Non trova infatti applicazione alla ripetizione dell'indebito oggettivo il principio di alternatività di cui all'art. 40 d.P.R. n. 131/1986.
L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione contro la sentenza con cui la CTR Abruzzo, nell'ambito di una controversia vertente sull'impugnazione di un avviso di liquidazione per l'omesso pagamento dell'imposta di registro e dei relativi accessori per la registrazione di una sentenza che aveva dichiarato nulle le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori...
Svolgimento del processo
L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo il 2 maggio 2018 n. 404/02/2018, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per l'omesso pagamento dell'imposta di registro e dei relativi accessori per la registrazione di una sentenza depositata dal Tribunale di Avezzano - Sezione Civile, in composizione monocratica, il 18 settembre 2015 n. 681/2015, che, dopo aver dichiarato la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (c.d. "anatocismo") in relazione a contratti di apertura di credito in conto corrente, di conto corrente bancario e di sconto tra la "BANCA P.
DELL'A. S.p.A." e la "CASA DI CURA PRIVATA D.L. S.p.A.", aveva condannato la "BANCA P. DELL'A. S.p.A." al pagamento della somma di € 1.141.386,64, a titolo di ripetizione di indebito, oltre ad interessi in misura legale con decorrenza dalla domanda fino al soddisfo, in favore della "CASA DI CURA PRIVATA D.L. S.p.A.", ha rigettato l'appello proposto dalla medesima nei confronti della "I.S.P. S.p.A." (avente causa della "BANCA P. DELL'A. S;p.A.") avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di L'Aquila il 27 marzo 2017 n. 155/ 03/2017, con condanna alla rifusione delle spese di lite. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che le somme dovute in restituzione, avendo ad oggetto prestazioni e controprestazioni di natura bancaria, come tali assoggettate ad IVA (ancorché in regime di esenzione), «1)- per la natura delle stesse, 2)- per il principio di alternatività tra imposta di registro ed IVA, 3)- per il fatto che la condanna, seguita alla dichiarazione di nullità di clausole contrattuali, ha solo un effetto ripristinatorio a fronte di prestazioni ritenute prive di causa, 4)- per il fatto che un tale effetto non è quindi indice di manifestazione di trasferimento di capacità contributiva», per cui la fattispecie doveva essere regolamentata dall'art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Il ricorso è affidato a due motivi. La "I.S.P. S.p.A.." si è costituita con controricorso. Con conclusioni scritte, il P.M. ha chiesto il rigetto. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. prov. civ..
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1419 e 1284 cod. civ., con riferimento agli artt. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che le somme dovute in restituzione, avendo ad oggetto prestazioni e controprestazioni di natura bancaria, fossero soggette ad IVA, in ragione del principio di alternatività con l'imposta di registro, che era stata applicata soltanto in misura fissa.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 1362 ss. cod. civ., con riferimento agli artt. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che il giudizio civile avesse per oggetto l'accertamento della nullità dei contratti bancari, anziché la condanna per ripetizione di indebito.
Motivi della decisione
1. Posto che le eccezioni preliminari della controricorrente possono essere disattese per manifesta infondatezza, entrambi i motivi - la cui stretta ed intima connessione suggerisce l'esame congiunto - sono infondati.
1.1 Premesso che l'art. 37, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prevede, in linea generale, che sono soggetti ad imposta di registro «gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere», l'art. 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 stabiliscono la soggezione, rispettivamente, ad imposta in misura proporzionale del 3% per i provvedimenti «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura)» e ad imposta in misura fissa per i provvedimenti «che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto».
Peraltro, la nota II al citato art. 8 della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 precisa che: «Gli atti di cui al comma 1, lettera b), (...) non sono soggetti all'imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 40 del testo unico».
1.2 Secondo la prospettazione della ricorrente, «la mera affermazione, in motivazione, della nullità di una clausola contrattuale (... )» non giustificherebbe «la sussunzione della fattispecie nella lett. e)» dell'art. 8, comma 1, della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, trattandosi di disposizione applicabile soltanto in caso di dichiarazione di nullità (totale) del contratto (art. 1418 cod. civ.) e non anche in caso di dichiarazione di nullità (parziale) di singole clausole (art. 1419 cod. civ.).
1.3 L'assunto è infondato.
Come si evince dalla trascrizione riportata in ricorso della sentenza soggetta a registrazione (in ossequio al canone dell'autosufficienza), la "CASA DI CURA PRIVATA D.L. S.p.A." aveva espressamente chiesto al Tribunale di Avezzano di dichiarare la nullità delle clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori in relazione a contratti di apertura di credito in conto corrente, di conto corrente bancario e di sconto in corso con la "BANCA P. DELL'A. S.p.A." e, per conseguenza, di condannare la "BANCA P. DELL'A. S.p.A." alla restituzione in suo favore delle somme indebitamente percepite a tale titolo.
