Mentre ciò non accade in caso di scioglimento del contratto a seguito del fallimento dell'appaltatore.
La controversia trae origine dalla stipulazione di un contratto di appalto per la costruzione di una palestra comunale tra il Comune e il Consorzio, con affidamento dei lavori ad una società consorziata e con successivo subappalto a due società.
Su richiesta del Consorzio, tramite atto aggiuntivo al contratto veniva modificato un...
Svolgimento del processo
1. - La vicenda trae origine dal contratto di appalto di opera pubblica (costruzione di una palestra comunale) stipulato in data 11/12/2007 tra il Comune di Pordenone (stazione appaltante, di seguito Comune) e il (omissis) (appaltatore, di seguito Consorzio), con affidamento dei lavori alla consorziata (omissis) S.r.l. (di seguito (omissis)) e successivo subappalto alle società (omissis) S.r.l. (contratto del 23/03/2009) e (omissis) S.p.a. (contratto del 25/09/2009).
1.1. - Su richiesta del Consorzio, con "atto aggiuntivo al contratto del 11/12/2007", sottoscritto dalle parti in data 23/11/2009, venne modificato l'art. 51 del capitolato speciale di appalto (parte integrante del contratto di appalto) - in base al quale "la stazione appaltante non provvede al pagamento dei subappaltatori" - prevedendosi invece il pagamento diretto del subappaltatore da parte del Comune, "su presentazione di fattura (...) vistata, per conformità, dall'appaltatore e dal direttore dei lavori (...) presentata insieme allo stato di avanzamento dei lavori cui si riferiscono".
1.2. - In data 17/03/2010 il Tribunale di Treviso dichiarò il fallimento del Consorzio e il curatore, con lettera del 1 aprile 2010, invitò il Comune di Pordenone a sospendere i pagamenti in favore dei subappaltatori, che gliene avevano fatto richiesta.
1.3. - Con determina dirigenziale del 16 aprile 2010 il Comune diede atto che il contratto d'appalto e l'atto aggiuntivo dovevano ritenersi sciolti ai sensi della L. Fall., art. 81; quindi, approvato il collaudo tecnico-amministrativo e liquidato il credito residuo, al netto di detrazioni, in Euro 306.340,92, autorizzò il pagamento in favore del Fallimento del Consorzio per Euro 256.468,23, "fatto salvo ogni diritto alla ripetizione di quanto corrisposto (in tutto o in parte) nel caso di sentenze che dichiarino che la titolarità del credito è in capo a soggetti diversi dal curatore del fallimento del consorzio (...) e condannino, conseguentemente, il Comune al pagamento di somme in favore di soggetti terzi".
1.4. - In data 23/03/2011 il curatore confermò il proprio scioglimento dal "contratto di delega/mandato di pagamento" di cui all'atto aggiuntivo al contratto di appalto, ai sensi della L. Fall., art. 72.
1.5. - Stante la pendenza dei giudizi promossi da (omissis) s.r.l. e (omissis) S.p.a. (entrambe poi fallite in corso di causa) nei quali, rispettivamente, la Corte d'appello di Trieste e il Tribunale di Pordenone lo avevano condannato al pagamento del corrispettivo ai subappaltatori, il Comune presentò domanda ultratardiva di insinuazione al passivo del fallimento del Consorzio, in prededuzione, a titolo di indebito, per la restituzione della somma versata di Euro 256.468,23 eventualmente anche condizionata al deposito di pronunce definitive nei giudizi promossi dai subappaltatori.
1.6. - Il giudice delegato rigettò la domanda, ritenendo che il fallimento del Consorzio avesse determinato, ai sensi della L. Fall., art. 81, lo scioglimento del contratto di appalto e dell'atto integrativo con cui il Consorzio medesimo aveva delegato il Comune al pagamento diretto dei subappaltatori, i quali avrebbero perciò dovuto rivolgere le loro pretese nei confronti del Fallimento del Consorzio.
1.7. - Con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Treviso ha respinto l'opposizione proposta dal Comune di Pordenone, rigettando tanto la domanda di ammissione, anche condizionata, quanto la richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione dei giudizi pendenti contro i subappaltatori.
