Dopo la separazione, l'ex coniuge chiede la restituzione della metà del prestito che era stato concesso insieme alla moglie quando erano ancora in regime di comunione legale. Peccato che l'intera somma era già stata restituita alla ex moglie con la sua autorizzazione.
L'odierno ricorrente conveniva in giudizio alcuni parenti della moglie assumendo di avere effettuato nei loro confronti due prestiti insieme alla moglie e previa pattuizione scritta che conteneva il versamento di un cospicuo interesse, chiedendo la restituzione della metà dell'importo versato.
Dal canto loro, i convenuti asserivano di avere...
Svolgimento del processo
1.- L.B. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi ed illustrato da memoria nei confronti di M.D. e P.C. nonché di I.M.T. per la cassazione della sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Venezia n.1392 del 2019, pubblicata il 2 aprile 2019, con la quale è stato rigettato il suo appello e confermata la decisione di primo grado di rigetto della sua domanda, volta ad ottenere dai convenuti la restituzione di una somma pari alla metà di quanto loro prestato anni addietro, da lui e dalla moglie I.M.T..
2.- Resistono con unico controricorso C.P., P.M. e M.I.S. le ultime due quali eredi di M.D. deceduto nel 2017.
3.- I.M.T., regolarmente intimata, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
4.- Questa la vicenda:
-nel 2011 il B. conveniva in giudizio i coniugi M. e P. (parenti della moglie) assumendo di aver effettuato nel 1991 in loro favore, insieme a I.M.T., all'epoca sua moglie, due prestiti, uno per 60.000 € e l'altro per 20.000,00 €, previa redazione di pattuizione scritta comprensiva del versamento di un cospicuo interesse; chiedeva la restituzione del 50% dell'importo versato;
-i convenuti sostenevano di aver restituito l'intero importo già nel 1996-1997 a mani della moglie dell'attore, dalla quale successivamente il B. si era separato e poi aveva divorziato, peraltro su autorizzazione dell'attore, e di aver quindi adempiuto all'obbligazione restitutoria;
-il Tribunale di Verona rigettava la domanda, assumendo che l'intero prestito fosse stato legittimamente restituito, comprensivo di interessi, alla moglie dell'attore. Richiamava l'orientamento di legittimità in tema di solidarietà attiva ricavandone che, affinché sussista la solidarietà attiva, è sufficiente che attraverso l'interpretazione del titolo possa accertarsi univocamente la volontà delle parti di attribuire a ciascuno dei creditori il diritto di pretendere l'adempimento dell'intera obbligazione, con effetto liberatorio anche nei confronti degli altri creditori. Aggiungeva il tribunale che all'epoca dei fatti il B. e la moglie erano coniugati in regime patrimoniale di comunione legale dei beni e che lo erano anche al momento della restituzione da parte dei convenuti dell'intero importo maggiorato degli interessi, per cui, sulla base di una serie di elementi, quali l'unicità del titolo, l'identità dell'oggetto e della causa del rapporto obbligatorio, riteneva implicitamente pattuita tra le parti la solidarietà dal lato attivo del rapporto di mutuo.
5.- La Corte d'appello di Venezia con la sentenza qui impugnata ha confermato il rigetto della domanda.
La pronuncia impugnata riconosce che la ricostruzione in diritto operata dal giudice di primo grado non si pone in effetti in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, dallo stesso richiamata, che richiede, per ammettere la solidarietà dal lato attivo del rapporto obbligatorio, una specifica pattuizione, tuttavia ritiene di tener ferma la soluzione data dal primo giudice nel senso dell'effetto liberatorio del pagamento dell'intero effettuato in favore di uno solo dei coniugi, assumendo che la fattispecie debba essere inquadrata nell'ambito della disciplina della comunione legale tra coniugi. Qualifica i due prestiti come atti di straordinaria amministrazione relativi a beni ricadenti in comunione tra i coniugi, ritiene provato che il denaro concesso in prestito, in assenza di diversa pattuizione (e con l'espresso avallo del B.) fosse stato restituito e pagato a mani della moglie del B. (a ciò autorizzata dal marito). Conferma che pertanto l'obbligazione restitutoria fosse stata correttamente ed interamente estinta. Fonda questa affermazione anche sulle dichiarazioni rese in giudizio dalla teste I.S. (figlia dei debitori, nipote del creditore, ed oggi parte del giudizio in quanto erede del defunto M.) su domanda posta dal giudice, che assume essere stata posta a chiarimenti in esplicazione delle facoltà concesse dall'articolo 253 c.p.c.
6.- La causa è stata avviata alla trattazione in pubblica udienza.
