Non possono restare esclusi dalla copertura assicurativa i fatti colposi, poichè tale interpretazione renderebbe nullo il contratto ai sensi dell'articolo 1895 c.c. per l'inesistenza del rischio.
Un esercente attività di commercio di oggetti di antiquariato conveniva in giudizio il Comune poiché il locale ove custodiva le merci era stato allagato per via della rottura delle tubazioni di scarico di una fontana comunale, danneggiando molti oggetti di valore. Per questo, l'attore chiedeva il risarcimento del danno al Comune, il quale si costituiva in giudizio e...
Svolgimento del processo
1. Nel 2007 L.F. convenne il Comune di Viterbo dinanzi al Tribunale di Viterbo, esponendo che:
-) esercitava l’attività di commercio di oggetti di antiquariato;
-) il 27 giugno 2006 un locale in cui custodiva le proprie merci venne allagato in conseguenza della rottura delle tubazione di scarico d’una fontana comunale;
-) l’allagamento aveva danneggiato molti oggetti di valore di proprietà dell’attore.
Concluse pertanto chiedendo la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno.
2. Il Comune di Viterbo si costituì e, oltre a contrastare la domanda attorea, chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la società C.Assicurazioni S.p.A. (che in seguito muterà ragione sociale in A.Assicurazioni S.p.A., e come tale sarà d’ora innanzi indicata).
3. La A. si costituì e, oltre a negare la responsabilità del proprio assicurato, eccepì comunque l’inoperatività della polizza.
4. Con sentenza 22 gennaio 2014 n. 92 il Tribunale di Viterbo accolse sia la domanda attorea che quella di garanzia formulata dal Comune di Viterbo nei confronti del proprio assicuratore.
La sentenza venne appellata da tutte le parti.
5. Con sentenza 31 agosto 2020 n. 4033 la Corte d’appello di Roma:
-) accolse l’appello di L.F., incrementando il quantum debeatur liquidato dal Tribunale;
-) accolse l’appello della A., e rigettò la domanda di garanzia formulata dal Comune di Viterbo nei confronti della A..
La Corte d’appello ritenne che il Comune non avesse diritto alla copertura assicurativa per due ragioni: sia perché la polizza copriva i danni causati da acquedotti e rete fognaria, mentre nel caso di specie il danno era stato provocato da un difetto di manutenzione di tubazioni e pluviali; sia perché la polizza prevedeva la copertura solo dei danni causati dall’assicurato a terzi “in conseguenza di un fatto accidentale”.
Reputò la Corte d’appello che per “fatto accidentale” dovesse intendersi “un accadimento in alcun modo riferibile un comportamento colposo”; che nel caso di specie invece l’allagamento era stato conseguenza di una non accurata manutenzione dei tubi di abduzione delle acque della fontana comunale, “circostanza che esclude l’accidentalità”.
6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dal Comune di Viterbo con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria. La A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il Comune di Viterbo lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione di varie norme sulla interpretazione dei contratti, nonché dell’articolo 1917 c.c.
La parte ricorrente espone di avere stipulato con la società A. un contratto di assicurazione della responsabilità civile che potesse derivare all’amministrazione comunale, tra l’altro, dalla proprietà e manutenzione di acquedotti, tubazioni e condutture, e che in virtù di tale contratto la compagnia assicuratrice si era obbligata “a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile ai sensi di legge a titolo di risarcimento di danni involontariamente cagionati a terzi (…) in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione all’esercizio di attività di competenze istituzionalmente previste”.
Deduce che la Corte d’appello ha interpretato tale clausola nel senso che per effetto di essa dovevano ritenersi compresi nella copertura assicurativa i soli danni “in alcun modo riferibili ad un comportamento negligente riferibile all’assicurato”, e che tale interpretazione violava - tra le altre - due regole di ermeneutica legale dei contratti: le regola dell’interpretazione utile, in quanto la soluzione adottata dalla Corte d’appello avrebbe svuotato del tutto il contenuto della garanzia; e la regola della interpretatio contra proferentem, in quanto, anche a volere ritenere dubbia interpretazione della clausola sopra trascritta, proprio per questa ragione essa si sarebbe dovuto interpretare in senso sfavorevole al predisponente, cioè l’assicuratore.
1.1. Il motivo è fondato.
Il rischio che forma l’oggetto dell’assicurazione di responsabilità civile è un perimetro al di fuori del quale stanno, da un lato, i fatti dolosi per espressa previsione di legge (art. 1900 c.c.); e dall’altro i fatti dovuti al caso fortuito, perché da essi non può mai sorgere alcuna responsabilità.