2. - Il Comune di Pordenone ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione, cui il Fallimento del Consorzio ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. La Procura generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
2.1. - Con il primo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1324, 1326, 1362, 1363, 1173, 1175, 1375 e 2033 c.c., si deduce che la "riserva di ripetizione" apposta dal Comune al pagamento effettuato al Fallimento del Consorzio (qualificabile come negozio unilaterale recettizio, con conseguente applicazione delle norme sui contratti, ex art. 1324 c.c.) e il silenzio circostanziato della curatela fallimentare (consapevole dei giudizi promossi dai subappaltatori) avrebbero generato a carico del Fallimento l'obbligazione di restituire le somme ricevute, al verificarsi della condizione della pronuncia di sentenza di condanna del Comune al pagamento in favore dei subappaltatori, anche se non opponibile al fallimento e non definitiva; a fronte di questa sorta di "patto" di restituzione, il curatore avrebbe violato le regole di correttezza e buona fede.
2.2. - Il secondo mezzo denuncia la violazione dell'art. 295 c.p.c., finalizzato a prevenire il contrasto tra giudicati, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, in cui "lo stesso bene della vita, e cioè il pagamento dei lavori eseguiti dal subappaltatore, viene preteso da due soggetti e cioè il subappaltatore e l'appaltatore", senza che rilevi il fatto che il Fallimento del Consorzio non fosse stato parte dei giudizi promossi dai subappaltatori, tanto più che il Comune lo aveva chiamato in causa ed esso aveva chiesto di esserne estromesso (di qui anche la violazione dei principi di correttezza e buone fede).
2.3. - Con il terzo si lamenta la violazione della L. Fall., art. 55, e art. 96, n. 1), poichè il credito del Comune andava ammesso al passivo quale credito condizionato all'esito definitivo dei giudizi promossi dai subappaltatori.
2.4. - Il quarto mezzo, rubricato violazione del L. Fall., artt. 72 e 78, nonchè 1723 e 2033 c.c., censura l'affermazione del tribunale per cui "l'unico titolare del diritto di credito relativo ai lavori eseguiti da subappaltatori è la curatela fallimentare", sul rilievo che l'atto aggiuntivo del 23/11/2009, in quanto integrante un mandato in rem propriam, non si sarebbe sciolto con il fallimento del mandante.
3. - Il ricorso presenta profili di inammissibilità e infondatezza.
4. - Il primo motivo, sotto l'apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, mira ad una ricostruzione della vicenda negoziale diversa da quella operata dai giudici di merito, impingendo perciò stesso in valutazioni meritali, non sindacabili in questa sede.
Al riguardo soccorre il costante insegnamento di questa Corte per cui "l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto", come tale "incensurabile in sede di legittimità" (Cass. 873/2019, 10333/2018, 27136/2017, 29111/2017), non potendo il motivo di ricorso per cassazione risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poichè quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 16987/2018, 28319/2017), non integrando di per sè una simile evenienza la violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 11254/2018).
Deve quindi ribadirsi che l'accertamento della reale volontà delle parti costituisce una valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, ove non risultino specificamente violati i criteri dettati dall'art. 1362 c.c. e ss., e non emergano vizi logico-giuridici (Cass. 7945/2020, 8810/2020, 21576/2019, 1547/2019).
Detti vizi non ricorrono nella decisione impugnata, che contiene a pag. 4 una ricostruzione del comportamento delle parti tale da escludere che il silenzio serbato dal curatore fallimentare sulla "riserva di ripetizione" formulata dal Comune all'atto del pagamento del corrispettivo dell'appalto in favore del Fallimento del Consorzio, ovvero la mancata contestazione di detta riserva, avesse dato luogo alla conclusione di un "patto" da cui sarebbe originata la pretesa "obbligazione a carico della curatela fallimentare di corrispondere al Comune di Pordenone le somme che questi fosse chiamato a pagare ai subappaltatori in forza di separati giudizi intentati dai subappaltatori" (come si sostiene a pag. 23 del ricorso).
4.1. - L'accertata esclusione di un'obbligazione di tal fatta lascia impregiudicata la valutazione dei presupposti della domanda proposta dal Comune, espressamente qualificata come "domanda di ripetizione di indebito".
In effetti, il pagamento di un debito oggettivamente esistente, ma effettuato, in tesi, a persona diversa dal creditore (cosiddetto indebito "ex latere accipientis") è assimilabile al c.d. "indebito oggettivo" - che ricorre quando manchi una originaria causa, contrattuale giustificativa del pagamento o quando la causa, originariamente esistente, sia venuta meno - e ne segue le regole, dettate dall'art. 2033 c.c. (Cass. 470/1998).
Sotto questo profilo, eventuali riserve manifestate dal debitore all'atto del pagamento non ne fanno venir meno il carattere satisfattorio, in quanto l'adempimento del debitore viene preso in considerazione dal legislatore per la sua idoneità obiettiva a soddisfare l'interesse del creditore, a prescindere dall'elemento intenzionale che lo accompagni, ovvero dalla concreta volontà del "solvens" (Cass. 7217/2009, 7357/1998).
