Con la pronuncia in commento, la Corte Suprema risponde al quesito.
Svolgimento del processo
1. La M. L. s.r.l. impugnava, con separati ricorsi poi ritualmente riuniti, innanzi alla C.t.p. di Firenze gli avvisi di accertamento ai fini IRES, IVA e IRAP, rispettivamente, n. T8B032100889/2013, per l'anno d'imposta 2006, n.T8B032101048/2013, per l'anno d'imposta 2007, e n. T8B032101050/2013, per l'anno di imposta 2008, emessi a seguito di un'attività di verifica generale effettuata nei confronti della M. L. s.r.l. per il periodo di imposta 2009 e culminato in un P.V.C. In tale maniera, l'Agenzia delle entrate di Firenze recuperava nei confronti della società - esercente l'attività di commercio all'ingrosso di rottami metallici - i costi indebitamente contabilizzati in quanto relativi ad operazioni inesistenti e documentati da fatture emesse da società cartiere ovvero filtro oppure fittiziamente interposte.
In particolare, con l'avviso di accertamento relativo all'anno 2006, l'Ufficio contestava alla società l'utilizzo di fatture d'acquisto per operazioni inesistenti emesse nei confronti della ricorrente dalla ditta individuale P. di P. R. per un importo complessivo di € 200.827,20; con l'avviso di accertamento per l'anno 2007, l'ufficio contestava l'utilizzo di fatture d'acquisto per operazioni oggettivamente inesistenti emessi nei confronti della ricorrente dalla ditta individuale P. di P. R., dalla M. s.r.l. e dalla ditta individuale O. M. per un importo complessivo di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti pari ad € 1.052.747,40; con l'avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2008, l'ufficio contestava l'utilizzo di fatture d'acquisto per operazioni oggettivamente inesistenti emessi nei confronti della ricorrente dalla M. s.r.l., dalla A. e dalla ditta individuale di O. M. per un importo complessivo di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti pari ad € 925.800 45,73.
La contribuente impugnava gli avvisi eccependo, con riferimento agli anni di imposta 2006 e 2007, la nullità dei due avvisi di accertamento in quanto emessi e notificati dopo la maturazione dei termini decadenziali prescritti dalla legge per la loro notifica senza la sussistenza delle condizioni normative del loro raddoppio; con riferimento a tutte le annualità, la motivazione apparente degli avvisi di accertamento effettuata esclusivamente per relationem al processo verbale di constatazione e genericamente agli atti della Guardia di finanza di Monza; la carenza probatoria e motivazionale degli avvisi di accertamento; in ogni caso la infondatezza dei rilievi avanzati negli avvisi impugnati.
L’Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto del rigetto del ricorso.
2. Con sentenza n. 242/13, depositata in data 17 dicembre 2013, la C.t.p. di Firenze rigettava i ricorsi e confermava gli avvisi di accertamento.
Conseguente alla menzionata verifica generale effettuata nei confronti della M. L. s.r.l., con avviso di accertamento numero T8B032102099/2011, l'Ufficio contestava, anche per il periodo d'imposta 2009, l'utilizzo di una serie di fatture relative ad operazioni inesistenti di acquisto di rottami non ferrosi emesse, rispettivamente, quanto a diciannove fatture, dalla ditta individuale M. O. per € 141.516,30 e, quanto a sette fatture, dalla società A. s.r.l. per Euro 468.080,00. Accadeva, invero, che, nell'ambito di un procedimento penale condotto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, si acclarava che la A. s.r.l., la M. s s.r.l., la P. di P. R. e la I. s.r.l. erano cartiere utilizzate al solo fine dell'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti o per la copertura di acquisti effettuati da terzi in nero ossia operazioni soggettivamente inesistenti.
La M. L. s.r.l. impugnava dinanzi alla C.t.p. di Firenze anche questo avviso di accertamento e il ricorso veniva accolto con sentenza n. 88/13, depositata il 12/06/2013, perché ritenuto fondato.
3. Avverso la sentenza n. 88/13 proponeva appello l’Agenzia delle entrate che ne chiedeva la riforma mentre avverso la sentenza n. 242/13 proponeva appello la M. L. s.r.l.
