La reticenza del richiedente in sede di interrogatorio, se causalmente rilevante ai fini dell'intervento dell'Autorità e/o del suo mantenimento, è suscettibile di incidere sull'accertamento dell'eventuale dolo o colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione.
La Corte d'Appello di Roma, nelle vesti di giudice della riparazione, rigettava l'istanza proposta dall'attuale ricorrente in vista del riconoscimento di un equo indennizzoper l'ingiusta detenzione.
Il ricorrente si rivolge alla Suprema Corte censurando, in particolare, l'assenza di un'attinenza della condotta reticente da lui tenuta...
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Roma, quale giudice della riparazione ex art. 314 cod. proc. pen., ha rigettato l'istanza proposta nell'interesse di U.D.A. avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l'ingiusta detenzione.
Si è trattato, in particolare, di privazione della libertà personale patita in forza di ordinanza cautelare emessa, dal G.i.p. del Tribunale di Roma il 30 ottobre 2006, con riferimento al reato di cui agli artt. 81, 609-bis e 609-ter cod. pen. (in offesa di una dodicenne) in merito al quale il richiedente è stato assolto con sentenza passata in giudicato, ex art. 530, comma secondo, cod. prc. pen. e all'esito di giudizio di rinvio celebrato in forza di annullamento di precedente condanna.
2. Avverso l'ordinanza D.A. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con i primi due motivi si deducono violazione dell'art. 314 cod. proc. pen. e vizi motivazionali, in termini di contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento.
Le cesure prospettano l'assenza di attinenza della condotta reticente di D.A., emergente dalle dichiarazioni rese in due interrogatori, con il reato oggetto d'incolpazione cautelare. Tale reticenza riguarderebbe difatti circostanze inerenti ai rapporti tra il richiedente e una terza persona, la madre dalla bimba, con la conseguenza che, sul piano logico, prima ancora che giuridico, avrebbe errato l'ordinanza nel considerare la detta condotta gravemente colposa tale da determinare l'intervento dell'Autorità e il suo mantenimento (riguardando le dichiarazioni una terza persona, la madre della bimba, diversa dall'accusatrice).
La circostanza della convinzione, da parte dell'allora indagato, che la relazione sentimentale con la madre della bimba indicata quale persona offesa non potesse comunque rilevare, anche qualora fosse stata immediatamente esplicitata in sede di primo interrogatorio, non sarebbe poi stata valorizzata dall'ordinanza in termini di esclusione della colpa grave. Quest'ultima, peraltro, sarebbe stata ravvisata con riferimento a una condotta reticente neanche valorizzata in sede di giudizi di merito e con riferimento a dichiarazioni, quelle di cui al secondo interrogatorio, che non sono valse alla revoca dell'applicata misura cautelare. La reticenza riscontrata, dunque, non si sarebbe posta per il (ricorrente in rapporto di causa/effetto con l'intervento dell'Autorità, anche in termini di mantenimento della misura cautelare, con conseguente violazione dell'art. 314 cod. proc. pen.
2.2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 5 CEDU in tema di diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, laddove l'art. 314 cod. proc. pen. è interpretato nel senso di prevedere cause ostative all'equa riparazione oltre che nell'aver individuato la colpa grave nella condotta reticente di D.A., contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte EDU, nel caso Pedroso, ove il richiedente è stato ritenuto meritevole della riparazione nonostante la legittima scelta difensiva di non rispondere nella fase delle indagini preliminari.
3. Hanno depositato richieste scritte La Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore F.L., nel senso dell'accoglimento del ricorso, l'Avvocatura generale dello Stato, in persona dell'Avvocato M.G. e per il Ministero dell'Economia e delle Finanze, nel senso del rigetto dell'impugnazione, e la difesa del ricorrente che ha invece insistito per l'accoglimento delle doglianze.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. È preliminare la trattazione della questione di cui al terzo motivo di ricorso, avente a oggetto un asserito contrasto tra la disciplina nazionale e quella sovranazionale in materia di riparazione per ingiusta detenzione, derivante dalla previsione di cause ostative alla riparazione da parte dell'art. 314 cod. proc. pen.
2.1 Il dedotto contrasto è insussistente come già affermato e ribadito dalla Suprema Corte.
L'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo contempla il diritto alla libertà e alla sicurezza, precisando che nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi dal detto articolo previsti, nei modi previsti dalla legge e, comunque, con le garanzie processuali minime ivi stabilite. La medesima disposizione attribuisce a ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di tale disciplina il diritto alla riparazione.