Di conseguenza, la proponibilità dell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo non è esclusa dall'avere il "solvens" effettuato il pagamento non già nell'erronea consapevolezza dell'esistenza, dell'obbligazione, ma, al contrario, nella convinzione di non essere debitore e, quindi, senza l'"animus solvendi", nemmeno quando tale convinzione sia stata enunciata, appunto, in una espressa riserva formulata in sede di pagamento (Cass. 3894/2020, 9624/1994, 2525/1987, 1690/1984).
In altri termini, ai fini della ripetizione dell'indebito oggettivo, non è necessario che il "solvens" versi in errore circa l'esistenza dell'obbligazione, posto che - diversamente dall'indebito soggettivo "ex persona debitoris", in cui l'errore scusabile è previsto dalla legge come condizione della ripetibilità, ricorrendo l'esigenza di tutelare l'affidamento dell'"accipiens", il quale riceve ciò che gli spetta, sia pure da persona diversa dal vero debitore - nell'ipotesi di cui all'art. 2033 c.c., non vi è un affidamento da tutelare, in quanto l'"accipiens" non ha alcun diritto di conseguire, nè dal "solvens" nè da altri, la prestazione ricevuta, sicchè la sua buona o mala fede rileva solo ai fini della decorrenza degli interessi (Cass. 7066/2019).
4.2. - Tuttavia, nel caso di specie è dirimente che il tribunale abbia escluso in radice che il pagamento de quo integrasse un indebito, affermando che "l'unico titolare del diritto di credito relativo ai lavori eseguiti dai subappaltatori è la curatela fallimentare", per le motivazioni censurate dal ricorrente con il quarto mezzo, il cui esame viene quindi anticipato per ragioni logiche.
5. - Il quarto motivo è infondato.
5.1. - Il tribunale, muovendo dal rilievo pacifico che il fallimento del Consorzio determinò lo scioglimento del contratto di appalto ai sensi della L. Fall., art. 81, e che l'atto aggiuntivo del 23/11/2009 aveva integrato il contenuto del predetto contratto sostituendo l'originario art. 51 del capitolato speciale di appalto (per cui "la stazione appaltante non provvede al pagamento dei subappaltatori") con una clausola qualificata dalle parti come "delegazione o mandato di pagamento" del Consorzio per il pagamento diretto dei subappaltatori da parte del Comune (su fattura vistata per conformità dall'appaltatore e dal direttore dei lavori, presentata insieme allo stato di avanzamento dei lavori) - ha ritenuto che anche il predetto mandato si sia sciolto, ai sensi della L. Fall., artt. 72 e 78, nonostante il prospettato inquadramento come "mandato in rem propriam" ex art. 1723 c.c., in quanto conferito dal Consorzio anche nell'interesse dei subappaltatori.
5.2. - Va subito evidenziato che, sul punto, la decisione impugnata risulta sintonica con i principi di recente stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, in base ai quali, in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3 - che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell'appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest'ultimo al subappaltatore - deve ritenersi riferito all'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un'impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; di conseguenza, il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto è dovuto dalla stazione appaltante al curatore fallimentare dell'appaltatore, mentre il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della "par condicio creditorum" e dell'ordine delle cause di prelazione, senza che rilevi a suo vantaggio l'istituto della prededuzione L. Fall., ex art. 111, comma 2, (Cass. Sez. U, 5685/2020; cfr. anche Cass. 16708/2020, 24472/2021).
5.3. - Dal citato arresto è desumibile il principio, applicabile alla fattispecie in esame, che anche il pagamento diretto del subappaltatore - parimenti contemplato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3 - è compatibile solo con l'ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con l'impresa in bonis, e non lo è quando il contratto di appalto si sciolga ipso iure a seguito della dichiarazione di fallimento dell'appaltatore, ai sensi della L. Fall., art. 81, e dell'art. 140, comma 1, Codice appalti 2006, come è avvenuto nel caso di specie.
In cui l'art. 51, comma 1, del capitolato speciale facente parte integrante del contratto di appalto dell'11 dicembre 2007 era stato modificato con l'atto aggiuntivo del 23/11/2009, che prevedeva appunto il pagamento diretto del subappaltatore da parte del Comune; ciò che già di per sè comporterebbe l'estensione dello scioglimento del contratto alla clausola di pagamento diretto dei subappaltatori in esso contenuta.
