Nel caso di specie, infatti, la Questura si era limitata ad accertare l'irreperibilità del richiedente senza porre in essere le attività utili ad accertarne l'indirizzo.
Il Questore di Brescia disponeva l'archiviazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno avanzata da un cittadino straniero con conseguente obbligo di lasciare il Paese entro 10 giorni a pena di espulsione, poiché egli, dopo essere stato ritualmente convocato presso gli Uffici competenti ai fini dell'espletamento della pratica, non era comparso.
Il cittadino straniero si rivolgeva al TAR lamentando il fatto che in occasione del primo appuntamento gli addetti alla Questura non avevano rinvenuto i documenti utili all'istanza di rinnovo, invitandolo dunque a tornare una seconda volta, mentre la seconda convocazione non era stata ricevuta, poiché inoltrata ad un indirizzo errato.
Il TAR rigettava il ricorso ritenendo che il ricorrente non si fosse adoperato per porre la Questura al corrente del suo indirizzo corretto, dunque il medesimo impugna il provvedimento dinanzi al Consiglio di Stato.
Con la sentenza n. 6881 del 4 agosto 2022, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso, rilevando come un unico tentativo di accesso all'indirizzo di residenza dichiarato dall'istante non sia sufficiente ad affermarne la irreperibilità.
A tal proposito, il Consiglio di Stato evidenzia il principio di buona fede, concetto giuridico generale che si riempie di contenuto a seconda della fattispecie che viene in rilievo, permeando anche il diritto amministrativo nei casi in cui l'Autorità pone in essere la sua attività tipicamente autoritativa.
In tal senso, il dovere della P.A. di attivare il soccorso istruttorio è confermato dalla disciplina speciale di cui all'
Per questa ragione, la sentenza del TAR deve essere riformata, poiché i Giudici ne ravvisano un difetto di istruttoria alla base, essendosi la Questura limitata ad accertare l'irreperibilità del richiedente senza porre in essere le attività utili ad accertarne l'indirizzo. L'Amministrazione avrebbe invece dovuto reiterare la richiesta di integrazione documentale e collaborare con l'istante, consentendogli l'integrazione delle carenze documentali che erano state a lui inizialmente addebitate.
Da ciò deriva l'illegittimità del provvedimento reiettivo.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 19 maggio 2022) 4 agosto 2022, n. 6881
Svolgimento del processo
1. Con ricorso innanzi al TAR Brescia, il sig. omissis, cittadino straniero, impugnava il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno a lui opposto dal Questore di Brescia.
Il sig. -omissis-rappresentava di aver formulato in data 25 settembre 2013, tramite il servizio predisposto da Poste Italiane, l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno ormai prossimo alla scadenza e di essere stato ritualmente convocato presso gli Uffici della Questura di Brescia per i controlli di rito, una prima volta in data 6 novembre 2013 e, attesa la mancata comparizione, una seconda volta il giorno 19 novembre 2013.
In ragione della mancata comparizione ad entrambe le convocazioni, il Questore di Brescia, preso atto dell’impossibilità di portare a termine il procedimento preordinato al rinnovo del permesso di soggiorno e valutata la perdurante assenza dell’odierno appellante come disinteresse alla conclusione del procedimento in esame, con decreto del 26 maggio 2014 disponeva l’archiviazione dell’istanza, con conseguente obbligo di lasciare il Paese entro 10 giorni, pena l’espulsione.
Nel ricorso di prime cure il sig. -omissis-articolava due motivi di gravame volti a censurare il diniego opposto dalla Questura perché affetto da erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria.
Il sig. -omissis-contestava alla Questura di avergli sostanzialmente impedito di sottoporsi ai controlli giacché in occasione del primo appuntamento gli addetti della Questura non avevano rinvenuto il kit postale dell’istanza di rinnovo e pertanto lo avevano invitato a tornare in un secondo momento, una volta ricevuta la convocazione a mezzo posta.
Successivamente, egli non aveva ricevuto la seconda convocazione poiché recapitata a un indirizzo errato.
2. A seguito dell’udienza pubblica del 25 ottobre 2017 con la sentenza n. 1499 del 29 dicembre 2017 il TAR Lombardia - Brescia, ha rigettato il ricorso proposto dal sig. omissis, sulla base del fatto che egli non si sarebbe adoperato per mettere la Questura al corrente del suo indirizzo corretto, dovendo quindi imputarsi soltanto a lui la mancata comparizione in Questura per i controlli di rito.
3. Con ricorso notificato il 29 giugno 2018 e depositato il 30 luglio 2018, il sig. -omissis-ha impugnato la sentenza del TAR Brescia proponendo un unico motivo di appello nel quale censura la sentenza del giudice di prime cure per aver rilevato che la comunicazione del cambio di residenza sarebbe successiva alle convocazioni in Questura e che egli avrebbe mostrato disinteresse alla definizione del procedimento.
L’appellante sostiene che il TAR avrebbe omesso di rilevare il difetto di istruttoria alla base del provvedimento impugnato, laddove l’Amministrazione non avrebbe verificato congruamente l’indirizzo del sig. -omissis-e non avrebbe correttamente verificato l’effettivo recapito delle convocazioni ma avrebbe emesso un provvedimento di diniego così importante basandosi su un occasionale mancato reperimento dell’istante.
3.La Questura di Brescia si è costituita in giudizio depositando le produzioni documentali già rese nel giudizio di primo grado.
All’esito della camera di consiglio del 6 settembre 2018 questo Collegio ha rigettato con ordinanza la richiesta di sospensione cautelare avanzata dal ricorrente.
All’udienza del 19 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
L’appello proposto dal sig. -omissis-deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere riformata per le seguenti ragioni.
