
Tutto aveva preso origine dalla querela che era stata presentata da sette condomini di un condominio di 51 unità nei confronti, tra l'altro, di una collaboratrice della società che amministrava il Condominio per appropriazione indebita.
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Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 01/04/2021, la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza del 08/07/2020 del Tribunale di Milano di condanna di P.M. per il reato di appropriazione indebita aggravata in concorso.
Secondo il capo d'imputazione, alla M. era contestato il «reato di cui agli artt. 110, 646, 61 n. 11 c.p. perché, in concorso con M.S.L. nei cui confronti si procede separatamente, in qualità di collaboratrice della società Amministrazioni M. s.r.l. e amministratrice dello stabile ubicato in (omissis) in via (omissis), potendo liberamente operare sul conto corrente intestato al "Condominio via (omissis) nella persona dell'amministratore pro tempore" sul quale venivano versati i proventi delle rate condominiali relative alla gestione del predetto condominio, negli anni 2012-2013-2014, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropriava di somme di denaro del condominio, distraendo un importo pari ad € 27.608,49, in favore di beneficiari estranei ai fornitori del condominio. Con l'aggravante di aver commesso il fatto abusando del rapporto di prestazione d'opera. In (omissis), dal 31.12.2012 al 02.01.2014».
2. Avverso tale sentenza della Corte d'appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione P.M., per il tramite del proprio difensore, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce l'«[i]nosservanza delle norme processuali rilevanti ai sensi dell'art. 606 comma 1° lett. b C.p.p., in relazione alla mancata declaratoria di improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela con specifico riferimento all'ordinanza emessa dal Tribunale in violazione del DL 36/2018 art. 12 contenente norme transitorie».
Dopo avere premesso che la querela proposta da sette dei cinquantuno condomini del condominio era invalida in quanto proposta da soggetti non legittimati - giacché la valida proposizione dell'istanza di punizione da parte di un condominio presuppone uno specifico incarico conferito all'amministratore dall'assemblea condominiale - la ricorrente lamenta che, posto che, alla data di entrata in vigore del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, l'azione penale non era stata esercitata (essendo il decreto di citazione a giudizio del 31 luglio 2018), a norma del comma 2 dell'art. 12 di detto decreto legislativo l'informazione alla persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela doveva essere data dal pubblico ministero (che, però, non lo aveva fatto) e non poteva essere data, come invece era avvenuto, dal giudice (in particolare, dal Tribunale di Milano), atteso che «[q]uest'ultimo [...] può informare la parte lesa solo se l'esercizio dell'azione penale è avvenuto prima dell'entrata in vigore della norma»; con la conseguenza che «il Tribunale avrebbe dovuto prendere atto che mancava il requisito di procedibilità pronunciando sentenza di non luogo a procedere, poiché agli atti vi era una querela sottoscritta da soggetti non legittimati e la querela depositata in seguito dall'amministratore di condominio era tardiva, dato che il termine per la presentazione non doveva calcolarsi sulla base della data di notifica dell'ordinanza del Tribunale bensì dall'entrata in vigore del DL 36/2018».
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'«[e]rronea applicazione della norma processuale rilevante ex art. 606 comma 1° lett. c in odine alla mancata correlazione del fatto contestato con il contenuto della sentenza ex art. 521 c.p.p. Declaratoria di nullità della sentenza di primo grado).
Premesso che il fatto le era stato contestato come commesso nella qualità di collaboratrice della società Amministrazioni M. s.r.l. e non di amministratrice del condominio, e rilevato che, come era emerso dagli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, detta società aveva iniziato la propria attività solo dopo le appropriazioni contestate, essendo subentrata nell'amministrazione del condominio solo nel 2015, la ricorrente lamenta che «[n]on vi è, quindi, correlazione tra il contenuto del capo d'imputa1zione nel quale è stato enfatizzato [il] ruolo di collaboratrice della società Amministrazion[i] M., rispetto alle distrazioni che sono state assunte a presupposto della condanna che non hanno attinenza con la società».
Motivi della decisione
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. La Corte d'appello di Milano ha ritenuto che: a) era stata proposta una valida querela da parte dei condomini prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 36 de 2018; b) in ogni caso, la querela era stata validamente proposta (a seguito dell'informazione, da parte del Tribunale di Milano, ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2018) dall'amministratore del condominio, in forza dell'incarico conferitogli dall'assemblea condominiale.
Entrambe tali statuizioni sono pienamente corrette e resistono alle censure formulate con il motivo di ricorso.
1.2. Quanto alla prima, essa è conforme ai più recenti approdi della giurisprudenza della Corte di cassazione, che il Collegio condivide, la quale, anche alla luce delle statuizioni delle Sezioni unite civili della stessa Corte (Sez. U civ., n. 10934 del 18/04/2019, Rv. 653787-01; Sez. U civ., n. 19663 del 18/09/2014), ha ormai chiarito che - posto che la nomina dell'amministratore non è sempre necessaria e che manca una norma che investa esplicitamente ed esclusivamente il condominio e il suo amministratore del potere di difendere le parti comuni (come confermato anche dalla previsione dell'art. 1117-quater cod. civ. che, in tema di tutela delle destinazioni d'uso, contempla espressamente il potere d'iniziativa dei singoli condomini) - il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all'amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune (Sez. 2, n. 45902 del 27/10/2021, Santoro, Rv. 282444-01, Sez. 2, n. 6594 del 27/11/2020, Lo Savio, non massimata, pronunce relative entrambe proprio a una fattispecie di appropriazione indebita, da parte dell'amministratore, del denaro versato dai condomini per le spese comuni; nello stesso senso, Sez. 3, n. 49392 del 03/07/2019, V., Rv. 278261-01).
Pertanto, stante la validità della querela presentata dai sette (legittimati) condomini, la condizione di procedibilità era, anche per ciò solo - come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello di Milano - sussistente.
1.3. Comunque, quanto alla querela proposta, a seguito dell'informazione da parte del Tribunale di Milano ai sensi del comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2018, dall'amministratore del condominio, la denunciata inosservanza di tale disposizione deve ritenersi manifestamente insussistente.
Nel dettare le disposizioni transitorie in materia di reati cl1e, per effetto del d.lgs. n. 36 del 2018, erano divenuti perseguibili a querela della persona offesa (come l'appropriazione indebita aggravata a norma dell'art. 61, n. 11, cod. pen.), l'art. 12 di tale decreto, con riguardo al caso - che viene qui pacificamente in rilievo - in cui, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse «pendente il procedimento», ha stabilito, al comma 2, che «il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata».
Nel perseguire lo scopo di «impedire che i procedimenti promossi per reati originariamente perseguibili di ufficio possano chiudersi con una sentenza di proscioglimento per mancanza di querela sulla base di una "fictio legis" e non già a seguito di una formale iniziativa rivolta dal giudice alla persona offesa in ordine alla facoltà di esercizio della privata doglianza» (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino), il cita.to comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2018 ha affidato tale iniziativa, nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero e, dopo l'esercizio dell'azione penale, al giudice.
Tale norma individua pertanto, in relazione alla fase in cui si trova il procedimento, il soggetto (pubblico ministero o giudice) competente a dare il previsto avviso alla persona offesa.
Ferma restando tale competenza, oggetto della norma de quo, si deve rilevare che, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, nel perseguire il menzionato scopo di mettere la persona offesa nelle condizioni di valutare l'opportunità di esercitare il diritto di querela, così da evitare un esito del procedimento «sulla base di una "fictio legis"», la stessa norma non esclude affatto che nel caso in cui, come nella specie, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 36 del 2018, il procedimento si trovasse nella fase delle indaç1ini preliminari e il pubblico ministero non avesse provveduto a informare la persona offesa, a ciò potesse provvedere, nella successiva fase processuale, il giudice.
Pertanto, con l'informare il condominio, in persona dell'amministratore pro tempore, della facoltà di esercitare il diritto di querela - dopo avere evidentemente constatato che a ciò non aveva provveduto, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero - il Tribunale di Milano non è incorso nella denunciata inosservanza dell'art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2018 e ha correttamente ritenuto, cosi come la Corte d'appello di Milano, la validità della querela proposta, a seguito dell'informativa dello stesso Tribunale, dall'amministratore del condominio, in forza dell'incarico conferitogli dall'assemblea condominiale, nel termine decorrente da tale informazione.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura del capo d'imputazione, riportato nella sentenza impugnata e che si è trascritto nel "Ritenuto in fatto", risulta espressamente che all'imputata era stato contestato di essersi appropriata di somme di denaro del condominio, distraendole in favore di beneficiari estranei ai fornitori dello stesso, «in qualità di collaboratrice della società Amministrazioni M. s.r.l. e amministratrice dello stabile» (corsivo aggiunto).
La contestazione riguardava, quindi, anche i fatti commessi nella qualità di amministratrice del condominio, il che esclude in radice la denunciata mancanza di correlazione tra la predetta imputazione e la sentenza di condanna per le distrazioni poste in essere, appunto, nella veste di amministratrice del condominio di via (omissis), in (omissis).
3. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila.
La ricorrente deve essere altresi condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili P.I., A.N., B.G.A., B.F.L., D.L.C., B.L. e C.I.M., che si liquidano in complessivi € 7.537,50, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione: delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili P.I., A.N., B.G.A., B.F.L., D.L.C., B.L. e C.I.M., che liquida in complessivi€ 7.537,50, oltre accessori di legge.