5.4. - Ma anche valorizzando la qualificazione della suddetta clausola come delegazione (o mandato) di pagamento, si previene al medesimo risultato. Invero, premesso che nella specie ricorre una delegazione "doppiamente" titolata, avuto riguardo al rapporto di provvista (delegante/delegato, i.e. appaltatore/committente) e di valuta (delegato/delegatario, i.e. committente/subappaltatore) - con conseguente rilevanza dell'inefficacia sopravvenuta del rapporto sottostante (arg. ex art. 1271 c.c.) - occorre considerare che si tratta di un negozio comunque privo di autonomia rispetto al contratto di appalto cui accede, del quale segue pertanto la sorte dello scioglimento, ai sensi della L. Fall., artt. 78 e 72.
5.5. - A diverse conclusioni non induce nemmeno la riconduzione di siffatta delegazione alla categoria del mandato in rem propriam - o meglio mandato nell'interessi anche di terzi, segnatamente del subappaltatore - che, ai sensi dell'art. 1723 c.c., comma 2, "non si estingue per revoca da parte del mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca", nè "per la morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante".
Sulle predette regole civilistiche prevale infatti, in ragione della sua specialità, l'apposita disciplina dettata dalla legge fallimentare (L. Fall., artt. 78 e 72), la quale attinge a categorie diverse da quelle utilizzate nel codice civile (p.es. estinzione, in luogo di scioglimento; interdizione o inabilitazione, in luogo di fallimento: cfr. artt. 1722 e 1724 c.c.), ove peraltro non è nemmeno espressamente contemplata l'ipotesi del fallimento del mandante o del mandatario.
5.6. - Non si ignora come, prima della riforma fallimentare del 2006, dottrina e giurisprudenza fossero divise circa l'applicabilità al contratto di mandato in rem propriam (in particolare il mandato all'incasso) della L. Fall., art. 78, che prevedeva allora lo scioglimento automatico del contratto di mandato in caso di fallimento tanto del mandatario quanto del mandante, aderendo, per lo più, la prima alla soluzione positiva, e la seconda a quella negativa, quest'ultima proprio in applicazione analogica dell'art. 1723 c.c., comma 2, (Cass. 11966/1992, 11988/1990; contra Cass. 4282/1981; v. Cass. 13243/2011, favorevole alla sua applicazione solo in caso di fallimento del mandante, non anche del mandatario).
Peraltro, quest'ultima posizione finiva per ammettere lo scioglimento del curatore ai sensi della L. Fall., art. 78, anche dal mandato in rem propriam, in applicazione dello stesso art. 1723 c.c., comma 2, (revoca espressa per giusta causa: Cass. 8806/1993; cfr. Cass. 18316/2014) ovvero dell'art. 1724 c.c. (revoca tacita per compimento dell'affare: Cass. 13676/2004), volendosi così evitare che la prosecuzione del mandato avesse ricadute negative sulla massa attiva fallimentare, specie in caso di fallimento del mandante.
Più di recente, questa Corte ha avuto modo di precisare, in materia di A.T.I., che il fallimento della società mandante, pur non comportando lo scioglimento del contratto d'appalto - alla cui esecuzione resta obbligata l'impresa capogruppo, a norma del D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 25, comma 2, - comporta però, ai sensi della L. Fall., art. 78, (nel testo anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile "ratione temporis"), lo scioglimento del rapporto di mandato conferito alla capogruppo, che perde la legittimazione ad agire in nome e per conto della mandante fallita, per far valere i crediti vantati nei confronti del committente (Cass. 5145/2020, 34116/2019; cfr. Cass. 20558/2015, 29737/2011, 17926/2010).
Ciò è stato affermato nonostante la qualifica della capogruppo come mandataria in rem propriam in favore di un soggetto terzo (la stazione appaltante), grazie alla perspicua distinzione operata tra la fase di esecuzione delle opere e quella dei pagamenti, ove "l'interesse della stazione appaltante ad avere un unico centro di imputazione al fine di una più agevole e sollecita esecuzione delle opere viene meno e l'interesse, residuo, della prima a definire in un unico contesto processuale le ragioni di dare ed avere con le imprese riunite in una a.t.i. è recessivo rispetto alle ragioni del fallimento della mandante e, in genere, delle imprese già riunite" (Cass. 5145/2020; cfr. Cass. 973/2017).
