A nulla rileva che il padre fosse a conoscenza della residenza presso la quale si trovava il minore. Per la Cassazione, integra il delitto ex art. 574 c.p. l'interruzione del legame tra minore e genitore dovuta a qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile e continuativo tra i due.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la responsabilità penale dell'imputata
Svolgimento del processo
1. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale d1 Treviso ha tratto a giudizio LR, CR e MSG per il reato previsto e punito dagli artt. 110, 574 primo comma, cod. pen. perché, in concorso tra loro, avrebbero sottratto e ritenuto contro la volontà di AT, genitore esercente la responsabilità genitoriale, MT, nato il X 2014; in X dal X 2014.
2. Il Tribunale di Treviso, con sentenza emessa in data 28 novembre 2019, all'esito del giudizio dibattimentale di primo grado, ha dichiarato gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e ha condannato LR alla pena di un anno e otto mesi, CR e MSG alla pena di un anno e due mesi di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento, in solido, dei danni subiti dalle parti civili costituite MT e NC la nonna paterna del minore, da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando in loro favore una provvisionale immediatamente esecutiva.
3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata da LR, CR e MSG, ha:
- assolto CR e MSG dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto;
- ridotto la pena nei confronti di LR ad un anno e sei mesi di reclusione;
- confermato nel resto la sentenza di primo grado;
- condannato LR alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per il giudizio di appello.
4. Avverso tale decisione hanno presentato ricorso per cassazione l'avvocato MS nell'interesse delle parti civili AT e NC e l'avvocato MTM nell'interesse di LR
5. L'avvocato MS, nell'interesse delle parti civili AT e NC , deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione legge penale e il vizio di motivazione in merito alla ritenuta assenza di responsabilità per il reato ascritto agli imputati CR e MSG , erroneamente prosciolti per non aver commesso il fatto.
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello avrebbe completamente omesso di considerare le innumerevoli prove della responsabilità penale degli imputati, così come emerso dalle deposizioni dei testi omissis, nonché dei documenti acquisiti nell'istruttoria. Deducono, inoltre, i ricorrenti che gli imputati CR e MSG avrebbero autonomamente e sistematicamente impedito le visite di AT al figlio M., dal luglio 2014 sino all'arbitrario e definitivo trasferimento del minore a Roma e, dunque, la Corte di appello avrebbe illegittimamente escluso il concorso dei medesimi nel reato accertato nei confronti di LR
6 L'avvocato MTM nell'interesse di LR deduce sette motivi di ricorso e, segnatamente:
a) l'inosservanza degli artt. 178, lett. b) e c), 552, lett. c), cod. proc. pen., in quanto l'imputazione delineata dal decreto di citazione a giudizio sarebbe nulla, atteso che si limita a riprodurre la formulazione del codice penale, senza alcun riferimento alla condotta in concreto rimproverata all'imputata, rendendo, dunque, incerti i confini dell'accusa e recando pregiudizio al diritto di difesa;
b) la violazione degli artt. 516, 517, 518, 521 e 522 cod. proc. pen. operata dalla sentenza della Corte di appello, in quanto, dalla lettura integrata delle motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado, emergerebbe come all'imputata siano state attribuite tre distinte condotte: quella descritta nel decreto di citazione a giudizio; la contestazione "sostanziale" della sentenza di primo grado e la contestazione "sostanziale" della sentenza di appello.
c) la violazione dell'art. 574 cod. pen. per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato e per vizio della motivazione sul punto;
d) la mancanza e la contraddittorietà della motivazione e la violazione degli artt. 192, 197-bis e 530 cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto dimostrata la credibilità della persona offesa in assenza di riscontri e pur avendo il medesimo reso la propria testimonianza assistito dal difensore in quanto indagato in altri procedimenti;
e) la violazione di legge in ordine alla determinazione della provvisionale immediatamente esecutiva, operata non già in via equitativa, bensì arbitraria;
f) la violazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, pur espressamente richiesta nell'atto di appello;
g) l'integrale carenza di motivazione in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena, pur espressamente richiesta nell'atto di appello.
Motivi della decisione
1. I ricorsi devono essere rigettati in quanto i motivi, che verranno esaminati nel loro ordine logico e non già nel loro ordine di proposizione, sono infondati.
