La Corte d'Appello negava l'applicazione dell'istituto ex art. 131-bis c.p. sul rilievo che la condotta dell'imputato aveva messo in pericolo la sicurezza sulla circolazione stradale, in quanto alla guida in orario notturno su una strada di montagna che avrebbe potuto essere scivolosa o bagnata. Per la Cassazione, tali circostanze devono essere accertate nel caso concreto.
La Corte d'Appello di Torino confermava la decisione di primo grado ritenendo l'imputato responsabile del reato ex art. 187, comma 8, cds poiché, alla guida di un'auto, rifiutava di assoggettarsi all'accertamento dello stato di alterazione psicofisica da assunzione di stupefacenti da effettuarsi presso...
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Torino con sentenza del 21 maggio 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino con cui C.L.A. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 187 comma 8, perché alla guida di autoveicolo, sottoposto a controllo, rifiutava assoggettarsi all'accertamento dello stato alterazione psicofisica da assunzione di stupefacenti, a mezzo di controllo su campioni biologici, da effettuarsi presso una struttura sanitaria.
2. Avverso la sentenza impugnata propone ricorso C.L.A., formulando due motivi di impugnazione.
3. Con il primo deduce la falsa applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. ed il vizio di motivazione. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. Osserva che, mentre il primo giudice aveva fondato il diniego della causa di non punibilità, invocata dalla difesa, sulla base dell'esistenza di un precedente penale di guida in stato di ebbrezza, peraltro estinto per esito positivo dei lavori di pubblica utilità, la Corte territoriale ha ritenuto ostativa all'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., la condotta dell'imputato, consistita nel mettere in pericolo la sicurezza della circolazione stradale, opponendo il rifiuto, mentre si trovava alla guida di un veicolo su una strada di montagna, che avrebbe potuto essere scivolosa o bagnata, con un passeggero a bordo ed in ora notturna. Siffatte considerazioni, nondimeno, non possono assumere rilievo ai fini della valutazione della particolare tenuità del fatto. In primo luogo, infatti, A. non è stato fermato mentre guidava su una strada di montagna, ma all'interno del centro abitato di Claviere, nei pressi della sua abitazione. In secondo luogo, nessun accertamento dello stato di alterazione risulta dal verbale redatto dagli operanti, che si sono limitati a dare atto che A. aveva gli occhi rossi, senza descrivere condotte o atteggiamenti tali da poter far presumere un'assunzione di stupefacenti tale da provocare alterazione. In terzo luogo, il precedente richiamato non può essere enfatizzato, non solo per l'estinzione del reato, ma perché il comportamento non può ritenersi abituale.
4. Con il secondo motivo fa valere la violazione degli artt. 133, 163 e 175 cod. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità. Rileva che la Corte di appello nega i c.d. doppi benefici sulla base dell'assunto che il ricorrente, nonostante il precedente specifico per guida in stato di ebbrezza, 'non aveva esitato a porsi alla guida dopo avere assunto sostanza stupefacente, così dimostrando di non avere alcuna remora a mettere a repentaglio la sicurezza della circolazione stradale', ancorché non sia stata accertata l'alterazione derivate dall'assunzione di sostanza stupefacenti. Invero, l'avere A. ammesso, in sede di controllo, di avere fumato uno spinello non conduce, di per sé, all'affermazione dello stato di alterazione. La condotta addebitata dalla Corte, ai fini del diniego, peraltro, è quella punita dall'art. 187, comma 1 cod. pen., laddove all'imputato è stata ascritta quella di cui all'art. 187, comma 8 e la condanna è intervenuta rispetto a detta fattispecie. Assume che il diniego della sospensione condizionale della pena appare del tutto ingiustificata laddove si tenga in considerazione che la sospensione della patente di guida preclude, di per sé, la possibilità di incorrere in ulteriori violazioni, mentre, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di circolazione stradale la precedente condanna per un reato estinto per esito positivo dei lavori di pubblica utilità, non può essere causa ostativa al riconoscimento del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen.. Deduce l'assenza grafica di motivazione in ordine alla doglianza con cui si censurava la mancata concessione della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, non desumibile dalla motivazione inerente alla mancata concessione della sospensione condizionale, avendo benefici natura e scopi diversi. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
5. Il Procuratore generale con requisitoria scritta, ai sensi dell'art. 23 d.l. 137/2020, ha concluso chiedendo dichiararsi l''inammissibilità ciel ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso va accolto, nei termini che seguono.