5.7. - Risulta in ogni caso decisivo che il D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 64, ha modificato l'art. 78 l.fall., dettando una disciplina specifica per il contratto di mandato, ove si distingue tra fallimento del mandatario, che comporta lo scioglimento automatico del contratto (comma 2), e fallimento del mandante, che comporta l'applicazione della regola generale della sospensione del rapporto pendente, in attesa della decisione del curatore di sciogliersi o subentrare, ai sensi della L. Fall., art. 72, e prevedendo nel secondo caso la prededucibilità dei crediti del mandatario sorti dopo il fallimento (comma 3).
L'ordinamento concorsuale ha quindi trovato una sua più compiuta ed autonoma disciplina, che consente di "assorbire" anche le divisate ipotesi di revoca tacita o per giusta causa, riportandole nell'alveo proprio della gestione del patrimonio fallimentare affidata al curatore, sotto la vigilanza e il controllo del comitato dei creditori, del giudice delegato e del tribunale.
Tale assetto trova indiretta conferma nella L. Fall., art. 83 bis ("se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito"), poichè anche il compromesso per arbitrato - atto negoziale riconducibile all'istituto del mandato collettivo ex art. 1726 c.c., o di quello conferito nell'interesse anche di terzi ex art. 1723 c.c., comma 2, (v. Cass. 3803/2010, 21836/2009, 19298/2006, che pure nel regime vigente ante riforma 2006 ne traggono l'inoperatività dello scioglimento L. Fall., ex art. 78) - se contenuto, come apposita clausola, in un contratto che viene sciolto, ne subisce le sorti (v. Cass. Sez. U, 10800/2015).
6. - Anche il secondo motivo è infondato.
6.1. - La ratio dell'art. 295 c.p.c., che prevede la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione dipende dalla definizione di altra causa, è quella di evitare un conflitto di giudicati, sicchè fra le due emanande decisioni deve sussistere un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità, non già un mero collegamento in fatto o in diritto. Occorre altresì che i giudizi, oltre ad implicare una questione di carattere pregiudiziale (cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la cui soluzione pregiudichi in tutto o in parte l'esito della causa da sospendere) siano pendenti tra le stesse parti, non essendo configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause che, quand'anche legate fra loro da pregiudizialità logica, coinvolgano - come nel caso in esame soggetti anche solo parzialmente diversi, giacchè la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l'inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (Cass. 4343/2022, 12996/2018, 20072/2017, 17235/2014).
6.2.- Più in generale, è stata evidenziata la scarsa compatibilità della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., con i principi che presiedono all'accertamento del passivo fallimentare (Cass. 10394/2021, 2991/2020, 7547/2018, 5255/2017; Cass. Sez. U, 21499/04), ivi compresa la natura endofallimentare del giudicato L. Fall., ex art. 96, comma 5, (Cass. 11808/2022), non destinato a far stato tra le parti fuori dal fallimento, essendo la domanda di insinuazione al passivo fallimentare strettamente legata alla prospettiva del riparto (Cass. 27709/2020).
6.3. - Infine, sotto il profilo più squisitamente processuale, questa Corte ha avuto occasione di precisare che, qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza), però attraverso il ricorso all'esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall'art. 337 c.p.c., comma 2, (v. Cass. Sez. U, 21763/2021, in ipotesi di pregiudizialità tecnica), o ancora decidere in senso difforme, quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata (Cass. 9470/2022, di conferma della pronuncia di merito che aveva escluso la ricorrenza di una ipotesi di sospensione obbligatoria ex art. 295 c.p.c., tra un giudizio di divisione ereditaria e un giudizio pendente in Cassazione diretto a escludere dalla divisione un bene mantenuto in comunione).
7. - Parimenti infondato è il terzo motivo (al di là del suo assorbimento nel rigetto del quarto), poichè il credito restitutorio azionato dal Comune risulta, piuttosto che condizionato, eventuale.
7.1. - Invero la L. Fall., art. 55, comma 3, nel prevedere l'ammissione al passivo con riserva dei crediti soggetti a condizione, è norma eccezionale, che devia dal principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell'imprenditore, e, come tale, non è suscettibile di applicazione analogica a diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, in tal caso versandosi in ipotesi, non già di mera inesigibilità della pretesa, ma di credito non ancora sorto ed eventuale (Cass. 8765/2011).
7.2. - Inoltre, L'ammissione con riserva L. Fall., ex art. 96, comma 2, n. 1), riguarda i diritti condizionati e non anche le azioni, non potendo la domanda essere subordinata all'esito di altra domanda proposta in diversa sede (Cass. 7297/2015).
8. - Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.
9. - Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto (Cass. Sez. U, 20867/2020, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.