4. La C.t.r. della Toscana, riuniti i ricorsi, con sentenza 809/13/15, depositata in data 06/05/2015 respingeva l’originario ricorso della M. L. s.r.l., così, da un lato, riformando la sentenza n. 88/13 e, dall’altro, confermando la sentenza n. 242/13.
5. La sentenza della C.t.r. è stata impugnata dalla contribuente sulla scorta di nove motivi.
Si è costituita in giudizio con controricorso l’Agenzia delle Entrate,
chiedendo il rigetto del ricorso.
La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 7 giugno 2022, per la quale sono state depositate memorie.
Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.1 Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 57, comma 3, d.P.R. del 26
ottobre 1972, n. 633 nonché dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
1.2 Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.; in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
1.3 Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per manifesta e irriducibile contraddittorietà in violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dei principi generali sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, anche con riferimento all’art. 111, sesto e settimo comma della Costituzione; in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ..
1.4 Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla tracciatura di tutte le operazioni contestate dall’Ufficio come oggettivamente esistenti dal loro arrivo presso lo stabilimento della ricorrente fino alla destinazione in uscita verso i clienti della Società; in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ..
1.5 Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. anche in relazione all’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
1.6 Con il sesto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modificazione dalla legge 26 aprile 2012, n. 44; in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
1.7 Con il settimo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; degli artt. 11 e 117, comma primo, della Costituzione; degli artt. 117 e ss. della direttiva del Consiglio n.77/388/CE e degli artt. 168 e ss. della direttiva del Consiglio n. 2006/112/CE, come interpretati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea; in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
1.8 Con l’ottavo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, sintomatici della buona fede della Società: 1) insussistenza di vantaggi economici ritratti dagli acquisti contestati, siccome avvenuti a prezzi di mercato; 2) effettiva organizzazione aziendale in capo alle presunte cartiere; in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. 1.9 Con il nono motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 – bis della legge del 24 dicembre 1993, n. 537, così come modificati dall’art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, nonché dall’art. 109, comma quinto, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ..
2.1 Il primo motivo è infondato.
La ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata si siano ritenuti sussistenti i presupposti di legge per invocare il raddoppio dei termini nonostante il procedimento penale avviato a carico dei presunti amministratori di fatto della M. L. s.r.l. dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, in relazione alle forniture della P. e della M.s s.r.l., si fosse concluso con una sentenza di non luogo a procedere innanzi al giudice dell'udienza preliminare.
Costituisce principio pacifico quello secondo cui l'applicazione del raddoppio dei termini consegue direttamente dall'esistenza di un obbligo di denuncia indipendentemente dall'effettiva presentazione della stessa e da un accertamento penale definitivo.
Sul punto, questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 03/05/2022 n. 13916) come il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 per l'IRPEF e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell'assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e alla legge 31 dicembre 2015, n. 208, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l'obbligo di denuncia penale ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen. L'art.43, terzo comma, vigente ratione temporis (eguale disposizione è contenuta per l'IVA nell'art.57 d.P.R. n. 633 del 1972), a sua volta prevede: «In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione». La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all'astratta sussistenza dell'obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen. citato. Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei princìpi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza 25/07/2011, n. 247, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall'effettiva presentazione della denunzia, dall'inizio dell'azione penale e dall'accertamento del reato nel processo (Cass. 28/06/2019, n. 17586, Cass. 13/09/2018, n. 22337, Cass. 30/05/2016, n. 11171).
Quando viene contestato il raddoppio dei termini, rientra nei compiti del giudice tributario l'accertamento sull'astratta sussistenza dell'obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., anche con riferimento alle soglie di punibilità (cfr. Cass. 30/05/2016, n. 11171, Cass. 30/06/2016, n. 13483)».
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, l'unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell'obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento».
2.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Con esso, la ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si sia ritenuta provata la tesi dell'Ufficio secondo cui le fatture emesse dalla M.s s.r.l., A. s.r.l. e dalle ditte individuali P. di P. R. e Otto Recuperi di M. O. sarebbero rappresentative di operazioni oggettivamente inesistenti, sulla base di elementi presuntivi ed omettendo qualsivoglia verifica e autonoma valutazione sui fatti dedotti in controprova.