7.- In prossimità della data dell'udienza, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali sostiene l'infondatezza del primo motivo di ricorso e l'assorbimento del secondo, e conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
8.- Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articoli 1292, 1294 e 180 c.c. assumendo che alla fattispecie in esame, relativa a diritti di credito, non sia applicabile la disciplina relativa all'amministrazione dei beni della comunione legale tra i coniugi. Ritiene invece che ad essa avrebbe dovuto essere correttamente applicata la disciplina relativa alle obbligazioni soggettivamente complesse, delle quali si presume la parziarietà dal lato attivo, dovendosi rinvenire nel titolo o in espressa previsione di legge e non da altri elementi estrinsechi, la previsione della solidarietà dal lato attivo. Non risultando la previsione della solidarietà attiva dall'accordo sottoscritto dalle parti al momento della erogazione del prestito, e non essendo essa imposta dalla legge, sostiene il ricorrente che erroneamente la corte d'appello abbia ritenuto i debitori liberati per l'intero importo ricevuto a prestito, in quanto il 50% di esso avrebbe dovuto essere restituito, affinchè il pagamento potesse avere efficacia liberatoria, a lui personalmente.
9.- Il motivo è infondato.
La questione che esso pone è se il pagamento di un importo, effettuato da un terzo a restituzione di una somma presa a mutuo da una coppia di coniugi in regime di comunione legale e pari all'intero ammontare del debito originario comprensivo di interessi, effettuato in favore e a mani di uno solo dei coniugi in regime di comunione legale, abbia effetto estintivo dell'intero credito, e liberatorio dall'obbligazione per chi ha effettuato il pagamento, oppure se il pagamento non sia integralmente liberatorio, mantenendo il coniuge non accipiens il diritto a richiedere al debitore il pagamento in suo favore del 50%.
La questione va risolta, come correttamente ha fatto la corte d'appello, facendo applicazione delle regole che disciplinano la comunione legale, regime patrimoniale adottato dai coniugi creditori prima dell'erogazione del prestito e sussistente al momento della sua restituzione.
E' ben vero infatti che la solidarietà attiva, contrariamente alla solidarietà passiva, non si presume. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la solidarietà attiva fra più creditori sussiste solo se espressamente prevista in un titolo negoziale preesistente alla richiesta di adempimento, non essendo sufficiente all'esistenza del vincolo l'identità qualitativa delle prestazioni ("eadem res debita") e delle obbligazioni ("eadem causa debendi"), con la precisazione che l'interesse a negare detta solidarietà non è attribuibile esclusivamente a ciascuno dei creditori, ma appartiene .anche al debitore ai fini di un corretto e non pregiudizievole assetto dei rapporti obbligatori (Cass. n. 2267 del 2019; Cass. n. 15484 del 2008).
Tuttavia questa regola, invocata dal ricorrente, nel caso di specie non rileva perché esso rientra nell'ambito di applicazione delle regole dettate per la comunione legale, in base alle quali deve ritenersi che in caso di prestito concesso congiuntamente da due coniugi in regime patrimoniale di comunione legale con denaro della comunione, il debitore che restituisca l'intero importo ad uno solo dei coniugi è liberato, per la prevalenza delle regole della comunione legale sul principio della parziarietà delle obbligazioni solidali dal lato attivo.
Il dato di fatto incontroverso, che la corte d'appello pone correttamente a base della regola giuridica utilizzata per risolvere la questione, è che i due soggetti che hanno erogato congiuntamente il prestito, il B. e la I.M.T., fossero al momento in cui i prestiti vennero erogati, coniugi in regime di comunione legale. Non è contestato che i dissapori tra i due, che li hanno portati nel corso degli anni alla separazione e poi al divorzio, si sono concretizzati in un momento successivo.
Il prestito, in quanto concesso congiuntamente, con denaro del quale i coniugi non hanno mai precisato, né nel contratto di mutuo né successivamente, che fosse personale, ed in ragione degli importi significativi, deve ritenersi sia stato erogato con denaro appartenente alla comunione legale. Non avendo i coniugi segnalato che era denaro personale, né indicato di conseguenza gli importi che ciascuno di essi, separatamente, concedeva a mutuo, ed essendo gli stessi in regime di comunione, quel denaro non poteva che provenire dalla comunione legale, non potendo aver altro senso il prestito congiunto, e non esistendo altro patrimonio al quale attingere. Questa valutazione emerge, implicitamente ma univocamente, dalla motivazione della corte d'appello.
Dalla erogazione di un prestito con denaro appartenente alla comunione legale tra i coniugi, sorge un diritto alla restituzione, che non è in favore dei singoli coniugi ma della comunione legale. In ragione di ciò, il B. non era comunque legittimato a chiedere a titolo personale al terzo, debitore della comunione legale, la restituzione del 50% di quanto versato in restituzione alla moglie, perché il credito restitutorio era un credito della comunione legale, e non un credito personale del B.. Avrebbe, se lo avesse ritenuto opportuno, dovuto attivarsi nei confronti della moglie al momento dello scioglimento della comunione legale.
Ma la pretesa è infondata anche per un diverso ordine di considerazioni. Non solo, infatti, l'ex coniuge non era legittimato a richiedere al terzo il pagamento a titolo personale di un credito della disciolta comunione, ma deve ritenersi che il pagamento restitutorio dell'intera somma presa a mutuo, effettuato da un debitore nei confronti di uno solo dei coniugi in comunione legale, sia liberatorio per l'intero.
La ricezione di una somma ingente di denaro, della quale non si specifica che venga incassata a titolo personale, da parte di uno dei. due coniugi in regime di comunione legale, è qualificabile come acquisto, che come tale ricade in comunione, ex art. 177, lettera a) c.c.
