È quanto ha stabilito la Cassazione enunciando due nuovi principi di diritto.
Svolgimento del processo
1. Con decreto 9 agosto 2018, il Tribunale di Palermo ha ammesso allo stato passivo del Fallimento G. s.p.a. in liquidazione il dipendente P. D. in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis n. 1 c.c. per l’ulteriore credito di € 3.927,17, a titolo di T.f.r., oltre interessi legali come per legge: così riformando il decreto del Giudice delegato, che lo aveva ammesso per € 7.702,97 a titolo di T.f.r., escludendo il suddetto ulteriore, in quanto relativo a somme trasferite al Fondo di Tesoreria presso l’Inps;
2. ribadita la correttezza dell’ammissione allo stato passivo del Fallimento del credito per T.f.r., per la sua maturazione anche nel periodo di sospensione del rapporto di lavoro per Cassa Integrazione Guadagni in Deroga (CIGD: da settembre 2012 a dicembre 2014), a norma dell’art. 2120, terzo comma c.c., con il conseguente obbligo datoriale di accantonamento e (alla cessazione del rapporto di lavoro) di pagamento, esso ha riconosciuto spettante al lavoratore anche le quote di T.f.r. trasferite al suindicato Fondo di Tesoreria (relative al periodo dal 1° gennaio 2007, di trasferimento ad esso), ai sensi dell’art. 1, comma 756 l. 296/2006, in difetto di prova dalla curatela fallimentare del loro versamento dalla datrice fallita;
3. con atto notificato il 10 settembre 2018, la curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi: il lavoratore, regolarmente intimato, non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1. Il lavoratore ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2120, terzo comma c.c., per erronea estensione della disciplina della norma denunciata alla Cassa Integrazione in Deroga, istituto eccezionale di natura assistenziale e non previdenziale (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 64 l. 92/2012, della l. 164/1975, della l. 1115/1968 e dell’art. 2120, terzo comma c.c., per non avere il Tribunale ritenuto la Cassa Integrazione Guadagni in Deroga, istituto eccezionale di natura assistenziale e non previdenziale, discrezionalmente concesso dal Ministro del Lavoro, senza individuazione di cause integrabili, ad imprese appartenenti a settori produttivi esclusi da CIGO e CIGS, finanziato non dai loro contributi, ma dalle risorse pubbliche destinate alla tutela dei lavoratori appartenenti ad esse, nell’ambito del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 14 disp. prel. c.c., per non avere il Tribunale considerato insuscettibile di interpretazione analogica l’art. 2120, terzo comma c.c., in quanto norma eccezionale (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c. e dell’art. 2, secondo comma l. 464/1972, per avere il Tribunale ritenuto non estensibile alla Cassa Integrazione Guadagni in Deroga la norma denunciata, di posizione a carico dell’Inps delle quote di T.f.r. maturate durante il periodo di integrazione salariale, qualora, come nel caso di specie, il rapporto sia cessato al suo termine (quarto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 756 l. 296/2006 e dell’art. 2116 c.c., per esclusione dell’obbligo del “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei T.f.r.” di corresponsione del T.f.r., in assenza di versamento da parte del datore di lavoro delle quote via via maturate, per la loro reciproca indipendenza (quinto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono parzialmente fondati, in riferimento alle quote di T.f.r. maturate nel periodo 1° settembre 2012 - 31 dicembre 2014 e invece infondati in riferimento alle quote di T.f.r. maturate nel periodo anteriore;
3. la presente controversia riguarda la contestazione, da parte della curatela fallimentare ricorrente, dell’ammissione da parte del Tribunale, in sede di opposizione allo stato passivo, dell’ulteriore credito (in aggiunta a quello di € 7.702,97 per T.f.r. già ammesso dal giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo) di € 3.927,17, a titolo di T.f.r. maturato dal gennaio 2007 (così all’ultimo capoverso di pg. 4 del decreto), nel vigore del Fondo di Tesoreria istituito presso l’Inps, con effetto dal 1° gennaio 2007, a norma dell’art. 1, comma 755 l. 296/2006, con modalità di finanziamento rispondenti al principio della ripartizione e gestione, per conto dello Stato, dall'Inps su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato; allo scopo di garantire ai lavoratori dipendenti del settore privato l'erogazione dei trattamenti di fine rapporto, a norma dell’art. 2120 c.c., per la quota corrispondente ai versamenti indicati al comma 756 dello stesso articolo, secondo quanto previsto dal codice civile.
3.1. è nota la previsione dell’art. 2120, primo comma, secondo cui: “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni”.
