All'esito del giudizio penale celebrato nei confronti di Tizio e Caio, nel quale gli attuali ricorrenti si erano costituiti parte civile, il Tribunale di Vibo Valentia riconosceva la responsabilità degli imputati per i reati di lesioni personali e di minaccia, condannandoli anche a risarcire i danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede....
Svolgimento del processo
1. G.S. e M.P. ricorrono, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 580/19, del 22 giugno 2019, del Tribunale di Vibo Valentia, che - accogliendo parzialmente il gravame esperito da F. e A. S. avverso la sentenza n. -14/14·, del 13 gennaio 2014, del Giudice di pace di Pizzo Calabro-·- ha limitato al ristoro del solo danno biologico patito da G.S., con esclusione invece di quello morale lamentato dallo stesso e dalla moglie M.P., la condanna risarcitoria già comminata dal primo giudice a carico degli appellanti.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito il Giudice di pace di Pizzo Calabro per far valere, nei confronti dei predetti F. e A. S., i danni da reati di lesioni personali e di minaccia, perpetrati da costoro a loro carico.
Difatti, all'esito del giudizio penale celebrato nei confronti di F. e A. S., nel quale gli odierni ricorrenti si erano costituiti parti civili, il Tribunale di Vibo Valentia riconosceva la responsabilità degli imputati per i fatti loro addebitati, condannandoli anche a risarcire i danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede. Tali statuizioni venivano confermate dalla Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza passata in giudicato, giacché essa - pur dichiarando l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione - confermava le statuizioni relative al risarcimento, rimettendo le parti innanzi al giudice civile per la determinazione del "quantum debeatur".
Radicato, dunque, a tale scopo il giudizio civile, il giudice di prime cure accoglieva per intero la domanda risarcitoria, con decisione, tuttavia, parzialmente riformata in appello, giacché, in tale sede, si escludeva esservi prova del danno morale subito da G.S. e da M.P., a seguito dei reati dei quali erano stati vittima.
3. Avverso la pronuncia del Tribunale vibonese ricorrono per cassazione G.S. e M.P., sulla base - come detto - di un unico motivo.
3.1. Esso denuncia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 2043, 2059, 2056, 1223, 1226, 2697, 2727 e 27 9 cod. civ., in combinato disposto con gli artt. 11ti e 278 cod. proc. civ. e con l'art. 185 cod. pen.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il danno morale dovesse essere accertato nella sua esistenza ed entità, mentre il giudice di prime cure avrebbe "operato una sorta di presunzione di sofferenza e patema subito dalle vittime del reato", mentre, nella specie, "sarebbe stato necessario che le stesse dessero prova dell'effettiva lesione morale ed esistenziale".
Si tratterebbe, secondo ricorrenti, di affermazioni totalmente inesatte, in quanto "il giudice penale non ha demandato a quello civile di procedere «all'accertamento ed alla quantificazione del danno che il fatto di reato, già accertato nella competente sede, ha determinato», ma solamente di procedere alla quantificazione". 11 giudice di appello avrebbe, dunque, mal interpretato i principi enunciati, in materia, da questa Corte (ai quali pure avrebbe inteso richiamarsi), giacché essa afferma "che il pregiudizio patito va allegato e provato anche attraverso presunzioni semplici".
Nella specie, poi, il danno morale, "inteso quale sofferenza soggettiva causata da reato", sarebbe già stato accertato "in sede penale", sicché la sentenza impugnata - proseguono i ricorrenti - non terrebbe conto del fatto "che il giudice penale, con sentenza generica divenuta poi definitiva, con la quale aveva condannato gli imputati al risarcimento del danno anche morale, aveva demandato al giudice civile la sola quantificazione dello stesso danno e non l'accertamento della sua esistenza che invece era già stata rilevata".
Divenuto, dunque, irrevocabile - osservano ancora ricorrenti "il capo della sentenza penale relativo all'accertamento di responsabilità per il danno, rimane precluso al giudice civile, adito successivamente ai fini della liquidazione del «quantum», procedere ad una valutazione dell'«an» della responsabilità civile", sicché "nessun ulteriore onere probatorio" poteva gravare su essi S.-P., "non riuscendosi a comprendere in cosa dovesse consistere la prova del danno morale ulteriore rispetto all'accertamento in sede penale dei comportamenti che hanno determinato il danno".
"In ogni caso", tuttavia, concludono i ricorrenti, "in virtù del principio citato, secondo il quale la parte ben può provare il danno morale per presunzioni, il giudice d'appello avrebbe dovuto valutare le risultanze e le allegazioni comunque offerte dai signori S. G. e P. M. che hanno dedotto e provato fatti noti, il cui accertamento era scolpito nelle sentenze penali ormai irrevocabili".
4. Sono rimasti solo intimati F. e A.S..
Motivi della decisione
5. 11 ricorso va accolto, seppure nei limiti di seguito precisati.
