Sbaglia la Corte d'Appello a ritenere che al momento della redazione del testamento, la de cuius non avesse altri beni all'infuori della quota degli immobili attribuiti al coniuge con disposizione testamentaria. Per la Cassazione, il giudice non può espungere dall'indagine i beni in ipotesi acquistati prima del testamento soltanto perché non ancora intavolati.
Il fratello della de cuius rivendicava la qualità di erede legittimo in concorso con il coniuge superstite sul rilievo che, in contrasto con la devoluzione ex lege dell'eredità, quest'ultimo aveva ottenuto dal Tribunale un certificato di eredità nel quale si assumeva che fosse l'unico erede della moglie. In particolare,...
Svolgimento del processo
La presente causa riguarda la successione di M.F., la quale ha disposto di propri beni con testamento, dichiarando di volere lasciare in eredità al coniuge B.G. «la parte di mia proprietà, equivalente a metà dell'immobile e del terreno, siti in (omissis), adiacenti all'attuale abitazione del sig. B., situata al n. (omissis) di detta via [...]».
La causa è stata promossa dal fratello della de cuius M. GG. deduceva che, in contrasto con la devoluzione ex Jege dell'eredità, il B. aveva ottenuto dal Tribunale di Gorizia un certificato di eredità nel quale si assumeva che fosse l'unico erede della moglie. Diversamente il testamento non attribuiva al coniuge se non la quota parte di quell'unico bene, aprendosi sul resto la successione legittima, che vedeva il concorso del coniuge con il fratello della de cuius.
Il Tribunale ha accertato che la disposizione di cui sopra costituiva istituzione di erede ai sensi dell'art. 588, comma 2, c.c.., confermando quindi il certificato di eredità rilasciato dal Tribunale di Gorizia.
Contro la sentenza ha proposto appello M. G., sostenendo che la disposizione testamentaria, correttamente interpretata, costituiva legato e non istituzione di erede.
La Corte d'appello ha confermato la decisione di primo grado, osservando che, nella specie, ricorrevano una pluralità di elementi che «portano a attribuire al B. la qualifica di erede ex re certa ex art. 588, comma secondo c.c.; allo stesso, infatti, la de cuius intese attribuite il bene indicato come frazione rappresentativa dell'intero patrimonio [...]».
La Corte d'appello ha argomentato, fra l'altro, in base al rilievo che «risulta dai documenti di causa che, al momento della redazione del testamento, la de cuit1s era titolare unicamente del bene indicato nella scheda testamentaria; gli ulteriori beni caduti in successione le pervennero successivamente come risulta dal decreto tavolare del 22 settembre 2003; già da questo punto di vista pertanto appare corretta la ricostruzione fatta dal tribunale che ha valorizzato dal punto di vista oggettivo il contenuto del testamento [...]».
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. Gianfranco, sulla base di tre motivi.
B.G. ha resistito con controricorso.
La causa, in un primo tempo fissata per la trattazione m camera di consiglio, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza del 21 dicembre 2017.
In prossimità dell'udienza camerale il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia travisamento della prova e violazione dell'art. 588, comma 2, c.c..
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d'appello ha riconosciuto che, al momento della redazione del testamento, la de cuius non avesse altri beni all'infuori della quota degli immobili di cui ha disposto per testamento in favore del coniuge. Si sostiene che la testatrice, come risultava dalla relazione di consulenza tecnica, era comproprietaria dei beni, acquistati in concorso con il fratello a seguito della successione dei genitori, apertesi nel 1980 e nel 1987, prima della redazione del testamento, che risale al 1994, beni che costituivano la parte più cospicua del patrimonio. Si fa notare ancora che, a seguito di richiesta di informazioni disposta nel corso del giudizio di primo grado, era stato appurato che la de cuius era titolare di cospicue somme di denaro e di investimenti mobiliari.
