In caso di condanna per la violazione degli artt. 73 e 74 T.U. stupefacenti, l'art. 120 c.d.s. subordina il rilascio della patente di guida a “provvedimenti riabilitativi”. Per la Cassazione, tale locuzione non può essere ricondotta alla sola riabilitazione ex art. 178 c.p..
A seguito della condanna per i reati previsti dagli
Svolgimento del processo
1. Il giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Aosta condannava M.G. alla pena di anni due, mesi undici e giorni otto di reclusione per i reati previsti e puniti dagli articoli 73 del d.p.r. 309 del 1990 e 648 del codice penale. Con successiva ordinanza del 10 ottobre 2013 il Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta nell’esercizio delle attribuzioni prefettizie, revocava la patente di guida intestata al suddetto G. M. ai sensi dell’articolo 120, secondo comma, del codice della strada. Il provvedimento di revoca della patente non veniva impugnato.
2. Con ordinanza del 26 febbraio 2014 il Tribunale di sorveglianza di Torino disponeva a favore del M. l’affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 47, quarto comma, ordinamento penitenziario e con successiva ordinanza del 14 novembre 2016, visto l’esito positivo della prova come attestato dall’ufficio di esecuzione penale, dichiarava estinta la pena detentiva ed ogni altro effetto penale.
3. Decorsi tre anni dalla data di notifica del provvedimento di revoca della patente il M. veniva ammesso, su sua richiesta, agli esami per conseguire nuovamente la patente di guida che poi gli veniva rilasciata il 5 aprile 2117. Con successiva ordinanza del 17 luglio 2017 il Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta nell’esercizio delle attribuzioni prefettizie, avendo accertato che il M. non aveva ottenuto la riabilitazione ordinava la revoca della patente.
4. Ciò premesso il M. proponeva ricorso in opposizione e chiedeva al Tribunale di Torino di dichiarare l’illegittimità della revoca della patente essendosi estinta la pena detentiva ed ogni altro effetto penale e, quindi, sussistendo il presupposto della riabilitazione prevista dal legislatore al primo comma dell’articolo 120 del codice della strada che consente il rilascio della patente anche a coloro che sono stati condannati per i reati previsti dagli articoli 73 e 74 del d.p.r. n. 309 del 1990.
4.1 Il Tribunale preso atto della sentenza n. 22 del 2018 della Corte Costituzionale di declaratoria di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 120 codice della strada riteneva che la ratio della decisione dovesse estendersi anche al primo comma da leggersi, quindi, nel senso che, anche nel caso di rilascio della patente, la pubblica amministrazione debba discrezionalmente valutare la sussistenza dei presupposti per il rilascio che abbia riportato condanna penale. Il Tribunale considerava, quindi, sussistenti nel caso di specie i presupposti per il rilascio della patente e conseguentemente illegittimo il provvedimento dell’amministrazione.
5. Il Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5.1 La Corte d’Appello di Torino rigettava l’impugnazione. In particolare, riteneva non condivisibile la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la pronuncia della Corte Costituzionale potesse estendersi anche al primo comma dell’articolo 120 e, tuttavia, riteneva rientrante nel novero dei provvedimenti riabilitativi quello che caratterizzava la fattispecie, ovvero l’estinzione del reato per il buon esito dell’affidamento in prova al servizio sociale ex articolo 47 dell’ordinamento penitenziario. Infatti, l’articolo 120, primo comma, codice della strada non faceva riferimento alla riabilitazione prevista dagli articoli 178 e 179 del codice penale ma all’esistenza di “provvedimenti riabilitativi”. Risultava innegabile, quindi, l’analogia tra i due istituti entrambi presupponenti il positivo reinserimento del condannato nel tessuto sociale e la verifica protratta per un certo tempo di un comportamento consono al corretto vivere civile con osservanza delle leggi e presa di distanza da ambienti criminosi. Anche gli effetti dei due istituti erano simili in quanto la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna salvo che la legge disponga altrimenti mentre il positivo superamento della prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. In entrambi i casi si estinguono gli effetti penali della condanna e, tra questi, il venir meno dei requisiti morali necessari per il conseguimento della patente di guida.
6. La Regione Autonoma della Valle d’Aosta nell’esercizio delle funzioni prefettizie ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
7. G. M. è rimasto intimato.
8. Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. C.M., ha proposto conclusioni scritte ex art. 380 bis 1 c.p.c. chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 120, comma 1, codice della strada. La censura attiene all’interpretazione della locuzione provvedimenti riabilitativi di cui all’articolo 120 del codice della strada tale da farvi rientrare anche l’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali. La sentenza si è orientata nei sensi di respingere l’eccezione concernente la riconducibilità al novero dei provvedimenti riabilitativi richiamati dalla norma citata del solo istituto della riabilitazione ex art. 178 e 179 cod. pen. e non anche di quello dell’estinzione della pena a seguito dell’affidamento in prova. A parere della ricorrente il riferimento dell’art. 120, comma 1, dovrebbe necessariamente ricondursi al combinato disposto degli artt.178 e 179 cod. pen. che, in tema di condizioni per la riabilitazione, richiedono prove effettive e costanti di buona condotta per almeno un triennio dal giorno in cui è stata eseguita o si è estinta la pena principale nonché l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Tale opzione ermeneutica troverebbe sostegno anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2019.