Da tale premessa consegue che, nel caso di specie, non vi è alcuna interferenza della disciplina in esame con l'invocato art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, posto che il ricorrente ha subito la detenzione in uno dei casi ivi contemplati, secondo le modalità previste dalla legge nazionale e conformi alle garanzie processuali minime che devono essere assicurate in base alla Convenzione medesima.
Invero, come ribadito da Sez. 4, n. 6903 del 02/02/2021, Nasone, Rv. 280929-01 (sostanzialmente conforme Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, Farris, Rv. 245311-01), la normativa italiana, agli artt. 314 e ss. cod. proc. pen., in un'ottica solidaristica, riconosce il diritto alla riparazione non solo per la detenzione preventiva formalmente illegittima, come imposto dall'art. 5 in esame, bensì anche per quella formalmente legittima (come nel caso di specie), ma sostanzialmente ingiusta, in quanto non seguita da una sentenza di condanna. Il diritto all'indennizzo è però subordinato alla condizione che l'adozione o il mantenimento della misura cautelare non siano causalmente riconducibili a una condotta dolosa o gravemente colposa dell'istante. Si tratta, pertanto, come ribadito dalla citata sentenza «Nasone», di una disciplina del tutto conforme a quella convenzionale, in quanto attribuisce un diritto ulteriore rispetto a quello imposto dall'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e, cioè, il diritto a un ristoro patrimoniale anche nelle ipotesi di detenzione preventiva formalmente legittima, che può conseguentemente essere limitato dal legislatore nazionale senza il rischio di incorrere in violazioni della disciplina convenzionale.
2.2. La sentenza citata dal ricorrente (CEDU, Quarta Sezione, 12 giugno 2018, ricorso n. 59133/11, Pedroso c. Portogallo) non è pertinente, riguardando una ipotesi di violazione delle garanzie processuali di cui all'art. 5, comma 3, della Convenzione. Né sussistono sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbiano ritenuto contrario l'art. 314 cod. proc. pen. all'art. 5 della Convenzione sotto il profilo invocato dal ricorrente. Al contrario, la Grande Camera, con la decisione del 18 dicembre 2002, ricorso n. 24952 del 1994, N.C. contro Italia, ha escluso la violazione, da parte dell'Italia, dell'art 5 della Convenzione proprio in considerazione della previsione dell'indennizzo di cui all'art. 314 cod. proc. pen., precisando che l'ordinamento italiano consente la richiesta di una riparazione per il solo fatto della custodia cautelare, a prescindere dalla sua illegalità e eccessiva lunghezza, in caso di proscioglimento, e che tale compensazione assorbe quella imposta dall'art. 5 della Convenzione. La violazione dell'art. 5 è stata, invece, affermata in una ipotesi in cui si è esclusa l'applicabilità dell'art. 314 cod. proc. pen. e, cioè, nella ipotesi della detenzione cautelare protrattasi per un periodo più lungo di quello consentito dalla legge nazionale, in difetto di provo circa l'effettività di ulteriori rimedi giurisdizionali (così CEDU, Terza Sezione, 9 giugno 2005, ricorso n. 42644, Picaro contro Italia).
3. I primi due motivi di ricorso sono infondati, anche al netto dell'inammissibile tentativo di sostituire, a quelle del giudice di merito, proprie valutazioni e della mera esplicitazione di una generalizzata non condivisione del modus operandi della Corte territoriale.
3.1. In tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l'ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263; Sez. 4, n. 21308, del 26/04/2022, Fascia, in motivazione; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952). La colpa grave di cui all'art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all'equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all'ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 15500 del 22/03/2022, Solito, in motivazione; Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996-01, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamate, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082-01).
Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condotta dell'indagato e le ragioni sottese all'intervento dell'autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, Wakel, Rv. 277662, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, Rosini, Rv. 219686), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, Hosni, Rv. 276458, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, De Gregorio, Rv. 270001).
La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, rappresentata dall'avere il richiedente dato causa o concorso a dare causa all'ingiusta detenzione, può essere integrata da condotte, dolose o gravemente colpose, tenute tanto nel corso del procedimento quanto extraprocedimentali (sul punto si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 850 del 20/09/2021, dep. 2022, Denaro, Rv. 282565; Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, Abruzzese, Rv. 280547; Sez. 4, n. 29550 del 05/06/2019, Morabito, Rv. 277475; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro, Rv. 274498; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397).