1.1. Il motivo è fondato. Di fronte all'attribuzione testamentaria di beni determinati occorre vedere quale sia stata la intenzione del testatore, se di attribuire quei beni e soltanto quelli come beni determinati e singoli, ed allora si avrà successione a titolo particolare o legato, ovvero se, pur indicando nominativamente quei beni, il testatore abbia inteso lasciarli quale quota del suo patrimonio, ed allora si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede (Cass. n. 6125/2020; n. 24163/2013). Trattasi comunque di una quaestio vo!11ntatù, che va esaminata dal giudice di merito in base ai canoni ermeneutici fondamentali (Cass. n. 5773/1980). È certamente ammesso il ricorso a qualunque mezzo utile ai fini della ricostruzione della volontà del testatore (Cass. n. 4582/1980); si deve tuttavia convenire con chi suggerisce un'applicazione ermeneutica rigorosa della disposizione (cfr. Cass. n. 42121/2021; n. 5625/1985; n. 3304/1981; n. 3452/1973). Il carattere universale della disposizione potrà essere riconosciuto solo qualora, dopo attento esame di tutto il complesso delle disposizioni testamentarie, resti accertata l'intenzione del testatore di considerare i beni assegnati come una quota della universalità del suo patrimonio (Cass. n. 5414/1978).
Si osserva giustamente che può esservi istituzione ex re certa anche se questa non costituisce una quota rilevante del patrimonio del testatore (Cass. n. 1029/1971).
1.2. In materia di istituzione ex re certa uno dei problemi maggiormente dibattuti attiene alla destinazione dei cespiti dei quali il testatore non abbia espressamente disposto, o perché da lui ignorati, o perché da lui volontariamente taciuti o, ancora, perché sopravvenuti al momento della confezione del testamento.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito in passato che l'instit11tio ex re certa vale a determinare la quota dell'istituito, non già ad attribuirgli la qualità di unico erede (Cass. n. 737/1963). La possibilità del concorso fra l'istituito ex re e l'erede legittimo è stata in tempi recenti riconosciuta da Cass. n. 17868/2019. È stato precisato che in mancanza di una manifestazione contraria all'apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege. (arg. ex art. 734 c.c.). La quota dell'istituito ex re è determinata, perciò, in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento. Nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell'asse, succede l'erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituisce connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda (Cass. n. 9487/2021).
Nella giurisprudenza della corte di cassazione, è stato talvolta affermato un principio, apparentemente diverso da quello recepito dalla giurisprudenza più recente, che sembra negare, in termini assoluti, la possibilità del concorso fra l'erede legittimo e l'istituito ex re, che sarebbe l'unico erede in virtù della forza espansiva implicita nel riconoscimento della qualifica ereditaria (Cass., S.U., n. 17122/2018; n. 12158/2015). In verità, come recentemente chiarito da Cass. n. 42121 del 2021, nei casi definiti da quelle pronunce l'esclusione della concorrente apertura della successione legittima si sarebbe giustificata pure in base alla tesi, fatta propria dalla recente giurisprudenza di legittimità, in base alla quale deve ammettersi la possibilità del concorso fra successione legittima e successione testamentaria anche in caso di istituzione ai sensi dell'art. 588, comma 2, c.c.
1.3. Il connotato essenziale della istituzione ex re certa non va ricercato nell'implicita volontà del testatore di attribuire all'istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell'assegnazione del bene determinato o del complesso di beni come quota del suo patrimonio (Cass. n. 42121/2021). Ciò che è essenziale ai fini del riconoscimento del carattere universale della disposizione, piuttosto, è la possibilità di una partecipazione anche dell'erede istituito ex re anche all'acquisto di altri beni e quindi la sua attitudine a raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto attraverso il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite e il valore dell'intero asse (Cass. n. 5773/1980; n. 2050/1976; n. 1368/1971). Se non vi è quella attitudine, ma l'acquisto è limitato esclusivamente a beni determinati, il chiamato, anche se designato erede, non può che essere considerato legatario (Cass. n. 42121 /2021)
1.4. Consegue da quanto sopra che, in materia di interpretazione di una disposizione testamentaria di uno più beni determinati, l'indagine, sulla composizione del patrimonio del testatore al momento della formazione della scheda, è rilevante ad ampio raggio, non solo per stabilire se la disposizione sia legato o istituzione di erede, ma, in ipotesi risoltasi la questione interpretativa nel senso della istituzione ex re, al fine di stabilire se c1 siano i presupposti del concorso dell'erede istituito con l'erede legittimo.
