Con la pronuncia in commento, la Corte Suprema risponde al quesito.
Svolgimento del processo
1. La società «C. S.p.a.» ricorre per l'annullamento della sentenza dell'11/09/2020 del GIP del Tribunale di Mantova che, ai sensi degli artt. 444 e segg., cod. proc. pen., ha applicato nei suoi confronti la sanzione amministrativa pecuniaria di 22.933,00 euro per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-undecies, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 231 del 2001 (per la violazione dell'art. 452-quinquies cod. pen.), e l'ha condannata al pagamento delle spese processuali.
1.1. Con due motivi lamenta la condanna al pagamento delle spese processuali e deduce, al riguardo, il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica sul punto nonché l'inosservanza o comunque l'erronea applicazione degli artt. 63, d.lgs. n. 231 del 2001, 445 e 535 cod. proc. pen.
Motivi della decisione
2.11 ricorso è fondato.
3. Osserva il Collegio:
3.1. l'art. 63, d.lgs. n. 231 del 2001, contempla la possibilità, per l'ente, di chiedere (ed ottenere) l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria alle condizioni previste dal primo e dal terzo comma;
3.2. il primo comma rimanda, a tal fine, all'osservanza delle «disposizioni di cui al titolo II del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto applicabili»;
3.3. il GIP ha condannato l'ente alle spese sul rilievo che la sentenza di applicazione della pena è equiparata dall'art. 445, comma 1-bis, seconda parte, cod. proc. pen., ad una sentenza di condanna;
3.4. la ricorrente obietta che, all'epoca dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 231, cit., né l'art. 444, né l'art. 445 cod. proc. pen. contemplavano il cd. "patteggiamento allargato", introdotto solo con legge n. 134 del 2003, con la conseguenza che la condanna alle spese, in caso di applicazione di una pena detentiva superiore a due anni, non può essere tralaticiamente ritenuta applicabile in caso di patteggiamento dell'ente.
4. Tanto premesso, va in primo luogo ricordato che l'argomento secondo il quale la condanna alle spese si giustifica in conseguenza della equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna non è affatto convincente. Già prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 134 del 2003, il primo comma dell'art. 445, cod. proc. pen., equiparava la sentenza di applicazione della pena a quella di condanna e, tuttavia, nello stesso comma, escludeva la condanna al pagamento delle spese del procedimento («La sentenza prevista dall'articolo 444 comma 2, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'art. 240 comma 2 del codice penale. Salvo quanto previsto dall'articolo 653, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.»). Tale equiparazione (e la contestuale esclusione della condanna alle spese) preesisteva, peraltro, alle ancor meno recenti modifiche introdotte dalla legge n. 97 del 2001, ed era stata affermata dal codice di rito sin dalla prima formulazione della norma («La sentenza prevista dall'articolo 444 comma 2, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'art. 240 comma 2 del codice penale. Anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.»).
4.1. La condanna alle spese è stata introdotta solo successivamente, quando la possibilità di chiedere l'applicazione concordata della pena è stata estesa anche in caso di patteggiamento ad una pena detentiva non superiore a cinque anni di reclusione, sicché da tale condanna restano (oggi) indenni solo gli imputati condannati ad una pena finale non superiore a due anni di reclusione. L'art. 63, d.lgs. n. 231 del 2001, è rimasto immutato nel tempo ma l'argomento difensivo del "rinvio fisso" alle norme codicistiche che disciplinano il patteggiamento non è persuasivo. L'applicazione della sanzione pecuniaria amministrativa su richiesta dell'ente, infatti, è ammessa «se il giudizio nei confronti dell'imputato è definito ovvero definibile a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale» (art. 63, cit., primo comma); seguendo il ragionamento della ricorrente, l'ente non potrebbe mai "patteggiare" la sanzione quando, per esempio, nei confronti dell'imputato è stata applicata una pena detentiva superiore a due anni di reclusione; per converso, l'ente potrebbe "patteggiare" la sanzione anche quando l'imputato non potrebbe definire il giudizio con il patteggiamento per la presenza, magari, di reati ostativi introdotti quale condizione negativa del patteggiamento dopo il 2001 (come quelli, ad esempio, previsti dal comma 1-bis dell'art. 444, cod. proc, pen. aggiunto dalla legge n. 134 del 2003) ovvero in caso di mancata restituzione del prezzo o del profitto del reato nei casi previsti dal successivo comma 1-ter.
