Fermo restando che la costrittività organizzativa o il mobbing possono essere considerati dall'INAIL, affinché si verifichi il rischio assicurato o la responsabilità datoriale è necessario che la situazione lavorativa intercetti una condizione obiettiva di nocività.
Svolgimento del processo
1. M. T. P. M., dipendente della Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche (di seguito ASUR), dapprima come infermiere e poi con la qualifica di ostetrica ed impegnata, dal 2004, anche come sindacalista (omissis), ha agito lamentando che, immediatamente dopo la sua elezione a rappresentante sindacale, erano iniziati nei suoi confronti comportamenti vessatori da parte della dirigenza ASUR, che l’avevano indotta ad adire il Tribunale di Macerata, convenendo in giudizio l’INAIL e il datore di lavoro, al fine di ottenere l’indennizzo per il danno biologico ed alla sfera psichica subito, sotto il profilo di una sindrome distimica, grave e complicata da disturbo d’ansia coesistente, di natura reattiva e peritraumatica;
La domanda è stata disattesa dal Tribunale, con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello;
Quest’ultima escludeva preliminarmente che potesse dirsi fondata l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione, evidenziando come il Tribunale avesse dettagliatamente esposto tutte le deduzioni delle parti ed in particolare i comportamenti denunciati dalla ricorrente, richiamando, poi, i principi di una pronuncia del Consiglio di Stato ritenuti da esso adattabili alla situazione da valutare e comunque evidenziando, attraverso il richiamo ai documenti rilevanti, come nel comportamento datoriale non fossero ravvisabili gli estremi della condotta mobbizzante;
La Corte d’Appello aggiungeva, peraltro, di essersi già occupata della medesima vicenda fattuale, rigettando con sentenza la pretesa allora azionata nei soli riguardi del datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno, con valutazioni che erano da intendersi ribadite, avendo la ricorrente insistito sui medesimi argomenti spesi nell’altra causa;
Comunque, la sentenza di appello precisava come le plurime visite fiscali disposte nei riguardi della M. non dimostrassero un intento persecutorio, specie a fronte di un lungo periodo di malattia e dovendosi presumere, in mancanza di diverse precisazioni da parte della ricorrente, che il datore di lavoro si comportasse al medesimo modo nei riguardi di tutti i dipendenti in caso di malattia;
Anche l’assunto secondo cui le condizioni della M. si sarebbero aggravate a seguito del venire meno di altra collega, non poteva attestare – secondo la Corte di merito - l’intento mobbizzante, anche perché momenti di sofferenza più o meno durevoli possono verificarsi sui luoghi di lavoro, mentre era mancata la prova o anche solo la deduzione che la dipendete fosse stata sistematicamente destinata a reparti caratterizzati da scarsità di risorse;
Inoltre - si legge ancora nella motivazione - l’atteggiamento persecutorio non poteva riconnettersi al ruolo di sindacalista della M., tenuto conto che la sua attività presso la UIL era iniziata nel 2004 e che solo due anni dopo sarebbero iniziati gli atteggiamenti ritenuti persecutori;
La Corte territoriale concludeva quindi nel senso che era mancata un’attività mobbizzante e che la malattia denunciata fosse da ricondurre ad un’ipersensibilità della lavoratrice rispetto alle quotidiane, normali vicende di lavoro;
2. M. T. P. M. ha proposto ricorso per cassazione, che è stato resistito da controricorso dell’INAIL e della ASUR;
La ricorrente ed ASUR hanno depositato memoria;
Motivi della decisione
1. Il motivo di ricorso della M. è formalmente unico e formulato come violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., nonché dei principi generali in tema di motivazione delle sentenze e come denuncia di violazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi generali in tema di prove ed omesso esame circa un fatto decisivo;
1.1. Da un primo punto di vista la ricorrente argomenta sul fatto che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che la sentenza di primo grado presentasse una motivazione del tutto apparente e sostiene che il vizio si sarebbe trasmesso alla pronuncia di appello, avendo quest’ultima fatto propria la sentenza del Tribunale;
1.2 Il profilo di censura è infondato;
Questa S.C. ha già affermato che «in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata "per relationem" alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame» (Cass. 25 ottobre 2018, n. 27112);
Non è però questo che è accaduto nel caso di specie, in quanto la Corte territoriale, dopo avere richiamato la sentenza di primo grado, ha anche fatto riferimento al precedente tra le medesime parti da essa stessa già deciso e, soprattutto, ha argomentato sia sulla questione delle visite fiscali plurime, sia sui mutamenti organizzativi, sia infine sulla veste di sindacalista della ricorrente, per concluderne in ordine all’insussistenza del mobbing e per il ricorrere di condizioni lavorative non eccedenti la normalità;
2. In prosieguo, il motivo è articolato affermandosi che la Corte territoriale non avrebbe considerato le prove addotte ed avrebbe trascurato la documentazione medica allegata, da cui emergeva il prodursi, per effetto delle condizioni di lavoro, del danno alla salute lamentato;
La ricorrente richiama i maggiori carichi di lavoro determinatisi con le misure riorganizzative assunte, tanto più gravosi per le mansioni di ostetrica, ovverosia di persona che si rapporta con pazienti in condizioni di forte emotività;
Essa menziona altresì nel motivo i procedimenti disciplinari intentati nei suoi confronti per assenze ingiustificate, rilevando come essi fossero risultati in gran parte infondati, tanto che la ASUR non aveva potuto far altro che archiviarli;
