Non rileva la posizione dei parcheggi ove si erano posizionati gli imputati rispetto al quarto collega che si era posto trasversalmente bloccando la vettura Uber.
La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado con la quale gli imputati erano stati condannati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile per il reato di violenza privata. Nello specifico, protagonisti della vicenda sono dei tassisti che in sede di protesta contro le liberalizzazioni erano stati accusati di avere...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 08/04/2021 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia: a) (omissis) (omissis), (omissis) e (omissis) (quest'ultimo non ricorrente in cassazione), alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, (omissis), in relazione al reato di violenza privata consumato in danno di quest'ultimo (capo 1); b) il medesimo (omissis) e (omissis) (omissis) alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, (omissis), in relazione al reato di violenza privata consumato in danno di quest'ultimo (capo 2).
2. Nell'interesse dell'(omissis), del (omissis) e del (omissis) è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192 e dell'art. 530 cod. proc. pen., nonché omessa assunzione di prova decisiva e, infine, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Con riferimento all'episodio di cui al capo 1, si osserva: a) che la Corte d'appello non aveva accolto la richiesta difensiva di visionare il filmato contenuto nel dischetto prodotto dal P.M., dal quale si desumeva che, diversamente da quanto riferito dall'agente (omissis), all'arrivo della Polizia di Stato, solo il taxi del(omissis) era posizionato trasversalmente rispetto all'autovettura del (omissis), mentre i taxi dell’(omissis) e del (omissis) era parcheggiati a distanza di circa cinquanta metri; b) che il dato dimostrava l'estraneità di quest'ultimi alla condotta del primo, talché poteva darsi che la Polizia avesse proceduto alla loro identificazione solo per ragioni investigative, essendosi i due fermati per assistere all'accaduto; c) che del tutto illogica era la spiegazione del tempo trascorso fornita dalla Corte territoriale per giustificare il fatto che il (omissis) avesse scagionato l'(omissis) d) che, sempre in relazione a tale episodio, le dichiarazioni dei testimoni (omissis) (omissis) e (omissis) erano diverse l'una dall'altra; e) che l'agente (omissis) aveva dichiarato di non avere visto segni di violenza e di contatto fisico degli appellanti che erano stati collaborativi e avevano manifestato civilmente la loro protesta; f) che, in ogni caso, in entrambi gli episodi erano stati il (omissis) e il (omissis) a non osservare le prescrizioni degli art. 3 e 11 della I. n. 21 del 1992, ancorché la violazione fosse stata contestata solo al secondo); f) che, con riguardo all'episodio di cui al capo 2), l'agente (omissis) aveva riferito di non ricordare nulla e che la situazione era piuttosto tranquilla e gli altri testi ((omissis) (omissis) e (omissis), ossia i passeggeri dell'autovettura del (omissis)) avevano escluso un comportamento aggressivo di (omissis) e (omissis); g) che il (omissis) aveva riferito di avere riconosciuto in questura l'(omissis), ma che, essendo mancata l'acquisizione del fascicolo, il riconoscimento era privo di qualunque valore; h) che comunque l'(omissis) nel suo interrogatorio aveva completamente scagionato il (omissis), il quale era sopraggiunto dopo l'arrivo della Polizia e si era limitato a fargli compagnia, e aveva riferito che egli stesso non aveva partecipato alla protesta ed era rimasto sul posto proprio perché aveva la coscienza tranquilla; i) che in ogni caso il foglio di esercizio prodotto dalla difesa del (omissis) documentata il suo impegno dalle ore 3.10 alle ore 4.59.59 in zone diverse.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione dell'art. 610 cod. pen., essendo la condotta qualificabile al più come interruzione di pubblico servizio, non penalmente rilevante per il limitato turbamento provocato.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa L.O., la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile
Comune alle censure relative ad entrambi gli episodi è la premessa per la quale (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021) è estraneo all'ambito applicativo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167).