2. Con il primo motivo l'avvocato MTM nell'interesse di LR deduce l'inosservanza degli artt. 178, lett. b) e c), 552, lett. c), cod. proc. pen., in quanto l'imputazione delineata dal decreto di citazione a giudizio
sarebbe nulla, atteso che si limita a riprodurre la formulazione del codice penale, senza alcun riferimento alla condotta in concreto rimproverata all'imputata, rendendo in tal modo incerti i confini dell'accusa e recando pregiudizio al diritto di difesa.
3. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (ex plurimis: Sez., 5, n. 16993 del 02/03/2020, Latini, Rv. 279090 - 01, fattispecie in cui la Corte ha escluso la genericità o l'indeterminatezza di una imputazione di bancarotta in cui si contestava all'imputato la distrazione di somme di denaro, iscritte in contabilità ed espunte mediante giroconti, mentre l'istruttoria, a cui l'imputato aveva partecipato, aveva chiarito che le somme medesime erano state utilizzate per soddisfare, senza causa lecita, crediti di una società diversa; Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Morante, Rv. 258948 - 01).
La stessa ricorrente, tuttavia, non ha allegato alcuna concreta ed effettivo pregiudizio per il proprio diritto di difesa, in quanto la condotta contestata, per come accertata nel corso dell'istruttoria dibattimentale e, dunque, nella costante dialettica delle parti, è incontroversa nei propri estremi fattuali, avendo ad oggetto la globale esautorazione della figura paterna posta in essere da parte della R sottraendo Il minore alla responsabilità genitoriale del padre.
4. Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione degli artt. 516, 517, 518, 521 e 522 cod. proc. pen. operata dalla sentenza della Corte di appello, in quanto, dalla lettura integrata delle motivazioni della sentenza di primo e di secondo grado, emergerebbe come all'imputata siano progressivamente state attribuite tre distinte condotte: quella descritta nel decreto di citazione a giudizio; la contestazione "sostanziale" della sentenza di primo grado e la contestazione "sostanziale" della sentenza di appello.
Tali contestazioni, tuttavia, sarebbero in rapporto di eterogeneità, se non di incompatibilità sostanziale e, dunque, la sentenza impugnata sarebbe viziata da nullità assoluta per violazione dell'art. 6, par. 3, lett. a) della Convenzione Edu, che impone la presenza di una contestazione dettagliata, in quanto avrebbe determinato una trasformazione radicale del fatto.
La Corte di appello, in particolare, avrebbe contestato all'imputata fatti nuovi e diversi, in violazione degli artt. 516, 517, 518 cod. proc. pen., quali l'indisponibilità della R a consentire che il T intrattenesse spazi di intimità con il figlio durante le visite e l'aver preteso che le stesse fossero realizzate solo presso l'abitazione della R e in sua presenza; l'insufficienza degli incontri garantiti, stimati in 29 ore in un anno; di non aver consentito al padre di avere un rapporto con il figlio, senza mediazioni materne; di non aver consentito al bambino di pranzare con il padre; di aver preteso che il T non usasse utensili o accessori provenienti da casa sua, per ragioni di igiene.
5. Il motivo è infondato.
La Corte di appello nella sentenza impugnata non ha posto in essere alcuna modifica dell'addebito contestato ma ha solo precisato e valutato circostanze di fatto già ampiamente presenti agli atti e, richiamate anche nella sentenza di primo grado (si veda in proposito la lunga teoria di condotte evidenziate dalla pag. 2 alla pag. 11), per dimostrare come fosse integrata la fattispecie di reato contestata.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, del resto, ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (ex plurimis: Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di Guglielmi, Rv. 257278 - 01; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419 - 01).
In tema di correlazione tra accusa e sentenza, infatti, la non corrispondenza tra il fatto contestato e quello che emerge dalla sentenza rileva solo allorché si verifichi una trasformazione o sostituzione delle condizioni che rappresentano gli elementi costitutivi dell'addebito, e non già quando il mutamento riguardi profili marginali, non essenziali per l'integrazione del reato e sui quali l'imputato abbia avuto modo di difendersi nel corso del processo (Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569 - 01).
6. Con il quarto motivo la ricorrente censura la mancanza e la contraddittorietà della motivazione e la violazione degli artt. 192, 197-bis e 530 cod. proc. pen.