Per cui, è evidente l'esercizio cumulativo (art. 104 cod., proc. civ.) dell'azione di nullità parziale dei contratti bancari (art. 1419 cod. civ.) e dell'azione di ripetizione dell'indebito (art. 2033 cod. civ.). Difatti, è pacifico che il correntista, che agisce in ripetizione, può limitare la propria pretesa a un dato periodo di svolgimento del conto, e così anche fare seguire alla richiesta di accertamento della nullità di determinate clausole, come inerenti al contratto stipulato tra banca e cliente, una domanda di ripetizione che venga a circoscrivere il proprio raggio di azione alle somme percepite dalla banca, in dipendenza di quelle clausole, nell'ambito di un determinato periodo di svolgimento del conto (in termini: Cass., Sez. 6-1, 4 marzo 2021, n. 5887).
Aggiungasi che l'azione di indebito oggettivo è esperibile non solo in caso di totale nullità di un contratto, con riferimento alle prestazioni eseguite in base ad esso, ma anche in caso di nullità parziale, in relazione a singole clausole in base alle quali siano state effettuate specifiche prestazioni e, eventualmente, controprestazioni a queste funzionalmente collegate (Cass., Sez. l, 8 novembre 2005, n. 21647; Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994).
Quindi, posto che l'azione di ripetizione per indebito oggettivo è esperibile in ogni caso di mancanza di una causa adquirendi in ragione della mancanza o della cessazione del vincolo originariamente esistente tra le parti (Cass., Sez. 2, 15 gennaio 2018, n. 715; Cass., Sez. 1, 27 agosto 2020, n. 17948; Cass., Sez. l, 26 ottobre 2020, n. 23448; Cass., Sez. 3A, 23 novembre 2021, n. 36251), non vi è alcuna differenza tra l'azione di nullità parziale e l'azione di nullità totale del contratto sul piano della giustificazione e dell'efficacia della pronunzia giudiziale, essendo comune la funzione di conformare secundum legem la regolamentazione dei rapporti tra le parti mediante la reciproca restituzione delle prestazioni o delle attribuzioni sine titulo.
1.4 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposta di registro, i provvedimenti dell'autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori o alla restituzione di denaro devono essere assoggettati, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta proporzionale, a meno che, oltre alla condanna al pagamento di una somma di denaro o all'imposizione di un obbligo restitutorio, non abbiano ad oggetto anche l'annullamento o la declaratoria di nullità di un atto: in quest'ultimo caso, infatti, l'imposta dovrà essere determinata in misura fissa, in applicazione dell'art. ·8, comma 1, lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (Cass., Sez. 5, 7 luglio 2017, n. 16814; Cass., Sez. 6-5, 23 agosto 2017, n. 20315; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32969; Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21702).
Né rileva, in alcun modo, che il contratto di cui sia dichiarata la nullità o pronunziato l'annullamento sia soggetto a registrazione in termine fisso (il riferimento è agli atti indicati nella tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131) o in caso d'uso (il riferimento è agli atti indicati nella tariffa - parte seconda allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ivi comprese le operazioni soggette ad IVA, anche in regime di esenzione), dal momento che la disciplina contenuta nel citato art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prescinde da tale discriminazione in ordine all'assolvimento o meno della registrazione (e, quindi, al pagamento o meno dell'imposta di registro) per il contratto affetto da nullità o annullabilità.
1.5 Ciò detto, è convinzione del collegio che la previsione dell'art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 non possa essere limitata alla sola fattispecie della dichiarazione di nullità totale del contratto (art. 1418 cod. civ.), per quanto si tratti dell'ipotesi più frequente nella prassi, ma debba comprendere anche - per l'assoluta identità di ratio, che renderebbe illogica una difforme regolamentazione, in assenza di una differenza qualitativa tra le due pronunzie - la fattispecie della dichiarazione di nullità parziale del contratto (art. 1419 cod. civ.), allorquando la ripetizione delle prestazioni eseguite contra legem postula la ulteriore sopravvivenza del contratto adeguato mediante la sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale (art. 1419, comma 2, cod. civ.).
1.6 Ne discende che l'applicazione dell'imposta di registro in misura fissa anche nel caso di accertamento della nullità parziale del contratto prescinde dall'eventuale soggezione ad IVA delle prestazioni che debbano essere restituite in forza della pronunzia giudiziale.
Come è stato già affermato da questa Corte, sia pure con riguardo agli «atti di cui al comma 1, lettera c)», cioè agli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale», la nota II all'art. 8 della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 limita ai soli «atti di cui al comma 1, lettera b)», cioè agli atti giudiziari «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», l'esonero dall'imposta proporzionale di registro «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 40 del Testo unico» (in termini: Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2021, n. 3459). Ciò in quanto, il principio di alternatività opera nei soli casi indicati dall'art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa - parte prima allegata 5 al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e questo principio, ancorché di natura generale, opera in relazione all'imposta controversa solo con riguardo agli specifici atti individuati tassativamente nella norma citata, e non è suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi contemplate, stante, peraltro, il suo contenuto agevolativo, che lo rende di stretta interpretazione, alla strenua del chiaro disposto dell'art. 15 disp. prel. cod. civ. che esclude l'interpretazione estensiva delle norme speciali (in termini: Cass., Sez. 5, 27 settembre 2017, n. 22502; Cass., Sez. 5, 19 gennaio 2018, n. 1342).