La censura è evidentemente preordinata ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie in quanto il ricorrente prospetta elementi già addotti nei gradi di merito, la prospettazione è evidentemente finalizzata ad ottenere una valutazione delle prove e quindi un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso dalla C.t.r.
In altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza la cui decisione dà contezza di come l'accertamento dell'Ufficio si sia basato sulle presunzioni di cui all'articolo 32 del d.P.R. 22 settembre 1973, n. 602, a seguito di indagini effettuate dalla Guardia di finanza – Tenenza di Pontassieve – in esecuzione del decreto di perquisizione e sequestro emanato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, relativamente al procedimento penale a carico di N. G..
Nell’ambito di tali indagini, supportate anche da intercettazioni telefoniche ed ambientali, risultava che le prefate società erano vere e e proprie cartiere ossia utilizzate al solo fine dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti o per la copertura di acquisti effettuati da terzi in nero, così realizzando operazioni soggettivamente inesistenti; invero, esse non hanno mai presentato le dichiarazioni fiscali e sono risultate prive di adeguata struttura operativa.
Sul punto la C.t.r. ha ritenuto, con una motivazione ineccepibile, la sussistenza della prova presuntiva di cui all’art. 2729 cod. civ. a fronte della quale gli elementi addotti dalla società contribuente sono apparsi inidonei a scalfire il corposo quadro probatorio.
2.3 Il terzo motivo è infondato.
Con tale doglianza, la ricorrente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, pur qualificandosi le operazioni in contestazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, dal tessuto argomentativo della decisione non si comprende se la C.t.r. abbia ritenuto oggettivamente ovvero soggettivamente inesistenti le operazioni in considerazione.
La sentenza impugnata, lungi dall’obliterare il percorso logico giuridico per spiegare la complessa operazione architettata, enuclea con chiarezza come le tipologie di operazioni erano sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti siccome è stato dimostrato sia l’intento di abbassare il reddito da parte delle società utilizzatrici di queste fatture sia di coprire acquisti e vendite effettuati sul mercato nero di merci pertanto realmente esistenti; il tutto sempre attraverso le cd. cartiere appositamente create.
Di poi, l’ufficio finanziario aveva sin dall’inizio contestato entrambe le fattispecie per come evidenziato dagli avvisi di accertamento, atteso che le fatture erano state emesse per operazioni sia soggettivamente che oggettivamente inesistenti.
2.4 I motivi quarto e quinto, da trattarsi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili.
Con essi la ricorrente si duole del vizio di motivazione, laddove non si dà contezza di alcuni fatti addotti e documentati dalla contribuente come l'impiego in uscita del materiale oggetto delle forniture e l'impossibilità di far fronte alle commesse ricevute in assenza delle forniture di merce in questione; lamenta, ancora, l’error in iudicando attesa l'omessa considerazione della circostanza dell'impiego in uscita del materiale oggetto delle forniture e l'impossibilità di far fronte alle commesse ricevute in assenza delle forniture di merce in questione con conseguente violazione dei principi posti dell'articolo 2729 cod. civ. in materia di presunzioni semplici nonché della regola che impone al giudice di merito di valutare le risultanze di causa secondo il proprio prudente apprezzamento a norma dell’art. 116 cod. proc. civ..
Anche qui valgono le considerazioni espresse con riferimento al secondo motivo di ricorso perché le critiche non rivestono i caratteri di una censura di legittimità; esse, sotto l'apparente deduzione del vizio di motivazione e della violazione e falsa applicazione di legge, degradano in realtà verso l'inammissibile richiesta di una rivalutazione dei fatti storici. Vieppiù che, come si è spiegato in relazione al secondo motivo di ricorso, la C.t.r. ha valorizzato come quadro probatorio presuntivo tutte gli elementi in proprio possesso per confermare la natura di cartiera dei soggetti fornitori e la loro accertata mancanza di adeguata struttura organizzativa (le sedi presso strutture inadeguate o riconducibili ad altri soggetti, l’assenza di depositi o loro inadeguatezza, la presenza di automezzi insufficienti per il volume di affari, l’anomalia di più viaggi nello stesso giorno incompatibili con i mezzi disponibili, la partenza di mezzi vuoti, il numero di dipendenti assolutamente insufficienti rispetto all’attività formalmente dichiarata) ed a fronte di ciò alcuna prova contraria di rilievo è stata fornita dalla contribuente.
