Non solo il titolare del diritto reale, ma anche il possessore o chi ha la disponibilità del bene da cui deriva la situazione di pericolo di danno grave. L'obbligo di custodia e manutenzione, infatti, sussiste in ragione dell'effettivo potere fisico sulla cosa.
Svolgimento del processo
1. Il 2/3/2001 L. R., R., F. e G. D. convennero in giudizio G. P., proponendo nei suoi confronti denunzia di danno temuto ex art. 1172 c.c. Allegarono che da un costone roccioso di proprietà del P. cadevano massi sul fondo di loro proprietà. Chiesero all’Autorità giudiziaria di ordinare al P. di ovviare al pericolo di ulteriori cadute e di condannarlo al risarcimento dei danni e alle spese. P. si difese allegando la tardività dell’azione e le cause naturali del fenomeno. Espletata una c.t.u., la fase cautelare si concluse il 10/4/2002 con un provvedimento che impartì al P. una serie di ordini intesi ad ovviare al pericolo. Iniziata il 10/6/2002 la causa di merito, il Tribunale di Salerno condannò il P. alla esecuzione di lavori in coerenza con il contenuto del provvedimento cautelare e rigettò la domanda di risarcimento.
2. Sul gravame proposto dagli eredi P., col quale costoro eccepirono – tra l’altro – il difetto di legittimazione passiva, allegando e documentando che il P. aveva trasferito a figli e nipoti la proprietà del fondo fonte di pericolo con atto di donazione del 13/6/2001 (anteriore, quindi, all’inizio della causa di merito), la Corte di appello di Salerno, con la sentenza in epigrafe, confermò la pronuncia di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello hanno proposto ricorso gli eredi P. sulla base di tre motivi.
I D. hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria.
P. e L. C., eredi di R. C. P., premorta, e quindi anch’essi eredi di G. P., contumaci nei precedenti gradi di merito, ritualmente intimati, non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.) si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 81, 100 e 345 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto che il difetto di legittimazione passiva di G. P. rispetto all’azione di danno temuto non poteva essere eccepito per la prima volta in appello.
Il motivo è inammissibile poiché non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza della legittimazione passiva del convenuto. I ricorrenti hanno fondato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sul fatto che il P. non era più proprietario del fondo al momento dell’instaurazione del giudizio di merito, ma la Corte di appello ha fondato la ritenuta sussistenza della legittimazione passiva del P. sul fatto che «risulta provato e verificato, all’esito dell’instaurazione del contraddittorio processuale e dell’istruttoria sia testimoniale – (che ha visto come testi anche due dei generi di P. G.) che peritale, che quest’ultimo, anche dopo la donazione alle figlie ed ai nipoti, ha conservato la reale e piena disponibilità del fondo de quo, causa del pericolo» (così, sentenza di appello, p. 12). Tale decisione è in linea con l’interpretazione dell’art. 1172 c.c. accolta da questa Corte: cfr. Cass. 5336/2016, secondo la quale, nell’azione di danno temuto, è legittimato passivo non solo il titolare del diritto reale, ma anche il possessore e colui che, in ogni caso, abbia la disponibilità del bene da cui si assume che derivi la situazione di pericolo di danno grave, in quanto l’obbligo di custodia e manutenzione sussiste in ragione dell’effettivo potere fisico sulla cosa.
2. Con il secondo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.) si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1172 e 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., sotto due profili. Il primo predica come erroneo che nel caso de quo la non contestazione esoneri l’attore dal dimostrare «la titolarità dal lato passivo». Il secondo profilo predica la falsa applicazione dell’art. 1172 c.c., nel suo aspetto di esperibilità nei confronti del convenuto possessore, giacché risulta dall’atto di donazione depositato in appello che, anteriormente all’instaurazione della causa di merito, i donatari erano stati immessi «nel possesso legale e nel materiale godimento di quanto a ciascuno donato».
Il motivo è infondato.
In particolare, il primo profilo di censura è inammissibile per le stesse ragioni che sorreggono l’inammissibilità del primo motivo. Ciò che la Corte di appello afferma, nei primi due capoversi di pagina 11 della sentenza impugnata in cassazione, sulla mancata contestazione da parte di P. della propria titolarità passiva del rapporto è un obiter dictum rispetto alla ratio decidendi della ritenuta legittimazione passiva all’azione di danno temuto, che si fonda non già sulla predetta mancata contestazione, bensì – come si è già osservato nel rigettare il primo motivo – sulla raggiunta prova che il P. aveva la disponibilità materiale del fondo in cui si assume situarsi la fonte di pericolo. Il secondo profilo è infondato. Il fatto che il P., prima dell’inizio della causa di merito, abbia trasferito a figli e nipoti la proprietà del fondo con un atto di donazione da cui risulta che i donatari sono stati immessi «nel possesso legale e nel materiale godimento di quanto a ciascuno donato» già sul piano logico non esclude certo che egli sia rimasto investito del potere di fatto sul fondo. In effetti come si è già osservato nell’esame del primo motivo – la permanenza di tale investitura risulta provata in base ai risultati dell’istruttoria testimoniale e peritale effettuata in primo grado.
3. Con il terzo motivo (proposto ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.) si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1172 c.c. poiché l’azione di danno temuto è stata ammessa quando il danno si era già verificato.
Anche tale motivo è infondato.
Il ricorrente reputa che la giurisprudenza di questa Corte, in particolare in base a Cass. 10282/2004, possa interpretarsi nel senso che, ove «l’evento dannoso sia già avvenuto non potrà che esperirsi l’azione risarcitoria». Tale interpretazione è errata. Cass. 10282/2004 afferma testualmente: «la condizione dell’azione di danno temuto non deve individuarsi in un danno certo, o già verificatosi, bensì anche nel solo ragionevole pericolo che il danno si verifichi», richiamandosi a Cass. 4531/1992. L’impiego dell’avverbio «anche» con riferimento al pericolo che il danno si verifichi per la prima volta presuppone che l’azione possa esperirsi pure quando un danno si sia già verificato, ma permanga il pericolo esso si verifichi di nuovo. Del resto, ciò è conforme alla lettera e alla logica dell’art. 1172 c.c., poiché la circostanza che un danno si sia già prodotto non esclude certo il pericolo che possa verificarsi un ulteriore futuro danno e che quindi sussista il ragionevole timore che continui a «sovrast[are] pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del […] diritto o del […] possesso».
4. – In definitiva, il ricorso risulta infondato e va rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, risultati soccombenti, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
5. – Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.p.r. 115/2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in 3500,00 Euro, oltre a 200,00 Euro per esborsi, nonché spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezio-