L'addebito disciplinare contestato al lavoratore consisteva nella violazione di norme derivanti da direttive aziendali e pertanto conoscibili solo se regolarmente affisse in un luogo accessibile a tutti i dipendenti.
In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Roma accoglieva il gravame di un lavoratore dichiarando inefficace il licenziamentodisciplinare intimatogli dalla società datrice, sul rilievo della mancata preventiva affissione del codice disciplinare. I giudici di secondo grado rilevavano che la...
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Roma ha accolto parzialmente il reclamo di G. C. e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato inefficace il licenziamento disciplinare intimato il 7.11.2013 dalla P. Metalmeccanica s.r.l. senza la previa affissione del codice disciplinare.
2. La Corte territoriale ha premesso che G. C. aveva lavorato alle dipendenze della P. Metalmeccanica s.r.l. dal 1993; che dal 2010 era stato addetto in via esclusiva all’infilaggio di tubi di rame all'interno dei diaframmi di plastica costituenti una struttura portante denominata castelletto; che negli anni dal 2011 al 2013 aveva ricevuto varie contestazioni disciplinari per scarso rendimento e provvedimenti disciplinari di sospensione dal servizio e dalla retribuzione; che in data 7.11.2013 era stato licenziato con preavviso a seguito di una contestazione disciplinare con cui gli si addebitava “una voluta lentezza nello svolgere la mansione affidata”, unitamente alla recidiva specifica; che il tribunale, sia in fase sommaria e sia nella successiva fase di opposizione, aveva rigettato la domanda avendo accertato rendimenti del lavoratore (invalido civile al 50% ma giudicato idoneo alla mansione assegnatagli) pari o inferiori al 50% rispetto alla media produttiva del reparto.
3. I giudici di appello, per quanto ancora interessa, hanno rilevato come la contestazione disciplinare avesse ad oggetto la violazione, non di doveri fondamentali del lavoratore o del c.d. minimo etico, che devono presumersi conosciuti da tutti, bensì di una specifica regola tecnica di produttività, legata ad un determinato standard medio fissato dall’azienda in base alla propria organizzazione produttiva e alla media raggiunta dagli altri dipendenti con identiche mansioni; che, in ragione di tali caratteristiche, il datore di lavoro avrebbe dovuto preliminarmente informare i lavoratori della rilevanza disciplinare della violazione della citata regola di produttività, mediante affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti; che tale adempimento non potrebbe considerarsi irrilevante nel caso in esame, in cui la medesima condotta era già stata oggetto di sei precedenti contestazioni disciplinari e di corrispondenti sanzioni nei confronti del lavoratore, che aveva quindi consapevolezza del rilievo disciplinare della stessa, poiché l’obbligo di preventiva pubblicazione era riferito anche alla previsione della recidiva specifica, idonea a determinare una progressione sanzionatoria, nel senso di legittimare l’irrogazione di una sanzione estintiva e non più solo conservativa; che l’onere di preventiva pubblicazione del codice disciplinare non era stato assolto dal datore di lavoro, circostanza pacifica in causa.
4. Avverso tale sentenza la P. Metalmeccanica s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. G. C. ha resistito con controricorso.
5. La società ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ.
Motivi della decisione
6. Con l’unico motivo di ricorso è dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; inoltre, violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 416, 244 e 345 cod. proc. civ. ed errata motivazione per omessa ammissione dei mezzi di prova.
7. Si censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto pacifica la mancata preventiva affissione del codice disciplinare.
8. Si afferma che l’allegazione del lavoratore, di mancata fissione del codice disciplinare, era stata espressamente contestata dalla società nella memoria di costituzione nella prima fase del rito Fornero, al punto n. 17, in cui era dedotto che “il codice disciplinare è affisso nella bacheca aziendale sita nello stabilimento in un luogo aperto ed accessibile a tutti i dipendenti”; nella memoria di costituzione la società aveva anche chiesto l’ammissione di prova testimoniale sulla circostanza di cui al punto n. 17; analoga contestazione con richiesta di prova testimoniale era stata svolta nella memoria di costituzione nella fase di opposizione.
9. Si sostiene che la Corte di merito abbia errato là dove ha ritenuto non assolto l’onere di prova della società in ordine alla affissione del codice disciplinare, senza avere dato accesso alla prova ritualmente richiesta sul punto.
10. Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
11. In tema di sanzioni disciplinari, qualora le violazioni contestate non consistano in condotte contrarie ai doveri fondamentali del lavoratore, rientranti nel cd. minimo etico o di rilevanza penale, bensì nella violazione di norme di azione derivanti da direttive aziendali, suscettibili di mutare nel tempo, in relazione a contingenze economiche e di mercato ed al grado di elasticità nell'applicazione, l’ambito ed i limiti della loro rilevanza e gravità, ai fini disciplinari, devono essere previamente posti a conoscenza dei lavoratori, secondo le prescrizioni dell’art. 7 St. lav. (v. Cass. n. 54 del 2017; n. 22626 del 2013).
12. La previa pubblicizzazione delle norme disciplinari relative alle sanzioni ed alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata assolve alla funzione sostanziale di garanzia di legalità e prevedibilità dell'esercizio del potere disciplinare, realizzata mediante la pubblicizzazione della delimitazione concordata dalle parti collettive dell'ambito dell'intervento repressivo, in relazione alla tipizzazione degli addebiti, alla graduazione della loro rilevanza e gravità ed alla correlazione con le sanzioni previste (v. Cass. n. 54 del 2017 cit., in motivazione).
13. L'affissione del codice disciplinare, ai sensi del primo comma dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, costituisce una forma di pubblicità condizionante il legittimo esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, il cui adempimento deve essere provato dal datore medesimo. Tale formalità pubblicitaria, che non ammette equipollenti, è diretta ad assicurare la conoscibilità legale della normativa disciplinare (di fonte convenzionale od unilaterale), sicché, come il lavoratore non può invocare la personale ignoranza delle norme disciplinari regolarmente affisse, così il datore di lavoro, ove sia mancata la regolare affissione delle stesse norme, non può utilmente sostenere che il lavoratore ne fosse altrimenti a conoscenza (Cass. n. 1800 del 1987; v. anche Cass. n. 1208 del 988; n. 1861 del 1990; più recentemente, v. Cass. n. 33811 del 2021, in motivazione).
14. La sentenza impugnata ha considerato pacifica, cioè non contestata dalla società datoriale, la circostanza della mancata affissione del codice disciplinare.
15. La società ricorrente ha censurato tale affermazione affermando di avere contestato, nella memoria di costituzione in primo grado, sia in fase sommaria e sia nel giudizio di opposizione, l’allegazione di controparte sulla mancata affissione del codice disciplinare, e di aver chiesto, nelle memorie di costituzione, l'ammissione di prove sulla avvenuta affissione.
16. La società, tuttavia, non ha allegato e neanche dimostrato di avere ripetuto le suddette allegazioni e istanze probatorie anche nel giudizio di reclamo. La mancata riproposizione nel giudizio di secondo grado delle allegazioni e istanze di prova ha determinato le conseguenze di cui all’art. 346 cod. proc. civ.
17. Deve escludersi la dedotta violazione dell’art 2697 cod. civ., atteso che la Corte di merito ha correttamente addossato alla parte datoriale l’onere di prova della preventiva affissione ed ha ritenuto tale onere non assolto, non risultando formulate nella memoria di costituzione in appello istanze istruttorie sul punto.
18. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
19. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza.
20. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, in € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.