La Corte di appello avrebbe, infatti, ritenuto la credibilità della persona offesa pur in assenza di riscontri e pur avendo il medesimo reso la propria testimonianza assistito dal difensore in quanto indagato in altri procedimenti.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, dunque, contraddittoria nella parte in cui ha affermato che la R ha sottratto e ritenuto il figlio minore, pur avendo costantemente consentito al T di esercitare il diritto di visita, sia pure con modalità variegate, difformi dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria e divergente dai suoi desiderata.
La motivazione sarebbe, inoltre, carente, in quanto la Corte di appello avrebbe obliterato la valutazione degli stessi episodi contestati ai genitori e i documenti prodotti in appello dall'imputata, che avrebbero dimostrato lo sforzo della stessa di condividere la genitorialità con il T
Per converso la Corte di appello, per il segmento di contestazione successivo al 21 dicembre 2014, avrebbe illogicamente attribuito valore di riscontro alla consulenza tecnica disposta in sede civile dal Tribunale di Treviso in ordine alla regolamentazione dell'affidamento del figlio e alle dichiarazioni assunte dal consulente tecnico.
L'espletamento di una perizia, tuttavia, non potrebbe supplire alle deficienze delle prove raccolte dalla pubblica accusa.
L'elaborato peritale, Inoltre, avrebbe elevato a dignità di prova poche frasi decontestualizzate di un ausiliario del giudice civile, chiamato a valutare l'assetto delle relazioni genitoriali secondo discipline dell'area psicologica forense.
7. La censura è inammissibile per aspecificità.
La parte ricorrente, infatti, contesta solo genericamente la valutazione delle dichiarazioni rese dal T e l'utilizzazione da parte dei giudici di merito delle dichiarazioni rese al consulente tecnico, senza, peraltro, precisare quali siano state in concreto censurate, in quanto la consulenza fa riferimento anche ad accertamenti operati direttamente dallo stesso consulente tecnico.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, è, del resto, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Guardiano, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230631; Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, Notaristefano, Rv. 223217: conf. Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., 281521).
Le sentenze di merito, che sul punto si integrano vicendevolmente, componendo una unità organica ed inscindibile (ex plurimis: Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617 - 01; Sez. 6, n. 50944 del 04/11/2014, Barassi, Rv. 261416), hanno, peraltro, non certo illogicamente ritenuto che le dichiarazioni accusatorie del T ., sentito quale teste assistito in quanto indagato in procedimento probatoriamente connesso, hanno trovato ampio riscontro, oltre che nei documenti acquisiti nell'istruttoria dibattimentale, nelle deposizioni dei vari testi escussi, che avevano confermato l'atteggiamento possessivo manifestato dalla R · nei confronti del figlio e la chiusura e l'ostilità dell'imputata verso le pubbliche autorità e la famiglia T
8. Con il terzo motivo la ricorrente censura la violazione dell'art. 574 cod. pen. per l'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato e il vizio della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello, in contrasto con il testo della fattispecie incriminatrice, avrebbe sanzionato, nel periodo dal 21 dicembre 2014 al 28 novembre 2019, condotte puramente negative dell'imputata, volta ad ostacolare gli incontri del figlìo con il padre, in contrasto con il testo della disposizione, che incrimina l'assoluto, globale e ininterrotto impedimento all'esercizio della responsabilità genitoriale.
Ad avviso della ricorrente, invece, il delitto di cui all'art. 574 cod. pen. esige la volontà di sottratte il minore alla sfera di controllo del genitore e non già meramente di rendere più difficoltosa l'esercizio della bigenitorialità.
Dalla sentenza impugnata sarebbe, infatti, emerso che il T _conoscesse la residenza dell'imputata presso la quale si trovava il minore sia in X che, successivamente, a X e che lo stesso avesse esercitato il suo diritto-dovere di visita nei confronti del figlio minore, sia pure in luoghi e con modalità diverse negli anni.
Nel ritenere la condotta così come accertata in sentenza riconducibile alla fattispecie astratta, la Corte di appello avrebbe riscritto il precetto penale, integrandolo con il precetto extrapenale dell'art. 316 cod. civ.
La Corte di appello, inoltre, con riferimento al dolo, non avrebbe esaminato documenti prodotti in appello, che dimostravano lo sforzo dell'imputata di condividere la genitorialità con il T
Ad avviso della ricorrente, del resto, il dolo del delitto di sottrazione di minorenni esige la volontà di sottrazione del minore alla sfera di controllo dell'altro genitore e non già la semplice volontà di rendere più difficoltosa la genitorialità altrui.