2. Il primo motivo è fondato.
3. Per dare risposta al quesito posto con la doglianza, occorre muovere dal principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui "La causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131- bis cod. pen., applicabile ad ogni fattispecie criminosa, è compatibile con ili reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoolimetrico, previsto dall'art. 186, comma settimo, Cod. Strada, posto che, accertata la situaziomi pericolosa e dunque l'offesa, resta pur sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravità dell'illecito, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si iscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato. (Sez. U, Sentenza n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).
4. La pronuncia richiamata, affrontando la compatibilità della causa di esclusione della punibilità con l'ipotesi del rifiuto a sottoporsi all'accertamento alcolimetrico, introduce considerazioni certamente estensibili all'ipotesi di rifiuto di cui all'art. 187, comma 8 C.d.S.. Innanzitutto osserva che il legislatore, nel definire l'istituto "ha esplicato una complessa elaborazione per definire l'ambito dell'istituto. Da un lato ha compiuto una graduazione qualitativa, astratta, basata sull'entità e sulla natura della pena; e vi ha aggiunto un elemento d'impronta personale, pure esso tipizzato, tassativo, relativo alla abitualità o meno del comportamento. Dall'altro lato ha demandato al giudice una ponderazione quantitativa rapportata al disvalore di azione, a quello di evento, nonché al grado della colpevolezza. Ha infine limitato la discrezionalità del giudizio escludendo alcune contingenze ritenute incompatibili con l'idea di speciale tenuità: motivi abietti o futili, crudeltà, minorata difesa della vittima ecc.. Da tale connotazione dell'istituto emerge un dato di cruciale rilievo, che deve! essere con forza rimarcato: l'esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente. Da quanto precede discende che la valutazione inerente all'entità del danno o del pericolo non è da sola sufficiente a fondare o escludere il giudizio di marginalità del fatto". Precisa, inoltre, che "A tale riguardo occorre considerare che l'illecito di cui all'art. 186, comma 7, cod. strada sanziona il rifiuto di sottoporsi all'indagine alcoolimetrica volta all'accertamento della guida in stato di ebbrezza sanzionata dal secondo comma dello stesso articolo. In conseguenza, la lettura della ratio e dello sfondo di tutela che presiedono alla contravvenzione in esame sarebbe fallace ed astratta se non si confrontasse con l'intimo intreccio tra i due reati, enfatizzato dal fatto che uno è punito con le sanzioni previste dall'altro. In breve, il comma 7 non punisce una mera, astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione. Dunque, non può farsi a meno di esaminare la collaterale contravvenzione di cui al richiamato comma 2 dell'art. 186. Essa si inscrive nella categoria di illeciti in cui la pericolosità della condotta tipica è tratteggiata in guisa categoriale: è ritenuta una volta per tutte dal legislatore, che individua comportamenti contrassegnati, alla stregua di informazioni scientifiche o di comune esperienza, dall'attitudine ad aggredire il bene oggetto di protezione. Si tratta, in breve, dei reati di pericolo presunto: nessuna indagine è richiesta sulla fattispecie concreta e sulla concreta pericolosità in relazione al bene giuridico oggetto di tutela. Si tratta, è bene rammentano, di una categoria di illeciti che trova frequente espressione in reati contravvenzionali connotati proprio dal superamento di valori soglia ritenuti per l'appunto tipicamente pericolosi. Orbene, non è da credere che tale conformazione della fattispecie faccia perdere il suo ancoraggio all'idea di pericolo ed ai beni giuridici che si trovano sullo sfondo. Al contrario, come ormai diffusamente ritenuto, si tratta di illeciti che presentano un forte legame con l'archetipo della pericolosità e garantiscono, anzi, il rispetto del principio di tassatività, assicurando la definita conformazione della fattispecie alla stregua di accreditate informazioni scientifiche e di razionale ponderazione degli interessi in gioco; ed eliminando gli spazi di vaghezza e discrezionalità connessi alla necessità di accertare in concreto l'offensività del fatto. Da tale ricostruzione della categoria discende che, accertata