In punto di fatto, deve rilevarsi che dalla documentazione depositata dall’Amministrazione risulta un unico tentativo di accesso presso l’indirizzo di residenza dichiarato dall’istante, sicché la circostanza che egli non sia stato trovato non appare sufficiente ad affermarne l’irreperibilità, come del resto testimonia il fatto che il cittadino straniero è stato raggiunto dal provvedimento con cui è stata definitivamente rigettata l’istanza.
Ciò detto, occorre valorizzare il principio di buona fede, inteso quale concetto giuridico generale che si riempie di contenuto a seconda della fattispecie che viene in rilievo. Superando le problematiche che derivano dalla ricerca di una nozione unitaria di buona fede, rispetto alle quali è sufficiente in questa sede richiamare il nucleo precettivo costituito dai doveri di correttezza e lealtà, il principio de quo è oggi innalzato a clausola generale dell’ordinamento giuridico, in grado di permeare ogni ambito del diritto.
Sebbene la buona fede trovi il proprio terreno di elezione nel diritto civile, in particolare nella materia delle obbligazioni, il principio in esame permea anche il diritto amministrativo non soltanto quando l’Amministrazione opera jure privatorum, ma anche quando pone in essere la sua attività tipicamente autoritativa.
Il principio di buona fede quale canone dell’azione amministrativa autoritativa ispira, ad esempio, l’istituto del soccorso istruttorio, la cui attivazione si impone a fronte di mere irregolarità amministrative sanabili. Ai sensi dell’art. 6 della l. n. 241/1990, il responsabile del procedimento è tenuto a chiedere le integrazioni documentali utili alla più completa istruttoria procedimentale, non potendosi limitare ad addurre l’incompletezza dei documenti posti a supporto dell’istanza per concludere nel senso dell’adozione di un provvedimento negativo, senza aver prima posto il soggetto istante in condizione di completare l’istanza in questione.
Il dovere della Pubblica Amministrazione di attivare il soccorso istruttorio, già contemplato nella legge generale sul procedimento amministrativo, è peraltro confermato dalla disciplina speciale contenuta nell’art. 5, co. 5, del d.lgs. n. 286/1998, in forza del quale il rinnovo del permesso di soggiorno è rifiutato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, «sempre che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili». La disposizione è chiara nel ritenere che la presenza di irregolarità amministrative sanabili non sia di per sé sufficiente a legittimare il provvedimento reiettivo dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno.
L’attivazione del soccorso istruttorio, che assume i connotati di un atto doveroso e non meramente facoltativo, si giustifica in ragione dell’esigenza che l’Amministrazione, in attuazione del dovere di buona fede, tenga in debita considerazione l’interesse del privato al rilascio del provvedimento. Un simile obiettivo, peraltro, risulterebbe vanificato ove si ritenga che l’autorità competente, pur avendo attivato il soccorso istruttorio, non abbia il dovere di reiterare la notifica della richiesta di integrazione documentale a seguito di un unico tentativo risultato vano. Tanto più l’obbligo di reiterare la notifica si impone se, come nel caso di specie, vengono in rilievo posizioni giuridiche di rilievo costituzionale attinenti ai diritti fondamentali della persona.
Infine, a conferma di quanto precede, è opportuno richiamare l’intervento del Legislatore che, eliminando ogni dubbio circa l’estensione del canone della buona fede ai rapporti tra privato e Pubblica Amministrazione, con l’art. 12, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, ha introdotto il co. 2-bis dell’art. 1 della l. n. 241/1990, in forza del quale «i rapporti tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede».
2. Alla luce delle suddette considerazioni, la sentenza di primo grado deve essere riformata nella parte in cui il TAR non ha ravvisato il difetto di istruttoria alla base del provvedimento impugnato, giacché la Questura si è limitata ad accertare l’irreperibilità del sig. -omissis-senza porre in essere le attività necessarie a verificare con certezza l’indirizzo di quest’ultimo.
In presenza di una notifica non andata a buon fine, l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto - in osservanza delle predette regole di buona fede – reiterare la richiesta di integrazione documentale. Non solo, allorquando egli era venuto a conoscenza delle ragioni del provvedimento reiettivo e aveva manifestato l’intenzione le sue censure avverso il diniego reiterando la dichiarazione sul suo status di lavoratore dipendente, la Questura avrebbe dovuto collaborare con l’odierno appellante, consentendogli di integrare le carenze documentali inizialmente a lui addebitate. Tali doveri di correttezza e di collaborazione, invero, si colorano di maggiore incisività se si considera la delicatezza dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno, in relazione alla quale vengono coinvolti interessi di rilievo costituzionale e internazionale attinenti ai diritti fondamentali della persona. A fronte di interessi così delicati, a giudizio del Collegio, appare tollerabile – in un’ottica di bilanciamento – l’onere dell’Amministrazione di procedere, quantomeno, a una seconda notifica.
3. In conclusione, la mancata notifica degli avvisi di convocazione per l’espletamento delle verifiche istruttorie sulla domanda di rinnovo, comporta l’illegittimità del provvedimento reiettivo, risultando insufficiente il riferimento nella parte motiva dell’atto alla circostanza secondo cui l’istante avrebbe manifestato nei fatti una totale mancanza di interesse alla conclusione del procedimento in esame, soprattutto ove emerga dagli atti un unico tentativo di accesso da parte dell’Autorità presso la dimora del cittadino straniero.
Ne discende, quindi, che l’atto di appello proposto dal sig. -omissis-deve essere accolto e la sentenza TAR Lombardia - Brescia n. -omissis-deve essere riformata.
Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra le parti, ricorrendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso in primo grado e annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.