9. Il motivo è infondato.
La parte ricorrente, nell'argomentazione del motivo di ricorso, ha censurato la differenza di ordito logico tra la sentenza di prima e di secondo grado, enfatizzando fisiologiche diversità di accenti, ma, in realtà, entrambe le decisioni muovono da un concetto di sottrazione come esclusione della possibilità di esercizio della responsabilità genitoriale da parte del padre, pur nella consapevolezza da parte di quest'ultimo del luogo ove il minore risiede.
La sentenza di primo grado, a pag. 8, descrive la condotta accertata come sottrazione totale del figlio alla vigilanza dell'altro genitore, impossibilitato ad esercitare la propria responsabilità genitoriale.
Il Tribunale di Treviso ha in proposito rilevato che «l'interruzione della relazione tra padre e figlio è stata determinata dalla condotta dagli imputati, in primo luogo da LR , che ha completamente escluso la figura paterna dall'esercizio dalle prerogative genitoriali, assumendo in via unilaterale tutte le scelte fondamentali relative alla vita del minore ...violando reiteratamente i provvedimenti adottati dall'Autorità giudiziaria, adita da AT proprio al fine di vedere tutelato il proprio ruolo nei confronti del figlio» (pag. 9 della sentenza di primo grado).
La Corte di appello di Venezia, nella sentenza impugnata, in modo non dissimile, ha rilevato che «la R Lha dapprima impedito al compagno di intrattenere una relazione autonoma con il figlio, poi ha fisicamente trasferito il bambino a seicento chilometri di distanza contro la volontà dell'altro genitore; per anni il figlio è stato privato di una relazione proficua con il padre e questi, per converso, non potendo esercitare i propri diritti e adempiere ai propri doveri ha subito pure il danno della sospensione della responsabilità genitoriale».
La Corte di appello di Venezia ha, pertanto, ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 574cod. pen. a fronte della prova di una sottrazione, intesa «dunque, come interruzione significativa del legame tra minore e genitore e cioè della loro mutua relazione, che si realizza con qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile, continuativo e autonomo tra un figlio minore e uno dei suoi genitori».
Nessuna significativa divergenza è, dunque, ravvisabile tra le statuizioni delle due sentenze in punto di responsabilità penale della R e le condotte accertate da tali decisioni si collocano pienamente all'interno dell'ambito applicativo della fattispecie di reato delineata dall'art. 574 cod. pen., in quanto hanno determinato una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell'altro genitore, sì da impedirgli l'esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all'affidamento, rendendogli impossibile l'ufficio che gli è stato conferito dall'ordinamento nell'interesse del minore stesso (ex plurimis: Sez. 6, n. 22911 del 19/02/2013, dep. 27/05/2013, I. Rv. 255621; Sez. 5, n. 37321 del 08/07/2008, Sailis, Rv. 241637; Sez. 6, n. 7836 del 08/04/1999, dep. 16/06/1999, P., Rv. 214761).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, del resto, integra il reato di cui all'art. 574 cod. pen. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora (Sez. 5, n. 28561 del 28/03/2018, G., Rv. 273545 - 01, fattispecie relativa alla sottrazione di minore da parte della madre che portava la figlia per un periodo di circa quindici giorni in una località ignota al padre, affidatario in via esclusiva, interrompendo ogni contatto tra quest'ultimo e la figlia; Sez. 3, n. 4186 del 19/10/2016, M., Rv. 269069; conf. Sez. 5 n. 41658 del 14/03/2016, R., Rv. 268263).
Questa Corte, del resto, da decenni ribadisce che i contenuti precettivi delle disposizioni di cui all'art. 574 cod. pen. (sottrazione di persone incapaci) ed all'art. 388 cod. pen. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), per quanto attiene alla lesione degli interessi della famiglia, non coincidono, ma hanno portata e significato diversi. Infatti, se l'agente non ottempera a particolari disposizioni del giudice civile - sulla quantità e durata delle visite consentite al genitore non affidatario, sulle modalità e condizioni in genere fissate nel provvedimento - deve configurarsi il delitto di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice; se, invece, la condotta di uno dei coniugi porta ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza del coniuge affidatario, così da impedirgli non solo la funzione educativa ed i poteri insiti nell'affidamento, ma da rendergli impossibile quell'ufficio che gli è stato conferito dall'ordinamento nello interesse del minore e della società, in tal caso ricorre il reato di cui all'art. 574 citato (Sez. 6, n. 12950 del 25/06/1986, Ratiu, Rv. 174333 - 01).
