Con la sentenza in commento, il TAR Lazio dispone l'annullamento dell'art. 2, comma 3, D.M. n. 163/2020 nella parte in cui penalizza i professori rispetto ai dottori di ricerca sottoponendoli ad una valutazione per comprovare la loro esperienza.
La controversia trae origine dal ricorso presentato da un professore ordinario di diritto amministrativo contro il D.M. 1° ottobre 2020, n. 163 recante «disposizioni in materia di conferimento del titolo di avvocato specialista» ed in particolare contro l'art. 2, c. 3. A tal proposito, il ricorrente lamenta l'illogicità della disposizione nella parte in cui prevede che «il titolo di avvocato specialista possa essere conferito anche ai titolari di dottorato di ricerca, senza prevedere per costoro ulteriori verifiche, mentre onera i professori ordinarî di dimostrare la propria comprovata esperienza sottoponendoli ad una procedura di valutazione, ovvero a seguire con profitto percorsi formativi almeno biennali».
Investito della questione, il TAR Lazio dichiara l'illogicità della disposizione predetta nella misura in cui «consentendo il conseguimento del titolo di avvocato specialista al dottore di ricerca (ossia colui che è dotato delle “competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione”, così art. 4 D.M. 30 aprile 1999, n. 224) nega la medesima possibilità al professore ordinario, che ha raggiunto la “piena maturità scientifica” (v. art. 3, comma 2, lett. a) d.m. 7 giugno 2016, n. 120) e che quindi dimostra una maggiore competenza scientifica nel settore».
Pertanto, il TAR Lazio accoglie il ricorso con sentenza n. 10834 del 1° agosto 2022, conseguendone l'annullamento dell'art. 2, c. 3 D.M. n. 163 in quanto illegittimo nella parte in cui «non prevede che il titolo di avvocato specialista possa esser conferito dal CNF anche ai professori ordinari nei relativi settori di specializzazione». Ciò anche alla luce del disposto dell'
TAR Lazio, sez. I, sentenza (ud. 20 luglio 2022) 1° agosto 2022, n. 10834
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Parte ricorrente, già professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università degli studi di …. sino al 1° novembre 2011 (data di collocamento a riposo), impugnava il d.m. 1° ottobre 2020, n. 163, (recante disposizioni in materia di conferimento del titolo di avvocato specialista) ed in particolare l’art. 2, comma 3.
2. Si costituiva in resistenza l’amministrazione intimata, mentre non si costituiva il Consiglio nazionale forense (Cnf).
3. Con successivi motivi aggiunti il ricorrente chiedeva l’annullamento della delibera Cnf con cui si rigettava l’istanza vòlta all’inserimento del nominativo dell’interessato nell’elenco degli avvocati specialisti.
4. A quest’ultimo ricorso era unita istanza di sospensione interinale degli atti gravati: essa veniva chiamata dalla camera di consiglio del 23 marzo 2022, durante la quale il procuratore della parte rinunciava alla tutela cautelare.
5. All’udienza pubblica del 20 luglio 2022 il Collegio tratteneva la causa per la decisione di merito.
6. Con un unico motivo di ricorso si lamenta l’incoerenza e l’illogicità del decreto gravato, nella parte in cui prevede (art. 2, comma 3 d.m. 163 cit.) che il titolo di avvocato specialista possa essere conferito anche ai titolari di dottorato di ricerca, senza prevedere per costoro ulteriori verifiche, mentre onera i professori ordinarî di dimostrare la propria comprovata esperienza sottoponendoli ad una procedura di valutazione, ovvero a seguire con profitto percorsi formativi almeno biennali.
6.1. Con il ricorso per motivi aggiunti, invece, si denuncia l’illegittimità derivata del provvedimento del Cnf con cui veniva negato il conferimento del titolo di avvocato specialista.
7. Il ricorso è fondato.
7.1. Invero, il titolo di avvocato specialista, previsto dall’art. 9 l. 31 dicembre 2012, n. 247 si «può conseguire all’esito positivo di percorsi formativi almeno biennali o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione» secondo le modalità fissate con disciplina regolamentare dal Ministero della giustizia: quest’ultima veniva inizialmente dettata con d.m. 12 agosto 2015, n. 144, successivamente modificato per mezzo del d.m. 163 cit. in questa sede impugnato.
7.2. In particolare, tra le modifiche in questa sede rilevanti, va osservato che l’art. 2, comma 3 d.m. 163 cit. ha ampliato la possibilità di ottenere il titolo di avvocato specialista potendo «essere conferito dal Consiglio nazionale forense anche in ragione del conseguimento del titolo di dottore di ricerca, ove riconducibile ad uno dei settori di specializzazione».
7.3. Orbene, senza approfondire il tema circa la riconducibilità della menzionata ipotesi ai casi di positivo superamento di percorsi formativi ovvero di comprovata esperienza nel settore, è evidente che una simile disposizione è illogica nella misura in cui consentendo il conseguimento del titolo di avvocato specialista al dottore di ricerca (ossia colui che è dotato delle «competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione», cosí art. 4 d.m. 30 aprile 1999, n. 224) nega la medesima possibilità al professore ordinario, che ha raggiunto la «piena maturità scientifica» (v. art. 3, comma 2, lett. a) d.m. 7 giugno 2016, n. 120) e che quindi dimostra una maggiore competenza scientifica nel settore.
7.4. Conseguentemente, il ricorso deve accogliersi con annullamento dell’art. 2, comma 3 d.m. 163 cit., risultando esso illegittimo nella parte in cui non prevede che il titolo di avvocato specialista possa esser conferito dal Cnf anche ai professori ordinarî nei relativi settori di specializzazione. Ciò anche alla luce del disposto dell’art. 9, comma 8 l. 247 cit. che espressamente prevede che «gli avvocati docenti universitari di ruolo in materie giuridiche e coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni».
7.5. L’accoglimento – nei limiti indicati – del ricorso avverso il decreto ministeriale travolge anche il provvedimento del Cnf impugnato con motivi aggiunti, attesa l’illegittimità derivata dello stesso.
8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Condanna il Ministero resistente alla rifusione delle spese di lite in favore del ricorrente che liquida in € 1.500,00 oltre accessorî di legge. Compensa le spese relative alle altre parti.