Ora, l’aggettivo “accidentale” secondo il più autorevole dizionario etimologico della lingua italiana vuol dire “dovuto al caso, casuale, fortuito; contingente, non necessario, non essenziale; secondario, accessorio” (così Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. I, Torino 1961, ad vocem, 82).
Dunque “fatto accidentale”, per la lingua italiana, non è che un sinonimo di “fatto fortuito”.
Ma una assicurazione della responsabilità civile che descrivesse il rischio assicurato limitandolo ai casi fortuiti sarebbe una assicurazione senza rischio, e perciò nulla ex art. 1895 c.c., giacché da un caso fortuito mai nessuna responsabilità dell’assicurato potrebbe sorgere.
L’interpretazione adottata dalla Corte d’appello ha dunque effettivamente violato:
a) il criterio dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.), in quanto per effetto di essa il contratto non avrebbe potuto coprire alcun danno causato colposamente dall’assicurato;
b) il criterio dell’interpretazione contro lo stipulatore (art. 1370 c.c.), in quanto anche ad ammettere che la clausola fosse ambigua, essa per ciò solo si sarebbe dovuta interpretare in senso sfavorevole al predisponente.
1.2. I princìpi appena esposti sono stati ripetutamente affermati da questa Corte.
Già Sez. 3, Sentenza n. 3646 del 20/12/1972, Rv. 361672 - 01, in una fattispecie concreta pressoché identica a quella oggi in esame (danni da infiltrazioni di acqua), cassò la decisione di merito che aveva negato il diritto dell’assicurato all’indennizzo in presenza d’una clausola identica a quella oggi in esame, e stabilì che i “fatti accidentali” non sono altro che i “fatti fortuiti”, e di conseguenza se la garanzia assicurativa fosse limitata ai soli casi fortuiti, essa sarebbe sempre inoperante, perché il caso fortuito esclude la responsabilità.
In seguito, tali princìpi sono stati ripetutamente ribaditi da questa Corte, ed è divenuta tralatizia la massima secondo cui la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a “fatti accidentali” va interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa, anche se volontaria, in contrapposizione ai fatti dolosi, in quanto “secondo la terminologia giuridica tradizionalmente accettata senza contestazioni, il fatto accidentale è equivalente a fortuito o forza maggiore; di conseguenza appare evidente la contraddizione della previsione del risarcimento dovuto all'assicurato quale civilmente responsabile per danni prodotti a terzi in dipendenza di un fatto accidentale” (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 4799 del 26/02/2013, Rv. 625316 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7766 del 30/03/2010, Rv. 612323 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 5273 del 28/02/2008, Rv. 601755 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 4118 del 10/04/1995, Rv. 491716 - 01).
1.3. Unico, ed isolato precedente contrario rispetto a tale orientamento, risulta essere la decisione pronunciata da Sez. 1, Sentenza n. 1214 del 04/02/1992, Rv. 475578 - 01, alla quale questa Corte non ha mai dato - e non intende qui dare - continuità.
Tale decisione, infatti, premesso che “ben possano darsi eventi non dolosi e non accidentali”, ha ammesso la validità della clausola in esame osservando che “l'accidentalità non richiede l'imprevedibilità dell'evento dannoso, ma l'incertezza della sua specificità, sicché si configura quando, pur essendo astrattamente possibile il verificarsi di una evenienza, sia incerto il complesso di fattori che concorrono a produrla secondo le modalità materiali e temporali concretamente verificatasi”.
Già il solo fatto che tale decisione non abbia avuto alcun seguito da trent’anni in qua permetterebbe di ritenere l’orientamento da essa espresso abbandonato da questa Corte. Nondimeno, può essere questa l’occasione per evidenziare come tale decisione muova da un presupposto logicamente erroneo, e sviluppi un argomento oggi divenuto insostenibile.
Muove da un presupposto erroneo, poiché è indiscutibile che possano darsi eventi “non dolosi e non fortuiti”: ma un evento non doloso e non fortuito non è altro che un fatto colposo, come tale necessariamente ricompreso nell’oggetto dell’assicurazione della responsabilità civile. Sicché la premessa contrasta, in luogo di suffragare, la conclusione raggiunta da Cass. 1214/92. La decisione in esame, poi, sviluppa un argomento oggi divenuto insostenibile, là dove afferma che i “fatti colposi” sono quelli dovuti a colpa del responsabile; mentre quelli “accidentali” sarebbero quelli dovuti al concorso della condotta del responsabile e di un fattore estranee ad esso.