1.5. La Corte d'appello, ai fini dell'interpretazione della natura della disposizione, ha posto l'accento sul fatto che la testatrice, al momento della redazione del testamento, non aveva altri beni all'infuori della quota degli immobili attribuiti al coniuge. Sulla base di tale elemento, considerato insieme a elementi desunti del testamento ed elementi ricavati aliunde, ha riconosciuto che la disposizione si caratterizzava quale istituzione ex re certa, conseguendone il riconoscimento dell'erede ex re quale unico erede.
Si innesta qui la ragione di censura proposta con il motivo in esame, con il quale si sostiene che la composizione del patrimonio della testatrice era, in quel momento, ben più ampia, perché comprendeva i beni che la de cuius aveva ereditato pro quota dai genitori.
1.6. Risulta con estrema chiarezza dalla sentenza impugnata che la Corte d'appello, al fine di stabilire se la testatrice avesse o no altri beni oltre a quello oggetto del lascito in favore del coniuge, ha operato il confronto non fra la data di redazione del testamento e l'apertura della successione dei genitori, ma fra la data di redazione del testamento e il decreto tavolare riferito ai beni acquisitati in forza della duplice success10ne, che era intervenuto in epoca successiva, solo nel 2003.
Il ragionamento rivela duplice errore. In primo luogo la Corte d'appello non ha considerato che si discuteva di beni acquistati mortis causa, rispetto ai quali opera il seguente principio: «Per i beni soggetti al regime tavolare, ai sensi del r.d. n. 499 del 1929, l'efficacia costitutiva dell'iscrizione o intavolazione è limitata ai soli atti tra vivi e non è estensibile ai trasferimenti per successione ereditaria, in relazione ai quali, ex art. 3 del citato decreto, l'intavolazione nemmeno ha il valore di condizione di opponibilità, occorrendo verificare la qualità di erede secondo la normativa successoria; ne consegue che la sola intavolazione del certificato di eredità compiuta su iniziativa di un determinato soggetto, anche nell'interesse di altro beneficiario, non può di per sé determinare l'acquisto della qualità di erede in capo a quest'ultimo, in assenza di una esplicita ratifica - che non si esaurisca nella mera inerzia - necessaria per l'accetta7,ione dell'eredità» (Cass. n. 9713/2017).
A un attento esame l'approccio seguito dalla Corte di merito risulta comunque improprio. Il giudice, chiamato a qualificare una disposizione testamentaria come eredità o legato, o chiamato a stabilire se la disposizione, in ipotesi considerata istituzione ex re, esaurisca o meno l'asse tenuto presente dal testatore, non potrebbe espungere dall'indagine i beni in ipotesi acquistati prima del testamento, soltanto perché non ancora intavolati. Il ragionamento della Corte d'appello, sviluppato nelle sue estreme conseguenze, porterebbe a dire che il giudice dovrebbe ignorare i beni intavolati il giorno successivo alla formazione del testamento, nonostante il titolo si fosse in quel momento già formato e il testatore ne fosse pienamente consapevole: il che e conclusione palesemente irragionevole, certamente non giustificata dal principio secondo cui, posta l'efficacia costitutiva della iscrizione, l'inscrivente consegue la titolarità del diritto reale solo a seguito della intavolazione di esso.
2. È assorbito il secondo motivo, con il quale si denuncia omesso esame di fatto decisivo, costituito dalla minuziosa descrizione del bene oggetto del lascito testamentario, che deponeva per la qualificazione della disposizione come legato, essendo eccezionale, al cospetto di un lascito di un bene determinato, la successione a titolo universale.
È assorbito anche il terzo motivo, con il quale si censura, sotto molteplici profili, il valore interpretativo attribuito agli elementi estrinseci all'atto (in particolare le espressioni riportate su un'agenda della de cuius).
3. In conclusione è accolto il primo motivo, sono assorbiti i restanti.
La causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra e liquiderà le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione anche per le spese.