2.5 Il sesto motivo è infondato.
Con esso, la ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non si sia considerata l'esistenza di componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati così obliterando, il giudice del merito, il compito di accertare la sussistenza della correlazione tra componenti positivi e componenti negativi assolutamente fittizie nonché la valutazione di quale sarebbe stato il regime più vantaggioso per il contribuente.
Quanto alla questione concernente l’onere della prova, il principio affermato dalla C.t.r., che lo ha posto a carico del contribuente, è confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 08/10/2014, n. 21189) secondo cui, con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti (come nel caso di specie), l’art. 8, comma 2, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, come convertito nella legge
L. 26 aprile 2012, n. 44, costituente ius superveniens applicabile alla controversia in forza del successivo comma 3 - a tenore del quale «le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dall’art. 145, comma 4 bis legge 24 dicembre 1997, n. 537, previgente (Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, T.U.I.R. di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti), anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli... - ha infatti stabilito che, ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi», ed ha previsto in tal caso l'applicazione di una sanzione amministrativa. In ipotesi siffatte grava, pertanto, sul contribuente l'onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell'accertamento concorso alla formazione del reddito, siano anch'essi fittizi perché ricavi correlati, vale a dire direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o restati (Cass. 20/11/2013, n. 25967, Cass. 12/12/2013, n. 27821).
Quindi, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente l'onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi dell'art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, ove direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi.
Pertanto, correttamente i giudici di appello hanno ribaltato sulla società ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza di eventuali correlazioni tra componenti positive e componenti negative fittizie e ciò in forza del richiamato art. 8 del d.l. n. 16 del 2012 che prescrive che, nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, è il contribuente a dover dimostrare che esistono componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati; inoltre, qualora venisse dimostrata la diretta afferenza per ogni singola operazione contestata, si dovrà valutare quale sia il regime più vantaggioso per il contribuente in quanto i componenti positivi direttamente afferenti potranno essere scomputati esclusivamente entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi ed inoltre si renderà applicabile la sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell'ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, indicati nella dichiarazione dei redditi.
Nel caso di specie, a tale prova contraria, la società non è affatto approdata, stagliandosi, invece, imponente il quadro probatorio quale acquisito dalle risultanze delle indagini penali.
2.6 Il settimo ed il nono motivo, da trattarsi congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili.
Con essi, la ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, da un lato, si sia disconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA, trattandosi di fatture emesse anche per operazioni soggettivamente inesistenti, ciò in violazione del consolidato principio di matrice europea, secondo il quale il diritto alla detrazione previsto dagli artt. 17 e ss. della cd. sesta direttiva, non può essere soggetto, in linea di massima a limitazione, siccome parte integrante ed essenziale del meccanismo di funzionamento dell’IVA, dall’altro, laddove non si sono dedotti i costi relativi all'acquisizione di beni o servizi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti perché, anche ad ammettere che si verta in un'ipotesi di interposizione soggettiva, questa circostanza non consentirebbe di per sé di escludere la ricorrenza delle condizioni richieste dall'art. 109, quinto comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 atteso che le fatture in contestazione sono inserite in una contabilità regolare, i prezzi praticati sono in linea con le normali quotazioni di mercato, i pagamenti sono avvenuti con strumenti tracciabili e le transazioni hanno ad oggetto il materiale ordinariamente sottoposto a lavorazione e trasformazione dalla cessionaria.
I motivi sono inammissibili per violazione del principio di autosufficienza e concretezza dei motivi posti a sostegno dello stesso.
Va rilevato che il ricorso per Cassazione deve avere come oggetto la dettagliata e puntuale contestazione del giudizio di merito, pertanto, se l'atto non si concreta in una censura specifica della motivazione della sentenza impugnata finisce per diventare un'inammissibile richiesta di riedizione del giudizio di merito, che in ogni caso appare sfornita del requisito dell'autosufficienza quanto alla deduzione di elementi probatori che smentirebbero l'attendibilità del quadro valutativo desunto dai giudici di merito.