A differenza dell'indennità originariamente prevista dall’art. 2120 c.c., il T.f.r. non è un effetto dell'anzianità. Nel nuovo sistema la somma capitale spettante al prestatore di lavoro alla cessazione del rapporto non è proporzionale agli anni di servizio (parole infatti scomparse nel nuovo testo dell’art. 2120 c.c.), bensì è determinata in proporzione all’ammontare delle retribuzioni percepite nel corso del rapporto, delle quali una quota (aggiuntiva) viene di anno in anno nominalmente accantonata per formare il trattamento di fine rapporto; sicché l’anzianità rileva indirettamente, posto che l’entità degli accantonamenti aumenta in ragione del numero degli anni di servizio, e solo nella misura corrispondente a periodi di retribuzione effettiva (così Corte cost. 14 luglio 1988, n. 802, Considerato in diritto, p.to 3., primi due capoversi).
Il terzo comma dell’art. 2120 c.c. introduce, tuttavia, un’eccezione al fondamento rigorosamente retributivo del computo del T.f.r., con la seguente previsione: “In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro”;
4. alla luce di tale disposizione, si è così ritenuta la maturazione, anche in caso di sospensione del rapporto di lavoro per l’intervento della cassa integrazione guadagni, a favore del lavoratore dell’indennità di anzianità o del T.f.r., ai sensi dell'art. 2, secondo comma l. 464/1972 (Cass. 23 marzo 2002, n. 4171, che ha riconosciuto, in riferimento a un’ipotesi particolare, il diritto delle aziende di chiedere alla Cassa integrazione il rimborso delle relative quote e dalla esplicita previsione in tal senso dell'art. 2120, terzo comma c.c. nel testo introdotto dall'art. 1 l. 297/1982). Ed esso stabilisce che: “Per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, le aziende possono richiedere il rimborso alla cassa integrazione guadagni dell'indennità di anzianità, corrisposta agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto”. Sicché, in tema di cassa integrazione guadagni straordinaria, il trattamento di fine rapporto nella quota maturata durante il periodo computato nella retribuzione di cui al primo comma integrazione salariale è stato posto a carico del “Fondo per la mobilità della manodopera” nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della legge 675/1977 e quella del d.l. 86/1988 ed a carico della Cassa integrazione guadagni per il tempo anteriore e successivo a questo periodo, a condizione che al termine del periodo di integrazione salariale il lavoratore venisse licenziato o comunque non venisse rioccupato nella stessa azienda; nel caso di rioccupazione, restando il trattamento a carico del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2120 c.c., nel testo introdotto dall'art. 1 legge 297 del 1982 (Cass. 5 marzo 2003, n. 3261; Cass. 4 luglio 2018, n. 17501);
5. si tratta ora di valutare se la regola di maturazione a favore del lavoratore del T.f.r., in caso di sospensione del rapporto di lavoro per l’intervento della cassa integrazione guadagni, operi anche per la CIGD, qui in oggetto e a carico di chi gravi;
5.1. l’art. 2, comma 64 l. 92/2012 ha introdotto, “al fine di garantire la graduale transizione verso il regime delineato dalla riforma degli ammortizzatori sociali di cui alla presente legge, nella quota maturata durante il periodo di dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, per gli anni 2013-2016”, la facoltà del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di concedere “trattamenti di integrazione salariale e di mobilità … sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, anche senza soluzione di continuità, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell'ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, primo comma, lett. a) D.L. 185/2008, conv. con mod. in l. 2/2009, come rifinanziato dal comma 65 del presente articolo”. E la sua disciplina è contenuta nell’art. 2 d.m. del lavoro 1 agosto 2014, n. 83743, come strumento di ammortizzazione sociale concedibile o prorogabile per le causali indicate (situazioni aziendali dipendenti da eventi transitori non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori; situazioni aziendali determinate da condizioni temporanee di mercato; crisi aziendali; ristrutturazione o riorganizzazione: al primo assicurando la gestione delle situazioni derivanti dell’impresa o di una sua parte (secondo comma), previa utilizzazione degli strumenti ordinari di flessibilità, inclusa la fruizione delle ferie residue (ottavo comma) e tanto ad imprese non soggette alla disciplina in materia di CIGO o CIGS (nono comma) che ad imprese ad essa soggette (decimo comma);
5.2. reputa questa Corte, condividendo quanto ritenuto dal Tribunale di Palermo, che la CIGD debba essere computata ai fini del T.f.r., quale ulteriore strumento di integrazione salariale, a sostegno delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, per gli anni 2013-2016, con utilizzazione delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell'ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione (istituito nello stato di previsione dell’allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nel quale confluenti anche le risorse del Fondo per l'occupazione e le risorse comunque destinate al finanziamento degli ammortizzatori sociali concessi in deroga alla normativa vigente e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione, a norma dell’articolo 18, primo comma, lett. a) d.l..
