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8 agosto 2022
Straining: il rapporto interpersonale “teso” non basta a fondare la responsabilità del datore per la malattia del lavoratore

Il rapporto interpersonale, infatti, specialmente se inserito in una relazione gerarchica continuativa, è una possibile fonte di tensioni il cui sfociare in una malattia del lavoratore non è di per sé indice di responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c..

La Redazione

Una dipendente del Comune agiva nei confronti di quest'ultimo assumendo di essere stata oggetto di demansionamento e di vessazioni anche a causa della denuncia da lei presentata per le irregolarità nelle selezioni dei dirigenti e del personale al quale attribuire mansioni organizzative.
La domanda veniva accolta dal Giudice di primo grado limitatamente al profilo del demansionamento ma, a seguito di gravame, la Corte d'Appello rigettava integralmente la pretesa poiché aveva ritenuto assente la prova dell'intento vessatorio, la quale è necessaria ai fini dell'integrazione della fattispecie di mobbing.
La dipendente propone ricorso in Cassazione contro quest'ultima decisione, lamentando tra i diversi motivi il fatto che la Corte non avesse valutato le numerose visite mediche a cui era stata sottoposta nel tempo dalle quali era emersa la presenza di disturbi psichici la cui insorgenza era connessa all'attività di lavoro.

Con l'ordinanza n. 24339 del 5 agosto 2022, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Con riferimento alla doglianza della ricorrente con la quale ella evidenziava il nesso causale tra le sindromi psichiche e il lavoro, gli Ermellini affermano che tali certificati non sono destinati a far prova rispetto alle valutazioni tecnico-mediche ovvero in relazione all'insorgenza causale dei disturbi legata a condotte datoriali, in quanto il medico non poteva avere diretta e personale contezza di ciò e nemmeno rispetto all'illegittimità dei comportamenti del Comune.
Come osserva la Corte, ciò che viene in rilevo con la suddetta documentazione è piuttosto una valutazione giuridica volta a fondare una responsabilità datoriale, ma non sotto il profilo del mobbing, poiché esso prescinde dalla legittimità o meno dei comportamenti datoriali, qualificandosi per la ricorrenza dell'elemento della intenzionalità, su cui la Corte territoriale ha ritenuto non esservi prova.
Diversamente, la Cassazione rileva che emerge il tema del cd. straining sotto il profilo dell'obbligo del datore di garantire un ambiente idoneo allo svolgimento sicuro della prestazione, elemento che potrebbe non escludere l'inadempimento ove il lavoro si manifesti in sé nocivo per la connotazione indebitamente stressogena. In tal senso, però, devono essere evidenziate le conclusioni del Giudice in relazione alle discussioni sorte con il datore di cui parla la ricorrente, le quali, per gli elementi da ella descritti, delineano solo una divergenza interpersonale sul luogo di lavoro ma senza delineare una situazione di nocività. Il rapporto interpersonale, infatti, specialmente se inserito in una relazione gerarchica continuativa, è una possibile fonte di tensioni il cui sfociare in una malattia del lavoratore non è di per sé indice di responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., sempre che non vi sia stata una esorbitanza nei modi rispetto a quelli appropriati per il confronto umano.
Segue il rigetto del ricorso.

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