Questa Corte ha già più volte affermato che la disciplina dei beni oggetto della comunione legale, di cui all'art. 180 c.c., che impone l'amministrazione congiunta per gli atti di straordinaria amministrazione, presuppone, per la sua operatività, che il bene di cui si discuta sia già oggetto della comunione, e pertanto non è applicabile alla fase dinamica pregressa dell'acquisto del bene alla comunione legale. Pertanto l'annullamento dell'atto, per violazione della regola dell'operare congiunto dei coniugi, la cui osservanza è necessaria ai fini della validità degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, può essere chiesto dal coniuge che non ha dato il necessario consenso quando si tratta di negozi ad efficacia reale od obbligatoria diretti all'alienazione o costituzione di diritti reali su beni immobili o su beni mobili registrati, mentre l'annullabilità non colpisce gli atti di acquisto (Cass. n. 21650 del 2019; Cass. n. 17216 del 2003, che dall'affermazione di questo principio ha tratto la conseguenza applicativa che il contratto preliminare di acquisto di un bene immobile non sia invalido anche se sottoscritto da uno solo dei coniugi).
Inoltre, la ricezione da parte di uno solo dei coniugi di una somma di denaro in restituzione di un prestito concesso con beni della comunione costituisce non un atto idoneo ad obbligare la comunione o a depauperarla, ma al contrario un atto conservativo, e quindi anche sotto questo profilo, il pagamento effettuato al singolo componente della comunione è liberatorio, sulla base dell'articolo 180 c.c., dal quale si ricava la regola che autorizza i coniugi ad agire anche separatamente a tutela della comunione (sulla base del quale Cass. n. 18123 del 2013, e già prima analogamente da Cass. n. 22891 del 2007 hanno affermato che la rappresentanza in giudizio per atti relativi alla amministrazione dei beni facenti parte della comunione legale dei coniugi spetta, a norma dell'articolo 180 cod. civ., ad entrambi i coniugi, e quindi ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, non solo quelle di carattere reale o con effetti reali, diretta alla tutela della proprietà e del godimento della cosa comune, ma anche, e a maggior ragione, quelle relative ai diritti di obbligazione ).
10.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli articoli 244, 253 e 257 c.p.c., avendo la Corte territoriale ritenuto potersi formulare da parte del giudice, in sede di espletamento della prova per testi, domande vertenti su circostanze non capitolate, le cui risposte ha poi posto a fondamento della decisione. Afferma invece che il potere del giudice di formulare domande in sede di assunzione della prova testimoniale è limitato all'acquisizione di chiarimenti su circostanze già ammesse e non a chiarire ulteriori e diverse circostanze di fatto esterne ai capitoli di prova.
Il ricorrente ribadisce quanto già argomentato in appello, ovvero che la convinzione, comunque errata perché fondata su un dato extra testuale, che sia avvenuta l'integrale restituzione del prestito con la consegna delle somme alla sola Indizio si sia formata in capo alla Corte d'appello valorizzando a fondamento del proprio convincimento una dichiarazione resa da una teste non imparziale ( figlia dei debitori e nipote del creditore) e per di più scaturente da domande poste dal giudice palesemente al di fuori dei capitoli di prova ammessi, e nonostante la tempestiva opposizione del difensore all'atto della proposizione stessa della domanda, quindi in violazione dell'articolo 253 c.p.c., che consente soltanto le domande a chiarimenti sui capitoli ammessi.
I controricorrenti, in relazione al secondo motivo di ricorso, osservano che ciò che potrebbe essere astrattamente oggetto di censura, per violazione dell'articolo 253 c.p.c., non è la risposta fornita dal testimone ma la domanda: nella fattispecie non è testualmente riportata nel ricorso la domanda rivolta dal giudice al testimone, per cui è impossibile stabilire se essa avesse la finalità di ottenere un mero chiarimento o se fosse volta a provocare la prova orale su circostanza nuova e non preventivamente ammessa.
11.- Il motivo è assorbito dal rigetto del motivo precedente, perché l'efficacia estintiva del debito totale del pagamento effettuato a mani della ex moglie del ricorrente prescinde, per i motivi esposti in relazione al primo motivo, da una eventuale autorizzazione rilasciata dal ricorrente, o dal suo eventuale riconoscimento dell'estinzione del debito.
Esso sarebbe poi comunque inammissibile, per violazione dell'art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza o meno della violazione dell'art. 253 c.p.c. sarebbe stato necessario che il ricorrente avesse riprodotto con chiarezza il contenuto dei capitoli ammessi, per consentire alla Corte di verificare, anche attraverso il tenore delle risposte, se le domande poste dal giudice effettivamente fossero del tutto fuori capitolo, e quindi volte ad accertare fatti sui quali non era stata chiesta la prova orale, o se costituissero semplici chiarimenti, ammissibili, dello svolgimento di fatti capitolati, e non, soltanto, il contenuto delle risposte.
In ragione della particolarità della fattispecie, le spese del giudizio di legittimità sono compensate.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso la norma del comma 1 bis dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio tra le parti.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.