In definitiva, il preciso riferimento della nota II all'art. B della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 agli «atti di cui al comma 1, lettera b)» del medesimo art. 8 concerne in via esclusiva i provvedimenti giudiziari che accolgono la domanda di adempimento, dando attuazione coattiva alla prestazione dovuta in virtù del contratto di cessione di beni o di prestazione di servizi. Per cui, restando sempre quest'ultimo la fonte delle obbligazioni di dare o di fare, il regime fiscale dell'operazione non muta in relazione alla coattività dell'adempimento.
Diversa è la situazione in caso di dichiarazione di nullità o di pronunzia di annullamento: il contratto di cessione di beni o di prestazione di servizi è caducato ex tunc dalla pronunzia (ricognitiva o costitutiva) dell'autorità giudiziaria, le prestazioni adempiute sono private ab origine di titolo giustificativo e le parti sono abilitate alla relativa ripetizione (in natura o per equivalente) al fine di reintegrare lo status quo ante dei rispettivi patrimoni.
In proposito, si deve rammentare che, a norma dell'art. 26 comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in caso di operazioni con emissione di fattura, la dichiarazione di nullità delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che siano effettuate nell'esercizio di imprese, arti o professioni (art. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1982 n. 633) non comporta la soggezione ad IVA delle conseguenti retrocessioni, posto che il cedente del bene o il prestatore del servizio ha soltanto il diritto di portare in detrazione ex art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 l'imposta corrispondente alla variazione mediante registrazione ex art. 25 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, mentre il cessionario o il committente che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 deve, in tal caso, registrare la variazione a norma dell'art. 23 o dell'art. 24 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o al prestatore a titolo di rivalsa. Il che è coerente con il rilievo che le prestazioni restitutorie non costituiscono di per sé cessioni di beni o prestazioni di servizi poste in essere nell'esercizio di imprese, arti o professioni, ai fini della soggezione ad IVA. Pertanto, trattandosi di provvedimento di condanna alla restituzione di somme corrisposte in mancanza di valido titolo giustificativo, queste ultime non possono essere ricondotte alla nozione «di pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 40 del testo unico» di cui all’invocata nota II all'art. 8, comma 1, lett. b), del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (in termini: Cass., Sez. SA, 19 gennaio 2018, n. 1342).
1.7 Va, quindi, affermato il principio per cui gli atti giudiziari «che dichiarano la nullità o pronunciano l'annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto», anche quando la dichiarazione di nullità riguardi singole clausole ex art. 1419, comma 2, cod. civ., senza investire l'intero contratto, che sopravvive tra le parti con la sostituzione della disciplina legale alle clausole nulle (nella vicenda in disamina, la sentenza che accerti la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori in relazione a contratti bancari e condanni la banca alla restituzione delle somme indebita mente riscosse a tale titolo in favore del cliente), sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, essendo irrilevante che essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA, non trovando applicazione alla ripetizione di indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) il principio di alternatività di cui all'art. 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Per cui, non può trovare applicazione l'art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa - parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, il quale postula la fisiologica validità (in toto et in qualibet parte) del contratto originante le obbligazioni per le quali si chiede al giudice di pronunciare la condanna al pagamento o alla consegna.
1.8 Nella specie, il giudice di appello si è conformato a tale principio, avendo ritenuto - sulle premesse «(...) che la condanna, seguita alla dichiarazione di nullità di clausole contrattuali, ha solo un effetto ripristinatorio a fronte di prestazioni ritenute prive di causa» e «(...) che un tale effetto non è quindi indice di manifestazione di trasferimento di capacità contributiva» - che «l'imposizione non possa che essere regolata dalla citata lettera e), dell'art. 8, c.1, Tariffa parte prima, D.P.R. 131/1986, che appunto prevede una tassazione a tassa fissa in caso di dichiarazione di nullità/annullamento dell'atto (ma lo stesso è a valere ove tale dichiarazione riguardi parte dello stesso), ancorché a ciò segua la condanna alla restituzione di danaro».
2. Pertanto, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l'infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
4. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della Legge 24 dicembre 2012 n. 228), un ulteriore importo 21 titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (tra le tante: Cass., Sez. 5, 28 gennaio 2022, n. 2615; Cass., Sez. 5, 3 febbraio 2022, n. 3314; Cass., Sez. 5, 7 febbraio 2022, nn. 3814 e 3831).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 5.200,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.