9.1. Inammissibile è, da ultimo, il profilo di censura formulato relativamente al dolo del delitto di sottrazione di minorenne, in quanto aspecifico e infedele rispetto al testo della motivazione impugnata, che ha riferito il dolo alla condotta di sottrazione globale del minore all'altrui responsabilità genitoriale accertata.
Inammissibili sono, inoltre, i rilievi con i quali la difesa sollecita la Corte di legittimità a rivalutare la sussistenza del dolo dell'imputata, confrontandosi direttamente con gli elementi probatori indicati.
10. Con il sesto motivo la ricorrente censura la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e il difetto assoluto di motivazione, pur in costanza di uno specifico motivo di appello sul punto.
La Corte di appello, infatti, non avrebbe considerato lo sforzo costante dell'imputata di condividere la genitorialità con il T e tutte le visite disattese da quest'ultimo tra il 2014 e ìl 2015, le informazioni costantemente date al T anche in occasione dei brevi spostamenti verso X circa le condizioni e lo stato del figlio minore e le comunicazioni e la corrispondenza con il Servizio Sociale.
11. Il motivo è inammissibile.
La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell'esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, inoltre, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ex pfurimis: Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane ed altri, Rv. 248244). Tale obbligo, peraltro, nel caso di specie è stato pienamente assolto.
La Corte di appello di Genova ha, infatti, escluso la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non certo incongruamente, rilevando che la R anche dopo la condanna di primo grado, aveva ulteriormente aggravato le conseguenze del reato, come risultava dai provvedimenti adottati dal Tribunale per i minorenni di Roma.
12. Con il settimo motivo la ricorrente si duole del difetto assoluto di motivazione in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena, pur specificamente richiesta nell'atto di appello.
Deduce, inoltre, la ricorrente che la Corte di Cassazione, facendo ricorso al potere concessogli dall'art. 620, lett. I), cod. proc. pen. di decidere direttamente sulla base degli accertamenti di fatto operanti nella sentenza di merito, potrebbe concedere direttamente all'imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena, ovviando all'omissione della Corte di appello di Venezia.
13. Il motivo è infondato, in quanto la Corte d'appello, come emerge dal tenore complessivo della motivazione della sentenza impugnata, ha formulato, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, una prognosi negativa in ordine alla futura astensione dell'imputata dalla commissione di ulteriori reati, fondata non soltanto sulle modalità e durata delle condotte accertate e sull'intensità del dolo, ma anche sulla protrazione della condotta illecita anche dopo la sentenza di primo grado.
Le ragioni del diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale possono, del resto, ritenersi implicite nella motivazione con cui il giudice neghi le circostanze attenuanti generiche richiamando i profili di pericolosità del comportamento dell'imputato, dal momento che il legislatore fa dipendere la concessione dei predetti benefici dalla valutazione degli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate, Rv. 280244 - 05; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, Lamaj, Rv. 276041 - 01).
14. Con il quinto motivo la ricorrente censura la violazione di legge in ordine alla determinazione della provvisionale immediatamente esecutiva disposta, in quanto operata non già in via equitativa, bensì arbitraria.
La Corte di appello avrebbe, infatti, illogicamente confermato la provvisionale disposta dalla sentenza di primo grado (30.000 euro in favore di AT , 30.000 in favore del minore e 15.000 euro in favore della C ), pur a fronte di un quadro di condotte radicalmente modificato.
La sentenza, inoltre, avrebbe riconosciuto la provvisionale anche in favore della nonna, solo sulla base «del legame biologico-familiare» ancorché difettasse la prova di un danno alla stessa dalle condotte accertate dalla R
15. Il motivo è, tuttavia, inammissibile.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex p/urimis: Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli Rv. 186722; Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019,
Tuccio, Rv. 277773 - 02; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486;
Sez. 2 n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; Sez. 6 n. 50746 del 14/10/2014, G., Rv. 261536).
16. Le parti civili AT e NC , con unico motivo di ricorso, deducono l'inosservanza e l'erronea applicazione legge penale e il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito alla ritenuta assenza di responsabilità per il reato ascritto agli imputati CR e MSG , erroneamente prosciolti per non aver commesso il fatto.