3.2. Più nel dettaglio, per quanto rileva nella fattispecie in esame, tra le condotte gravemente colpose suscettibili di costituire presupposto negativo per la riparazione per l'ingiusta detenzione, se in rapporto sinergico con l'intervento dell'autorità, vi sono anche quelle caratterizzate da dichiarazioni false ovvero reticenti o comunque ambigue. Ciò in ragione del fondamento solidaristico alla base dell'istituto e anche nell'attuale formulazione dell'art. 314 cod. proc. pen., per il quale l'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'art. 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen., non incide sul diritto alla riparazione.
3.2.1. Deve sul puto ribadirsi che in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi «ingiusta» in quanto il richiedente non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell'istituto.
Muovendo dal principio di cui innanzi Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257601-01, per quanto rileva in questa sede, ha ritenuto esente da critiche l'ordinanza che aveva considerato gravemente colpevole la condotta del richiedente che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni «travisanti», aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni.
3.2.2. Sulla scia interpretativa di cui innanzi è stato ritenuto in sede di legittimità che la condotta fortemente equivoca del richiedente, provocata dal mendacio in sede di interrogatorio, sebbene espressione del diritto di difesa, andando al di là del mero silenzio sia suscettibile di assumere rilievo a fini ostativi alla riparazione, se in rapporto sinergico con l'intervento dell'Autorità e/o con il suo mantenimento (ex p/urimis: Sez. 4, n. 849 del 28/09/2021; Sez. 4, n. 36478 del 02/12/2020, Gallo, Rv. 280082-01; Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287-01).
3.2.3. Quanto innanzi è stato ribadito da Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 28258101, anche successivamente all'indicata modifica dell'art. 314, comma 1, cod. pen., posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell'esercizio della facoltà difensiva prevista dall'art. 64, comma 3, lett. b) cod. proc. pen.
Non può difatti affermarsi che il mendacio in sede di interrogatorio, costituendo espressione del diritto di difesa, non possa incidere sul diritto alla riparazione, nel rispetto della presunzione di innocenza, recentemente sancito e rafforzato dalla Direttiva UE n. 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita e adattata nel nostro ordinamento dal recente d.lgs. n. 188 del 2021.
È infatti ben vero che quest'ultimo testo normativo, con l'art. 4, comma 4, lettera b), ha novellato l'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., aggiungendovi che l'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lettera b), cod. proc. pen. (ossia quella «di non rispondere ad alcuna domanda») non incide sul diritto alla riparazione, ma trattasi di previsione insuscettibile di applicarsi analogicamente alla ben diversa situazione del mendacio in sede di interrogatorio (se causalmente rilevante ai fini dell'intervento dell'autorità).
Altro è, infatti, serbare il silenzio (anche in ottica difensiva) su circostanze note che, se esternate, avrebbero avuto un effetto potenzialmente favorevole sulla posizione cautelare dell'indagato, altro è, invece, fornire una versione oggettivamente e deliberatamente mendace, atta cioè a prospettare falsamente situazioni, fatti o comportamenti (cfr., Sez. 4, n. 3755/2022, Pacifico, cit., la quale evidenzia che l'intrinseca infungibilità e l'oggettiva differenza tra il semplice silenzio e il mendacio meglio si apprezzano ove si prenda in considerazione la situazione costituita dall'alibi falso, cioè di quello rivelatosi preordinato e mendace, che, diversamente da quello non provato, è suscettibile di essere considerato come un indizio a carico, in quanto sintomatico del tentativo del soggetto di sottrarsi all'accertamento della verità - su tale ultimo punto vedasi, da ultimo, Sez. 5, n. 37317 del 14/06/2019, Capra, Rv. 276647).
3.3. Le condivisibili argomentazioni di cui innanzi, operano, mutatis mutanadis, nonostante la recente introduzione dell'ultimo inciso dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., anche con riferimento alla condotta del richiedente caratterizzata da dichiarazioni reticenti, pur rese, come nella specie, in sede di differenti interrogatori, che, al pari del mendacio, costituendo condotta volontaria fortemente equivoca e ambigua, sono suscettibili di porsi in rapporto sinergico con l'intervento dell'Autorità e/o con il suo mantenimento.