5.1. Non è fondata, infatti, la censura con cui i ricorrenti assumono che il giudice penale, nel dichiarare la prescrizione del reato e nel disporre la condanna generica degli imputati al risarcimento del danno in favore della parte civile, avrebbe demandato al giudice civile la sola quantificazione del danno "e non l'accertamento della sua esistenza che invece era già stata rilevata".
Difatti, deve qui ribadirsi che "la condanna generica al risarcimento del danno, contenuta in una sentenza penale, consiste in una mera declaratoria iuris e richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, indipendentemente dall'esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione" (Cass. Sez. 3, sent. 16 dicembre 2005, n. 27723, Rv. 587248-01, in senso conforme Cass. Sez. 1, sent. 19 aprile 201 O, n. 92!35, Rv. 612779-01), sicché nel caso di "sentenza del giudice penale che, accertando l'esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio", non è esclusa "la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza" (e non solo "della entità") "delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come «potenzialmente» dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati" (Cass. Sez. 3, sent. 27 agosto 2014, n. 18352, Rv. 632612-01; Cass. Sez. 3, sent. 9 marzo 2018, n. 5660, Rv. 648292-01).
5.2. Fondata è, invece, la censura che investe l'affermazione del giudice di appello relativa al difetto di prova del danno morale, in ragione dell'impossibilità di applicare una "presunzione di sofferenza e patema subito dalle vittime del reato", giacché, così motivando, essa ha escluso - in modo errato - la possibilità dell'impiego, in altri ambito, della prova presuntiva del danno.
5.2.1. Sul punto, infatti, va innanzitutto evidenziata -- come dato ormai acquisito, non solo nella giurisprudenza di questa Corte, ma nello stesso ordinamento positivo - l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, nonché la sua inerenza al "vulnus di un diritto costituzionalmente protetto", anche "diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale", (così, in particolare, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 647125-02).
Difatti, è già stato osservato da questo giudice di legittimità come la stessa Corte costituzionale abbia sconfessato "la tesi predicativa di una pretesa «unitarietà onnicomprensiva» del danno biologico". 11 Giudice delle leggi, difatti, nel vagliare la conformità a Costituzione dell'art. 139 cod. assicurazioni (cfr. Corte cost., sent. 6 ottobre 2014, n. 235), ha escluso che persino tale norma - relativa al risarcimento del danno conseguente a lesioni "micropermanenti'' dell'integrità fisica, occorse all'esito di sinistri stradali, e dunque operante in un ambito nel quale "l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi" - sia "chiusa" all'autonoma risarcibilità del danno morale, così recependo la "distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto" (così Cass. Sez. 3, sent. n. 901 del 2018, cit.).
Una prospettiva, questa, che è stata vieppiù accentuata all'esito delle modificazioni apportate - dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - all'art. 13B cod. assicurazioni, essendosi attribuito espresso rilievo (al comma 2, lett. e di tale articolo) alla "componente del danno morale da lesione all'integrità fisica" che abbia determinato postumi invalidanti cd. "macro-permanenti".
5.2.2. Premessa, pertanto, "la diversa (e non più discutibile) ontologia del danno morale" rispetto a quello biologico, nonché la sua attinenza "ad un bene immateriale", qual è quello della dignità della persona (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 1O novembre 2020, n. 25164, non massimata; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, ord. 21 marzo 2022, n. 9006, Rv. 664553-01, ove si ribadisce l'autonoma qualificazione del danno morale, "quale sofferenza interiore sub specie di dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione"), questa Corte ha sottolineato che proprio "il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo" nella sua individuazione e quantificazione, potendo "costituire anche l'unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere del danneggiato l'allegazione di tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concc1tenata dei fatti noti onde consentire di risalire al fatto ignoto" (così Cass. Sez. 3, sent. 25164 del 2020, cit.). E ciò in quanto esiste, "nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice è consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione", sovente "ricorrendosi, a tal fine, alla categoria del fatto notorio per indicare il presupposto di tale ragionamento inferenziale", mentre "il riferimento più corretto" deve avere riguardo "alle massime di esperienza (i fatti notori essendo circostanze storiche concrete ed inoppugnabili, non soggette a prova e pertanto sottratte all'onere di allegazione)" (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. 25164del 2020, cit.).
In questa prospettiva, pertanto, "non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza", ma "tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicolo1gica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento cli stati d'animo interiori da cui possa inferirsi Ila dimostrazione del pregiudizio patito" (così, ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. 25164 del 2020, cit.).
5.2.3. Orbene, la sentenza impugnata, nell'affermare che il danno morale subito dagli odierni ricorrenti non potesse essere provato per presunzioni ha, all'evidenza, disatteso i principi sopra illustrati.
La pronuncia va, dunque, cassata in relazione, con rinvio al medesimo Tribunale di Vibo Valentia, in persona di diverso giudice, affinché decida nel merito alla luce di detti principi, oltre che per la liquidazione delle spese di giudizio, ivi comprese quelle della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale di Vibo Valentia, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.