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata che avrebbe omesso di considerare le innumerevoli prove della responsabilità penale degli imputati, cosi come emerso dalle deposizioni dei testi OMISSIS nonché dei documenti acquisiti nel corso dell'istruttoria.
Deducono, inoltre, i ricorrenti, sotto il profilo della violazione di legge, che gli imputati CR e MSG avrebbero autonomamente e sistematicamente impedito le visite di AT al figlio M , dal luglio 2014 sino all'arbitrario e definitivo trasferimento del minore a X e, dunque, la Corte di appello avrebbe illegittimamente escluso il concorso dei medesimi nel reato accertato nei confronti di LR
17. Il motivo è inammissibile, nella parte in cui deduce il vizio di motivazione, in quanto è diverso da quelli consentiti dalla legge.
Il ricorso deduce, infatti, l'irragionevolezza della motivazione della sentenza impugnata per omissione di circostanze decisive e tende a dimostrare che la sentenza impugnata abbia limitato le condotte dei genitori di LR a soli due episodi (l'episodio del parco e della mancata consegna dell'uovo di Pasqua), ancorché dall'istruttoria il coinvolgimento degli imputati fosse ben più ampio e significativo.
In tal modo, tuttavia, i ricorrenti, pur formalmente deducendo il vizio di irragionevolezza della motivazione, a mezzo della proposizione nel ricorso di ampi stralci delle deposizioni e dei documenti asseritamente pretermessi, sollecitano la Corte di legittimità a procedere a una valutazione diretta delle prove assunte nel giudizio e a un suo globale riesame.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U., n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Sono, del resto, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv.
265482).
Il controllo di logicità demandato alla Corte di legittimità deve, pertanto, rimanere "all'interno" del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi probatori o a un diverso esame degli elementi materiali e fattualì delle vicende indagate.
17.1. Il profilo di censura relativo alla violazione di legge deve, invece, essere disatteso, in quanto infondato.
La Corte di appello di Venezia ha ritenuto comprovato l'apporto di CR e MSR in due soli episodi (quello «del parco» e quello «dell'uovo di Pasqua»), intervenuti in un circoscritto ambito temporale (rispettivamente il 7 e il 21 marzo 2015), nei quali gli imputati hanno in concreto impedito il contatto tra padre e figlio.
Nella valutazione non certo incongrua della Corte di appello, tuttavia, da questi episodi non può univocamente desumersi la prova del consapevole concorso degli imputati nel reato permanente posto in essere dalla figlia, in quanto la loro condotta non avrebbe contribuito a «perpetuare» la condotta criminosa, ma avrebbe fornito un occasionale, estemporaneo e breve ostacolo all'esercizio del proprio diritto da parte del T
La Corte ha, inoltre, ritenuto, non certo illogicamente, che gli elementi probatori raccolti nel dibattimento non avevano chiarito se l'atteggiamento dei genitori in questi episodi sia stato consapevolmente concepito come parte di una condotta permanente di estromissione del T dalla sua relazione con il figlio o se si sia trattato solo di due momenti nei quali i genitori hanno subito l'influsso della figlia o hanno semplicemente realizzato un «dispetto» al T , verso il quale potevano anche legittimamente non nutrire sentimenti di empatia.
Questo apprezzamento, del resto, non viola la legge penale, in quanto il fatto per come accertato dalla sentenza della Corte di appello di Venezia (e, dunque, limitato ai due episodi contigui sopra indicati) non è idoneo a integrare il concorso nel reato di sottrazione posto in essere dalla figlia ai danni del coniuge, non avendo effettivamente contributo alla protrazione della condotta illecita.
18. Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono essere rigettati in quanto infondati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
L'imputata LR deve essere condannata alla rifusione delle spese
processuali sostenute dalle parti civili, che si liquidano in complessivi euro 3.510, oltre accessori di legge, in favore di T e C e complessivi euro 3.510, oltre accessori di legge, in favore di TM, rappresentato dal Sindaco di Roma.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di TA e CN e li condanna al pagamento delle spese processuali. Rigetta il ricorso di RL che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3.510, oltre accessori di legge, in favore di T e C e complessivi euro
3.510, oltre accessori di legge, in favore di TM, rappresentato dal Sindaco di Roma.