della norma, la quale considera attenuante il danno patrimoniale di speciale tenuità cagionato alla persona offesa, bensì alla ricorrenza dell'ipotesi alternativa, delineata nella restante parte, alla cui stregua nei delitti determinati da motivi di lucro (quale è certo il reato consumato dalla condotta dell'estorsore integrante, come detto, la lesione di una pluralità di beni tutelati della norma incriminatrice), la realizzazione del profitto economico si considera di speciale tenuità solo se anche l'evento dannoso o pericoloso connesso alla lesione patrimoniale possa ritenersi di speciale tenuità.
E, pertanto, nell'estorsione non può ritenersi sufficiente ad integrare la attenuante di cui trattasi il fatto che il profitto conseguito sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione del bene personale, contro il quale l'agente ha indirizzato l'attività violenta ovvero minacciosa al fine di acquisire un profitto. Solo se la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità, può farsi luogo, in definitiva, ali' applicazione della attenuante.
Tale apprezzamento, peraltro, risolvendosi in una verifica di circostanze fattuali, è riservato esclusivamente al giudice di merito e non può essere censurato in cassazione se la motivazione sia immune da vizi logici e giuridici.
4.3. Orbene, con riferimento al caso concreto deve ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione dei citati principi, escludendo l'attenuante invocata sulla base del rilievo che il danno rilevante non era soltanto quello patrimoniale, in effetti di modesto importo economico, ma anche il pregiudizio connesso alla sofferenza fisica e morale patita dalla vittima per l'aggressione, la cui entità, secondo l'incensurabile apprezzamento congruamente motivato dalla corte di appello, non era suscettibile di una valutazione di lieve consistenza tale da giustificare la concessione della predetta attenuante: in tal senso, si è posto l'accento sull'oggettiva ed allarmante gravità della condotta, la quale costituiva l'ennesimo atto di prevaricazione compiuto dal figlio convivente verso l'anziana madre, totalmente invalida e costretta a versargli tutta l'esigua pensione mensile per evitare le reazioni scomposte e violente del figlio, unitamente alle plurime e gravi nonché ripetute, offese verbali alla dignità della donna la cui sofferenza morale, concretizza l'entità di un danno alla persona ben maggiore dell'entità della somma estorta, benché non immediatamente e agevolmente monetizzabile, con giudizio fattuale non censurabile in questa sede (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, B., Rv. 274080).
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.