4.2. Va piuttosto evidenziato che l'allargamento della possibilità, per l'imputato, di chiedere l'applicazione della pena concordandola con il pubblico ministero e la contestuale previsione di ipotesi ostative chiamano in causa il solo concetto di (astratta) "definibilità" del giudizio mediante patteggiamento, incidendo sui presupposti che legittimano l'ente a chiedere e ottenere una sentenza di "patteggiamento", ma non sulle concrete conseguenze che riguardano esclusivamente l'imputato-persona fisica. Il rapporto processuale che si costituisce mediante l'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'imputato persona fisica è, infatti, del tutto autonomo e indipendente da quello costituito dall'esercizio dell'azione nei confronti dell'ente, e i relativi esiti non necessariamente devono coincidere se ciò non è espressamente previsto dalla legge. La decisione dell'imputato-persona fisica di chiedere l'applicazione della pena in misura superiore a due anni di reclusione non può ridondare a danno dell'ente il quale non può, sol per questo, essere condannato al pagamento delle spese processuali in caso di separato, autonomo patteggiamento, a maggior ragione se l'imputato patteggia una pena pari o inferiore a due anni di reclusione (evidente, sarebbe, in tal caso, la disparità di trattamento se l'ente fosse invece condannato alle spese).
4.3. 11 fatto che l'imputato-persona fisica abbia patteggiato la pena costituisce un requisito di ammissibilità del patteggiamento dell'ente ma non performa il contenuto dell'azione esercitato nei confronti dell'ente stesso, né ne condiziona gli esiti, come si desume dal fatto che l'ente può patteggiare la sanzione anche quando il giudizio a carico dell'imputato-persona fisica è astrattamente definibile (ma non definito) con il patteggiamento. E' appunto il concetto di "definibilità" che costituisce la chiave di lettura della norma perché ne smarca i presupposti applicativi dalle separate vicende processuali dell'imputato persona fisica, ancorandone il presupposto applicativo alla sola astratta possibilità che il giudizio possa essere definito dall'imputato con il patteggiamento, possibilità che, al netto delle condizioni stabilite dall'art. 444, commi 1-bis e 1-ter, cod. proc. pen., impegna il giudice in una valutazione (solo) incidentale sulla possibilità per l'imputato di definire in concreto il giudizio mediante patteggiamento.
4.4. Altro argomento a sostegno della autonomia dei due procedimenti speciali deriva dal fatto che ulteriore presupposto applicativo del patteggiamento dell'ente è costituito dal fatto che, a prescindere dalle vicende processuali dell'imputato-persona fisica e dalla definizione o astratta definibilità del giudizio nei confronti di questi, l'ente può sempre chiedere l'applicazione della sanzione nei casi in cui per l'illecito amministrativo è prevista, come nel caso di specie, la sola sanzione pecuniaria. Tale presupposto applicativo del patteggiamento dell'ente non è mai mutato nel tempo, non giustificandosi, dunque, la condanna al pagamento delle spese, in assenza di uno specifico intervento normativo che non ha mai interessato l'art. 63, d.lgs. n. 231 del 2001.
4.5. Deve dunque affermarsi che la sentenza di applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell'ente ai sensi dell'art. 63, d.lgs. n. 231 del 2001, non può comportare la condanna dell'ente stesso alle spese processuali.
4.6. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla condanna alle spese che deve essere eliminata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione di condanna della SPA C.alle spese di giudizio, statuizione che elimina.