Devono altresì in questa sede aggiungersi ulteriori considerazioni rispetto all'evidenziato iter logico-giuridico sotteso al condiviso arresto di legittimità, raggiunto circa il mendacio ma rilevante anche con riferimento alla reticenza,
Lo stesso citato comma 3 dell'art. 64, cod. proc. pen., ancorché alla lett. a), prevede difatti che l'interrogando sia edotto della circostanza per cui le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, quindi non solo false ma anche reticenti o comunque fortemente equivoche o ambigue, potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti, con conseguente loro valutazione nel procedimento per l'ingiusta detenzione, sempre in forza dell'evidenziato fondamento solidaristico dell'istituto in uno con il principio ai autoresponsabilità.
La clausola di esclusione con la quale si apre la lettera b) dell'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., («salvo quanto disposto dall'art. 66»), peraltro, pur riferendosi esplicitamente alla mancata declinazione delle proprie generalità ovvero alla falsità delle stesse, evoca un diritto al silenzio tale da non ricomprendere qualsiasi strategia difensive implicante anche il mendacio o la reticenza, condotta fortemente equivoca e ambigua potenzialmente in connessione sinergica con l'intervento dell'Autorità co con il suo mantenimento.
3.3.1. Ne consegue pertanto il seguente principio di diritto, rilevante nella fattispecie: «In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, la reticenza del richiedente in sede di interrogatorio, ove causa/mente rilevante ai fini dell'intervento de/l'Autorità e/o del suo mantenimento, è suscettibile di incidere sull'accertamento dell'eventuale dolo o colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione, in quanto condotta volontaria fortemente equivoca e ambigia, anche a seguito della modifica dell'art. 314, comma 1, ultimo inciso, cod. proc. pen., a opera dell'art. 4, comma 4, lett. b), d.lgs. n. 188 del 2021, posto che la reticenza con riferimento a situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell'esercizio delle facoltà difensive previste dall'art. 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen.».
3.4. Orbene, la Corte territoriale, con motivazione in linea con i principi di diritto di cui innanzi, compreso l'ultimo appena evidenziato, ha ritenuto sussistente nella specie la condotta del richiedente ostativa all'equa riparazione, in quanto gravemente colposa e in sinergia con l'intervento dell'autorità e con il suo mantenimento, all'esito di apprezzamenti di fatto insindacabili in questa sede in quanto supportati da un apparato argomentativo congruo, coerente e non manifestamente illogico.
3.4.1. In premessa, l'ordinanza ha rilevato che al richiedente è stata privata la libertà personale in forza di provvedimento cautelare emesso con riferimento al reato di violenza sessuale continuata in offesa di una dodicenne. In merito al quale U.D.A. è stato assolto con sentenza passata in giudicato, ex art. 530, comma secondo, cod. prc. pen. e all'esito di giudizio di rinvio celebrato in forza di annullamento di precedente condanna.
3.4.2. Muovendo anche dalla sentenza passata in giudicato, e in relazione all'addebito mosso consistente in toccamenti dell'organo genitale del richiedente oltre che nel tentativo di realizzazione di un rapporto sessuale completo, l'ordinanza impugnata è passata all'analisi delle condotte gravemente colpose, considerate in nesso sinergico con l'intervento dell'autorità e il mantenimento dello stesso, alla luce del quadro gravemente indiziario sotteso all'ordinanza cautelare (costituito dalle dichiarazioni della persona offesa).
La Corte territoriale ha argomentato dalla condotta endoprocedimentale tenuta dal richiedente e, in particolare, dalla sua condotta reticente emergente dalle valutazioni delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia del 3 novembre 2006 e del successivo interrogatorio del 9 giugno 2008.