2. Il motivo di ricorso è infondato.
2.1 Il Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte ha condiviso l’approdo interpretativo della Corte subalpina laddove ritiene che il tenore letterale dell’articolo 120, comma 1, codice della strada, sia inequivoco nel comprendere, tra i “provvedimenti riabilitativi”, non solo la riabilitazione di cui all’articolo 178 cod. pen., ma anche altri provvedimenti come quello di cui ha beneficiato il M., ossia l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Tanto in virtù di interpretazione letterale del dettato normativo, atteso che l’espressione impiegata dal legislatore, secondo il significato proprio delle parole usate, utilizzando la generica dizione “provvedimenti riabilitativi”, non può che essere intesa nel senso di ricomprendere non solo il provvedimento di riabilitazione previsto dall’articolo 178 cod. pen., dovendo necessariamente attribuirsi a tale formula uno spettro di applicazione più ampio, altrimenti il legislatore avrebbe richiamato specificamente tale solo istituto.
Soccorre, altresì, l’interpretazione teleologica, che evidenzia la comunanza di ratio tra i due istituti della riabilitazione e dell’affidamento in prova al servizio sociale, entrambi finalizzati ad assicurare, in adesione al principio di cui all’articolo 27, comma 3, Cost, il positivo reinserimento del condannato a seguito della verifica positiva della condotta tenuta per un determinato periodo di tempo, cosicché, anche in chiave costituzionalmente orientata, l’interpretazione del giudice del gravame territoriale nell’interpretazione della locuzione di che trattasi si rivela meritevole di piena condivisione.
Infine, anche l’interpretazione sistematica, che ha lo scopo di determinare il significato della disposizione inserita nel sistema legislativo complessivo, depone nel senso della decisione in questa sede impugnata, atteso che entrambi gli istituti richiamati, e quindi non solo la riabilitazione di cui all’articolo 178 cod. pen., ma anche l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, estinguono gli effetti penali della condanna, nella concreta fattispecie la perdita dei requisiti morali necessari per il conseguimento della patente di guida, secondo quanto previsto dall’articolo 120, comma 1, CdS. Conclude il Procuratore Generale, quindi, che l’articolo 120, comma 1, CdS deve essere interpretato nel senso che l’espressione “provvedimenti riabilitativi” ricomprende non solo l’istituto della riabilitazione di cui all’articolo 178 cod. pen., ma anche altri provvedimenti, tra cui quello dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi del disposto di cui all’articolo 47, comma 12, l.n. 354 del 1975 e succ. mod..
3. Il collegio condivide le conclusioni dell’Ufficio della Procura Generale.
Nella specie si discute dell’applicazione dell’art. 120, comma 1, cod. strada, nella parte in cui prevede il diniego in via automatica del rilascio della patente di guida alle persone condannate per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi.
4. La disciplina dei requisiti morali per ottenere il rilascio della patente di guida di cui al citato art. 120 cod. strada è stata oggetto di più pronunce della Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi con la sentenza n. 22 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2° dell’art. 120 Codice della strada nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che intervenga in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – disponeva che il prefetto “provvede” (invece che “può provvedere”) alla revoca della patente.
In sostanza la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo, nei casi previsti dall’art. 120, secondo comma, codice strada, l’automatismo della revoca prefettizia della patente già conseguita. Ciò in base alla considerazione che «[l]a disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega […] in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità». E anche in considerazione della contraddizione insita nel fatto che «agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto invece ha il “dovere” di disporne la revoca».
La suddetta declaratoria di incostituzionalità con successive pronunce, è stata estesa all’intero comma 2° dell’art. 120 Codice della strada, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui disponeva che il prefetto “provvede” (invece che “può provvedere”) alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale o a misure di prevenzione (sent. n. 24 del 2020 e n. 99 del 2020).
4.1 Peraltro, a seguito delle suddette pronunce, si è posta in dubbio l’attribuzione alla giurisdizione ordinaria delle relative controversie. La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno riaffermato la giurisdizione del giudice ordinario in base al seguente principio di diritto: «Anche a seguito della sentenza della Corte cost. n. 99 del 2020 - che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, c.d.s., nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede", anziché "può provvedere", alla revoca della patente di guida nei confronti dei soggetti che sono stati sottoposti a misure di prevenzione ai sensi del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione -, la revoca della patente dà luogo all'esercizio non già di discrezionalità amministrativa, ma di un potere che non affievolisce la posizione di diritto soggettivo del privato; ne consegue che la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto il provvedimento di revoca adottato dal prefetto continua a spettare al giudice ordinario, secondo la regola generale di riparto» (Sez. U, Ord. n. 26391 del 2020).