Ora, con riguardo all'episodio di cui al capo 1), il concorso del (omissis), dell'(omissis) e del (omissis) è confermato dalle deposizioni del (omissis), della cliente costretta a lasciare l'autovettura e dall'agente (omissis)
Si osserva, inoltre: a) che la Corte territoriale dimostra di avere visionato il filmato (acquisito agli atti e costituente prova laddove nell'atto di appello si insisteva nella mera proiezione in pubblica udienza), chiarendo che le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza, pur fornendo una inquadratura non continuativa della scena, confermano la versione del (omissis); b) che il fatto che all'arrivo dell'auto della Polizia - otto - dieci minuti dopo la richiesta, secondo lo stesso ricorso - i taxi dei ricorrenti (omissis) e (omissis) potessero trovarsi a distanza non smentisce affatto la ricostruzione della situazione al momento nel quale l'auto del (omissis) è stata bloccata; c) che la Corte territoriale ha anche aggiunto che, in considerazione della posizione dei due taxi posti indietro sulla strada, se anche il (omissis) fosse riuscito a fare retromarcia, non sarebbe potuto andare da nessuna parte, con la conseguenza che, diversamente da quanto lamentato in ricorso, non è la distanza alla quale si trovavano parcheggiati i due taxi ad assumere rilievo dirimente; d) che la ragione centrale per la quale è del tutto irrilevante che a distanza di tre anni e mezzo il (omissis) non abbia riconosciuto l'(omissis) è data dal fatto che la sua presenza in loco non è controversa e che comunque fu identificato dall'operante; e) che il ricorso non si confronta minimamente con il giudizio di inattendibilità del teste (omissis) argomentato dalla sentenza impugnata per relationem rispetto a quella di primo grado.
Del pari aspecifiche e finalizzate ad ottenere una rivisitazione delle risultanze istruttorie sono le censure che investono il secondo episodio, che non si confrontano con l'univocità delle dichiarazioni del (omissis) (del tutto generico e irrilevante rimanendo il tema degli accertamenti operati in questura, rispetto alle dichiarazioni dibattimentali) e degli altri elementi valorizzati dalla Corte d'appello, senza che la documentazione cartacea relativa al servizio del (omissis) in altre zone scardini la ricostruzione dei giudici di merito, sol che si ponga mente al fatto che è incontroverso che il ricorrente si trovava - sia pure, secondo la sua prospettazione, per fare compagnia all'(omissis) - in loco.
Il fatto che i passeggeri dell'autovettura condotta dal (omissis) non abbiano riferito di un comportamento aggressivo degli imputati è, poi, una deduzione meramente assertiva, non suffragata da un puntuale confronto con le obiettive risultanze istruttorie (incidentalmente si osserva che, proprio nell'atto di appello, si dà atto che i testi avevano dichiarato che diversi tassisti sconosciuti avevano cervato di impedire al (omissis) di chiudere la portiera della sua autovettura, asserendo che i clienti avrebbero dovuto prendere un taxi e non un veicolo Uber; sempre nell'atto di appello si legge che gli stessi testi avevano riferito che erano stati seguiti durante il percorso da alcuni tassisti che avevano cercato di tagliare la strada all'auto sulla quale viaggiavano).
2. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Premesso che sono estranee al thema decidendum le questioni relative alle violazioni della l. n. 21 del 1992 - peraltro accertate nei riguardi del solo(omissis) - si osserva che, secondo le condivise conclusioni già raggiunte da questa Corte, il reato di interruzione di un pubblico servizio non include concettualmente il comportamento intimidatorio dell'agente, che può rappresentare perciò elemento costitutivo del reato autonomo e concorrente di violenza privata (Sez. n. 679 del 18/11/1982 - dep. 27/01/1983, Cattaneo, Rv. 157113 - 01; e, infatti, nessun dubbio quanto alla sussistenza del concorso, ha avuto Sez. 5, n. 7084 del 16/10/2015 - dep. 23/02/2016, P., Rv. 266063 - 01).
3. L'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 - 01, proprio con riguardo alla prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.