la situazione pericolosa tipica e dunque l'offesa, resta pur sempre spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della ponderazione in ordine alla gravità dell'illecito, quale sia lo sfondo fattuale nei quale la condotta si inscrive e quale sia, in conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole rispetto al bene tutelato (... ) Non può ritenersi che lo sfondo di tutela del reato di cui all'art. 186, comma 2, sia quello della regolarità della circolazione. Istanze di sicurezza e regolarità della circolazione permeano, nel complesso, il codice della strada. Tuttavia la nostra contravvenzione ha una evidente e ben poco mediata correlazione con i beni della vita e dell'integrità personale. Tale conclusione non si trae solo da diretta, vivida e comune fonte esperienziale. E' la stessa disciplina legale a fornire univoca indicazione in tal senso. Il comma 2-bis prevede che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, il reato è aggravato. Più in generale, l'art. 222 prevede severe sanzioni amministrative accessorie quando dalla violazione di norme del Codice derivano danni alle persone. Dunque, il doveroso apprezzamento in ordine alla gravità dell'illecito connesso all'applicazione dell'art. 131-bis consente ed anzi impone di considerare se il fatto illecito abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati. Per esemplificare: non è indifferente che il veicolo sia stato guidato per pochi metri in un solitario parcheggio o ad elevata velocità in una strada affollata, magari generando un incidente. E l'indicato intreccio tra le due contravvenzioni impone di considerane, ai fini che qui interessano, pure con riguardo a quella di mero rifiuto lo sfondo fattuale, la rischiosità del contesto nel quale l'illecito s'inscrive" (Sez. U, Sentenza n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, in motivazione).
5. Ora, tenute ferme le considerazioni svolte dal Supremo Collegio, va rilevato che nel compiere il raffronto fra la condotta di rifiuto opposta dal ricorrente in sede di controllo e la condotta di guida effettivamente tenuta nell'occasione da parte dell'imputato si limita a considerazioni, del tutto astratte quali l'avere A. percorso in orario notturno una strada di montagna 'che ben avrebbe potuto essere scivolosa o ghiacciata' e l'avere trasportato un passeggero a bordo. Si tratta, nondimeno, di considerazioni che presumono la pericolosità del comportamento sulla base di circostanze non accertate (tenuta della strada), senza descrivere il reale contesto -il fondo fattuale- né le modalità della condotta, ovverosia in che cosa sia consistita l'irregolarità della circolazione, tale da renderla potenzialmente pericolosa, tanto più che non sono descritte le condizioni di traffico, nelle quali la condotta si è realizzata.
6. Ma, anche la ritenuta valenza della precedente condanna per guida in stato di ebbrezza, il cui reato è stato dichiarato estinto per esito positivo dei lavori di pubblica utilità, non può -diversamente da quanto ritenuto dal giudice di seconde cura- essere di ostacolo, posto che l'estinzione del reato implica il venir meno di ogni effetto penale della condanna. Questa Corte ha, infatti, recentemente "In tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai fini della valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale, ai sensi dell'art. 131-bis, comma terzo, cod. pen. non rilevano i reati estinti per esito positivo della messa alla prova, conseguendo all'estinzione del reato anche l'elisione di ogni effetto penale della condanna. (Sez. 2, n. 46064 del 30/11/2021, Ndiaye, Rv. 282270). Identico principio è stato pronunciato per l'ipotesi di reati estinti ex art. 460, comma 5 cod. proc. pen., essendosi affermato che "In tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai fini della valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale, ai sensi dell'art. 131-bis, comma terzo, cod. pen., non va tenuto conto dei reati estinti ai sensi dell'art. 460, comma 5, cod. proc. pen., conseguendo all'estinzione del reato anche l'elisione di ogni effetto penale della condanna. (Sez. 4, Sentenza n. 11732 del 17/03/2021, Moiola, Rv. 280705).
7. Gli ulteriori due motivi risultano, allo stato, assorbiti dall'accoglimento del primo.
8. La sentenza, dunque, deve essere annullata limitatamente alla questione concernente la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.