5. Successivamente la Corte Costituzionale ha escluso che le ragioni che hanno comportato il superamento dell’automatismo della revoca prefettizia siano analogamente riferibili al diniego del titolo abilitativo di cui al comma 1° dell’art. 120 codice della strada (sentenza n. 152 del 2021), che è il caso di cui si discute in questa sede.
La Corte d'Appello, infatti, ha fatto esplicito riferimento a quest’ultima pronuncia della Corte Costituzionale che ha escluso per l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 120 cod. strada - la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. La conclusione della Corte Costituzionale si è fondata sul rilievo che il diniego riflette una condizione ostativa che, diversamente dalla revoca del titolo, opera a monte del suo conseguimento e non incide su alcuna aspettativa consolidata dell’interessato. Inoltre, non ricorre, in questo caso, la contraddizione, che ha assunto decisivo rilievo in tema di revoca della patente, tra obbligatorietà del provvedimento amministrativo e facoltatività della parallela misura adottabile dal giudice penale in relazione alla medesima fattispecie di reato. Infine, l’effetto ostativo al conseguimento della patente non incide in modo “indifferenziato” sulla posizione dei soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti. La diversa gravità del reato commesso, unitamente alla condotta del reo successiva alla condanna, assume, infatti, determinante rilievo ai fini del possibile conseguimento (anche dopo un solo anno nel caso di condanna con pena sospesa) di un provvedimento riabilitativo (ex artt. 178 e 179 del codice penale), che restituisce al condannato il diritto a richiedere la patente di guida» (sentenza n. 80 del 2019 e ordinanza n. 81 del 2020). Questi stessi argomenti risultano estensibili alle questioni relative al diniego di rilascio del titolo a coloro che siano o siano stati sottoposti a misure di prevenzione. Infatti, con riferimento a queste ultime è prevista la possibilità di ottenere, sebbene dopo tre anni, la riabilitazione prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 159 del 2011.
6. Dalla lettura dell’ultimo passo della sentenza n. 152 del 2021 sopra riportato emerge come la stessa Corte Costituzionale affermi un’interpretazione “aperta” della dizione “provvedimenti riabilitativi” di cui all’art. 120, comma 1, cod. strada ricomprendedovi anche la riabilitazione prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 159 del 2011.
D’altra parte, come evidenziato dal P.G., anche la lettera della legge è nel senso di un richiamo generale ai provvedimenti riabilitativi mancando un rinvio formale o espresso agli artt. 178 e 179 del codice penale.
L’interpretazione della Corte d’Appello (fatta propria anche dal P.G.) è supportata anche dalla stessa giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte. Si è evidenziato, infatti, che l’art. 47, comma 12, ord. pen. fa esplicito riferimento all’estinzione degli “effetti penali”. La norma citata testualmente recita: L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue.
Dunque, il legislatore ha testualmente previsto una efficacia estintiva estesa complessivamente “agli effetti penali”. La terza sezione penale, modificando un precedente orientamento, ha equiparato l'art. 47, comma 12, ord. penit., all’art. 178 cod. pen, sia pure al fine della impossibilità della valutazione della sentenza di condanna ai fini della recidiva. In tale occasione si è sottolineato che gli "effetti penali" menzionati dalla norma (e menzionati anche, significativamente, dall'art. 106 cod. pen.) sarebbero, né più né meno, nonostante l'ellitticità della espressione, coincidenti con gli "effetti penali della condanna" di cui all'art. 178 cod. pen. (Sez. 3, Sentenza n. 27689 del 2010).
Tale interpretazione è stata successivamente condivisa anche dalle Sezioni Unite Penali (sentenza n. 5859 del 2012) che hanno nuovamente affermato la suddetta equiparazione. In particolare, si legge nella citata sentenza n.5859 del 2012 che: l'art. 47, comma 12, Ord. Pen. comunque fa conseguire alla estinzione della pena (totale o residuale) l'ulteriore effetto della estinzione di "ogni altro effetto penale". Non ha senso poi disquisire sul fatto che gli "effetti penali" cui si riferisce l'art. 47, comma 12, Ord. Pen. non siano collegati formalmente al termine "condanna", a differenza di quanto rinvenibile nell'art. 178 cod. pen., in tema di riabilitazione. L'art. 106, comma secondo, cod. pen. non contempla (e quindi non impone) una simile specificazione; e d'altro canto sarebbe ben arduo immaginare "effetti penali" non scaturenti da una "condanna" ma soltanto da una "pena", estinta o non che essa sia.
7. Sulla base delle esposte argomentazioni deve affermarsi, in conformità con le conclusioni del P.G., che l’art. 120, comma 1, codice strada nella parte in cui si riferisce ai “provvedimenti riabilitativi” ricomprende non solo l’istituto della riabilitazione di cui all’articolo 178 cod. pen., ma anche altri provvedimenti, tra cui quello indicato dalla Corte Costituzionale della riabilitazione prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 159 del 2011 e quello dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi del disposto di cui all’articolo 47, comma 12, l.n. 354 del 1975 e succ. mod.
8. Il ricorso è rigettato. Nulla sulle spese non avendo svolto attività difensiva la parte intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.