Tale argomento è insostenibile alla luce del principio, ripetutamente affermato da questa Corte in tema di causalità giuridica, secondo cui il concorso del fatto umano col fatto naturale non esclude né riduce il nesso di causalità tra condotta (colposa) e danno (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011, Rv. 618880 - 01).
1.4. Il primo motivo di ricorso va dunque accolto, e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale tornerà ad esaminare l’impugnazione proposta dalla società assicuratrice, alla luce del seguente principio di diritto:
“la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, nella quale si stabilisca che l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare a titolo di risarcimento di danni causati “in conseguenza di un fatto accidentale” non può essere interpretata nel senso che restino esclusi dalla copertura assicurativa i fatti colposi, giacché tale interpretazione renderebbe nullo il contratto ai sensi dell’articolo 1895 c.p.c. per l’inesistenza del rischio”.
2. Col secondo motivo di ricorso il Comune di Viterbo lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione di cinque diverse norme del codice civile in tema di interpretazione dei contratti.
Nella illustrazione del motivo si formula una tesi giuridica così riassumibile:
-) il contratto di assicurazione stipulato fra il Comune di Viterbo e la A. prevedeva la copertura della responsabilità civile del Comune derivante dalla proprietà, “a titolo esemplificativo e non esaustivo”, degli acquedotti e della rete fognaria;
-) la Corte d’appello di Roma ha rigettato la domanda di garanzia proposta dal Comune (oltre che in virtù della clausola di accidentalità, di cui s’è detto), osservando che nel caso di specie il danno era stato causato da difetto di manutenzione delle tubature di scarico di una fontana comunale e dei pluviali di un antico palazzo, ma né le prime, né i secondi, potevano essere considerati parte dell’acquedotto o della rete fognaria;
-) così giudicando, la Corte d’appello ha violato l’articolo 1365 c.c., perché ha escluso dalla copertura danni non elencati da una previsione contrattuale che aveva solo valore esemplificativo.
2.1. Il motivo è fondato.
È la stessa Corte d’appello a riferire, a pagina 10, penultimo capoverso, della sentenza impugnata, che il contratto stipulato fra le parti indicava, quali attività dal cui esercizio poteva sorgere la responsabilità del Comune oggetto di copertura assicurativa, “a titolo esemplificativo e non esaustivo, l’attività derivante dalla proprietà e manutenzione gli acquedotti; della rete fognaria”.
L’articolo 1365 c.c., come noto, stabilisce che “quando in un contratto si è espresso un caso al fine di spiegare un patto, non si presumono esclusi i casi non espressi, ai quali, secondo ragione, può estendersi lo stesso patto”.
Regola, quest’ultima, apertamente violata dalla Corte d’appello, la quale ha escluso l’indennizzabilità del danno derivato dal difetto di manutenzione delle tubazioni e dei pluviali, limitandosi a rilevare che tale danno non era compreso negli esempi elencati dall’articolo 14 delle condizioni generali di contratto.
2. Col terzo motivo l’amministrazione comunale lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Deduce che la Corte d’appello di Roma, ritenendo non compresi nella copertura assicurativa i danni causati dal difetto di manutenzione delle tubature e dei pluviali, avrebbe pronunciato ultra petita, in quanto la società assicuratrice aveva impugnato la sentenza di primo grado invocando unicamente una diversa interpretazione della clausola di accidentalità.
3.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 6, c.p.c..
Il ricorso, infatti, in violazione dell’onere imposto a pena di inammissibilità dalla norma appena ricordata, non trascrive né riassume in modo esaustivo i termini nei quali la società assicuratrice contestò il proprio obbligo indennitario in primo grado e in appello.
4. Col quarto motivo il Comune di Viterbo lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per difetto di motivazione. Deduce che la Corte d’appello “si è limitata a pronunciare apodittiche affermazioni in fatto ed in diritto senza suffragarle di alcuna giustificazione”.
4.1. Il motivo è infondato.
Una sentenza può dirsi nulla per difetto di motivazione, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., solo in due casi: quando la motivazione manchi del tutto “sinanche come segno grafico”, oppure quando sia totalmente incomprensibile (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Nel caso di specie tuttavia non ricorre né l’una, né l’altra di tali ipotesi, in quanto la ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata è ben chiara, come del resto dimostra il fatto stesso che il Comune di Viterbo non ha avuto difficoltà a individuare gli errori di diritto censurati con i primi due motivi di ricorso.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo; rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.