Anch’essa rientra a pieno titolo nella previsione del terzo comma dell’art. 2120 c.c., in quanto “caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale”, di natura eccezionale rispetto alla regola ordinaria del primo comma dello stesso articolo (espressamente citata al superiore p.to 3.1.): “nel senso che i periodi ivi indicati di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, figurano come periodi di retribuzione normale anche se la conservazione della retribuzione fosse limitata a una aliquota percentuale di essa”, con la conseguenza che “non entrano nel computo del trattamento di fine rapporto i periodi di sospensione della prestazione di lavoro per i quali non spetta al lavoratore il diritto alla conservazione, nemmeno parziale, della retribuzione.” (così Corte cost. 14 luglio 1988, n. 802, Considerato in diritto, p.to 3., secondo capoverso, ultima parte e terzo capoverso: in specifico riferimento all’esclusione dal computo nell’indennità di anzianità o del T.f.r. del periodo di assenza dal lavoro per adempimento degli obblighi di leva, durante il quale il prestatore ha diritto alla conservazione della posizione di lavoro, ma non alla retribuzione);
5.3. tale trattamento grava, secondo l’illustrata legge istitutiva, a carico del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
6. quanto poi al trasferimento delle quote di T.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007 al Fondo di Tesoreria, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per il quale, in tema di loro pagamento, deve essere escluso l’obbligo del Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’INPS, ove il datore di lavoro (appaltatore o il committente, obbligato solidale ex lege), non provi(no) l’avvenuto versamento al Fondo delle quote di T.f.r., costituendo tale circostanza fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, che deve provare chi lo eccepisca (Cass. 15 novembre 2017, n. 27014; Cass. 2 maggio 2019, n. 11536);
6.1. la ricostruzione del sistema della previdenza complementare è, infatti, nel senso della qualità del datore di lavoro, non di mero adiectus solutionis causa, posto che non perde la titolarità dell'obbligazione di corrispondere il T.f.r.;
perché l’art. 1, comma 755 – 757 l. 296/2006 e il d.m. 30 gennaio 2007 delineano un quadro in cui l'intervento del Fondo, nei casi in cui è previsto, dà luogo ad un rapporto trilaterale tra datore di lavoro, Fondo e prestatore di lavoro, in virtù del quale: a) il primo è obbligato nei confronti del secondo a versare il T.f.r., al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo è tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalità previste dall'art. 2120 c.c., nei limiti della quota maturata a decorrere dall’1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro; c) la materiale erogazione del T.f.r. è affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali;
6.2. per quanto allora qui in particolare interessa, il lavoratore è legittimato all'ammissione allo stato passivo del datore di lavoro fallito per le quote di T.f.r. non versate al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall'Inps (Cass. 16 maggio 2018, n. 12009; Cass. 10 settembre 2021, n. 24510);
7. nel caso di specie, il lavoratore alle dipendenze della società fallita, che ha fruito del periodo di integrazione salariale in deroga (CIGD) da settembre 2012 a dicembre 2014, ha cessato il rapporto al suo termine in data 31 dicembre 2014, essendo stato assunto il 1° gennaio 2015 da un’altra società, per effetto del trasferimento del ramo d’azienda cui era addetto, ai sensi dell’art. 47, primo comma l. 428/1990, non essendo stato quindi rioccupato alle dipendenze della società datrice fallita;
7.1. egli ha pertanto diritto all’ammissione allo stato passivo di un ulteriore credito, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis c.c., per le quote di T.f.r. maturate nel periodo dal 1° gennaio 2007, in quanto trasferite al Fondo di Tesoreria e non essendo stato provato dalla curatela fallimentare il loro versamento da parte della datrice fallita (come accertato dal Tribunale al penultimo capoverso della parte motiva di pg. 5 del decreto), fino all’inizio del periodo di CIGD (settembre 2012); non invece per quelle maturate da tale data e fino alla fine del periodo di CIGS, coincidente con quella del rapporto di lavoro (31 dicembre 2014): esse devono invece, in parziale accoglimento del ricorso, essere detratte dal credito di € 3.927,17, a titolo di T.f.r. maturato nel periodo successivo al 1° gennaio 2007 ed escluse dallo stato passivo del Fallimento, in quanto non a carico, per le ragioni illustrate, della società datrice di lavoro fallita, ma del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
8. pertanto il ricorso deve essere accolto nei limiti suesposti e rigettato nel resto, con la cassazione del decreto impugnato in parte qua e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Palermo in diversa composizione, sulla base dei seguenti principi di diritto: “Anche la Cassa integrazione in deroga, istituita dall’art. 2, comma 64 l. 92/2012 (CIGD), rientra nella previsione del terzo comma dell’art. 2120 c.c., per essere un caso di sospensione totale o parziale per la quale è prevista l'integrazione salariale, nel senso di un periodo di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, che figura come periodo di retribuzione normale, anche se la conservazione della retribuzione sia limitata a una aliquota percentuale di essa.”
“Il pagamento della CIGD spetta, qualora il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, al Fondo sociale per l’occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; con la conseguenza che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all’ammissione allo stato passivo del credito per le quote di T.f.r. maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi indicati in motivazione, rigettato nel resto; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi come accolti e rinvia, anche per la regolazione rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Palermo in diversa composizione.