La censura fa poi riferimento alle numerose visite fiscali cui la ricorrente era stata sottoposta durante le sue assenze per malattia ed al tentativo della ASUR di frustrare le legittime aspettative di carriera della ricorrente, come da documentazione che veniva allegata al ricorso per cassazione;
Secondo la M., al di là della liceità dei singoli atti, una valutazione attenta della sequenzialità della vicenda avrebbe evidenziato come la sua attività lavorativa fosse divenuta insostenibile, senza contare che l’esclusione dell’esistenza del nesso causale era stata argomentata senza chiedere una indispensabile valutazione medico legale;
La ricorrente richiama ancora il fatto che le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro (costrittività organizzativa) erano comprese nella tabella di cui all’art. 139 d.p.r. 1124/1965, con riferimento al nesso rispetto a disturbi dell’adattamento cronico, nelle sue varie manifestazioni concrete;
2.1 Anche tali profili di censura non possono trovare accoglimento;
2.2 Le questioni sulle visite fiscali e sulle scelte riorganizzative sono state esaminate dalla Corte d’Appello, nei termini riepilogati nello storico di lite, con argomentazioni in sé non implausibili sicché, tenuto anche conto di come la mera insufficienza motivazionale non sia riconducibile al caso di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., la diversa ricostruzione della portata di quegli aspetti ha il senso di una rilettura di merito dei dati istruttori, inappropriata rispetto al giudizio di legittimità (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);
2.3 Altre questioni di fatto sono del tutto laconicamente riferite e sono come tali del tutto prive della decisività necessaria, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per sovvertire il giudizio;
Così è, ad es, per il tentativo di ostacolo all’attività universitaria della M., che non è meglio argomentato nel motivo, limitandosi la ricorrente ad allegare i relativi documenti (da cui risulterebbe che ASUR avrebbe manifestato all’Università che la ricorrente era assente per malattia) come se si trattasse ancora di procedere, in sede di legittimità, ad un’inammissibile lettura dell’istruttoria e ricostruzione del merito attraverso un esame diretto dei documenti per estrapolarne significati e rilievo;
2.4 Effettivamente la Corte territoriale non ha fatto menzione della questione sulle sanzioni disciplinari, ma nulla autorizza ad affermare che si trattasse di fatto decisivo per affermare la ricorrenza di comportamenti indebitamente vessatori o anomali, anche perché la stessa ricorrente afferma che, quando la contestazione di assenze ingiustificate era risultata infondata, era stata la stessa ASUR ad archiviare, sicché anche in questo caso manca del tutto, nel profilo di fatto addotto, quell’alta capacità logica di sovvertire la decisione che deve sussistere per un’introduzione del tema ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.;
2.5 È pur vero che la costrittività organizzativa o il mobbing, nelle loro varie manifestazioni, possono essere considerati in ambito INAIL (Cass. 14 maggio 2020, n. 8948; Cass. 5 marzo 2018, n. 5066) e che l’inserimento di tali profili nelle tabelle di cui all’art. 139 d.p.r. 1124/1965 può avere valore indiziario (Cass. 12 settembre 2019, n. 22837; Cass. 2 agosto 2012, n. 13868);
Ma ciò non significa che l’esistenza di un disturbo psichico in connessione con il lavoro svolto sia di per sé sola ragione di copertura assicurativa, restando la fattispecie soggetta alle regole proprie delle malattie c.d. “tabellate”;
Affinché si verifichi il rischio assicurato o la responsabilità datoriale è necessario che la situazione lavorativa intercetti una situazione obiettiva di nocività, perché il rapporto interpersonale interno ad un’organizzazione, inserito in una relazione continuativa, è in sé possibile fonte di tensioni, il cui sfociare in una malattia del lavoratore non può in sé dirsi ragione per la qualificazione in termini morbigeni dell’attività svolta, se non quando risulti l’eccedenza dalla norma, per fattori intenzionali (mobbing), per inadempimenti (dequalificazioni; svuotamento mansioni) o ricorrenze indebitamente stressogene (straining), anche sotto il profilo della perdurante eccedenza dei carichi o, al contrario, di vicende di emarginazione e simili;
Sul punto la Corte territoriale ha apprezzato alcune delle circostanze di maggiore rilievo (le visite fiscali; i mutamenti organizzativi; la posizione di sindacalista della ricorrente) ed ha concluso la propria analisi nel senso che l’accaduto non esorbitasse dalle quotidiane e normali vicende lavorative;
Si tratta di convincimento di merito rispetto al quale, stante comunque l’irrilevanza della mera insufficienza motivazionale (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), è sterile l’insistenza della ricorrente su risultanze di proprie perizie di parte;
Così come non basta l’insorgere della malattia in sé sola a comprovare quanto necessario, se le condizioni della prestazione sono, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non eccedenti la normalità dei rapporti di lavoro, in quanto, rispetto ad una patologia di natura psichica, non sono esclusi differenti fattori causali;
D’altra parte, il ragionamento sulla normalità delle condizioni di lavoro non necessariamente deve svolgersi sulla base di una valutazione medico-legale, riguardando esso profili propri dei rapporti interpersonali nello speciale ambiente lavorativo, chiaramente di diretta pertinenza giudiziale;
3. Il ricorso va dunque rigettato, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, che liquida, per ciascuna di esse, in euro 3.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.