Nel dettaglio, l'ordinanza ha evidenziato che in sede di interrogatorio di garanzia D.A. ha descritto i rapporti intrattenuti con la bimba collocandoli in relazioni di vicinato, abitando le rispettive famiglie nel medesimo condominio, in forza delle quali la dodicenne, poco seguita dai familiari, spesso si sarebbe recata presso la sua abitazione per pranzare, all'uscita dalla scuola, o per fare colazione a causa delle ristrettezze economiche del proprio genitore. In tale momento procedimentale il richiedente, come ha precisato la Corte territoriale, nulla ha dichiarato in merito ai reali rapporti con la famiglia della minorenne, in particolare con la di le madre, anche al fine di far comprendere all'Autorità gli effettivi rapporti intercorrenti con la bambina e le eventuali ragioni sottese alle sue dichiarazioni accusatorie. Si è difatti limitato D.A., in quella sede, a evidenziare che, a suo dire, le dichiarazioni accusatorie avrebbero potuto trovare fondamento in un pregresso rimprovero mosso alla bimba e a una sua compagna per aver sporcato l'ascensore e l'androne condominiali. Solo nell'interrogatorio del 9 giugno 2008 il richiedente ha invece riferito di aver intrattenuto una relazione con la madre della bimba, durata circa due anni, durante la quale la minorenne sarebbe stata quasi sempre con loro, indicando anche un condomino a conoscenza della detta relazione.
In forza di quanto innanzi, la Corte territoriale, con motivazione esente dai prospettati vizi, ha argomentato il rapporto sinergico tra l'intervento dell'autorità (anche in termini di permanenza della detenzione) e la descritta condotta procedimentale reticente, ritenuta gravemente colposa, in ragione dell'evidente diverso portato delle dichiarazioni di D.A., incongruenti tra loro e tali, anche in un'ottica di mantenimento della misura cautelare, da contribuire a ingenerare riserve sull'affidabilità delle propalazioni dell'attuale richiedente.
Le prime dichiarazioni, infatti, sono state nel senso di giustificare le gravissime dichiarazioni accusatorie in termini congetturali e ai limiti della plausibilità, in particolare in forza di un rimprovero per aver sporcato parti condominiali mentre, le seconde, hanno esplicitato una possibile strumentalizzazione del dichiarato da parte della bimba in ragione della detta relazione con la di lei madre, prima taciuta all'autorità.
L'ordinanza, con valutazioni di merito insindacabili in questa sede in quanto esenti dai paventati vizi, ha quindi concluso in termini coerenti e non manifestamente illogici nel senso per cui la descritta condotta reticente di D.A. ha nella specie contribuito a ingenerare, in presenza di dichiarazioni accusatorie promananti dalla bimba, l'intervento dell'Autorità procedente oltre che la sua permanenza. Ciò in forza dell'evidente diverso portato delle dichiarazioni del richiedente, incongruenti tra loro e tali, anche in un'ottica di mantenimento della misura cautelare, da contribuire a ingenerare riserve sull'affidabilità delle propalazioni dell'attuale richiedente.
Invero, pur formalmente appuntandosi la motivazione dell'ordinanza su una condotta reticente di D.A., la Corte territoriale ha sostanzialmente argomentato anche in ragione delle condotta dolosa consistente nelle false dichiarazioni rese in sede di primo interrogatorio circa i rapporti intercorrenti tra lui e la minorenne, in quanto indicati solo in termini di meri rapporti di vicinato, inseritesi in una condotta reticente in considerazione del complesso delle dichiarazioni rese nei diversi interrogatori.
3.5. È appena il caso di evidenziare l'inconferenza del profilo con il quale si prospetta l'errore nell'aver la Corte territoriale valutato le dichiarazioni rese in sede d'interrogatorio, laddove le stesse sarebbero state non tali da fondare la responsabilità penale in sede di giudizio penale di merito. Si tratta difatti di dichiarazioni, sul cui effettivo rilascio non si prospettano dubbi, correttamente valutate nel procedimento ex art 314 cod. proc. pen. in ragione della diversa struttura di tale procedimento in relazione alle finalità cui esso è preordinato, differenti da quelle caratterizzanti il processo penale (nei termini già ampiamente esplicitati nei paragrafi precedenti).
3.6. Parimenti privi di pregio, infine, sono nella specie i precedenti di legittimità citati dalla difesa del ricorrente nelle conclusioni scritte (Sez. 4, n. 20657 del 02/02/2022 Garau, e Sez. 4, n. 8616 del 08/02/2022, Radu), trattandosi di pronunce condivisibilmente volte a escludere la rilevanza ostativa alla riparazione ex art. 314, comma 1, cod. proc. pen., in forza dell'ultimo inciso ivi introdotto con I. n. 188 del 2021, al silenzio serbato in sede di interrogatorio e non alle dichiarazioni mendaci, reticenti o comunque ambigue.
4. In conclusione, al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente in questo giudizio di legittimità, che si liquidano in euro mille ex art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente in questo giudizio di legittimità, che si liquidano in euro mille. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.