Quanto alla specifica problematica sottoposta con i motivi di ricorso, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell'IVA, «l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta; la prova della consapevolezza dell'evasione richiede che l'Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. 20/04/2018 n. 9851, cfr. tra le tante, Cass. 15/05/2018, n. 11873; Cass. 05/07/2018, n. 17619, Cass. 24/08/2018, n. 21104, Cass. 30/10/2018 n. 27555, Cass. 30/10/2018, n. 27566, Cass. 28/02/2019, n. 5873, Cass. 20/07/2020, n. 15369. Ancora, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati - di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il "costo" sia consistito nel "compenso" versato all'emittente il falso documento) - non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. 12/12/2019, n. 32587, Cass. 21/02/2020, n. 4645).
Nel caso di specie, il motivo di ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, non contiene in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio e accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito.
L'onere di autosufficienza può ritenersi assolto solo attraverso la specifica indicazione delle norme che si assumono essere state violate e dei punti della motivazione dei quali si deduce insufficienza o contraddittorietà; il vizio della sentenza previsto dall'art. 360 n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme violate ma anche soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Risulta pertanto inidoneamente formulata la delazione di errori di diritto individuati attraverso la sola preliminare indicazione delle singole pretese violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contestazione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata ((Cass. 15/10/2014, n. 21858).
Nel caso di specie, a fronte della completezza dell’impianto motivazionale finalizzato a spiegare la complessa operazione architettata, ivi compresa le argomentazioni tese a spiegare come il cessionario sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta, la censura non rappresenta e non concreta la dedotta violazione di legge rispetto ai canoni dell’autosufficienza, non essendo stata proprio dedotta la concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.
2.7 L’ottavo motivo è infondato.
Con esso, la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia nella parte in cui, nella sentenza impugnata, si sia omesso l'esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè l'insussistenza dei vantaggi economici derivanti dagli acquisti, l'esistenza di una effettiva organizzazione aziendale in capo alle cartiere e il fatto che le operazioni contestate ricadevano nel regime del reverse charge.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 10/02/2022, n. 4250, ha affermato il principio di diritto secondo cui «in tema di IVA, e con riguardo al regime del reverse charge o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell'imposta relativa ad un'operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un'evasione dell'IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s'iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA».
Sul punto, la motivazione è ampia ed approfondita laddove, anche sotto questo profilo, la C.t.r. ha valorizzato come quadro probatorio presuntivo tutte gli elementi in proprio possesso per confermare la natura di cartiera dei soggetti fornitori e la loro accertata mancanza di adeguata struttura organizzativa quali le sedi presso strutture inadeguate o riconducibili ad altri soggetti, l’assenza di depositi o loro inadeguatezza, la presenza di automezzi insufficienti per il volume di affari, l’anomalia di più viaggi nello stesso giorno incompatibili con i mezzi disponibili, la partenza di mezzi vuoti, il numero di dipendenti assolutamente insufficienti rispetto all’attività formalmente dichiarata.
Del tutto superfluo, quindi, si profila addurre elementi a conforto della circostanza che i prezzi delle supposte operazioni erano in linea con i prezzi di mercato e, quindi, dell’insussistenza di vantaggi economici atteso che le operazioni sono state dimostrate come oggettivamente e soggettivamente inesistenti.
Allora, assolutamente ultronea deve essere considerata la circostanza che le operazioni contestate ricadessero nel regime del reverse charge, regime che, in termini essenziali, si può descrivere come un meccanismo che addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che diventano soggetti passivi dell’imposta), l’onere di pagare l’IVA sull’operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo.
Anche qui, come correttamente motivato dalla C.t.r., l’esistenza in astratto di un regime speciale ai fini IVA non esclude affatto nei confronti del cessionario il venir meno del diritto alla detrazione dell'imposta e ciò perché se il soggetto che emette la fattura per un'operazione soggettivamente inesistente diventa, a fronte della semplice emissione del titolo, debitore di imposta nei confronti dell'amministrazione finanziaria in virtù del principio di cartolarità, così il destinatario della fattura non può esercitare il diritto alla detrazione dell'imposta in carenza del presupposto fondamentale e cioè l'acquisto effettivo di un bene da parte di un determinato soggetto.
3. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 12.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13, se dovuto.